POST CINEMATOGRAFICI

indice completo dei  1300 film 2016 - 2018

lista film (pdf)  2015   2014   2012-13

2016

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51 - 100

101 - 150

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201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 403

 

2017

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51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 259

260 - 299

300 - 349

350 - 399

400 - 443

2018

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351 - 400

401 - 454

2019

1 - 50

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101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 409

 

2020

1 - 50

51 - 100

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151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 400

401 - 444

2021

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101 - 150

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201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 388  

2022

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201 - 250

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351 - 400  

micro-recensioni dei film del 2018   (dal 50° al 1°) 


leggi tutte le 50 micro-recensioni (in basso, dopo i poster)

Takeshi Kitano, Jap, 1993

Eran Kolirin, Isr, 2007

Salvador del Solar, Per-Arg, 2015

José Luis Rugeles, Col-Bra, 2010

Carlos Saura, Spa, 1960

John Crowley, Irl, 2003

Nora Ephron, USA, 2009

Tassos Boulmetis, Gre, 2003

Luca Guadagnino, Ita, 2017

O. Nakache E. Toledano, Fra, 2017

Arturo Ripstein, Mex, 1980

Ernst Lubitsch, USA, 1941

Lamont Johnson, USA, 1971

Bill Karn, USA, 1961

Michael Anderson, UK, 1956

Alberto Gout, Mex, 1948

Giacomo Campiotti, UK, 2002

Iain B. MacDonald, UK, 2007

Eduardo Milewicz, Arg, 2002

Miguel Hermoso, Spa, 1983

Richard Shepard, USA, 2005

Duncan Tucker, USA, 2005

Tommy Lee Jones, USA, 2005

Steven Spielberg, USA, 2017

Wes Anderson, USA, 2007

Robert Altman, USA, 1993

Norman Jewison, USA, 1971

Franklin J. Schaffner, USA, 1973

Jacques Demy, Gra, 1964

Eduardo Ugarte, Mex, 1951

Joe Wright, UK, 2017

Jaco Van Dormael, Bel, 2015

Ronald Neame, UK, 1952

Blake Edwards, USA, 1961

Martin McDonagh, USA, 2017

Martin Campbell, UK, 2017

Clint Eastwood, USA, 2008

diversi registi, UK, 1951

K. Annakin - H. French, UK, 1950

Michael Gracey, USA, 2017

Aaron Sorkin, USA, 2017

Christian Duguay, Fra, 2017

diversi registi, UK, 1948

Michael Mann, USA, 1999

Javier Fesser, Spa, 1998

Edward D. Wood Jr., USA, 1953

Sam Peckinpah, USA, 1972

James Franco, USA, 2017

Orson Welles, USA, 1973

Orson Welles, USA, 1955

50 “Sonatine” (Takeshi Kitano, Jap, 1993) * con Takeshi Kitano, Aya Kokumai, Tetsu Watanabe  *  IMDb 7,6 RT 88%
Primo dei 4 film di Takeshi Kitano a mia disposizione. Come quasi tutti sanno, l’eclettico regista giapponese ha uno stile del tutto proprio che quasi non ammette mezze misure: amore a prima vista o odio eterno! Pur non volendo essere così drastico, io opto per la prima scelta.
Mi piacciono le sue storie essenziali, prive di quei lunghi dialoghi in stile americano e piene di “fatti” seppur non di “azione” ... inutile cercare plausibilità o realismo. In proporzione, rispetto a molti omologhi di oltreoceano i morti sono molti di più ma gli scambi a fuoco sono improvvisi e durano solo pochi secondi. Mi affascina la seraficità del suo personaggio (Kitano non solo è regista, ma anche unico sceneggiatore e interprete principale), la sua calma glaciale, l’aria innocua, l’aspetto rilassato e (apparentemente) mai minaccioso. Particolare anche il quieto commento sonoro, che accompagna solo alcune scene dopo che per molti minuti non si è ascoltata alcuna nota. Apprezzabili anche inquadrature e fotografia.
Infine, al di là di tutto ciò che “appare”, ci sarebbe tanto altro da analizzare ed approfondire in merito alla personalità e psicologia dei membri della yakuza così come ce li propone Kitano ... ma il discorso diventerebbe troppo ampio.
Se sopportate sangue a profusione (ma mostrato solo per pochi attimi) e qualche amputazione di mignoli, non ve lo perdete!
 

49 “Bikur Ha-Tizmoret” (Eran Kolirin, Isr, 2007) tit. it. “La banda”, tit. int. “The Band's Visit “ * con Sasson Gabai, Ronit Elkabetz, Saleh Bakri  *  IMDb 7,6 RT 98%
Mi era stato consigliato, ho dato uno sguardo ai rating (strepitosi), l’ho guardato e sono rimasto ENORMEMENTE DELUSO ...
Piatto, scarsa recitazione, musica avvilente, sceneggiatura latitante, più deprimente che divertente pur essendo etichettato come commedia. Degli 8 componenti della banda della polizia di Alessandria d’Egitto “dispersi” in Israele solo tre parlano (poco) ma tutti sembrano degli zombie che ben si adattano al clima irreale di un piccola cittadina semidisabitata, nel mezzo del deserto.
Sbalordiscono i rating, i commenti entusiasti e i premi fra i quali 3 a Cannes + 2 nomination (per la verità tutti in categorie molto secondarie), proposto agli Oscar come rappresentante israeliano ma poi bocciato per essere parlato per più del 50% in inglese (vs arabo e ebreo). Su Rotten Tomatoes ha raccolto il 98% di recensioni positive, il 100% se si considerano solo i top critics. Sembra che sia uscito anche in Italia nel ... qualcuno l’ha visto? Veramente gli è piaciuto?
A chi volesse avvicinarsi al cinema israeliano suggerisco di evitare questo e guardarsi film con minor rating e numero di premi ma nettamente migliori come Lemon Tree (2008, 7,4, M74, RT 93%), Remember (2015, 7,4 M52 RT73%), The Women's Balcony (2016, 6,8, M74, RT96%)
Mi sembra sia chiaro che non lo consiglio ... nessuno mi toglie dalla testa che sia stata un’operazione commerciale gestita da una lobby.
 

48 “Magallanes” (Salvador del Solar, Perù-Arg, 2015) * con Damián Alcázar, Magaly Solier, Federico Luppi  *   IMDb 7,4 RT 67%
Chi si ricorda dei tempi della guerriglia di “Sendero Luminoso”, anni ‘80?
Magallanes (Alcázar) sbarca il lunario facendo da autista di un anziano colonnello (Luppi), malato di Alzheimer, sotto il cui comando servì nella zona di Ayacucho, e quando è libero si arrangia come tassista abusivo nelle strade di Lima (Perù). Improvvisamente i fantasmi del passato ritornano inaspettatamente e del tutto casualmente a turbare la tranquillità di Magallanes che, da quel momento, tenterà maldestramente di riscattarsi e in qualche modo di riparare alle nefandezze commesse quando era militare.
La cosa non sarà per niente semplice e nei suoi sviluppi del Solar (attore - ma non in questo film - alla sua prima e unica regia e sceneggiatura) affronta molti argomenti tragicamente seri, dai danni insanabili delle guerre e del terrorismo, alla (in)utilità delle punizioni tardive ad anziani, in questo caso oltretutto con Alzheimer, che non riconoscono neanche i propri figli, dall’impossibilità di compensare con denaro i danni psicologici più che fisici, alle colpe dei padri che in qualche modo ricadono sui figli. La drammaticità del film, viene a tratti parzialmente "alleggerita" da qualche situazione da comedia negra.
Ottimo il cast con un Damián Alcázar stavolta “in forma” (non come in “García”, visto ieri), la peruana Magaly Solier (già protagonista di “La teta asustada”, nomination Oscar 2010) e del recentemente scomparso argentino Federico Luppi (all’epoca 80enne) che fra le sue quasi 100 interpretazioni conta anche 3 collaborazioni con il primo del Toro: Cronos (1993), El espinazo del diablo (2001) e El laberinto del fauno (2006).
 

47 “García” (José Luis Rugeles, Col-Bra, 2010) * con Damián Alcázar, Margarita Rosa de Francisco,Fabio Restrepo  *  MDb 5,7
Che peccato! Che occasione sprecata!
Poco dopo aver guardato il deludente “InterMission” mi sono imbattuto in “García” comedia negra colombiana, con un soggetto per alcuni versi simile, ma essenzialmente migliore, ed una sceneggiatura e realizzazione purtroppo molto peggiore. Perfino il bravo Damián Alcázar non riesce a dar corpo e vita al suo personaggio e il contorno non lo aiuta di certo.
Se qualcuno “capace” vedesse il film, non esiterebbe ad acquisirne i diritti per un remake da sviluppare in qualunque altra parte del mondo e il successo sarebbe pressoché garantito.
Guardabile per le idee e i colpi di scena (seppur mal proposti).
 

