251 *
“The Wind That Shakes the Barley” (di Ken Loach, Irl, 2006) tit.it.
“Il vento che accarezza l'erba” * con Cillian Murphy, Padraic
Delaney, Liam Cunningham, Orla Fitzgerald
A distanza di una decina di anni ho ri-guardato con molto piacere e
rinnovato interesse questo film che descrive in modo quasi
magistrale le tensioni, i danni e le conseguenze delle guerre
civili.
In pochi anni, subito dopo la I Guerra Mondiale, l’Irlanda visse una
sanguinosa guerra di liberazione che tuttavia raggiunse solo una
parte degli obiettivi e quindi sfociò in una guerra civile fra
coloro che si “accontentavano” e quelli che volevano continuare la
lotta fino a raggiungere la piena indipendenza.
Ken Loach, che spesso ha affrontato drammi di questo tipo - con una
commistione fra il sociale, il politico e i legami famigliari - si
trova quindi assolutamente a suo agio nel raccontare prima una
“guerra partigiana” (argomento relativamente comune) per passare poi
repentinamente alla guerra civile e descrivere i ben più tragici
scontri all’interno delle stesse comunità, addirittura fra fratelli.
Ben interpretato, sostenuto da belle scene ben riprese e diretto con
mano ferma da Loach, poche (lievi) pecche si possono trovare solo
nella sceneggiatura, qua e là troppo didascalica, talvolta
incongruente.
Da non perdere, ma non consigliato ai troppo sensibili a causa della
violenza di varie scene, fino alle torture.
IMDb 7,5 RT 89% Palma d’Oro a #Cannes
252 * “Jackie Brown” (di Quentin Tarantino, USA, 1997) * con Pam
Grier, Samuel L. Jackson, Robert Forster, Robert De Niro, Bridget
Fonda, Michael Keaton
Terzo lungometraggio di Tarantino, che segue due dei suoi più famosi
film - “Reservoir Dogs” (1992) e “Pulp Fiction” (1994) - ma se ne
distacca abbastanza nettamente. Il passo è più lento anche se molto
ben ritmato, in particolare nelle sequenze chiave, c’è maggior
analisi dei personaggi e la scelta degli attori sembra perfetta. Non
per niente molti, soprattutto quelli che non amano il troppo sangue,
lo reputano il suo miglior film. Le poche morti sono rapide e
praticamente non si vedono, tutt’al più appare qualche schizzo di
sangue. Trattandosi di una trama contorta, ma arguta, incentrata su
una molteplice truffa non dirò niente di più.
Mi sono piaciuti De Niro in un ruolo secondario e insolito, l’onesta
performance di Samuel L. Jackson e le ottime interpretazioni della
poco conosciuta Pam Grier (nonostante avesse esordito alla corte di
Corman nel 1971) e di Robert Forster che ottenne la Nomination come
miglior attore non protagonista. Si calano bene nelle rispettive
parti anche Bridget Fonda, Michael Keaton.
Curiosità: il film che Fonda e De Niro guardano in TV è “La belva
col mitra” (Sergio Grieco, 1977) con Helmut Berger (menzionato) e
Marisa Mell ... usuale citazione di “B-movies”, in particolare
italiani, dei quali Tarantino è dichiarato fan.
IMDb 7,5 RT 87% * Nomination Oscar per Robert Forster
(attore non protagonista)
253 * “Moby Dick” (di John Huston, USA, 1956)
con Gregory Peck, Richard Basehart, Leo Genn, Orson Welles, Harry
Andrews
Bel film, seppur datato, tratto dall’omonimo classico della
letteratura mondiale ed interpretato da uno stuolo di ottimi attori
“sottoposti”, è il caso di dire, ad un Gregory Peck / Capitano Achab
superlativo, che terrorizza con il solo sguardo. Ho scoperto che c’è
anche Orson Welles, non sempre citato fra gli interpreti principali
(ma il suo nome è ben evidenziato sui poster) in quanto appare solo
nella parte iniziale, proferendo un significativo sermone (Giona e
la Balena) da un originale pulpito a forma di prua di nave..
Ishmael è interpretato da Richard Basehart, nome non famosissimo
anche se ha lavorato tanto, anche in Italia con registi di rilievo
come Soldati, Bolognini e Fellini (“La strada” e “Il bidone”). In
effetti tutti fanno la loro brava parte in quanto l’equipaggio è
composto da tanti ottimi caratteristi, facce più che note alle quali
tuttavia pochi sanno associare un nome.
Ennesimo ottimo lavoro di Huston che però per lo scontro finale fra
Achab e Moby Dick si lascia un po’ prendere la mano dagli effetti
speciali, ma è perdonabile vista l’importanza del film, la
difficoltà di rappresentare quelle scene che 60 anni più tardi Ron
Howard nel suo “In the Heart of the Sea” (Le origini di Moby Dick,
2015) non è riuscito a proporre in modo migliore nonostante gli
incredibili passi avanti della tecnologia. A questo film,
assolutamente non un remake di quello del ’56, riconosco il solo
merito di raccontare i veri avvenimenti che fornirono a Melville le
basi per la stesura del suo romanzo.
Questo film di Huston è un classico che merita senza dubbio una
visione, tenendo ben presente il periodo nel quale è stato girato;
per quell’epoca, fu fatto un eccellente lavoro, in particolare per
le scene di caccia alla balena.
Curiosità: prima di Huston, solo altri due registi si erano
cimentati sul tema e quasi contemporaneamente senza però ottenere
grande successo: Lloyd Bacon (“Moby Dick”, 1930, con il famoso John
Barrymore) e Michael Curtiz (“Dämon des Meeres”, 1931 - trad. lett.
“Il demone dei mari”), proprio lo stesso che una decina di anni dopo
avrebbe diretto Humphrey Bogart in “Casablanca”.
IMDb 7,5 RT 84%
254 * “Le signe du lion” (di Eric Rohmer, Fra, 1962) tit.it. “Il
segno del leone” * con Jess Hahn, Michèle Girardon, Van Doude,
Premessa: Eric Rohmer (il più atipico dei registi della Nouvelle
Vague) o si apprezza o non si sopporta ... non ci sono vie di mezzo.
O si ama il suo modo di descrivere il carattere e le sensazioni dei
personaggi attraverso situazioni apparentemente banali o si odia la
lentezza dei suoi film ed il fatto che non accada quasi o
assolutamente niente di cospicuo o rilevante.
Non fa eccezione “Il segno del leone”, suo primo vero film dopo 5
medio-cortometraggi, un esordio a 42 anni, ma quando già da tempo
era capo-redattore di "Cahiers du Cinema”, diretto dal critico André
Bazin e nel cui ambito gravitavano i vari Godard, Truffaut, Chabrol
...
Il protagonista quasi assoluto è Pierre Wesselrin (interpretato dal
misconosciuto Jess Hahn), un bohemien senza né arte né parte,
descritto seguendolo nelle sue serate con amici e poi attraverso
l’improvvisa felicità per una eccellente notizia (attribuita agli
auspici astrologici) e il successivo rapido declino fino al finale a
sorpresa (che non sempre esiste nei film di Rohmer).
A me piace il suo stile in quanto apprezzo la cinematografia più
delle storie e quindi ho gradito anche questa sua opera prima nella
quale sono solo perplesso per quello che mi è apparso un
rallentamento eccessivo nella parte centrale.
In conclusione, se vi piace Rohmer è da non perdere, in caso
contrario fate qualunque altra cosa evitando di sprecate il vostro
tempo guardando “Il segno del leone”.
IMDb 7,4
255 * “Family business” (di Sidney Lumet, USA, 1989) tit. it. “Sono
affari di famiglia” * con Sean Connery, Dustin Hoffman, Matthew
Broderick
Come può accadere che un regista del livello di Sidney Lumet (5
Nomination Oscar e film come “Quinto potere”, “Un pomeriggio di un
giorno da cani”, “L’uomo del banco dei pegni”, “Serpico”, ma
soprattutto la suo pellicola d’esordio “La parola ai giurati” - tit.
or. “12 angry Men”, 100% su RottenTomatoes, al 6° posto nella
classifica di tutti i film di tutti i tempi su IMDb) e attori del
calibro di Connery e Hoffman, che hanno mietuto successi nei generi
più disparati nell’arco delle loro lunghissime carriere, si trovino
in uno stesso film che si rivela essere un flop totale? Si dovrebbe
pensare che nessuno dei 3 abbia letto la sceneggiatura prima di
firmare il contratto ... misteri di Hollywood.
Comprai il dvd attratto dai loro nomi, ma poi andando a verificare i
rating in rete già sospettai un bidone ... rivelatosi purtroppo
realtà.
Personaggi poco credibili così come la sceneggiatura basata su una
storia debole, ma che poteva certo essere trattata in maniera
migliore. Incredibilmente anche Connery e Hoffman appaiono
svogliati, distaccati e sono affiancati da un Broderick dal quale mi
aspettavo di meno eppure riesce a scendere anche al di sotto dei
suoi standard.
Non è una commedia, non è un poliziesco, né un thriller, né un
dramma ... non ho proprio capito dove Lumet volesse andare a parare
e non riesco a immaginare alcun motivo per giustificare la scelta
sua e dei due attori protagonisti. Lo hanno fatto per soldi, per
scommessa, oppure sono stati minacciati o ricattati?
Family business è senz'altro uno dei film più insulsi che abbia
visto negli ultimi anni e la sensazione è accentuata dalle
aspettative deluse. Da evitare, a meno che non siate in crisi di
astinenza cinematografica e sia l’unico film a disposizione.
IMDb 5,6 RT 38%
256 * “Family life” (di Ken Loach, UK, 1971) * con Sandy Ratcliff,
Bill Dean, Grace Cave
Al contrario del film dal titolo assonante “Family business” visto
ieri, questo di Loach è un ottimo dramma, che colpisce e non si
scorda facilmente. Rivisto con piacere (ed in v.o.) dopo una
quarantina di anni ho apprezzato ancor di più questo terzo
lungometraggio del regista inglese che, oggi ottantenne, non ha
ancora ceduto a offerte hollywoodiane (come tanti altri dopo appena
un paio di film riusciti) e continua a fare cinema serio ed
impegnato con gran successo (almeno di critica) avendo vinto a la
Palma d’Oro ed altri due premi a Cannes 2016 con “I, Daniel Blake”.
Tornando al film, per il quale il titolo “Family hell” sarebbe stato
forse più adeguato, tratta dei difficilissimi rapporti
interpersonali in una famiglia medio borghese inglese, con la
protagonista Janice costantemente vessata dai genitori che pur
atteggiandosi come premurosi ed affettuosi sono due personaggi al
limite della perversione. Dopo un inizio quasi documentaristico, si
seguono le disavventure della remissiva Jan che tuttavia, spinta
talvolta al limite della sopportazione, esplode “giustificando” così
l’affidamento al servizio psichiatrico.
Tutti i membri della famiglia sono molto ben descritti, non solo
Janice ed i genitori, ma anche la sorella che compare in un’unica
scena. Senza tardare molto Ken Loach riesce, con la sostanziale
collaborazione degli interpreti, a far odiare i genitori ben prima
di giungere all’escalation conclusiva.
Da non perdere.
IMDb 7,7 RT 84%
257 * “Le genou de Claire” (di Eric Rohmer, Fra, 1970) tit.it. “Il
ginocchio di Claire” - con Jean-Claude Brialy, Aurora Cornu,
Béatrice Romand, Laurence de Monaghan
Si tratta del quinto dei 6 “Racconti morali” di Rohmer, non è fra i
miei preferiti, ma devo dire che anche questo si sviluppa con il
solito garbo, acume e attenzione ai particolari. La descrizione dei
vari personaggi tramite le loro aspirazioni, aspettative, racconti e
analisi di esperienze passate è precisa e rivela piccole manie e
punti deboli. Come al solito, gli spettatori frettolosi e poco
attenti sosterranno che nel film non succede niente e, per quanto
riguarda strettamente l’azione, hanno quasi ragione, ma prestando la
dovuta attenzione ai dialoghi e agli sguardi ed espressioni dei
protagonisti si può ben dire che c’è tanto su cui riflettere.
Una nota finale: pur non essendo ferrato in francese, ho notato la
pronuncia inusuale e monocorde di Aurora Cornu (la scrittrice Aurora
nel film) che contribuisce a rendere ulteriormente infastidente la
sua recitazione del tutto piatta. Una velocissima ricerca mi ha
portato a scoprire che effettivamente non è francese, è veramente
una scrittrice e che come attrice (giustamente) non ha avuto un
grande successo visto che ha partecipato a soli 2 film, entrambe di
Rohmer, l’altro è “L'amour l'après-midi” (1972, tit. it. “L’amore il
pomeriggio”) nel quale però non è co-protagonista ma ha solo una
parte brevissima, in un ricordo.
IMDb 7,8 RT 84%
258 * “Agatha” (di Michael Apted, UK, 1979) tit. it. “Il segreto di
Agatha Christie” * con Dustin Hoffman, Vanessa Redgrave,
Timothy Dalton
Strano film “Agatha”, ipotesi al limite del credibile di quanto
sarebbe accaduto negli undici giorni del 1926 durante i quali la
famosa autrice di gialli Agatha Christie scomparve per davvero per
poi riapparire sana e salva, ma senza fornire alcuna spiegazione in
merito a quanto fosse successo nel frattempo.
Oscillando fra commedia e giallo classico, la trama si dipana in
modo snello in un’ottima ricostruzione d’epoca, nella campagne del
North Yorkshire e nella stazione termale di Harrogate. Protagonista
assoluta è Vanessa Redgrave nelle vesti di Agatha Christie, con
l’onnipresente Dustin Hoffman nei panni del misterioso americano
Wally Stanton. Nessuno dei due fornisce però una prestazione
memorabile.
Una storia non proprio degna della penna della Christie, ma
senz’altro buona base per un piacevole thriller-commedia.
IMDb 6,4 RT 82%
259 * “Lady of Burlesque” (di William A. Wellman, USA, 1943) * con
Barbara Stanwyck, Michael O'Shea, J. Edward Bromberg
In questo film Barbara Stanwyck esce dai suoi classici ruoli noir e
si esibisce ballando e cantando sul palcoscenico, in spettacoli di
rivista. (il “Burlesque” del titolo deve essere inteso come puro
avanspettacolo e non nell’accezione moderna).
Tutto si svolge all’interno di un teatro, per lo più dietro le
quinte e nei camerini e, dopo un inizio più tendente alla commedia
quasi musicale, si passa ad un giallo leggero.
Dopo un misterioso tentativo di strangolamento andato a vuoto,
l’assassino riesce nel suo intento omicida con altre vittime.
Niente di memorabile, ma è una discreta
commedia-musical-crime-romantica caratteristica di quel periodo.
IMDb 6,4 RT 60%
260 * “Ae fond kiss” (di Ken Loach, UK, 2004) tit. it. “Un bacio
appassionato” * con Atta Yaqub, Eva Birthistle, Ahmad Riaz
A distanza di 37 anni dal suo esordio con “Poor cow” e a 33 da
“Family life” (il film che lo rese noto, pluriprmiato a Berlino,
recensito al n. 256), Ken Loach ci propone un ennesimo dramma
famigliare seppur meno “violento” ed allargato a numerosi altri
temi. Un giovane pakistano, nato e cresciuto a Glasgow (Scozia, UK)
casualmente incontra una irlandese e se ne innamora, pur essendo a
poche settimane dal suo matrimonio, ovviamente combinato.
In un frenetico susseguirsi di situazioni corrispondenti alle realtà
quotidiane, o almeno estremamente plausibili, Loach mette in risalto
contraddizioni, ipocrisie, fondamentalismi religiosi (anche
cattolici), falsi dogmi di onore e appartenenza (sia per razza che
per famiglia), insulse consuetudini e chi più ne ha più ne metta.
Fra i tanti personaggi irritanti (chi più e chi meno) si distinguono
l’eterno indeciso protagonista Casim (Atta Yaqub) e la finta tonta
ma subdola Roisin (Eva Birthistle), altri sono solo obnubilati dalle
loro convinzioni, giuste o sbagliate che siano. L’unica che sembra
avere un po’ di spina dorsale, indipendenza e logica è proprio la
più giovane della famiglia, Tahara (Shabana Bakhsh).
Accessibile a tutti, il film assume particolare valenza per quelli
che sanno qualcosa di immigrazione, integrazione, razzismo e scontri
culturali in genere,
Più che raccomandato, i 100 minuti passano in un attimo, senza
rallentamenti.
Ken Loach colpisce ancora!
IMDb 7,2 RT 88% * 2 premi a Berlino
261 * “A Star Is Born” (di William A. Wellman, USA, 1937) tit. it.
“E’ nata una stella” * con Janet Gaynor, Fredric March, Adolphe
Menjou, Lionel Stander
Classica commedia americana degli anni ’30, una delle più famose e
amate visto che è una classica realizzazione del “sogno americano”,
ragazza povera del North Dakota va a Hollywood sognando di diventare
una star e non solo ci riesce ma vince anche un Oscar. Almeno questa
parte della storia è talmente conosciuta e ovvia (il successo è
annunciato nel titolo) che non penso di aver svelato un gran
segreto. Il film è pieno di piccole sorprese e scorre piacevolmente
le scene romantiche, drammatiche e da commedia pura (come quelle in
cui appare l’ineffabile nonna) sono ben distribuite e bilanciate.
Questo è la pellicola ORIGINALE, con attori relativamente poco
conosciuti (anche se March ha vinto 2 Oscar, nel 1931 per “Dr.
Jekill e Mr. Hyde e nel 1948 per “I migliori anni della nostra vita”
di W. Wyler), forse quello più conosciuto in Italia (se lo si
riconosce) è il giovane Lionel Stander nel ruolo di Libby, l’addetto
stampa.
Sentendo solo il titolo, ai più viene però in mente uno dei due più
famosi, ma non per questo migliori, remake: quello del 1954 per la
regia di George Cukor, con Judy Garland e James Mason (nel quale i
personaggi sono uguali e mantengono identici nomi Norman Maine e
Esther Blodgett), e quello modernizzato del 1976 di Pierson con
Barbra Streisand e Kris Kristofferson che dei personaggi originali
mantengono solo il nome ma non il cognome, diventando
rispettivamente Esther Hoffman e Norman Howard. Per concludere
questa carrellata dei remake si sappia che ne esiste uno filippino
(mai visto un film filippino?) del 1973 e che un altro è previsto in
uscita per il 2017 con regia di Bradley Cooper, il quale sarà anche
protagonista affiancato da Lady Gaga.
Fra tutte queste citazioni ho parlato poco di questo “E’ nata una
stella”, ma c’è poco da dire, è da guardare. Perfetto per l’epoca,
certamente appare oggi datato, ma gli si deve riconoscere una buona
regia, ottima sceneggiatura e per di più tutti gli attori
interpretano perfettamente le loro parti.
NB - Il film è di pubblico dominio e su YouTube è disponibile anche
in HD (720p)
IMDb 7,6 RT 100% 2 Oscar e 6 Nomination
262 * “Red River” (di Howard Hawks,, USA, 1948) tit. it.”Il fiume
rosso” * con John Wayne, Montgomery Clift, Joanne Dru, Walter
Brennan, John Ireland
“Red River” lo troverete incluso in tutte le liste dei “Best xx film
western”. Infatti è un ottimo film, diretto da un maestro,
interpretato da due attori come John Wayne e Montgomery Clift, dalla
stessa parte ma sempre in conflitto, la parte romantica con le
bellocce di turno è limitata, così come i pellerossa appaiono in una
sola scena, magnifiche riprese esterne.
Tutto ruota attorno al lungo viaggio di trasferimento di circa
10.000 capi di bestiame, attraverso praterie sconfinate per oltre
1.500 chilometri. Famosa la scena della partenza dell’enorme
mandria, con la rapida sequenza dei primi piani dei cowboy che
lanciano il loro grido particolare.
Se non disdegnate il genere o almeno siete di larghe vedute, è un
film da non perdere.
IMDb 7,8 RT 100% 2 Nomination Oscar
263 * “Johnny Guitar” (di Nicholas Ray, USA, 1954) * con Joan
Crawford, Sterling Hayden, Mercedes McCambridge, Scott Brady, Ernest
Borgnine, John Carradine, Ward Bond
Terzo film della serie di western classici nella quale mi sono
imbattuto in un mercato di Tenerife, rimanenze di una serie di dvd
distribuiti qualche anno fa con El Pais, in inusuali custodie di
cartoncino ... 1 Euro/dvd, li potevo mai lasciare sulla bancarella?
Ottimo western, diverso dai soliti. Molto più “psicologico” del
solito, un po’ thriller, niente indiani, ma con due donne che si
confrontano dominando ognuna un gruppo di uomini che non osano
controbattere e eseguono remissivamente i loro ordini e comandi.