46 “Los golfos” (Carlos Saura, Spa, 1960) * con Manuel Zarzo, Luis Marín, Óscar Cruz *   IMDb 6,9
Esordio alla regia di Carlos Saura, in puro stile neorealista. Ricalca schemi già visti di gruppi di giovani delinquenti delle periferie delle grandi città come nei primi film di Pasolini nelle borgate romane o anche Los olvidados di Buñuel ai margini di Città del Messico. In questo caso siamo a Madrid e la piccola banda si adopera per accumulare una cifra che permetta a Juan, uno di loro, di fare la sua prima corrida in una vera arena, con tanto di quadrilla, picador, e tutto il resto.
Possiamo definirlo ingenuo, semplice ed essenziale, interpretato da esordienti non professionisti, ed in tale ottica deve essere visto senza avere mai avuto ambizioni di opera d'arte.
Interessante spaccato della Spagna franchista degli anni '50, inizio della carriera di un regista che pur condizionato da quel regime è riuscito a produrre film emblematici e allegorici come “La caza” e, nel periodo di transizione, “Ana y los lobos” e “Cria cuervos”.
 

45 “InterMission” (John Crowley, Irl, 2003) * con Cillian Murphy, Kelly Macdonald, Colin Farrell  *  IMDb 6,6 RT 73%
I più lo pongono nel filone di dark comedy inglesi, fatto di singolari personaggi fuori di testa, sempre pronti alla rissa, ma lungi dall’essere veri criminali (sia per incapacità che per non essere abbastanza cattivi). Con molta presunzione è stato addirittura promosso comparandolo a film come Trainspotting, quelli di Guy Ritchie, ecc. ... ma la differenza è abissale.
In “InterMission” ci vuole un po’ di tempo prima di cominciare a far convergere le storie private dei vari protagonisti verso il punto d’incontro, la prima metà è lenta e poco divertente, non coinvolge più di tanto e serve solo a gettare poche basi per gli eventi successivi. La seconda parte è più piacevole, il ritmo accelera e, finalmente, si vede un po’ di azione e qualche trovata quanto meno originale e relativamente spiritosa.
Contando su un discreto cast, InterMission riesce ad essere appena sopra la sufficienza, ma nulla di più.
 

44 “Julie & Julia” (Nora Ephron, USA, 2009) * con Amy Adams, Meryl Streep, Stanley Tucci, Chris Messina  *  IMDb 7,0 RT 79% * Nomination Oscar per Meryl Streep protagonista
Dalla cucina del Mediterraneo orientale di "A Touch of Spice" a questo film sulla cucina francese "esportata" oltreoceano, basato sulle vere storie di due novelle cuoche, narrate in parallelo nonostante il circa mezzo secolo di differenza.
Meryl Streep interpreta Julia Child (un mito in America) che introdusse negli States la cucina francese dopo averne appreso i segreti a Parigi dove risiedeva con il marito (Stanley Tucci), funzionario dell’Ambasciata. Amy Adams è invece Julie Powell, aspirante scrittrice delusa, insoddisfatta del suo impiego come telefonista in un centro assistenza pubblico per le vittime dell’11 settembre, che tenta di dare una svolta alla sua vita mirando a realizzare le 524 ricette del libro della sua famosa quasi omonima nell’arco di un anno esatto e a darne pubblico riscontro in un blog.
Le vite parallele vengono proposte come una commedia e in particolare Julia Child viene presentata in modo un po’ grottesco, ma c’è da dire che nella realtà lei stessa amava realizzare in modo buffo le sue seguitissime trasmissioni televisive "The French Chef", andate avanti per 10 anni (1963-73). Più ridicola appare invece la giovane Julie, autrice del libro sul quale è basata la sceneggiatura: “Julie and Julia: 365 Days, 524 Recipes, 1 Tiny Apartment Kitchen“.
Interessanti i ruoli dei rispettivi mariti (entrambi di sincero sostegno), ma alla classe e al buon palato (reale) di Paul Child (Tucci), si oppone Eric Powell (Chris Messina) stereotipo di pessimo americano medio che si ingozza senza assaporare minimamente, un vero selvaggio!
Garbata, senza infamia e senza lode, sufficientemente divertente.
 

43 “Politiki kouzina” (Tassos Boulmetis, Gre, 2003) tit. it. “Un tocco di zenzero” tit. int. “A Touch of Spice” * con Georges Corraface, Ieroklis Michaelidis, Renia Louizidou  *   IMDb 7,6 RT 33%
Delicata commedia narrata in flashback, che si sviluppa in una famiglia greco-turca e con filo conduttore “gastronomico, parallelamente alle questioni politiche e militari fra Grecia e Turchia di metà secolo scorso.
La prima parte si svolge a Istanbul fin quando la famiglia viene espulsa e rimpatriata con il capofamiglia (greco) padre pel giovane Fanis. Questi, grazie alla assidua frequentazione della meravigliosa bottega di spezie del nonno e ai suggerimenti che dava alle massaie sull’uso dei vari aromi, è già diventato un maestro della cucina tradizionale. Trasferito ad Atene, volente o nolente intraprenderà un’altra strada ma sempre avendo in mente spezie e cucina.
Il film è proposto come una favoletta, con molti personaggi quasi caricaturali, abbigliamenti variopinti, fotografia nitida e qualche effetto speciale. Agli appassionati di cibi etnici le scene culinarie sembreranno poche ma sapranno riconoscere molte delle delizie classiche delle cucine del Mediterraneo orientale, probabilmente ne immagineranno l’odore, certamente avranno l’acquolina in bocca, in particolare davanti alle tavole imbandite, coperte di meze.
Divertente a patto di avere almeno un minimo di interesse nel campo della gastronomia (in particolare quella etnica ... no nouvelle cuisine) e uso delle spezie. qualcosa
 

42 “Chiamami col tuo nome” (Luca Guadagnino, Ita, 2017) tit. int. “Call Me by your Name” * con Timothée Chalamet, Armie Hammer, Michael Stuhlbarg *  IMDb 8,3 RT 94%
Cercherò di focalizzare questa micro-recensione su alcuni aspetti non estensivamente trattati dalla maggior parte degli altri. Per mia curiosità ho voluto capire chi fra Guadagnino, Ivory (sceneggiatore) e Aciman (autore del libro) è “responsabile” delle mie perplessità, a cominciare dal “caos linguistico”. Attendendo il giorno della proiezione in lingua originale (il martedì) mi chiedevo quale sarebbe stata, vista la co-produzione USA-Ita, il cast per lo più americano, l’ambientazione italiana ... è “per lo più” inglese. Ho cercato notizie in merito ai protagonisti (del libro) e non c'è cenno della nazionalità del padre di Elio (quindi assumo che non fosse un fatto rilevante), né menzione di Marzia (parigina in vacanza) che giustifica la maggior parte dei dialoghi in francese, ma spesso parla in italiano. Inoltre, varie persone, che si suppone siano italiane, parlano in italiano con marcato accento straniero, Oliver capisce e parla italiano solo in alcuni casi, Elio parla in inglese, francese e italiano (ma con forte accento), Mafalda (la governante) e qualche altro locale parla in dialetto lombardo (spesso incomprensibile), anche fra Elio e la madre c’è qualche scambio di battute in francese, i dialoghi principali sono in inglese ... qui prodest?
Avendo visto il film in Spagna, nei discorsi non in inglese c’era quindi un doppio sottotitolo: un paio di righe in inglese incluse nell’originale e un paio in spagnolo. Penso che ogni amante del cinema aspiri a vedere lo schermo “pulito” o al massimo con un solo indispensabile sottotitolo ... perché creare i presupposti per raddoppiarli? O in origine il film era diretto solo ai poliglotti (ma che conoscano anche il cremasco!) che possono seguire tutti i dialoghi facendo anche a meno delle cc quando non si parla in inglese? Quale sarebbe l’utilità di questa babele? Mostrare l’alto livello culturale e cosmopolita della famiglia?
E ciò introduce un altro argomento: l’esibizione di “cultura” in modo affrettato e poco comprensibile o finalizzato, specialmente nella prima parte. Si citano musicisti, filosofi, scultori, si mostrano in rapida sequenza foto di reperti archeologici e Oliver, parlando a raffica come suo solito, cita frasi dai profondi contenuti che dovrebbero essere invece “declamate”, dando il tempo a chi ascolta di coglierne il senso. A chi è diretto tutto questo “sapere” che non si riesce a “fissare”? Mi sembra che più che altro sia un parlarsi addosso, con molto autocompiacimento.
Pare assodato che il regista è colui che ha scelto di spostare la scena dalla Riviera ligure alla Bassa Padana (dove risiede) e di inserire varie scene in paese (stranamente semidisabitato). E a questo proposito c’è da chiedersi come possa aver fatto Oliver, che parla poco italiano, ad entrare in immediata confidenza con i "pensionati" locali, di quelli che passano le giornate giocando a carte nel bar, ad essere accettato ed avere il posto riservato al tavolino (c’è gente che aspetta anni e non ci riesce). Non è credibile, non c'è nel libro e mi sembra superfluo in relazione al nocciolo del film, così come i “cult” televisivi degli anni ’80 inseriti qua e là, che solo parte degli italiani possono recepire.
Con ciò non voglio pignoleggiare, ma penso sia giusto chiedersi il perché di questi cambiamenti, ovviamente mirati. Ce n’era effettivamente la necessità in un film che supera le due ore?
A quanto mi è dato di capire, ma potrei sbagliare non avendo letto il libro, il “colpevole” di tutto ciò è James Ivory (lo stesso che fu regista di “Camera con vista”, 1985), ma sono certo che Guadagnino è stato quanto meno connivente.
Sul versante positivo, ho molto apprezzato la fotografia in generale ed in particolare l’uso di luce naturale nella maggior parte dei casi. Sembra che questa sia un’eccezione visto che nella maggior parte dei film non c’è scena notturna senza una luna piena (altrimenti quale potrebbe essere la fonte luminosa in ambiente naturale?), stanze illuminate a giorno appena si accende un fiammifero o una candela, ombre nette dallo stesso lato dell’unica (?) sorgente luminosa. Il direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom (thailandese!) non ha ottenuto la Nomination, ma penso che abbia fatto un lavoro superbo, sia negli interni (con le giuste e realistiche luci e zone d’ombra), sia negli esterni, dalle albe, ai tramonti e ai colori dei pomeriggi assolati.
Del cast salvo senz’altro il giovane Timothée Chalamet, ma gli altri due protagonisti maschili Armie Hammer (Oliver) e Michael Stuhlbarg (il padre di Elio) sono davvero ben poca cosa. Settore femminile ... non pervenuto.
Concludo con Guadagnino (questo è il suo primo film che guardo). Non mi ha convinto come regista, non ho visto uniformità (che vedo come pregio, essendo tutt’altra cosa che la monotonia), il montaggio mi ha lasciato perplesso così come l’inserimento di sporadici angoli di ripresa particolari e, soprattutto, non mi è piaciuta la frequenza con cui tronca le scene ... davvero non ne capisco il senso.
Se si fosse liberato di citazioni inutili, delle partite a carte e incursioni in paese e dei 5 minuti di litigio (strillato, assolutamente fuori tono) a proposito di Craxi e si fosse limitato alla narrazione della storia romantica e drammatica di Elio e Oliver il risultato sarebbe stato un film di gran lunga migliore, di durata di poco meno di due ore.
Sono portato a credere che molte delle sperticate lodi che il film ha ottenuto sono merito del soggetto (romanzo di Ociman) e non del film in sé.
 