Joan Crawford è Vienna, proprietaria dell’hotel-saloon-casinò
costruito fra le montagne che attende che venga realizzata la linea
ferroviaria e con essa tanti clienti, una donna dura, che sa badare
a sé stessa; Mercedes McCambridge è eccellente nella parte di Emma,
piena di odio, rancore, acrimonia e perfidia, che riesce ad
infiammare gli animi e ad aizzare persone sostanzialmente pacifiche
fino a spingerli all’omicidio e addirittura al linciaggio.
Dopo i primi 100 minuti di ottimo cinema, i 10 finali non sono
all’altezza dei precedenti ed in particolare trovo che l’ultimo sia
veramente mediocre e banale dal punto di vista cinematografico,
cadendo nel cliché del solito lieto fine e quindi lasciando nello
spettatore un senso di delusione.
IMDb 7,7 RT 97%
264 * “True Grit” (di Henry Hathaway, USA, 1969) tit. it. “Il
Grinta” * con John Wayne, Kim Darby, Glen Campbell, Robert Duvall,
Dennis Hopper
Continuando con la serie di western classici, ecco uno degli ultimi,
della fine degli anni ’60, quando il genere non attirava più gli
spettatori come una volta.
“True Grit” è la storia di una lunga caccia che ha per protagonisti
un Marshal ubriacone (Wayne), un Texas Ranger (Glen Campbell) ed una
adolescente (Kim Darby) molto determinata nel voler assicurare alla
giustizia l’assassino di suo padre. Molto ricco di avvenimenti e di
personaggi, il film scorre piacevolmente e mai in modo banale fino
alla fine. Notevole la partecipazione di Robert Duvall e singolare
breve apparizione del poliedrico Dennis Hopper, subito dopo l’uscita
di “Easy Rider” del quale fu regista e protagonista al fianco di
Peter Fonda e Jack Nicholson.
Dopo essere stato protagonista in ben oltre 100 film, con questa
interpretazione di Rooster Cogburn, John Wayne ottenne l’unica
statuetta della sua lunga carriera, 178 film in 50 anni). Il
personaggio fu riproposto sette anni dopo in “Rooster Cogburn”
(Stuart Millar, 1975, con Katerine Hepburn, tit. it. “Torna El
Grinta”), pellicola non degna di nota, penultima apparizione di John
Wayne.
Al contrario è d’obbligo menzionare l’ottimo remake dei f.lli Coen
nel 2010 (stesso titolo originale e italiano, IMDb 7,7 RT 96%, 10
Nomination ma nessun Oscar) con i tre protagonisti interpretati da
Jeff Bridges, Matt Damon e Hailee Steinfeld, storia molto simile ma
non fedelissima all’originale, in particolare nel finale. Pur
essendo “paralleli”, le regie e le interpretazioni sono abbastanza
diverse ed esprimere preferenze per l’uno o per all’altro è
veramente difficile. Si dovrebbero guardare entrambe, possibilmente
uno subito dopo l’altro.
Curiosità: il protagonista è guercio in entrambe le versioni e porta
la classica benda sull’occhio, ma John Wayne ce l’ha sul sinistro,
Jeff Bridges sul destro. Sono convinto che non si tratti una svista
bensì di una precisa scelta dei Coen, anche se mi sfugge il vero
motivo.
IMDb 7,4 RT 90% Oscar a John Wayne + una Nomination
265 * “The big country” (di William Wyler, USA, 1958) tit. it. “Il
grande paese”
con Gregory Peck, Jean Simmons, Carroll Baker, Charlton Heston, Burl
Ives, Chuck Connors
Altro western quasi sempre incluso fra primi nelle classifiche di
genere ed anche questo, come i precedenti recensiti, non segue uno
schema usuale. Molto del suo successo è probabilmente dovuto alla
grandiosità degli esterni esaltati dal Technirama, formato 2.35:1.
La trama, infatti, non è eccezionale e si stacca spesso
dall’argomento principale tipicamente western (contesa per l’accesso
all’acqua per le mandrie) e “scade” nel dramma romantico.
Nella maggior parte degli eventi ciò che sta per accadere è
facilmente prevedibile, se non addirittura scontato, e troppe scene
sono inutilmente tirate per le lunghe fino ad ottenere il risultato
di un noioso quasi western di 2h40’.
Chiaramente questa megaproduzione non è assolutamente da buttare, ma
leggendo i credits sarebbe stato lecito aspettarsi molto di più.
William Wyler non si discute, ma certamente questo genere non è
quello a lui più congeniale, e fra i tanti buoni o ottimi attori del
cast nessuno fornisce prove assolutamente memorabili salvo, forse
Burl Ives (che ottenne l’Oscar) e Chuck Connors che, per questa
interpretazione (ma più per il personaggio) viene considerato uno
dei peggiori farabutti dei western. Se il nome non vi dice molto,
guardate le foto.
“The big country” viene da molti considerato il primo western
“pacifista”.
IMDb 7,9 RT 100%
266 * “Dillinger” (di John Milius, USA, 1973) * con Warren Oates,
Ben Johnson, Michelle Phillips, Harry Dean Stanton, Richard Dreyfuss
Si potrebbe quasi considerare un documentario per l’inserimento di
foto e filmati d’epoca, di prime pagine di giornali e per la
precisione con i quali vengo rappresentati i fatti. Tutti i
personaggi del film hanno i nomi dei veri protagonisti di quella
caccia all’uomo (nemico pubblico numero 1) che appassionò gli
americani all’inizio degli anni ’30. Viene citato il famoso Hoover
(capo dell’FBI) che affidò all’agente Purvis (Ben Johnson) il
compito di catturare Dillinger.
Il mito di questo famoso bandito gentiluomo, eppure spietato, ha
ispirato oltre una dozzina di film. Questo di Milius è apprezzabile
per la scenografia, i costumi e per le interpretazioni, in
particolare quelle di Warren Oates (non smetterò mai di dire che è
sempre stato sottovalutato) nei panni di Dillinger e di Harry Dean
Stanton, incisivo come sempre, tuttora attivo a 90 anni e in
procinto di raggiungere le 200 partecipazioni come attore.
La grande pecca del film sono però le troppe (e lunghe) sparatorie,
oltretutto poco credibili.
Comunque è un film da vedere, soprattutto per la veridicità della
storia.
IMDb 7,0 RT 88%
267 * “Chasing Amy” (di Kevin Smith, USA, 1997) tit. it. "In cerca
di Amy" * con Ben Affleck, Joey Lauren Adams, Ethan Suplee
Pretenziosa (fallita) commedia seria, che avrebbe voluto affrontare
lo sconfinato argomento sessuale-amoroso di coppie stabili e/o
occasionali, comunque assortite. Ne risulta una quasi sit-com (ci
sono anche numerose scene con i protagonisti seduti sul classico
divano, ripresi di fronte) piena di luoghi comuni e stereotipi. Le
tante singole situazioni alle quali si accenna avrebbero meritato
diversa attenzione, ma con tanta carne a cuocere era inevitabile
rimanere nella superficialità e cadere nella banalità.
Inoltre, questo excursus fra omo ed etero sessualità, fra
pentimenti, esperimenti, avventure e amore eterno potrebbe essere
stato credibile se i protagonisti fossero stati adolescenti o forse
appena ventenni e il film ambientato in una cittadina di provincia
un po' bigotta, ma non trentenni o giù di lì, professionisti in una
grande città. E non perché quelli più maturi non ne parlino, ma
certo non in quei termini ... almeno spero.
Ben Affleck che resta imbambolato e a bocca aperta a minuti interi è
improponibile.... assolutamente inespressivo, la parte che gli
riesce meglio. Per quanto possano contare, sottolineo che i due
Oscar che ha vinto non sono per le sue interpretazioni, per le quali
non ha mai ottenuto neanche Nomination. Anche fra il resto del cast,
tranne forse Joey Lauren Adams, nessuno si distingue in particolar
modo. Un’occasione perduta.
IMDb 7,3 RT 89%
268 * “Angel face” (di Otto Preminger, USA, 1952) tit. it.
“Seduzione mortale” * con Robert Mitchum, Jean Simmons, Mona Freeman
Gran bel noir, non la solita storia di detective, criminali e
polizia, piuttosto tende al crime con una breve parte centrale di
processo in tribunale. Ottimi i protagonisti, diretti da un gran
regista del genere (Anatomia di un omicidio, Vertigine, L’uomo dal
braccio d’oro, Un angelo è caduto, ...).
Con questo film Jean Simmons ottenne un successo inatteso, in quanto
non voleva la parte (insolita per lei) ed era in rotta totale con il
produttore dell’RKO (Howard Hughes, il protagonista del biopic “The
Aviator”, di Scorsese con DiCaprio).
Questo fu il primo di tre film che fu obbligata ad interpretare per
Howard Hughes che aveva giurato di “distruggere la sua carriera”. E
probabilmente lo fece in quanto non le concesse di partecipare come
protagonista a “Vacanze romane” (William Wyler, 1953) ed il suo
posto fu preso da Audrey Hepburn. Potete leggere tanto altro in
merito alla problematica carriera di Jean Simmons in questo articolo
nel cui titolo si parla chiaramente di “sabotaggio” e illustra lo
scontro legale fra Hughes e Simmons oltre a numerosi altri
interessanti aneddoti.
http://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/article-1245806/Jean-Simmons-Beauty-said-Howard-Hughes--sabotaged-Hollywood-career.html
Molti dicono che la sua immagine soffrì anche della straordinaria
somiglianza con Elizabeth Taylor, di tre anni più giovane, entrambe
inglesi, di origine londinese.
Come suo solito, Otto Premigner non fornisce troppi indizi e non è
quasi mai chiaro coe si svilupperà la storia. Forse il finale è più
prevedibile, ma il modo in cui si arriva all’ultima scena è molto
ben studiato. Da non perdere.
IMDb 7,3 RT 92%
269 * “Il tempo dei cavalli ubriachi” (di Bahman Ghobadi, Iran,
2000) tit. or. “Zamani barayé masti asbha” tit. int. “A Time for
Drunken Horses” * con Ayoub Ahmadi, Rojin Younessi, Amaneh
Ekhtiar-dini
Bahman Ghobadi, dopo essere stato assistente di Abbas Kiarostami e
attore protagonista in “Lavagne”, esordisce alla regia e
sceneggiatura con questo film, girato con attori non professionisti
nel suo paese natale, nel non definito territorio del Kurdistan, fra
Iran e Iraq.
Pur godendo di uno stile più che apprezzabile di cinéma vérité , fra
realismo e documentarismo, il film colpisce maggiormente per la
genuinità delle immagini e la semplicità con la quale mostra, senza
melodrammi, una realtà della quale ben pochi di noi hanno la benché
minima idea. Pur svolgendosi in una comunità estremamente povera,
traspare sempre la dignità, il senso della famiglia e la volontà di
affrontare tutte le avversità ... e non sono poche. La principale
fonte di reddito sembra essere il contrabbando, soprattutto di
pneumatici per mezzi pesanti che vengono caricati a coppie su
cavalli, mentre i ragazzi portano a spalla altre merci, affrontando
freddo e neve, cercando di evitare le pattuglie di frontiera e i
campi minati. Con tempo particolarmente avverso, ai cavalli veniva
data a bere una miscela di acqua e alcool, da cui il titolo.
Di Bahman Ghobadi già conoscevo “Niwemang” (2006, tit. int. “Half
Moon”, visto in Messico, sembra che non sia stato distribuito in
Italia, micro-recensione n.83) e mi accingo a guardare “Turtles can
fly” (2004, tit. or. “Lakposhtha parvaz mikonand”), anche questo
pluripremiato e apprezzato da critica e pubblico (88% su
RottenTomatoes, 8,1 su IMDb,)
“Drunken Horses” ottenne 2 premi a Cannes, il FIPRESCI con la
seguente motivazione “For its compassionate but rigorous depiction
of a harsh reality where horses and humans share the same
predicament.”
Su YouTube si trova la versione originale (in kurdo) con sottotitoli
in inglese ... nel caso qualcuno lo volesse guardare.
IMDb 7,7 RT 100%
270 * “Laura” (di Otto Preminger, USA, 1944) tit. it. “Vertigine”
(???), distribuito in tantissimi paesi solo in Italia, Turchia e
Ungheria hanno pensato di cambiare il titolo, forse negli ultimi due
non esiste il nome Laura, ma in Italia che bisogno c’era? * con Gene
Tierney, Dana Andrews, Clifton Webb, Vincent Price
Gran bel murder mystery, pieno di sorprese e colpi di scena che
mantengono la suspense letteralmente fino all’ultimo minuto.
Come suo solito, Otto Premigner non fornisce troppi indizi e non è
quasi mai chiaro come si svilupperà la storia. Ogni volta che le
indagini sembrano prendere una direzione più o meno precisa, succede
qualcosa o appare una prova che smontale ipotesi appena fatte. Forse
solo il finale è intuibile, ma il modo in cui si arriva all’ultima
scena è molto ben studiato.
Potrà sorprendere la presenza di Vincent Price ... ma sappiate che
non ha interpretato solo e sempre il ruolo del vampiro o simili, e
assolutamente non sfigura nel confronto con i suoi più famosi
co-protagonisti.
Molti considerano “Laura” un cult, senz’altro uno dei migliori film
di Preminger e, in genere, degli anni ’40. Da non perdere.
Il film è oggi di pubblico dominio e pertanto è guardabile e
scaricabile da Internet Archive
IMDb 8,1 RT 100% Oscar per la fotografia + 4 Nomination
271 * “Marooned in Iraq” (di Bahman Ghobadi, Iran, 2002) tit. or.
“Gomgashtei dar Aragh ” * con Shahab Ebrahimi, Faegh Mohamadi,
Allah-Morad Rashtian
Secondo lungometraggio di Ghobadi, di nuovo attorno alla vita dei
kurdi al confine fra Iran e Iraq. Viene spesso citato (più che altro
maledetto) Saddam Hussein e si fa riferimento sia ai rastrellamenti,
ai bombardamenti e all’uso dei gas. A differenza del primo (Drunken
horses) in questo c’è una parte di commedia che, in parte, bilancia
i racconti dei sopravvissuti agli eccidi. Un anziano, famoso
musicista, parte dal suo villaggio alla ricerca della ex-moglie,
famosa cantante, anticipando uno dei temi portanti di Niwemang (Half
Mooon, 2007) vale a dire il divieto per le donne di esibirsi in
pubblico. Scene divertenti e passaggi toccanti si alternano a pezzi
musicali tradizionali e, in un paio di occasioni, anche danze.
Ma, oltre a descrivere la storia, i villaggi (fantasma) e i
personaggi, Ghobadi dimostra ancora una volta di avere un gran gusto
per le immagini che riesce a fissare con inquadrature perfette.
IMDb 7,4 RT 100% premiato a Cannes 2002
272 * “I gatti persiani” (di Bahman Ghobadi, Iran, 2009) tit. or.
“Kasi az gorbehaye irani khabar nadareh” * con Negar Shaghaghi,
Ashkan Koshanejad, Hamed Behdad
Quinto lungometraggio del regista kurdo-iraniano il quale, dopo 4
film tutti ambientati fra le montagne del Kurdistan, cambia
completamente registro e, in parte, anche stile proponendo una
storia che si svolge a Tehran, nel mondo della musica moderna. Si
seguono una coppia di ragazzi che con la loro band (5 in tutto)
vogliono andare a suonare a Londra ... ma è tutt’altro che facile.
Passaporti, visti, permessi e tanti altri ostacoli sono sulla loro
strada. Cercando di superarli verranno in contatto con falsari,
altre band, rapper, musicisti di vario genere e anche polizia .
Senz’altro meno coinvolgente dei precedenti, ha un ritmo molto più
veloce e in concomitanza con ogni pezzo musicale le immagini
scorrono ancor più velocemente, come in un videoclip. Comunque,
anche stavolta Ghobadi conferma di saper padroneggiare alla
perfezione la macchina da presa.
IMDb 7,3 RT 100% #cinema #film 2 premi a Cannes 2009
273 * “Xi yan” (Il banchetto di nozze) (di Ang Lee, Taiwan, 1993) *
con Winston Chao, May Chin, Ya-Lei Kuei
Commedia sofisticata più “etnica” che “gay”, come viene spesso
etichettata. Probabilmente all’epoca la delicatezza con la quale fu
trattata l’omosessualità senza mai scadere nel banale o, peggio, nel
volgare fece più sensazione, ma penso che la descrizione dei ruoli
famigliari, aspettative, attaccamento alle tradizioni degli asiatici
negli Stati Uniti siano ben rappresentati e quindi un merito da
riconoscere a questa pellicola.
Ang Lee tratterà ancora di omosessualità, ma con molto più vigore e
“audacia”, una dozzina di anni dopo con “Brokeback Mountain” con il
quale ottenne il primo dei suoi due Oscar, ma “Xi yan” ha certo
spianato la strada al tema “omosessualità e tolleranza”.
Devo dire che forse proprio la parte che fornisce lo spunto per il
titolo è quella meno incisiva, risolvendosi in una serie di “riti”
più o meno stupidi che vedono come protagonisti i novelli sposi in
più occasioni presi di mira da irrequieti invitati ... routine che
sembrano più o meno simili anche in paesi di culture molto diverse
tra loro.
Piacevole modo di passare quasi due ore guardando un film.
IMDb 7,7 RT 100% #cinema #film * Nomination Oscar miglior film
straniero, Orso d’Oro a Berlino
274 * “Saturday night fever” (di John Badham, USA, 1977) tit. it.
“La febbre del sabato sera”
con John Travolta, Karen Lynn Gorney, Barry Miller
Uno di quei film che, pur avendo riscosso un certo successo al
botteghino e essendo divenuto negli anni quasi un cult, non avevo
mai visto per non essere fra i miei generi di film preferiti e per
le recensioni “affidabili” non eccessivamente invitanti. A quasi 40
anni di distanza dalla sua uscita, qualche mese fa ho trovato il dvd
in edizione originale e l’ho comprato ... ieri sera ho guardato
“Saturday night fever”.
Non ho rimpianto non averlo visto prima e non penso ad una seconda
visione. L’ho trovato noioso, pieno di stereotipi, abbastanza mal
recitato; devo solo dire “Bravo!” a chi ha ideato l’aspetto
esteriore di Tony Manero, interpretato da John Travolta. Questi,
ritengo più per il personaggio che per l’interpretazione, ottenne la
prima delle sue uniche due Nomination come miglior attore
protagonista, l’altra, direi più meritata, fu per “Pulp Fiction” nel
1995.
A chi non l’ha ancora visto, ma è incuriosito da questo film,
suggerisco di non dannarsi per trovarlo ... c’è tanto di meglio,
anche nello stesso genere.
IMDb 6,8 RT 88% media generale ma un misero 57% fra i top critics.
275 * “Tonight for sure” (di Francis F. Coppola, USA, 1962) * on
Karl Schanzer, Don Kenney, Marli Renfro
Incredibile esordio del celebrato regista e produttore Francis Ford
Coppola, allora 23enne. Si tratta di un “nudie” sconclusionato di
poco più di un’ora, composto di chiacchiere fra due “puritani” che
vorrebbero combattere il lassismo sabotando un night di Las Vegas.
Comincia male con l’incontro dei due lungo la famosa “strip” e
continua peggio con la loro conversazione all’interno del locale nel
quale si esibiscono ballerine senza veli. Nei titoli si leggono i
nomi di alcune di esse come Exotia ed Elektra, altre appaiono
semplicemente a seno nudo nel deserto del Nevada.
I cinefili dovrebbero comunque guardarlo e casomai farsi due risate
vedendo da dove è partito il nostro buon Coppola ... date
un’occhiata alle foto.
Altre
notizie e curiosità in questo post sugli esordi di Stanley Kubrick e
Francis Ford Coppola
IMDb 3,3 * primo film di Coppola
276 * “It's a Free World...” (di Ken Loach, UK, 2007) tit. it. “In
questo mondo libero” * con Kierston Wareing, Juliet
Ellis, Leslaw Zurek
Ultimo dvd del cofanetto Ken Loach e anche questa volta esco dalla
“sala” con una netta sensazione di “appagamento cinematografico” e
un po’ di rabbia per le tante storie proposte - accennate - durante
l’ora e mezza del film. Fatti che più o meno si conoscono, per
sanare i quali si fa ben poco (anche perché è oggettivamente
difficile), come immigrazione legale e clandestina, lavoro nero,
truffe e via discorrendo, tutto ovviamente a scapito dei più deboli.
Non si scopre certo oggi l’impegno sociale di Loach che, senza mai
scadere nel lacrimevole, esagerato o didascalico, porta
all’attenzione degli spettatori tanti problemi sociali. Purtroppo,
nella maggior parte dei casi, chi potrebbe e dovrebbe risolverli non
vuole che se ne parli e chi finge di non conoscerli non vuole che
glieli si ricordi.
Queste sono, secondo me, le cause che hanno relegato il regista in
una posizione marginale, apprezzato dalla maggior parte dei critici
per lo stile e dalle persone con una coscienza (non di facciata) per
i contenuti, ma quasi del tutto ignorato dal grande pubblico (e
quindi dai distributori) perché nei suoi film non ci sono nomi
famosi, non c’é sesso, non ci sono sparatorie né inseguimenti, ma
solo vita (purtroppo) reale.