41 “Le sens de la fête” aka “C'est la vie” (Olivier Nakache, Eric Toledano, Fra, 2017) tit. it. “Prendila come viene” * con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Gilles Lellouche *  IMDb 7,1 RT 75%
Più che decente commedia francese “di gruppo” con una miriade di personaggi, divisi fra lo staff di un ricevimento di un matrimonio in un palazzo d’epoca immerso in uno splendido parco e i convitati, sposi compresi. Ciò ha permesso alla indissolubile coppia Nakache - Toledano (hanno diretto e sceneggiato insieme i loro unici 6 film) di mettere in un solo calderone persone di tutti i tipi, di varie etnie, di diversi livelli sociali e culturali e di caratterizzarli con manie, passioni e difetti. Il film si risolve quindi in una serie di “sketch” su argomenti molto vari (lavoro nero, immigrazione, razzismo, catering, matrimoni, rapporti gerarchici, megalomania, musica, routine delle feste, buona grammatica, gelosia, ...) legati fra loro in modo a volte artificioso e quindi, a voler ragionare un po’, spesso poco credibili. Ma se i conti in quanto a personale dello staff, preparazione cibo, tempi e spazi non tornano minimamente, ciò può essere preso come occasione per sorridere una volta in più ... tanto si tratta di una commedia!
Con tanta carne a cuocere, non tutto può funzionare, ci sono parecchie buone battute e prese in giro di tipi particolari, ma altrettante sono banali o più che prevedibili, ci sono un paio di originali “tormentoni” e qualche situazione tirata inutilmente per le lunghe.
Nel complesso, più che buono il numeroso e molto variegato cast che ruota attorno a Jean-Pierre Bacri.
Lo consiglio a chi cerca qualcosa di poco impegnativo e privo di volgarità e sono certo che ognuno troverà strette analogie fra molti dei personaggi e i propri conoscenti, così come varie situazioni (specialmente quelle relative al ricevimento) appariranno quasi come un dejà vu ... ricordi piacevoli o incubi che siano.
Ovviamente consigliata la versione originale ... alcune battute in particolare devono essere ascoltate in francese.

 

40 “El impero de la fortuna” (Arturo Ripstein, Mex, 1986) * con Ernesto Gómez Cruz, Blanca Guerra, Alejandro Parodi  * IMDb 7,2
Si tratta di uno dei più conosciuti film di Ripstein, tratto dal racconto “El Gallo de Oro” di Juan Rulfo, adattato e sceneggiato dalla scrittrice Paz Alicia Garciadiego, moglie del regista, alla loro prima collaborazione professionale che continua ancora oggi. Il racconto, seppur pubblicato nel 1980, fu scritto negli anni ’50 e nel 1964 era già stato adattato a sceneggiatura da Gabriel García Marquéz y Carlos Fuentes per un film omonimo, diretto da Roberto Gavaldón.
Narra la storia di Dionisio nell’arco di una ventina di anni, lo conosciamo poverissimo e già con una mano quasi inutilizzabile, assistiamo al suo “riscatto sociale” attraverso le “peleas de gallos”, alla storia d’amore con la Caponera, al conseguimento di una grande ricchezza in denaro e una enorme hacienda decadente (piena di statue e mobilio d’epoca) prima del tragico finale.
Chi conosce lo stile di Ripstein si renderà conto che si trova a suo perfetto agio nel descrivere i personaggi di un ambiente al limite del credibile (specialmente per gli europei) come quello dei “palenques”, specie di fiere itineranti che si montavano in occasione delle feste in paesini sperduti e poveri, con “attrazioni” molto varie, spesso di infimo livello, fra le quali combattimenti di galli.
Forse i protagonisti di “El impero de la fortuna” sono meno squallidi di tanti altri dei film di Ripstein il quale sembra aver preferito dedicare maggiore attenzione agli ambienti per i quali non ha utilizzato alcun set. I “palenque”, le strade dissestate, le case cadenti e l’enorme edificio semi abbandonato sono tutti reali e il regista ha solo aggiunto poche luci, spesso rosse, ricreando ambienti cupi, opprimenti, desolati e desolanti, nei quali si muovono e “vivono” tanti diseredati rispettando leggi non scritte.
Cinematograficamente è un ottimo film, scarno ed essenziale, ben narrato, qualcuno lo potrebbe vedere come neorealista, ma penso sia più giusto dire che è un puro prodotto Ripstein, quindi non per tutti.
Essendo abbastanza sicuro che pochi lo conoscano nonostante varie presenze a Festival (p.e. Venezia), vi ricordo che è stato discepolo e amico di Luis Buñuel, suo aiuto regista in “L’angelo sterminatore” (1962) e che l’unico suo film che sembra sia uscito in Italia è “El coronel no tiene quien le escriba” (1999, Nessuno scrive al colonnello, dall’omonimo romanzo di Gabriel García Márquez), Profundo carmesí (1996) e “La calle de la amargura” (2015) arrivarono Venezia dove Ripstein, nella seconda occasione, ha ricevuto una targa speciale per il suo cinquantesimo anno di attività.

39 “That Uncertain Feeling” (Ernst Lubitsch, USA, 1941) tit. it. “Quell’incerto sentimento” * con Merle Oberon, Melvyn Douglas, Burgess Meredith * IMDb 6,8 RT 60%
Molti la reputano una delle meno riuscite commedie americane di Lubitsch e mi sembra che siano generosi in quanto a mala pena è commedia ... non diverte, è quasi una piece teatrale con tre personaggi, nessuno dei quali è minimamente credibile. Un vero flop di un regista che ha fatto delle commedie il suo cavallo di battaglia, nella maggior parte dei casi un cavallo vincente.
Pur nell’insulsaggine della situazione, si apprezzano le interpretazioni dei due rivali in amore, Melvyn Douglas e Burgess Meredith
 

38 “A Gunfight” (Lamont Johnson, USA, 1971) tit. it. “Quattro tocchi di campana” * con Kirk Douglas, Johnny Cash, Jane Alexander, Raf Vallone, Karen Black, Keith Carradine  *  IMDb 6,4 RT 60%
Western assolutamente fuori del comune, con una storia di pistoleri anomala, che presenta i “soliti personaggi” sotto tutt’altra luce, prodotto da una tribù di nativi americani anche se nessuno appare nel film e un cast che mette di fronte una star di Hollywwood, non solo dei western, come Kirk Douglas e un famoso ed eclettico cantautore come Johnny Cash (vedi “Five minutes to Live” post precedente).
Fra i comprimari spiccano Raf Vallone, con tutt’altro background, una Karen Black agli inizi della carriera ma già nota per aver partecipato a “Easy Rider” (1969) e aver ottenuta la Nomination Oscar per “5 pezzi facili” (1970) e l’esordiente Keith Carradine che pur comparendo solo in una breve scena ha un ruolo importante.
La coppia di protagonisti funziona, così come il resto del cast, e la buona sceneggiatura si pone in modo quasi equidistante fra i western classici, spaghetti e revisionisti, allo stesso ben distinguendosi da tutti e tre i generi.
Con il suo volto irregolare, l’espressione stralunata e la capigliatura corvina scomposta, in alcuni momenti Johnny Cash mi ha ricordato Klaus Kinski; aggiungete il fisico massiccio, una spalla evidentemente più bassa dell'altra, lo sguardo cupo e il suo classico abbigliamento nero (suo stile anche come cantante, perciò soprannominato "The Man in Black") e capirete che ha il physique du rôle.
Pur non essendo un capolavoro, ha molti aspetti interessanti che ne giustificano un’attenta visione.
 