E a proposito degli attori scelti da Loach, c’é da dire che non ci
sono star, ma tutti interpretano la loro parte più che bene, direi
meglio di tanti loro strapagati “colleghi”. Perfino la brava
protagonista Kierston Wareing era al suo esordio cinematografico,
con la sola esperienza di un paio di anni di serie TV.
In questo “It's a Free World...” si parla soprattutto di
immigrazione, sfruttamento e “caporalato”, ma anche di famigli e
loschi affari.
Ora sono veramente ansioso di guardare “I, Daniel Blake”, l’ultimo
film dell’80enne Loach, che ha ottenuto ben tre premi a Cannes.
Dopodomani uscirà in UK e per fortuna il 21 ottobre arriverà anche
in Italia, almeno così è stato annunciato la settimana scorsa.
Personalmente sostengo che qualunque film di Ken Loach, più o meno
recente che sia, vale senz’altro la pena di essere guardato, e con
attenzione.
IMDb 7,0 RT 83% #cinema #film 3 premi a Venezia
277 * “Fear and desire” (di Stanley Kubrick, USA, 1952) tit. it.
“Paura e desiderio” * con Frank Silvera, Kenneth Harp, Paul Mazursky
Primo film di Kubrick all’epoca 25enne. Si tratta di un film di
guerra, fra eserciti non specificati in un paese non menzionato, nel
quale quattro militari si ritrovano al di là delle file nemiche e si
impegnano per rientrare nella loro zona. Dialoghi poco plausibili e
atteggiamenti ancor meno credibili, recitazione non memorabile, una
quantità di errori e incongruenze. Parzialmente giustificato dal
budget limitato Kubrick girò velocemente questo film e un paio di
attori hanno addirittura un doppio ruolo, uno in ciascun esercito.
Il regista ne ostacolò la distribuzione e ci riuscì per molti anni,
ma dopo la sua morte ne è comparasa una copia in ottimo stato,
attualmente in circolazione.
La versione restaura è disponibile in HD 720p su https://youtu.be/bjJzQvjhndw
essendo divenuta di “pubblico dominio” per scadenza dei diritti.
Altre
notizie e curiosità in questo post sugli esordi di Stanley Kubrick e
Francis Ford Coppola
IMDb 5,6 RT 83% * primo film di Kubrick
278 *
“Angel on My Shoulder” (di Archie Mayo, USA, 1946) tit. it.
“L’infernale avventura” *
con Paul Muni, Anne Baxter, Claude Rains
Divertente ed inusuale commedia noir, di tipo fantastico. Un
gangster da poco ucciso (Paul Muni) ritorna sulla terra accompagnato
nientemeno che da Mefistofele, interpretato da Claude Rains (Captain
Louis Renault in “Casablanca” e Alexander Sebastian in “Notorius”),
e il suo spirito si stabilisce nel corpo di un giudice suo sosia,
candidato alla imminenti elezioni. L’avvenente fidanzata del giudice
(Anne Baxter) immediatamente nota il cambiamento di umore,
atteggiamento e linguaggio, così come l’ineffabile maggiordomo, e
ciò dà la stura ad una serie di divertenti situazioni, non sempre
banali e con qualche simpatica sorpresa. Un ottimo e piacevole
passatempo.,
Ultimo film del navigato regista Archie Mayo (62 film in 20 anni,
dopo numerosi short muti), che pur senza aver brillato ha al suo
attivo vari film notevoli come il fantastico Svengali (1931, un cult
da non perdere) e il noir The petrified forest (1936, con l’ottimo
trio Leslie Howard, Bette Davis e Humphrey Bogart); nel 1960 ha
ottenuto la sua “Star on the Walk of Fame”
IMDb 7,0
279 * “Intolerance” (di D. W. Griffith, USA, 1916) *
con Mae Marsh, Robert Harron, Constance Talmadge (2 ruoli), Alfred
Paget, Lillian Gish,
Ieri mi sono goduto la visione di questo caposaldo della storia del
cinema, nella sua versione da 3 ore (ne esistono altre, dai 167 ai
197 minuti) su schermo grande e con buona qualità avendo trovato un
dvd “storico” che comprende anche Ottobre (Eizentein) e Anna
Karenina (Duvivier).
Più piacevole e dinamico di “Nascita di una nazione” (dello stesso
Griffith) comprende 4 storie ambientate in epoche e paesi molto
diversi: Babilonia all’epoca della conquista di Ciro il Grande,
Palestina con poche scene relative a Gesù (miracolo di Cana e
crocifissione), la strage degli ugonotti del 1572, una storia
contemporanea statunitense.
Le scene sono montate in modo del tutto nuovo, alternando spezzoni
senza un preciso ordine ricorrente e con durate molto varie, ciò
anche per essere alcune trattate in modo approfondito e altre più
superficialmente.
La parte “babilonese”, oltre ad essere la più lunga, è certamente
quella che colpisce di più e maggiormente contribuisce a rendere il
film un kolossal, con le sue più che imponenti scenografie (con mura
alte varie decine di metri, statue enormi, macchine da guerra, ...)
e le migliaia di comparse e figuranti.
Fra le circa 100.000 persone che parteciparono alla produzione del
film (67.000 solo gli attori) c’erano anche Erich von Stroheim come
assistente regista della storia babilonese, Tod Browning (“Freaks”,
1932, ma anche molti altri, spesso con Lon Chaney) e Douglas
Fairbanks il cui nome, dopo essere divenuto famoso, veniva spesso
riportato sui poster, ma che in effetti fu una semplice comparsa
(“uomo su cavallo bianco”, uncredited),
Eppure, Griffith non fu il primo a produrre un film epico-storico di
queste proporzioni e molte delle innovazioni talvolta a lui
attribuite, sono invece merito dell’italianissimo Giovanni Pastrone,
come sottolineò Scorsese quando nel 2006 a Cannes presentò la
versione restaurata della sua opera maestra “Cabiria” (1914), altro
film che ogni cinefilo degno di tal nome dovrebbe guardare, cosa
estremamente semplice essendo di pubblico dominio.
IMDb 8,0 RT 100%
280 * “Turtles can fly” (di Bahman Ghobadi, Iran, 2004) tit. or.
“Lakposhtha parvaz mikonand” * con Soran Ebrahim, Avaz Latif, Saddam
Hossein Feysal
Quarto film del regista curdo-iraniano, ultimo ambientato nel
Kurdistan delle cittadine bombardate e dei campi profughi vicini al
confine fra Iran e Iraq. Mi è sembrato il più duro e, forse,
limitato in quanto è quasi del tutto incentrato solo sui bambini,
con un accumulo di situazioni ed eventi a dir poco tragici. Non dico
certo che le storie descritte non esistano (purtroppo sono fatti
reali), ma farle gravare tutte nell’ambito della stessa “famiglia”
è, a mio parere, esagerato. La maggior parte dei bambini si
guadagnano da vivere disinnescando ordigni dai campi minati, con
l'ovvia conseguenza che molti di loro restano mutilati. Gli strani
oggetti che si vedono nelle foto sono mine di vario tipo e involucri
di missili.
In ogni caso Bahman Ghobadi si conferma un eccellente regista e
anche questo film propone, come al solito, ottime riprese, montaggio
incisivo e anche perfetta direzione dei tanti bambini i quali, pur
non essendo professionisti, sono tutti bravissimi.
IMDb 8,1 RT 88% * 23 premi fra i quali 2 a Berlino e 2 a
San Sebastian. Sembra che non sia stato distribuito in Italia.
281 * “Made for each other” (di John Cromwell, USA, 1939) tit. it.
“Ritorna l’amore” * con Carole Lombard, James Stewart, Charles
Coburn
Commedia drammatica di scarso livello, con una Carole Lombard già
famosa (Nomination Oscar per l’eccellente “My man Godfrey”, 1936),
ma molto al di sotto delle interpreazioni precedenti, e un James
Stewart ancora alle prime prove da protagonista, questa è da
dimenticare.
“Made for each other” non è proprio pessimo, ma guardarlo è quasi
una perdita di tempo
IMDb 6,5
282 * “Heavy” (di James Mangold, USA, 1995) tit. it. “Dolly's
Restaurant” * con Pruitt Taylor Vince, Shelley Winters, Liv Tyler
Film non proprio deludente, ma certamente al di sotto delle
aspettative.
Situazione al limite del credibile, basata su uno strano rapporto
fra una madre un po’ assillante e suo figlio, un giovane introverso,
non obeso come ci si potrebbe aspettare dal titolo e poster, e
certamente il suo sovrappeso era il minore dei suoi problemi). Il
tutto è ambientato in un piccolo ristorante a conduzione famigliare,
descritto male e superficialmente. Ne risulta un ritmo lento con
l’interesse concentrato quasi esclusivamente sul giovane Victor (Pruitt
Taylor Vince) e sulla studentessa appena assunta come cameriera.
Pochi personaggi e quasi nessuna interazione con il resto del mondo
pur svolgendosi in un locale pubblico, con la sola eccezione di Leo,
uno strano avventore, quasi di casa.
Soggetto interessante, mal sviluppato in una sceneggiatura
abbastanza piatta.
IMDb 7,0 RT 86%
283 * “Meet John Doe” (di Frank Capra, USA, 1941) tit. it. “Arriva
John Doe!” (1948) * con Gary Cooper, Barbara Stanwyck, Edward
Arnold, Walter Brennan
Classica commedia drammatica americana degli anni ’40, con due
attori allora sulla cresta dell’onda (Cooper e Stanwick) diretti dal
maestro Frank Capra.
John Doe è un nome di fantasia per un personaggio che non esiste,
simbolo dell’uomo della strada, che viene creato “per dispetto” da
una giornalista licenziata e che successivamente si evolve in un
movimento popolare nazionale. Magnati, politici ed editori
tenteranno di manipolarlo e trarne vantaggio.
Come è chiaro da questo succintissimo sunto, la trama è poco
convenzionale (anche se molti sono i film ambientati nel mondo
dell’editoria di quotidiani) e, complice il momento storico (appena
dopo la recessione del ’37 e con la II Guerra Mondiale in corso,
anche se gli USA sarebbero entrati in guerra solo a fine ’41), è
stracolma di discorsi a sfondo sociale, a favore della classe media,
dei lavoratori , dei disoccupati e contro il potere economico e
politico.
Il film ebbe un gran successo, e non solo a causa di questo
contesto. I bravi protagonisti (beniamini del grande pubblico) sono
affiancati da altrettanto validi caratteristi e contornati dai volti
scelti da Capra per interpretare “l’americano comune, della strada”.