37 “Five minutes to Live” (Bill Karn, USA, 1961) aka “Door to door maniac” * con Johnny Cash, Donald Woods, Cay Forester  *  IMDb 5,7
Avevo scaricato questo film in quanto pubblicizzato come unico di Johnny Cash, ma è semplicemente il primo dei suoi tre ufficiali come protagonista. A chi non lo conoscesse, ricordo che è stato cantautore apprezzato in molti generi, anche abbastanza diversi fra loro, dal country (del quale è una pietra miliare) al Rockabilly, outlaw, blues, folk, gospel e Rock&Roll.
Il suo nome si trova nella Nashville Songwriters Hall of Fame (1977), Country Music Hall of Fame (1980), Rock and Roll Hall of Fame (1992), Gospel Music Hall of Fame (2010) e Memphis Music Hall of Fame (2013).
Qui interpreta uno psicopatico che tiene sotto sequestro la moglie di un funzionario di banca, mentre il suo complice tenta (sotto tale minaccia) di farsi avallare dal marito l’incasso un assegno di varie decine di migliaia di dollari. Tipo di rapina già vista e che viene riproposta in numerose varianti, ma in questo caso tutta l’attenzione è rivolta alla casa e all’attesa della telefonata. Ci sono anche vari risvolti non banali e i tempi sono ben studiati e le sorprese continuano fino alla fine. Purtroppo, i dialoghi fra i due nella casa (parte sostanziale del film) sono assolutamente pietosi e le scene ridicole, il che pesa sul giudizio complessivo del film.
Il figlio della coppia è interpretato da Ron Howard, oggi affermato regista vincitore di 2 Oscar, 7 anni all’epoca e accreditato come Ronnie Howard.
 

36 “1984” (Michael Anderson, UK, 1956) tit. it. “Nel 2000 non sorge il sole” * con Edmond O'Brien, Michael Redgrave, Jan Sterling  *  IMDb 7,1
Prima versione cinematografica, dopo quella televisiva del ’54 (protagonista Peter Cushing), del romanzo di George Orwell, pubblicato nel 1949
I più sostengono che a tutt’oggi sia ancora la migliore, sappiate comunque che ne furono realizzate due versioni, una per l’Europa e una per gli USA, con finali ben diversi e, ovviamente, solo uno è fedele al libro.
La storia è arcinota e quindi non ne parlo, ma mi preme sottolineare che è ben narrata con scenografie essenziali, minimaliste, dagli uffici ministeriali agli ambienti aperti, con geniali rappresentazioni degli schermi e telecamere spia del Grande Fratello, estremamente simili a occhi umani.
I distributori italiani sono sempre stati famosi per distinguersi nella traduzione dei titoli e in questo caso si sono superati cambiandolo totalmente, perfino l’anno è diverso ... che senso ebbe chiamarlo “Nel 2000 non sorge il sole” invece di mantenere l’originale “1984” come fu fatto in ogni altra parte del mondo???
 

35 “Revancha” (Alberto Gout, Mex, 1948) * con Ninón Sevilla, David Silva, Agustín Lara, Pedro Vargas, Toña la Negra  *  IMDb 6,3
“Revancha” precede di un paio d’anni il “capolavoro” di Alberto Gout, “Aventurera” uno dei più famosi film messicani della Epoca de Oro. Hanno vari punti in comune per essere a metà strada fra cabaretera e noir e avere la stessa protagonista Ninón Sevilla, ballerina cubana che per vari anni fu regina incontrastata del genere (da ricordare anche “Victimas del pecado”, 1951, di Emilio Fernández “El Indio”).
Tuttavia regia sceneggiatura e interpretazioni degli attori non sono paragonabili, “Revancha” viene ricordato più che altro per avere fra i coprotagonisti tre famosissimi nomi della canzone messicana: Pedro Vargas, Toña la Negra e, soprattutto, Agustín Lara (El Flaco de Oro), autore di tanti motivi conosciuti in tutto il mondo. In questo film ha un suo ruolo importante e non solo come pianista e cantante ma accompagna al piano gli altri due e Pedro Vargas canta “Piensa en mí”, riportata in auge da Pedro Almodovar come tema di “Tacones lejanos”, interpretata da Luz Cazal.
La sceneggiatura è veramente poca cosa.
 

34 “Doctor Zhivago” (Giacomo Campiotti, UK, 2002) film TV * con Keira Knightley, Sam Neill, Hans Matheson  *  IMDb 7,5
Dopo Mansfield Park, eccomi a Dr. Zhivago, non la famosa versione cinematografica di David Lean con Omar Sharif e Julie Christie, ma quella diretta dall'italiano Campiotti e trasmessa in 2 parti, per un totale di 3h45'. Rispetto al precedente “Mansfield Park”, le quasi 4 ore forniscono più spazio per descrivere meglio questa complicata storia i cui protagonisti si incontrano e si re-incontrano (oserei dire “incredibilmente”) in varie parti della Russia, nell’arco di vari decenni, a cavallo fra il periodo zarista e quelloo della rivoluzione ... ma questo probabilmente già lo sapete. Il film è molto ben realizzato ma non mi hanno convinto per niente il perennemente imbambolato Hans Matheson (Zhivago) e tantomeno la troppo smorfiosa Keira Knightley (Lara).
Il resto del cast è adeguato e fra tutti spicca Sam Neill che interpreta alla perfezione l’unico personaggio “serio” del romanzo, l’impassibile Komarovsky, farabutto dall’inizio alla fine, senza alcun tentennamento.
La scenografia, sia degli interni che degli esterni, è molto varia e ben scelta, da Mosca agli Urali, da piccoli villaggi ad ambienti naturali. Una singolare ed efficace aggiunta (ottima sia l’idea che la realizzazione) è costituita dagli inserti di filmati originali d’epoca in b/n che, attraverso una fluida dissolvenza, diventano immagini del film a colori.
Penso che non si possano - e non si debbano - fare paragoni con il film di David Lean (1965, 5 Oscar e 5 Nomination), film epico-romantico-drammatico girato con altro mezzi in altra epoca, quando oltretutto parlare della Rivoluzione Russa in modo superficiale (e quindi errato) faceva discutere e suscitava reazioni contrastanti fra quelli che non si limitavano ad apprezzare l’aspetto letterario e cinematografico dell’opera.
 

33 “Mansfield Park” (Iain B. MacDonald, UK, 2002) film TV * con Julia Joyce, Douglas Hodge, Maggie O'Neill * IMDb 6,3
Bloccato in casa da maltempo (molto relativo), ma soprattutto da uno strascico di influenza, oggi mi sciroppo due famose opere letterarie, nelle versioni televisive. Ho cominciato con Mansfield Park, romanzo di Jane Austin, del 1814.
Bella fotografia, cura nella scelta dei costumi e degli arredi interni, eccellente ambientazione nel Newby Hall e relativo parco (Skelton-on-Ure, UK), residenza costruita a cavallo fra il XVII e XVIII sec.
Purtroppo, come spesso accade, adattare un romanzo così complesso e articolato a una versione di poco più di un'ora e mezza, è sostanzialmente impossibile, neanche omettendo vari eventi come in questo caso. Il risultato è un film costruito da scene con poca continuità che oltretutto risultano quasi monotone per l’eccessivo uso di primi piani e mezzo busto (anche se penso che sia una necessità televisiva), qualche campo lungo è riservato alle riprese nei giardini, per fortuna sempre assolati ...
 

32 “Samy y Yo” (Eduardo Milewicz, Arg, 2002) aka “Un tipo corriente” tit. it. “Sottosopra” * con Ricardo Darín, Angie Cepeda, Cristina Banegas  *  IMDb 6,0
Commedia piacevole, bravo come al solito Ricardo Darín, ma certamente rende molto di più nei ruoli drammatici. Storia debole ma giustificata da una sit comedy in una commedia. Il timido e introverso Samy scrive testi per un programma televisivo di scarso successo, nella sua vita irrompe l’esplosiva Mary e, nonostante la sua ritrosia, cambia tutto.
Qualche colpo di scena, poche trovate veramente divertenti, buona presa in giro di programmi demenziali televisivi con pubblico in sala che si sganascia dalle risate al segnale convenuto.
Il film non è malvagio ma Ricardo Darín, venendo dai successi di “El hijo de la novia” (2001), “Nueve reinas” (2000) e “El mismo amor, la misma lluvia” (1999), se fosse stato in grado di scegliere (... cosa che non sappiamo) avrebbe potuto/dovuto evitarlo.
 

31 “Truhanes” (Miguel Hermoso, Spa, 1983) trad. lett. “imbroglioni, truffatori” * con Francisco Rabal, Arturo Fernández, Isabel Mestres  *  IMDb 6,5
“Truhanes” ricalca lo stile delle commedie ambientate fra (di solito piccoli) malavitosi e, pur non essendo paragonabile a quelle classiche di un paio di decenni prima, ebbe un notevole successo tanto che con lo stesso titolo e gli stessi protagonisti (l’ineffabile Francisco Rabal e Arturo Fernández) dieci anni più tardi furono prodotte 26 puntate di un serial televisivo.
L’elegante e benestante Gonzalo (Arturo Fernández), nonostante le rassicurazioni del suo avvocato, finisce in prigione e viene subito preso di mira da altri reclusi. In suo soccorso interviene Ginés (Francisco Rabal) che lo prende sotto la sua protezione e lo accoglie ufficialmente nel proprio gruppo con il patto di aiutarlo in carcere per essere poi aiutato una volta fuori (mancano pochi mesi a entrambi). Le promesse sono mantenute, ma Ginés si rivela una mina vagante che rischia di rovinare vari affari (illeciti) di Gonzalo nonché le sue tresche amorose. Due ottimi attori, affiancati da bravi caratteristi mai sopra le righe nonostante la loro apparenza (date uno sguardo alla foto dei “magnifici 5”), buona sceneggiatura dello stesso Hermoso che non scade mai nella banalità o volgarità.
Me lo sono guardato con piacere, essendo oltretutto un fan di Paco (Francisco) Rabal che tutti ricorderanno per le sue apparizioni in film di pregio come “Viridiana”, “Nazarin”, “Bella di giorno” (tutti diretti da Luis Buñuel), “L’eclisse” di Antonioni, migliore attore a Cannes 1964 in “Los santos inocentes” di Mario Camus.
 

30 “The Matador” (Richard Shepard, USA, 2005) * con Pierce Brosnan, Greg Kinnear, Hope Davis  *  IMDb 6,8 RT 75% Nomination Golden Globe per Pierce Brosnan
Al contrario degli altri 2 film del 2005 recentemente visti (“3 sepolture” e “Transamerica”) “The Matador si è rivelato una piacevole sorpresa. Si tratta di una dark comedy che segue l’evolversi di una strana amicizia fra un hit-man e un giovane uomo d’affari che deve concludere un importante contratto per non finire sul lastrico. Richard Shepard, regista e unico sceneggiatore del film, guida abilmente gli spettatori fra le paranoie e i timori di Danny (Greg Kinnear) e le bugie e la solitudine del killer Julian (Pierce Brosnan). Humor nero a più non posso nei discorsi fra i due, interrotti da assassinii portati a termine e non in ogni parte del modo. Fino all’ultimo restano molti i dubbi da chiarire.
Penso che molti, erroneamente, lo abbiano sottovalutato.
 

29 “Transamerica” (Duncan Tucker, USA, 2005) * con Felicity Huffman, Kevin Zegers, Fionnula Flanagan  *  IMDb 7,4 RT 78% * 2 Nomination Oscar
Altra delusione ... e non per il soggetto che aveva buone, ottime potenzialità, ma per il modo in cui è stato trattato. La rivelazione arriva troppo tardi e fino a quel punto tutto si basa su bugie (assolutamente inutili e controproducenti) e conseguenti equivoci. Così “Transamerica” diventa “relativamente” interessante solo nell’ultima mezz’ora, perdendo l’occasione di approfondire l’inusuale rapporto padre/madre - figlio.
Qua e là Tucker inserisce il falso perbenismo americano, le religioni, le etnie, il sesso a pagamento, la pornografia, le droghe e l’alcool che, seppur entrambi vietati ai minori, sono una nota piaga per la gioventù. Fra tutti questi excursus si parla molto poco dei veri problemi di Stanley/Bree.
Non va oltre la sufficienza, e solo per la buona interpretazione di Felicity Huffman (Nomination Oscar come protagonista) e pochi spunti degni di nota.
Anche la canzone che si ascolta sui titoli di coda “Travelin' Thru", interpretata da Dolly Parton, ottenne la Nomination

 

28 “The Three Burials of Melquiades Estrada” (Tommy Lee Jones, USA, 2005) tit. it. “Le tre sepolture” * con Tommy Lee Jones, Barry Pepper, Dwight Yoakam  *  IMDb 7,4 RT 79%
Essendomi imbattuto nel dvd di quest’opera prima di Tommy Lee Jones, che oltretutto vanta la sceneggiatura di Arriaga (Amores Perros, 21 grammi, Babel, ...) ho voluto dare una seconda chance all’attore regista. Un paio di anni fa avevo visto “The Homesman” (2014, con Hilary Swank coprotagonista) che ieri ho scoperto essere il suo secondo e unico altro da regista al quale appioppai un bel 2 su IMDb, dove continua ad avere un modesto 6,6, per essere sconclusionato, non credibile e mal diretto.
Questo “Le tre sepolture”, almeno, ha dalla sua una discreta storia di fondo ma, parimenti all’altro, è girato “con i piedi”. Per tutta la prima parte c’è un intreccio di flashback poco chiari, nel senso che se alcuni sono temporalmente posizionabili, altre scene potrebbero essersi svolte in qualunque momento. Solo verso la metà lo spettatore attento e/o curioso riuscirà a dare una cronologia agli eventi che potevano essere presentati in modo più lineare. Tommy Lee Jones, texano, sfacciatamente amante dei territori del sudovest, propone una serie di belle inquadrature, con una discreta fotografia. Il problema è che non riesce a dare alcuna continuità ed anche il più inesperto e “casalingo” degli spettatori si rende conto dell’impossibilità di passare da uno sterminato deserto alla cima di una montagna i pochi minuti per poi trovarsi di nuovo fra i cespugli e improvvisamente in un canyon!
C’è chi con un piede che incomincia a incancrenirsi a seguito di un morso di serpente corre come se niente fosse, il cadavere di Melquiades, dopo oltre una settimana, non presenta ancora accenni di rigor mortis, per non parlare del vecchio cieco che vive da solo nel deserto, liquidi che non scorrono verso il basso e tanto altro.
Sembra quasi che Jones abbia scelto le inquadrature dei suoi luoghi preferiti e le scene significative, le abbia shakerate a dovere e messe in ordine più o meno casuale, senza alcun rispetto di tempi e distanze.
In questi casi, è sempre difficile - quasi impossibile - dire quanto il regista abbia modificato la sceneggiatura, sempre che questa fosse “di ferro”. Ma Arriaga non è del tutto esente da “colpe” visto che ha partecipato al film in un ruolo secondario, quindi per un certo tempo doveva essere presente alle riprese. Comunque sia, una grande occasione persa.
Nota positiva, la testa del cadavere (che viene mostrata più volte) mi ha fatto tornare in mente un’altra famosa testa “viaggiante” (in un sacco), quella di Alfredo Garcia dell’ottimo film di Peckinpah (1974) portata a spasso dall’ineguagliabile Warren Oates. L’ho appena aggiunto alla lista di film da ri-guardare (ultima visione 2012).
 

27 “The Post” (Steven Spielberg, USA, 2017) * con Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson  *  IMDb 7,5 RT 88% * Con 6 Nomination Golden Globe (film, regia, sceneggiatura, Meryl Streep e Tom Hanks protagonisti, colonna sonora) non ha vinto niente ed è probabile che succeda lo stesso con le 2 Nomination Oscar (miglior film e Meryl Streep protagonista)
Visto poche ore dopo l’annuncio delle Nomination è inevitabile cominciare a fare qualche valutazione comparativa. Come è noto "The Post" ne ha ottenute due, una come miglior film e l'altra è andata a Meryl Streep come protagonista. Penso che rimarrà a mani vuote. Il film, seppur ben realizzato è piatto e scontato, Meryl Streep si difende ma l’età avanza, la mobilità facciale diminuisce e se ha vinto “solo” 3 Oscar facendosene sfuggire altri 17 con interpretazioni migliori di questa, non sarà questa l’occasione per arrivare a 4. Oltretutto, già dal confronto con la sola Frances McDormand (finora l’unica altra contendente vista) ne esce irrimediabilmente sconfitta.
Chiusa la parentesi Oscar, vengo al film. Tutti sanno che si tratta di uno dei più importanti fra numerosi scandali americani degli anni ’60-’70, in quanto a conseguenze superato qualche anno dopo dal famoso Watergate, al quale si fa accenno nel finale di “The Post”. Raccontando una storia ben nota, soprattutto agli americani adulti, Spielberg inizia con qualche scena in Vietnam e poi continua con una serie di riunioni di redazione, discussioni politiche e finanziarie, intervallate da un po’ di “spionaggio”, feste e infine conclude con la parte giuridica. Per i non americani e per i giovani, può risultare un po’ difficile seguire i discorsi in quanto si fanno continui rifermenti ai Presidenti dal dopoguerra fino agli anni ’70, talvolta chiamandoli per nome, al ruolo di McNamara, alla guerra in Indocina e poi al Vietnam.
Spielberg non è riuscito ad appassionarmi, porta avanti la storia con mestiere contando su molti buoni comprimari, ma le due attese star non brillano, Tom Hanks meno che mai.
Per la cronaca, chi volesse ricordare il Watergate in versione cinematografica può guardare “All the President's Men” (Alan J. Pakula, 1976, Tutti gli uomini del Presidente, Dustin Hoffman e Robert Redford, 4 Oscar e 4 Nomination)