Proprio per questa sua essenza, il titolo del film in vari paesi è
stato cambiato in “L’uomo della strada” e in Spagna nell’ancora più
significativo “Juan Nadie” (Juan Nessuno).
Piacevole, ma soprattutto interessante.
Curiosità: ancora oggi negli States e in Canada, talvolta anche in
atti ufficiali, si usa il nome John Doe riferendosi ad uno
sconosciuto, ad un uomo qualunque, ad una vittima non identificata.
Esiste anche la versione femminile (Jane Doe), mentre per i bambini
si usa Baby Doe. Una citazione in giudizio nei confronti di qualcuno
non identificato viene detta “Doe subpoena”.
IMDb 7,7 RT 89%
284 * “The Life and Death of Peter Sellers” (di Stephen Hopkins,
USA, 2004) tit. it. “Tu chiamami Peter” * con Geoffrey Rush,
Charlize Theron, Emily Watson
Biopic degli anni della maturità di Peter Sellers, da quando lasciò
la radio per il cinema fino alla morte. Viene presentato un
personaggio assolutamente inaspettato, poco sicuro di sé, scontroso,
aggressivo, talvolta violento ... eppure un genio della commedia.
Morì ad appena 54 anni, dal momento del successo iniziò una vita
dissoluta, si sposò 4 volte, litigò con i suoi registi, ebbe due
infarti (il secondo fatale) da attribuire soprattutto all’uso
eccessivo di alcol e droghe.
Geoffrey Rush lo interpreta più che bene, mettendo in risalto i suoi
repentini cambi di umore ed il continuo passare da un personaggio
all’altro (si dice che non avesse più personalità propria,
immedesimandosi nei suoi vari personaggi). Con più che discrete
controfigure, nel film sono inseriti personaggi famosi del cinema
come i registi Blake Edwards e Stanley Kubrick, oltre a tanti
attrici e attori (Britt Ekland - sua seconda moglie -, Sophia Loren,
David Niven, ...)
Gli innumerevoli riferimenti a vari dei suoi film più conosciuti,
intercalati a scene della sua vita, rendono il film un po’
discontinuo, apprezzabile solo da chi conosce almeno buona parte
delle sue interpretazioni.
In sostanza un buon film, ma interessante e comprensibile solo ai
cinefili (almeno di media esperienza) o a spettatori abituali di una
certa età.
IMDb 7,0 RT 76%
285 * “Conspiracy” (di Frank Pierson, USA, 2001) * con Kenneth
Branagh, Clare Bullus, Stanley Tucci, Colin Firth
Si tratta in effetti di un film per la TV, quasi un documentario
storico, che tratta di una riunione durata appena un paio d’ore,
eppure dalle tragiche conseguenze. In una grande villa presso
Wannsee, poco fuori Berlino, il 20 gennaio 1942 si riunirono
quindici personaggi di alto rango, ufficiali, burocrati, politici
che avevano il preciso scopo di definire gli indirizzi di quella che
sarebbe stata poi denominata “soluzione finale” della questione
ebraica. In quella sede furono discussi dati, modi, obiettivi
relativi allo sterminio degli ebrei. I dialoghi sono certamente di
fantasia, ma più che plausibili essendo basate su una minuta
originale di quel convegno, ritrovata nel 1947.
Quindi c’è molta più informazione che azione, molta più verità che
fantasia nelle due ore di film che raccontano di quel breve
convegno. Attori tutti bravi, non solo i più che noti Kenneth
Branagh, Colin Firth e Stanley Tucci.
IMDb 7,8 RT 100%
286 * “Red Lion” (di Kihaci Okamoto, Jap, 1969) tit. or. “Akage” *
con Toshirô Mifune, Shima Iwashita, Etsushi Takahashi
Pur non essendo uno dei “maestri” del cinema giapponese, Kihaci
Okamoto ha diretto vari buoni film, molti dei quali aventi dei
samurai come protagonisti, spesso interpretati dall’onnipresente
Toshirô Mifune.
Avevo già visto il suo “Samurai assassin” (tit. or. “Samurai”, IMDb
7,6 RT 81%) notevole per il ritmo lento, per la tensione e per le
ottime riprese in bianco e nero; questo “Red Lion” l’ho trovato un
po’ inferiore, con qualche inutile scena tendente alla commedia che
rovina la trama un po’ contorta, ma ottima, degna dei migliori
western.
Chiaramente bisogna prendere atto per l’ennesima volta della grande
differenza dello stile delle interpretazioni giapponesi, se
comparate con quelle occidentali, discrepanza accentuata dai
doppiaggi spesso scadenti e completamente fuori sincrono (con le
lingue orientali è spesso inevitabile). In questi casi più che mai
si dovrebbe guardare il film in versione originale, sottotitolato.
Pur essendo vero che leggendo si perde un po’ di attenzione alle
immagini, la percezione complessiva del film è di gran lunga
migliore. Fate la prova, mi darete ragione.
IMDb 7,1 RT 70%
287 * “Blood on the sun” (di Frank Lloyd, USA, 1945) tit. it “Sangue
sul sole” * con James Cagney, Sylvia Sidney, Porter Hall
Thriller spionistico dalla trama abbastanza originale, con numerosi
colpi di scena, ma senza spie vere e proprie.
Tutto si svolge nella Tokio degli anni '30, quindi ben prima
dell'inizio della guerra, quando le relazioni fra USA e Giappone
erano ancora più o meno buone. Un reporter americano si trova
immischiato in una storia di spionaggio dopo che due suoi
compatrioti sono stati uccisi, poco prima di rientrare negli States.
L’interesse è tutto per un documento (il “Tanaka memorial”) che
dimostra che i giapponesi, dopo aver conquistato Manciuria e Cina
vorrebbero arrivare a dominare il mondo intero.
Cagney all'apice della sua carriera, sempre dinamico, ma non in una
delle sue migliori interpretazioni.
Il film ottenne l'Oscar per la miglior scenografia, la ricostruzione
degli ambienti nipponici. Ovviamente, con la guerra ancora in corso
seppur quasi al termine, neanche una scena fu girata a Tokio.
IMDb 6,3
288 * “Paths of Glory” (di Stanley Kubrik, USA, 1957) tit. it
“Orizzonti di gloria” * con Kirk Douglas, Ralph Meeker, Adolphe
Menjou
So di non dire niente di nuovo affermando che si tratta di un ottimo
film, con una eccellente sceneggiatura. Tuttavia, onestamente
confesso di non essere riuscito a intendere il significato degli
untimi tre minuti, la scena della ragazza che canta (se non sbaglio
è l’unica presenza femminile in tutto il film). Cercando in rete ho
letto di varie interpretazioni (non sono il solo a non avere le idee
chiare in merito), ma nessuna mi è parsa convincente. Per inciso,
quella ragazza (Christiane Harlan) poco dopo sarebbe divenuta la
seconda moglie di Kubrick ... un felice matrimonio che durò oltre 40
anni, fino alla morte del regista.
Film pesantemente critico non tanto relativamente al concetto
“guerra”, ma rispetto all’ordinamento militare, con i suoi tabù, la
costante prevaricazione nei confronti dei subalterni, lo scaricare
sempre su altri le proprie colpe e via discorrendo. Per fortuna si
sa che non è sempre così, ma di situazioni assimilabili a quelle
proposte da Kubrick (co-autore della sceneggiatura) se ne conoscono
a bizzeffe e chissà quante altre sono rimaste sconosciute.
Un buon Kirk Douglas è il protagonista di questo secondo film
bellico (ambientato nel 1916, I Guerra Mondiale) di Kubrick, dopo
quello di esordio (“Fear and Desire”, 1953) e prima di “Full Metal
Jacket” (1987) e sarà interprete principale anche del suo film
successivo: “Spartacus” (1960). I tanti altri personaggi di rilievo
“Paths of Glory” sono interpretati da attori e caratteristi dai
volti noti, ma i cui nomi sono sconosciuti ai più.
Imperdibile.
IMDb 8,5 RT 94% #cinema #film al 57° posto fra i Top Rated Movies di
IMDb
289 * “Ray” (di Taylor Hackford, USA, 2004) * con Jamie Foxx, Kerry
Washington, Regina King
Non capisco perché non abbia rating migliori e non venga proposto
più frequentemente. La colonna sonora è eccezionale sia per le
peculiarità di Ray Charles, sia per attraversare tanti diversi
generi musicali ... dal gospel al blues, dal jazz al country, dal
R&B al rock.
Per pura curiosità sono andato a leggere alcune recensioni negative
e ho notato che nella maggior parte di esse si criticava la
superficialità con la quale era stato trattato un personaggio cosi
complesso come Ray Charles. Non volendo concentrarsi su soli pochi
anni della sua vita o carriera ma sull’intera vita dell’artista
(morto a 74 anni dopo oltre 50 di successi) trovo che il regista e
sceneggiatore Taylor Hackford abbia svolto un eccellente lavoro
mettendo insieme tante piccole tessere di in immenso mosaico. Pur
ovviamente saltellando fra ricordi d’infanzia, vita privata e
carriera artistica, il tutto sempre con sottofondo musicale molto
vario e di eccellente qualità, è riuscito a dare un senso alla
storia e a evidenziare tanti punti importanti della vita di Ray
Charles dalla tragica infanzia con la morte del fratellino e il
sopraggiungere della cecità, ai rapporti talvolta burrascosi con
impresari, agenti e colleghi, dagli amori occasionali al matrimonio,
dalla droga alla riabilitazione.
Venendo agli attori, ce ne sono tanti bravi in questo film ma,
purtroppo per loro, quasi scompaiono di fronte alla superba
interpretazione di Jamie Foxx il quale, oltre a recitare in modo
convincente la parte del non vedente, riesce a replicare alla
perfezione tutti i movimenti tipici e la ben nota gestualità di Ray
Charles.
Penso che solo quelli che non sopportano assolutamente il genere
musicale, o i biopic o i film con protagonisti afroamericani possano
rimanere scontenti di “Ray”. Tutti gli altri potranno anche non
reputarlo un capolavoro, ma sicuramente lo apprezzeranno per la
regia, il montaggio, la sceneggiatura e, ovviamente, per
l’interpretazione di Jamie Foxx che gli valse l’Oscar 2005.
Anche se dopo questa breve recensione dovrebbe essere inutile,
aggiungo comunque: “da non perdere”.
IMDb 7,7 RT 84% * 2 Oscar (Jamie Foxxper protagonista e
colonna sonora) e 4 Nomination (miglior film, regia, montaggio e
costumi).
290 * “Country life” (di Michael Blakemore, Australia, 1994) tit. it.