 

26 “The Darjeeling Limited” (Wes Anderson, USA, 2007) tit. it. “Il treno per il Darjeeling“ * con Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman e brevi apparizioni di Bill Murray e Angelica Huston  *  IMDb 7,2 RT 69%  *  Leoncino d’Oro e Nomination Leone d’Oro a Venezia 2007
Singolare personaggio Wes Anderson, regista, sceneggiatore e produttore dei suoi film, poco prolifico con una media di uno ogni 3 anni, per lo più commedie quasi surreali che di solito sono ben accolte da pubblico e critica. Il più recente è stato il geniale “The Grand Budapest Hotel” (2014, 4 Oscar + 5 Nomination) e fra qualche settimana esordirà alla Berlinale il suo ultimo lavoro “Isle of Dogs” (animazione).
“The Darjeeling Limited” fa eccezione e può essere considerato uno dei suoi due flop (l’altro è “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, 2004) e personalmente l’ho trovato di livello ben lontano da altri suoi lavori, in quanto ripetitivo e privo di veri vere sorprese o colpi di scena.
Le tante disposizioni e gli “agreement” imposti ben presto stancano, le innumerevoli valige firmate e personalizzate diventano un'ossessione, i troppi primi piani dei protagonisti con sguardi più o meno inebetiti diretti in macchina (come soggettiva di un interlocutore o specchio) rendono ancora più piatte le loro interpretazioni. Nonostante i vivacissimi colori esaltati dalla fotografia nitida e contrastata, quasi sempre con gran profondità di campo, a dispetto dei ritmi indiani più o meno allegri, questa commedia raramente riesce ad essere arguta o divertente e risulta quasi noiosa pur durando poco meno di un’ora e mezza.
 

25 “Short Cuts” (Robert Altman, USA, 1993) tit. it. “America oggi“ * con Andie MacDowell, Julianne Moore, Tim Robbins, Lili Tomlin, Tom Waits, Frances McDormand, Jack Lemmon, Robert Downey Jr., Jennifer Jason Leigh, e tanti altri attori più o meno noti  *  IMDb 7,7 RT 95%  *  Nomination per miglior regia ad Altman, 4 premi a Venezia fra i quali il Leone d’Oro
Si tratta di uno dei “film corali” di Altman, con una ventina di personaggi (per lo più coppie, con o senza figli) di estrazioni ed interessi abbastanza diversi le cui vite, tuttavia, si incrociano con le altre più o meno per caso. Segue “The Player” (1992, tit. it.” I protagonisti”), altro famoso film corale che si apriva con un famoso piano sequenza di quasi 10 minuti, che ricordo migliore di “Short Cuts”. Quest’ultimo è troppo lungo (3 ore) e Altman, nonostante la tanta carne a cuocere, non riesce a riempirle in modo continuo ed avvincente. Ci sono scene (in particolare quella della confessione di Jack Lemmon al figlio o le tante telefonate erotiche) dilatate secondo me inutilmente, che nulla aggiungono al film. Non da ultimo, la maggior parte dei protagonisti sono persone poco ammirevoli (per essere gentili), quasi nessuna suscita simpatia o comprensione, e lo spettatore si può solo dispiacere di qualche morte di troppo. Non riesce ad essere una dark comedy e, nel complesso, risulta abbastanza deprimente.
Penso sia chiaro che non mi è piaciuto ... Altman ha fatto molto di meglio, anche con film di budget limitato.
 

24 “Fiddler on the roof” (Norman Jewison, USA, 1971) tit. it. “Il violinista sul tetto“ * con Topol, Norma Crane, Leonard Frey, Paul Michael Glaser, Ray Lovelock  *  IMDb  8,0  RT 82%  *  3 Oscar (fotografia, sonoro, adattamento musicale) e altre 5 Nomination per miglior film,regia, scenografia, Topol protagonista, Leonard Frey non protagonista.

Recensione nel post su Discettazioni Erranti

 

23 “Papillon” (Franklin J. Schaffner, UK, 1973) * con Steve McQueen, Dustin Hoffman, Victor Jory  *  IMDb 8,0 RT 82%
Nomination Oscar commento sonoro drammatico
Non avevo mai visto questo famoso film, ma lessi il libro di Henri Charrière vari decenni fa. Pur non ricordandone tutti i dettagli mi sono ben presto reso conto di molte differenze quasi sostanziali e non solo delle inevitabili omissioni essendo un romanzo di varie centinaia di pagine. Cercando in rete un elenco delle differenze principali ho trovato anche altre notizie che ritengo interessanti e quindi propongo.
Il testo fu scritto dall’ex-deportato Charrière (Papillon) dopo essersi stabilito in Venezuela, pubblicato e presentato come autobiografico nel 1966 ed in breve divenne un best-seller. La verità, nella sostanza accertata, è che si tratta invece di una “collezione” di storie e avventure ascoltate da suoi compagnii di prigionia, avvenute anche molti anni prima della effettivo soggiorno dell'autore nel bagno penale.
Inoltre, è quasi certo che l’idea gli venne dopo aver comprato e letto un altro romanzo pubblicato nel 1965 dalla detenuta Albertine Sarrazin, cittadina francese nata ad Algeri nel 1937, giunta in Francia da bambina e con una vita difficile e movimentata alle spalle fra reati, arresti, fuga dalla prigione e nuova detenzione. Stranamente, la “giovane ribelle” aveva tratto profitto dai suoi studi e così nel 1964, mentre in carcere e grazie alla sua buona penna, scrisse di getto le sue avventure. Appena scontata la pena propose il manoscritto ad un editore che lo approvò e dopo le dovute correzioni divenne il romanzo “L'Astragale” (molto più vicino alla realtà di “Papillon”). Albertine non riuscì a godere per molto tempo del suo improvviso successo in quanto morì nel 1967 a soli 29 durante un’operazione chirurgica mal realizzata e quindi non riuscì a vedere il primo adattamento cinematografico della sua opera, uscito nel 1968 per a regia di Guy Casaril, con Horst Buchholz e Marlène Jobert.
Stranamente la storia si è ripetuta per Papillon in quanto Charriere morì di cancro ai polmoni in Jamaica (dove si stava girando il film) un paio di mesi prima del montaggio finale. Un altro evento simile (stesso tipo di tuore) ma non immediatamente nefasto affettò la produzione poiché il famoso sceneggiatore Dalton Trumbo, che curò l’adattamento cinematografico del romanzo, fu costretto ad abbandonare il set prima della conclusione delle riprese e fu sostituito da suo figlio Christopher.
Tornando a "Papillon", la storia proposta è quasi tutta fiction, ancor più del testo originale di Charrière. Ciò non toglie che il film è ben girato e che le interpretazioni di Steve McQueen e Dustin Hoffman sono senza dubbio di primo livello.
 

22 “Les parapluies de Cherbourg” (Jacques Demy, Fra, 1964) * con Catherine Deneuve, Nino Castelnuovo, Anne Vernon  *  IMDb 7,8 RT 98%
Altro film (musical) che ha fatto epoca, ma che non avevo ancora visto. Di Jacques Demy ho apprezzato molto di più il successivo “Les demoiselles de Rochefort” (1967), di nuovo con Catherine Deneuve.
“Les parapluies de Cherbourg” si distinse dai classici musical americani dei decenni precedenti per non avere alcuna coreografia e, in effetti, nessuna canzone vera e propria, né alcun dialogo! Si tratta in pratica di un’intera sceneggiatura scritta in prosa e musicata. L’esperimento fu ben accolto dalla critica ed il film ottenne 5 Nomination Oscar (miglior film straniero, sceneggiatura originale, canzone e altri 2 per la musica) e vinse (in casa) il Grand Prix come miglior film al Festival di Cannes 1964.
Catherine Deneuve, all’epoca 19enne, era agli inizi della sua lunga carriera (ed è attivissima ancora oggi considerati i tre film del 2017 ed i due già in post-production che usciranno a breve) ma è grazie a questo film che divenne una “diva” e fu presto chiamata ad interpretare ruoli di rilievo, diretta da registi famosi. Per esempio “Repulsion” (1965) di Polanski, “Belle de jour” (1967) e “Tristana” (1970) entrambi di Buñuel.
 