“Vita di campagna” * con Sam Neill, Greta Scacchi, John Hargreaves,
Kerry Fox, Michael Blakemore
Ispirato alla trama della pièce teatrale di Cechov “Zio Vanja”,
questo film sposta l’azione da una tenuta russa di fine ‘800 ad un
isolato ranch della campagna australiana del1920 (circa). Non
conoscendo il dramma originale, non faccio paragoni, né evidenzio le
diversità, ma mi limito a esprimere le mie impressioni in merito a
quanto ho visto.
Il film si trascina abbastanza lentamente cercando di descrivere i
caratteri dei protagonisti principali e divagando di tanto in tanto
con citazioni o brevi scene che tirano in ballo il problema razziale
(nei confronti degli aborigeni), quelli della guerra appena
terminata (I G. Mondiale) e infine la sudditanza dall’Inghilterra.
La recitazione di John Hargreaves che interpreta il personaggio di
Jack Dickens (adattamento di zio Vanja) mi sembra un po’ troppo
sopra le righe, scadendo verso la commedia, mentre quelle di Sam
Neill, Greta Scacchi e lo stesso regista Michael Blakemore nei panni
del “professore” sono abbastanza scialbe e da dimenticare. Gli unici
che si salvano sono Kerry Fox (l’introversa e innamorata Sonia) e
alcuni di quelli che compaioni in ruoli minori, in primis Googie
Withers nelle vesti di Hannah, l’ineffabile governante-cuoca.
In sostanza i pochi buoni spunti di questo adattamento sono poco
approfonditi, la regia e recitazione pur non essendo malvagi non
sono certo memorabili, Blakemore non è neanche riuscito a trarre
vantaggio dal paesaggio della campagna australiana, e quindi il film
rientra in quella vasta categoria dei “senza infamia e senza lode”.
IMDb 6,9 RT 67%
291 * “The St. Valentine's Day Massacre” (di Roger Corman, USA,
1967) tit. it “ Il massacro del giorno di San Valentino* con Jason
Robards, George Segal, Ralph Meeker, Bruce Dern e Jack Nicholson (uncredited)
Si tratta di una specie di docu-film che segue gli eventi che
precedettero la famosa “strage di San Valentino” con la quale Al
Capone si liberò di una gang rivale dell’area nord di Chicago. I
morti nel garage ci furono sicuramente, ma il fatto che Capone
avesse organizzato l’imboscata è “certo ma non dimostrato ...”.
Corman è molto preciso nel seguire gli eventi, tutti i personaggi
hanno i loro veri nomi e nel menzionarli la voce fuori campo
aggiunge luogo e data di nascita (molti di loro erano nati in
Sicilia nell’ultima decade dell’800). Similmente, fra una scena e
l’altra di quasi-fiction nelle quali si ricostruiscono gli
attentati, esecuzioni e riunioni (con conversazioni ovviamente
create in fase di sceneggiatura) la stessa voce fornisce ulteriori
notizie dettagliate, fino agli orari esatti. Nei dialoghi della
versione originale sono incluse molte parole o intere brevi frasi in
italiano (più o meno ...).
“The St. Valentine's Day Massacre” non entusiasma, ma è certamente
un prodotto solido, ben equilibrato e appare storicamente
affidabile.
Occhio a Jack Nicholson che appare solo per pochi secondi, verso la
fine del film (guarda le ultime foto, 2 fermo-immagine, Jack è il
secondo da destra).
Curiosità: Corman aveva richiesto Orson Welles per interpretare Al
Capone, ma la produzione pose il veto e Jason Robards fu “promosso”
a protagonista. (in merito a ciò, ho in mente di scrivere un piccolo
post con video)
IMDb 6,7 RT 100%
292 * “The last emperor” (di Bernardo Bertolucci, Chi-Ita-UK-Fra,
1987) tit. it. “L’ultimo imperatore” * con John Lone, Joan Chen,
Peter O'Toole
Lo si potrebbe definire un kolossal moderno girato però con tecnica
classica. Vale a dire che non ci sono effetti speciali, le comparse
sono vere (anche nelle scene di massa) ed le scenografie sono per la
stragrande maggioranza reali essendo il film stato girato per gran
parte nella città proibita di Pechino, oggi Beijing.
L’accuratezza dei costumi, il fascino dell’architettura e degli
arredi del palazzo imperiale e l’ottima colonna sonora fanno da
contorno ad una storia interessante e avvincente, credo sconosciuta
alla maggior parte degli occidentali.
Ho guardato la versione “breve” (2h43’) e sono rimasto con la
curiosità di sapere cosa comprendono i 56 minuti che mancano
rispetto alla versione integrale.
Penso che ogni amante del grande cinema dovrebbe guardare con
attenzione questo film, senza farsi spaventare dalla lunghezza che,
sostengo, non si fa assolutamente sentire. Dovendo trovare un neo,
mi sembra che la conclusione non sia all’altezza del resto del film.
“L’ultimo imperatore” vinse 9 Oscar su 9 Nomination: miglior film,
regia, sceneggiatura, fotografia, scenografia, costumi, sonoro,
montaggio, musica originale.
Da non perdere.
IMDb 7,8 RT 92%
293 * “Le mani sulla città” (di Francesco Rosi, Ita, 1963) * con Rod
Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Carlo Fermariello
Un grande film italiano, con poca fiction e tante situazioni reali
seppur, ovviamente, con i nomi dei personaggi cambiati. Il soggetto
e sceneggiatura di Franco Rosi e Raffaele La Capria analizza con
fredda precisione alcuni aspetti dell’ambiente politico degli anni
della ricostruzione e della speculazione edilizia a Napoli e
fornisce anche punti di vista inusuali e considerazioni quasi
“filosofiche”. Come afferma esplicitamente la didascalia conclusiva
“I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica
invece la realtà sociale e ambientale che li produce”, il film non è
diretto contro qualcuno in particolare, bensì contro il sistema di
connivenze fra politici e finanza. Leggendo dei continui scandali
che ancora oggi interessano quasi tutti i partiti al potere e
imprenditori di ogni tipo, sembra che ben poco sia cambiato dopo una
cinquantina di anni, ma del resto già Tomasi di Lampedusa, nel suo
“Il gattopardo” dato alle stampe pochi anni prima, affermava che si
cambia tutto per non cambiare niente. Nel film cambia sindaco e
maggioranza, ma le persone e i metodi restano identici. I cambi di
casacca e gli accordi fra politici e imprenditori non sono certo
cosa di oggi, ma perdurano da secoli. Sotto questo punto di vista,
“Le mani sulla città”, a oltre 50 anni dalla sua uscita è ancora
attualissimo, oltre che essere appassionante e ben bilanciato.
Si alternano scene di consiglio comunale, di cantieri, vicoli
fatiscenti e riunioni politiche più o meno segrete e, di tanto in
tanto, riprese reali come quelle dei comizi e della propaganda
elettorale (si vede Lauro scendere dal palco a piazza Plebiscito,
manifesti con i nomi di Nenni, Moro e Togliatti, e tanti simboli di
liste di quegli anni come “Stella e Corona”, del partito monarchico
di Lauro).
La trama è coinvolgente, i fatti quasi sconcertanti e alcuni
ambienti incredibili eppure, da vecchio napoletano, ben ricordo gli
anni di poco successivi a quelli rappresentati nel film con le
costruzioni di interi quartieri ai margini dello storico Vomero,
così come il degrado di quelli della zona bassa, nei pressi
dell’area portuale, e il caos che regnava negli uffici pubblici.
L’unica cosa che mi lascia perplesso è la scelta di affidare il
ruolo di protagonista a Rod Steiger, ottimo attore, ma straniero,
con il labiale sempre fuori sincrono, che stona fra tutte quelle
facce molto più reali e “veraci” di attori e comparse locali. Al
contrario trovo perfetta la scelta di affidare il personaggio di De
Vita (il principale oppositore della due giunte, ispirato al
comunista Luigi Cosenza, acerrimo antagonista del “Comandante”
Achille Lauro) a Carlo Fermariello, il quale non era attore (questo
il suo unico film) ma già consigliere di minoranza al Comune di
Napoli dagli anni ’50, avvezzo al clima surriscaldato dei consigli
comunali, abituato a discorsi politici più o meno urlati per
sovrastare le proteste degli oppositori, perfetto nella gestualità,
nei toni e nella cadenza dei suoi “proclami”. Per inciso, continuò
nella sua carriera politica PCI, fu eletto senatore nel 1968 e per
le 3 legislature successive.
Un film da non perdere, comunque la pensiate politicamente.
IMDb 7,8 RT 100% * Leone d’Oro a Venezia, distribuito in
oltre 20 paesi e tuttora proiettato come cult.
294 * “The Great Gabbo” (di James Cruze, Erich von Stroheim (uncredited),
USA, 1929) tit. it. “Il gran Gabbo” * con Erich von Stroheim, Donald
Douglas, Betty Compson
Spesso Erich von Stroheim viene indicato come co-regista (uncredited)
ma molto probabilmente non ebbe alcuna voce in capitolo. Infatti,
dopo i successi di pochi anni prima (in particolare con “Greed” e
“The Wedding March”) si sa che ebbe grandi problemi con i produttori
spendendo molto più del previsto e montando film di durata
improponibile e ciò lo portò ad essere licenziato ed esautorato.
Probabilmente “The Great Gabbo” fu un film prodotto per un contratto
precedente, per il quale fu però pagato solo come attore e non fu
neanche menzionato come co-regista. Dopo di questo, ufficialmente
diresse solo un altro film (“Hello, Sister!”, 1933) ma anche in quel
caso si scontrò con i produttori modificarono radicalmente il film e
girarono di nuovo molte scene.
Sapendo tutto ciò, non meraviglia il fatto che “Il gran Gabbo” sia
veramente inconsistente, appesantito da troppe coreografie e numeri
musicali che poco hanno a che vedere con la trama e lo rendono quasi
un musical, oltre ai tanti discorsi fra il ventriloquo Gabbo e Otto
(il suo pupazzo), ma almeno questi sono spesso connessi alla storia.
Senz’altro non all’altezza delle abilità di von Stroheim, né come
regista (se collaborò) né come attore in quanto appare quasi
svogliato ma a sua parziale discolpa è doveroso dire che il
personaggio dell’irascibile, intrattabile, arrogante ventriloquo di
gran successo non lo favoriva. Oltretutto si deve sottolineare che
questa dovrebbe essere la sua prima interpretazione “parlata”, dopo
anni di muto, e la sua recitazione caratterizzata dal forte accento
tedesco non lo aiuta.