21 “El puerto de los siete vicios” (Eduardo Ugarte, Mex, 1951) * con Miroslava, Ernesto Alonso, Rodolfo Acosta  *  IMDb 6,2
Aveva attirato la mia attenzione l’interessante trio di protagonisti, con una diva dell’epoca (Miroslava, profuga cecoslovacca) che interpreta un’artista di night contesa da due malviventi impersonati da attori non di primissimo piano ma certamente ben noti come Rodolfo Acosta (quasi sempre un cattivo anche se non al livello di Carlos López Moctezuma) e Ernesto Alonso.
Film semplice ed essenziale, appena sufficiente nel suo genere, ma lontano dai livelli delle buone pellicole della Epoca de Oro. Dopo una prima parte nella media con qualche spunto originale, si perde completamente nella parte conclusiva, mal pensata e mal filmata.
Continueremo a ricordare Miroslava per il suo ultimo e più famoso film, diretto da Luis Buñuel e di nuovo al fianco di Ernesto Alonso, “Ensayo de un crimen” (aka “La vida criminal de Archibaldo de la Cruz”, tit. it.”Estasi di un delitto, 1953) e non certo per questo “El puerto de los siete vicios”.
 

20 “Darkest Hour” (Joe Wright, UK, 2017) tit. it. “L’ora più buia“ * con Gary Oldman, Lily James, Kristin Scott Thomas  *  IMDb 7,1 RT 85%
Gary Oldman ha dichiarato che interpretare Churchill è stato il lavoro più gravoso della sua già lunga e apprezzata carriera (una sessantina di film in 35 anni). Per la sua ottima interpretazione (quasi certa la Nomination) si è dato molto da fare per replicare la parlata a tratti quasi farfugliata di Churchill e ha potuto contare su un lavoro di trucco che senz'altro sarà preso in considerazione per le Nomination (martedì prossimo). Al contrario nelle categorie miglior film e miglior regia al massimo può ottenere una candidatura.
Il regista Joe Wright mi aveva soddisfatto molto di più per l’ottimo ”Atonement” (2007, 1 Oscar e 6 Nomination).
La trama, pur essendo nota e scontata, ci fa conoscere numerosi risvolti politici della vicenda narrata, a cavallo fra maggio e giugno 1940, e vari personaggi che, anche se cinematograficamente possono essere definiti secondari, certo hanno avuto il loro peso storico.
Del film non mi è piaciuta la continua alternanza fra accurata narrazione storica (molto di quanto si sente è replicato alla lettera dai discorsi di Churchill e sono riprese anche varie sua famose frasi, battute, aforismi) e vita familiare e sociale. Se è giusto mostrare anche il lato umano dello statista, nella maggior parte dei casi si scade troppo verso il caricaturale o, all’opposto, l’emblematico ... come la scena nella metropolitana veramente insoddisfacente, al limite del ridicolo.
Lo definirei un altro biopic che si regge soprattutto su un’interpretazione magistrale (ma bravi anche i comprimari), poco sulla storia e ancor meno sulla messa in scena cinematografica.
 

19 “Le Tout Nouveau testament” (Jaco Van Dormael, Bel, 2015) tit. it. “Dio esiste e vive a Bruxelles“ * con Pili Groyne, Benoît Poelvoorde, Catherine Deneuve *   IMDb 7,1 RT 83%
Dopo i tanti commenti quasi entusiasti ascoltati un paio di anni fa, pensavo di essermi perso un ottimo film ben presto scomparso dalla circolazione. Ieri l’ho visto e mi ha abbastanza deluso. A fronte di alcune idee divertenti, altre molto originali e altre ancora che possono offrire spunti di riflessione filosofica (prima fra tutte quella delle reazioni delle persone che conoscono la data della propria morte) ho trovato “Le Tout Nouveau testament” mal sviluppato, lento e in molte azioni ripetitivo. Inoltre rimango con un dubbio a proposito dei “Fish Burger” preparati con balene spiaggiate (quindi carne non pesce): c’era un senso recondito che non ho colto o hanno preso una cantonata colossale?
Nel complesso non mi ha per niente convinto però, parlando di un Dio umanizzato e dei suoi rapporti non solo con il mondo reale ma anche con la sua famiglia, mi ha fatto tornare in mente “Así en el cielo como en la tierra” di José Luis Cuerda (1995) di tutt’altro tono a mio parere molto più arguto e divertente, ottimamente interpretato da Francisco Rabal, Fernando Fernán Gómez, Luis Ciges e tanti altri ottimi attori navigati.
Se ne voleste guardare uno, ovviamente consiglio il secondo.
 

18 “The Card” (Ronald Neame, UK, 1952) tit. it. “Asso pigliatutto“, negli USA “The Promoter” * con Alec Guinness, Glynis Johns, Valerie Hobson  *  IMDb 7,2  *  Nomination Oscar per il sonoro
Molto più semplice, “ingenua” e originale commedia di quella appena vista (Colazione da Tiffany) ambientata nell’Inghilterra di inizio ‘900 e interpretata da un giovane Alec Guinness. Serafico ed estremamente intraprendente, addirittura audace sia nel campo dell’imprenditoria che nella vita sociale, dall’essere semplicemente additato (e sbeffeggiato) come figlio di una lavandaia, grazie alla sua arguzia, sfrontatezza, audacia e fiuto per gli affari riuscirà a raggiungere traguardi inimmaginabili, forte dell’apprezzamento di tutti i suoi concittadini.
Ronald Neame, in questo caso regista, è stato un cineasta poliedrico avendo avuto successo anche come sceneggiatore (2 Nomination Oscar), direttore della fotografia, responsabile degli effetti speciali (1 Nomination Oscar). Ha collaborato spesso con l’ottimo regista e sceneggiatore David Lean (Lawrence d’Arabia, Breve incontro, Il ponte sul fiume Kwai, Dr. Zhivago, ...) e Alec Guinness.
 

17 “Breakfast at Tiffany's” (Blake Edwards, USA, 1961) tit. it. “Colazione da Tiffany“ * con Audrey Hepburn, George Peppard, Patricia Neal *  IMDb 7,7 RT 88%  *  2 Oscar (miglior canzone "Moon River" e miglior colonna sonora) e 3 Nomination (Audrey Hepburn protagonista, sceneggiatura adattata, scenografia)
Questa commedia di Blake Edwards non l’avevo ancora vista e quasi mi pento di averlo fatto.
Troppo insensata, ripetitiva e quasi triste, niente a che vedere con altre sue commedie un po’ più argute, varie, allegre e movimentate come “The Pink Panther” (La pantera rosa) o “The Party” (Hollywood Party) delle quali è stato anche sceneggiatore.
Il soggetto del film è tratto da un racconto di Truman Capote che, come era lecito aspettarsi (sono andato a controllare nutrendo forti sospetti), descrive i due personaggi principali in tutt’altro modo e perfino il finale è differente.
Film senza dubbio sopravvalutato.
 

16 “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” (Martin McDonagh, USA, 2017) tit. it. “Tre manifesti a Ebbing, Missouri“ * con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell   *  IMDb 8,3 RT 94%

Questo film con la struttura quasi da classico western non è un altro vengeance thriller. Per alcuni versi è solo richiesta di giustizia, da ottenere possibilmente in modo legale e pacifico ma se non si vedono i risultati ... a qualunque costo. Ciò implica che i “buoni” possono diventare abbastanza “cattivi” (fatto molto comune e gli esempi non mancano di certo, nei film e nella realtà) ma è altrettanto vero che qualche “cattivo” possa prendere coscienza della propria cattiva condotta.
Su questa falsariga Martin McDonagh propone i propri personaggi sotto diverse luci, li descrive e li analizza per aspetti molto diversi, anche i più acrimoniosi e predisposti alla violenza (quasi) gratuita hanno i loro ripensamenti e quelli più tranquilli sono capaci di provare astio e desiderare vendetta.
Colpisce la calma “olimpica” con la quale Mildred (Frances McDormand) affronta le varie persone con le quali si scontra o che la minacciano, per poi passare cinicamente a reazioni “chirurgiche” (scena memorabile, molti vorrebbero essere al posto suo, sebbene per altri motivi ...) e di estrema violenza.
Alla ottima Frances McDormand (non si scopre niente di nuovo), si affiancano molti altri professionisti senza precedenti memorabili ma qui molto "in vena" (ricompare anche il “piccolo uomo” Peter Dinklage che ebbe un importante ruolo in “In Bruges”)... sarà anche questo un merito di McDonagh? Questi si dimostra ancora una volta bravo non solo nella sceneggiatura, ma pure nella direzione non solo nella conduzione degli attori ma anche con lenti, talvolta impercettibili, eppure efficaci movimenti di camera e più che buone ambientazioni, interne ed esterne.
In “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” i dialoghi sono pochi ed essenziali, i commenti taglienti seppur di pochissime parole, le battute lapidarie, gli attori "recitano" con espressioni facciali e atteggiamenti anche quando non parlano. Ciò dovrebbe essere di insegnamento per Aaron Sorkin: il numero di parole e la velocità dei dialoghi non sono necessariamente proporzionali alla qualità di un film.
Resto in attesa di guardare altri più che probabili candidati alle ormai prossime Nomination Oscar (mancano 10 giorni), necessariamente “The Shape of Water”, “The Florida Project” e “Lady Bird”, sui quali conto molto, prima di esprimere le mie valutazioni-speranze.
Guillermo del Toro (da tutti dato come probabile vincitore di statuette) dovrà faticare molto per farmi preferire il suo film a “Three Billboards ...”, avendo l'handicap (per i miei gusti) di contrapporre un fantasy ad un film drammatico con “deliziose venature" di humor nero.
Per la cronaca, e soprattutto per chi non avesse mai sentito parlare di Martin McDonagh, aggiungo che è stato sceneggiatore e regista dei suoi soli tre film, il primo dei quali è l’ottima dark comedy (in questo caso europea) "In Bruges" (2008), con Colin Farrell, Brendan Gleeson e Ralph Fiennes.
Non vi perdete “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” (possibilmente in v.o., è un peccato perdersi le voci originali che, con le loro varie cadenze, svelano molto dei personaggi) e, se non l’avete ancora visto, recuperate "In Bruges" (Nomination Oscar 2009 a Martin McDonagh per la migliore sceneggiatura originale).
 