Da guardare solo per “completezza” ... se si vuole conoscere bene
von Stroheim, ma non è neanche lontanamente comparabile ai suoi
lavori precedenti.
IMDb 6,2 RT 67%
295 * “The Front Page” (di Billy Wilder, USA, 1974) tit. it. “Prima
pagina” * con Jack Lemmon, Walter Matthau, Susan Sarandon
Remake dell’omonino “The Front Page” (di Lewis Milestone, USA, 1931,
con Adolphe Menjou, Pat O'Brien, Mary Brian), a sua volta
trasposizione cinematografica di una commedia di successo del 1928.
Viene anche associato a “His Girl Friday” (di Howard Hawks, USA,
1940, con Cary Grant, Rosalind Russell, Ralph Bellamy) che tuttavia,
pur narrando delle divertenti schermaglie fra editore e giornalista
di successo che vuole lasciare la professione per sposarsi, propone
una versione una giornalista (ex fidanzata dell’editore) e si
distacca notevolmente dalla trama originale dando maggior peso ai
rapporti sentimentali fra i due protagonisti. Sia nella commedia che
nei film i nomi dell’editore Walter Burns e del/la giornalista Hildy
Johnson (il nome Hildy, ovviamente, può essere sia maschile che
femminile) restano immutati.
La commedia prevedeva una sola scenografia, rappresentante la sala
stampa di una centrale di polizia, con vista sul cortile interno
dove è in allestimento un patibolo per un’esecuzione capitale.
Ovviamente nei film sono state aggiunte varie scene ambientate in
altre parti dell’edificio e qualche esterno.
La fuga e la riapparizione del condannato a morte movimentano, e non
di poco la storia. I giornalisti che dettano articoli molto diversi
fra loro travisando i fatti e gli interventi dello sceriffo, del
sindaco e di una prostituta fanno il resto.
Delle tre questa forse è la più divertente in quanto più movimentata
e poiché conta su ottimi protagonisti, non solo i due principali, ma
anche quelli di contorno a cominciare dall’impareggiabile Vincent
Gardenia nei panni dello sceriffo, ma anche una giovane Susan
Sarandon, Charles Durning, Harold Gould ...
Senz’altro adatta a passare piacevolmente un’oretta e mezza davanti
allo schermo, ma non al livello di altre commedie classiche di
Hollywood.
IMDb 7,3 RT 73%
296 * “Legend of 8 Samurai” (di Kinji Fukasaku, Jap, 1983) tit. or.
“Satomi hakken-den*** con Hiroko Yakushimaru, Hiroyuki Sanada, Shin'ichi
Chiba
Questo dvd, che molto probabilmente non avrei comprato, era il terzo
e senz’altro più scadente fra quelli contenuto in un cofanetto
“Samurai”, scelto e comprato per gli altri due “Samurai Assassin” e
“Red Lion”, di tutt’altro livello, entrambi diretti da Kihachi
Okamoto e con Toshirô Mifune come protagonista.
Avendo il dvd, non mi sono tirato indietro pur avendo letto
recensioni in gran parte non proprio entusiastiche. Ho dovuto
constatare che i suoi detrattori hanno perfettamente ragione ...
storia debole accompagnata da una pessima musica ed una peggiore
love story, una parte fantastica con mostri (una scolopendra gigante
ed un serpente volante) e una città sotterranea molto mal
realizzata, ma con tutti gli elementi “classici”: accesso acquatico,
caverne naturali, idoli, altari sacrificali ed enormi colonne che,
ovviamente, sono destinate a crollare, come nei film di Maciste e
nei più moderni Indiana Jones, Re Scorpione e via discorrendo.
Tuttavia la struttura della trama mantiene molte caratteristiche
classiche dei film del genere “chambara”, con combattimenti con la
spada, inseguimenti, foreste, intrigo, samurai erranti, re traditi,
colpi di scena, poveri villaggi vessati dai soldati del tiranno di
turno.
Evitabile senza alcun rimpianto.
IMDb 6,5
297 * “Celda 211” (di Daniel Monzón, Spa, 2009) tit. it. “Cella 211”
* con Luis Tosar, Alberto Ammann, Antonio Resines, Carlos Bardem
Tranne pochissime scene (un paio di brevi flashback e un paio di
scene della moglie del protagonista in città) tutto si svolge
durante poche ore nel corso di una rivolta dei reclusi nel carcere
di Zamora (Spagna).
Proprio per questo non è paragonabile ai soliti film “carcerari”,
forse l’unico in parte simile è “The Glass House” (di Tom Gries,
1972). Infatti, in entrambi tutto è incentrato su un personaggio
“fuori posto”, il secondino in borghese che resta fra i carcerati
nel corso di una rivolta in e si deve industriare per non far
scoprire la sua vera identità in “Celda 211” ed il professore che
tenta di gestire al meglio la sua permanenza in un carcere
americano, in un ambiente violento a lui sconosciuto, dove è
evidentemente una mosca bianca.
Film drammatico, violento, con numerosi colpi di scena e momenti di
suspense visto che le decisioni devono essere prese in modo
relativamente rapido e le valutazioni sono basate quasi
esclusivamente su ipotesi, fiducia e sospetti, con “sfide di
sguardi” fra chi deve decidere se chi sta di fronte a lui stia
mentendo o meno e chi deve apparire credibile, valutando fino a che
punto si può spingere. Il tutto in mezzo ad una massa di delinquenti
vocianti, spesso sobillati da alcuni, molte volte quasi fuori
controllo.
Ben diretto e interpretato, è senz’altro da annoverare fra i buoni e
seri film sull’ambiente carcerario e ha il pregio di aggiungere alla
storia drammatica varie valutazioni dei difficili rapporti
Stato/polizia/reclusi, aggiungendo anche un chiaro riferimento ai
separatisti baschi.
I numerosi riconoscimenti ottenuti e le buone valutazioni sono,
secondo me, più che meritati.
Da guardare, ma chiaramente poco adatto a quelli dall’animo più
sensibile.
IMDb 7,7 RT 97% #cinema #film
Trivia: Carlos Bardem (Apache) è il fratello maggiore di Javier
298 e 299 * “Rio Bravo” e “El Dorado” due western di Howard Hawks
“Rio Bravo” (di Howard Hawks, USA, 1959) tit. it. “Un dollaro
d’onore” * con John Wayne, Dean Martin, Ricky Nelson,Walter Brennan,
Angie Dickinson
IMDb 8,0 RT 100%
“El Dorado” (di Howard Hawks, USA, 1966) * con John Wayne, Robert
Mitchum, James Caan
IMDb 7,7 RT 100%
Ho scelto di guardarli a distanza di 24 ore, dopo parecchi anni, per
metterli a confronto in quanto ricordavo molte scene simili che mi
lasciavano in dubbio dovendole attribuire all’uno o all’altro. Le
somiglianze sono tante e sostanziali tanto che, come ho scoperto
successivamente, molti considerano “El Dorado” un remake di “Rio
Bravo” e ne aggiungono addirittura un altro “Rio Lobo” (di Howard
Hawks, USA, 1970, con John Wayne, Jorge Rivero, Jennifer O'Neill).
Quindi, tre film con struttura narrativa molto simile, ma non veri
remake, diretti dallo stesso regista ed aventi come protagonista
principale lo stesso attore. Almeno per quanto riguarda i primi due
la trama è molto simile con uno sceriffo e un assistente (uno dei
due alcolizzato), un classico “vecchietto” che si occupa
dell’ufficio e dei prigionieri e un aiuto esterno ed insperato che
se la devono vedere con una banda al soldo di un ricco e arrogante
ranchero. Uno di loro viene arrestato e gli altri si danno da fare
per liberarlo, si va avanti parallelamente fra scene quasi identiche
come le offese al protagonista ubriacone (che poi troverà la sua
rivincita), l’inseguimento fin dentro il saloon di un “cattivo”
ferito poi scoperto grazie al sangue perso, la belloccia di turno
con la sua complicata corte al tutore dell’ordine.
Fra i due John Wayne passa dall’essere sceriffo nel primo (con
l’alcolizzato Dean Martin come vice) ad essere il vecchio amico
dello sceriffo Robert Mitchum divenuto vittima dell’alcool per
delusione amorosa.
“Rio Bravo” è di gran lunga il migliore dei tre e si avvale di un
cast superiore rispetto agli altri. Oltre al già cinquantenne e
ormai poco agile Wayne è degna di nota l’interpretazione di Dean
Martin in un ruolo quasi anomalo per lui dopo essere diventato
famoso come spalla di Jerry Lewis (16 film insieme). Nella sua
carriera, come molti sanno, ebbe grande successo anche come cantante
ed in “Rio Bravo” si esibisce cantando con Ricky Nelson (l’aiuto
inaspettato) "My Rifle, My Pony and Me" di Dimitri Tiomkin's (video
https://youtu.be/v2ssbgThljU)
autore anche del famoso tema “Degüello” (leggi
di più e guarda il video in questo post )
In “El Dorado” tutto sembra essere più scontato, Arthur Hunnicutt
(Bull) non vale certo il fantastico Walter Brennan ed il giovane
James Caan non è convincente quanto Ricky Nelson.
Non si può dire che sia un western scadente ma a confronto con “Rio
Bravo”, specialmente se visti a breve distanza di tempo, perde su
tutti i fronti.
300 * “David Copperfield” (TV movie) (di Simon Curtis, UK, 1999) *
con Emilia Fox, Pauline Quirke, Maggie Smith, Bob Hoskins, Daniel
Radcliffe
Si tratta di una delle migliori versioni cinematografiche del famoso
romanzo di Charles Dickens, pubblicato nel 1850. Si avvantaggia del
fatto di essere stato prodotto per la TV (dalla BBC) in due puntate
e quindi avendo tre ore a disposizione Adrian Hodges, che ha curato
l’adattamento, ha potuto inserire più scene significative, riuscendo
a restare abbastanza al testo e trattando quasi tutti gli
avvenimenti importanti.
L’ottimo cast ha fatto il resto e non solo i ben noti Maggie Smith,
Bob Hoskins ma anche tutti gli altri, conosciuti in UK ma poco noti
nel panorama internazionale. Da segnalare la prima interpretazione
di Daniel Radcliffe (10 anni all’epoca) il quale avrebbe poi
esordito in un vero film (Il sarto di Panama) due anni dopo, nello
stesso anno in cui sarebbe diventato per tutti Harry Potter.
Se vi piace il genere, è imperdibile ... purtroppo sembra che non
sia stato doppiato in italiano ma, ovviamente, chi può si godrà la
versione originale, anche se l’inglese è un po’ obsoleto.
IMDb 7,8 RT 100%
|