15 “The Foreigner” (Martin Campbell, UK, 2017) * con Jackie Chan, Pierce Brosnan, Katie Leung, Rufus Jones  *  IMDb 7,1 RT 62%
Questo film, guardato quasi per caso in attesa degli altri due estrenos della settimana in versione originale (solo sabato e martedì), ha confermato le recensioni medie, anzi per alcuni aspetti si è rivelato addirittura migliore. Un discreto “vengeance thriller”, originale e di buon ritmo, con una strana coppia di antagonisti: Pierce Brosnan e Jackie Chan (anche produttore del film).
Al di là della normale poca plausibilità di gran parte degli eventi (ma sono pochissimi i thriller d’azione che si salvano) “The Foreigner” ha il gran merito di essere essenziale, quasi minimalista, con la durata di ciascuno scontro ridotta all’osso, senza alcuna ridicola scena madre e, forse, con meno sangue del necessario. La quasi partita a scacchi fra Jackie Chan e Pierce Brosnan (un ex terrorista dell'IRA, ora ministro in Irlanda del Nord) riserva sorprese e colpi di scena a ritmo serrato, anche se mi restano dei grossi dubbi sulla tempistica di due eventi fondamentali che ovviamente non cito (sarebbe uno spoilerONE).
Tutti i personaggi mi sono piaciuti in quanto, al contrario di quanto si vede spesso, parlano poco e agiscono più o meno logicamente e, soprattutto, cinicamente ... senza guardare in faccia a nessuno.
La presenza di Chan garantisce un po' di arti marziali, ma con molta moderazione, poi c'è un po' di Rambo, un po’ di Charles Bronson nei panni del “giustiziere della notte”, un po' di Tarantino (ma come dicevo senza fiumi di sangue) e il finale mi ha ricordato un ottimo film indiano del 2008, attualmente al 200° posto fra i migliori film di sempre nella classifica IMDb (ne taccio il titolo anche se penso che nessuno lo abbia visto, ma ho fornito ai curiosi gli indizi per trovarlo) che con “The Foreigner” ha anche vari altri punti in comune come le bombe e un "uomo comune" come protagonista.
Il più noto film diretto da Martin Campbell è “Casino Royale” (2006, con Daniel Craig nei panni di James Bond)
Al momento "The Foreigner" non è ancora annunciato in Italia.
Nel suo genere, è nettamente sopra la media con un buon intreccio di storie e discrete interpretazioni.
 

14 “Changeling ” (Clint Eastwood, USA, 2008) tit. it. “Changeling - Una storia vera“ * con Angelina Jolie, John Malkovich, Jeffrey Donovan, Colm Feore, Amy Ryan *  IMDb 7,8 RT 62%  *  3 Nomination Oscar (Angelina Jolie protagonista, fotografia e scenografia)
Film che mi ero perso e non conoscevo neanche di nome ... nella filmografia di Eastwood regista si situa fra 2 film nettamente superiori: “Letters from Iwo Jima” (battaglie nel Pacifico della WWII ) e Gran Torino (al 157° posto fra i migliori film di sempre nella classifica IMDb).
Storia drammaticamente vera, tuttavia troppo ripetitiva e un po’ confusa nell’adattamento. Anche le interpretazioni, nonostante la Nomination ottenuta da Angelina Jolie, mi sono sembrate poco convincenti, tranne che per il solito John Malkovich, una garanzia.
Non certo fra i migliori film diretti da Clint Eastwood.
 

13 “Encore” (Harold French, Pat Jackson, Anthony Pelissier, UK-USA, 1951) tit. it. “Gigolò e gigolette “ * con Nigel Patrick, Roland Culver, Alison Leggatt  *  IMDb 7,0
Ultimo film della trilogia di racconti di Somerset Maugham, dopo “Quartet (1948) e “Trio” (1950), anche questo comprendente soli tre racconti ("The Ant and the Grasshopper", “Winter Cruise” e "Gigolo and Gigolette", che ha fornito il titolo per la versione italiana), con diversi registi, alla pari degli interpreti, tutti ottimi professionisti. Anche l’assortimento mi è sembrato molto ben bilanciato con il primo, ambientato a Londra, che narra dei difficili rapporti fra due fratelli, uno ricco e stimato professionista e l’altro dissoluto e spendaccione; il secondo si svolge tutto su una nave da carico, di quelle che una volta attraversavano gli oceani trasportando anche un numero limitato di passeggeri, con una fantastica Kay Walsh nei panni della sorprendente Miss Molly Reid (non giovanissima e molto sui generis) che ad un certo punto si troverà ad essere l’unica passeggera; nell’ultimo Maugham ci porta invece in un Gran Hotel della Costa Azzura, fra jet set e spettacoli.
Anche questo mi ha assolutamente soddisfatto.
 

12 “Trio” (Ken Annakin - Harold French, UK, 1950) * con Jean Simmons, James Hayter, Kathleen Harrison, Felix Aylmer  *  IMDb 7,3
Dopo il successo ottenuto con “Quartet” (1948, visto e recensito pochi giorni fa) fu prodotto “Trio”, ovviamente con tre soli racconti di Somerset Maugham il quale, di nuovo, compare in prima persona all’inizio del film per introdurre "The Verger", "Mr. Know-All" e "The Sanatorium", arguti e con finali a sorpresa come dovrebbero essere tutte le short stories. Da quando lessi “Of Human Bondage” (1915) varie decine di anni fa, sono diventato un estimatore di questo scrittore e commediografo inglese (1874-1965) che descrive in modo affascinate storie ambientate in ogni parte del mondo con stile essenziale, cinico, critico e umoristico allo stesso tempo, conseguenza del suo estensivo viaggiare e profonda conoscenza della natura umana.
Anche i tre racconti scelti per “Trio” non deludono certo le aspettative, contando oltretutto su ottimi attori e caratteristi e su registi capaci di descrivere e gestire in poche decine di minuti eventi e personaggi.
 

11 “The Greatest Showman” (Michael Gracey, USA, 2017) * con Hugh Jackman, Michelle Williams, Zac Efron  *  IMDb 8,0 e RT 90%
Poche parole per questo film che mi ha deluso, oltre le mie già scarse aspettative. Un “musical” con troppe canzoni (per lo più lamentose, quasi parlate, a volte sussurrate), non più di un paio parvenze di coreografie, colorato quasi come un film d’animazione per bambini. Pesano i trascorsi di Michael Gracey, al debutto come regista, che per 20 anni ha lavorato nel settore dei video musicali, pubblicità, animazione ed effetti speciali.
Probabilmente è questa parte “spettacolare” che ha portato agli alti rating che contano sul pubblico (IMDb 8,0 e RT 90% ... sottolineo “pubblico”). Di parere completamente opposto i critici e quelli che si interessano di cinema - con i quali concordo - RT 56%, ma solo 37% fra i Top Critics, Metascore 48.
Infine, da poco esperto di musica mi permetto di sollevare dubbi sulla plausibilità delle performance canore di Rebecca Ferguson/Jenny Lind che mi sono sembrate alquanto anacronistiche per essere di metà ‘800.
Hugh Jackman e Michelle Williams non verranno certo ricordati per questo film!

 

10 “Molly’s Game” (Aaron Sorkin, USA, 2017) * con Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner * IMDb 7,7 RT 82%
Andando a guardare “Molly’s Game” contavo molto sulla interpretazione di Jessica Chastain - recentemente apprezzata in “Miss Sloane” (2016, sottovalutato da molti) ma meno per “The Zookeeper's Wife” (2017), in passato Nomination Oscar per “Zero Dark Thirty” (2012, protagonista) “The Help” (2011, non protagonista) - ma temevo la logorrea di Aaron Sorkin (Oscar per la sceneggiatura di "The Social Network", Nomination “Moneyball”, l’ultimo suo film era stato il molto discusso “Steve Jobs”) e il suo esordio come regista. Purtroppo, tirando le somme il timore è divenuto realtà e il film si regge solo sulla prova della Chastain, con l’appoggio di un bravo Idris Elba il quale però ricopre un ruolo limitato e secondario.
Il film poteva - e avrebbe dovuto - restare sotto le due ore, ma soprattutto Sorkin dovrebbe dimezzare il numero di parole delle sue sceneggiature. In questo film in particolare, ci sono lunghe sequenze con immagini che scorrono rapidamente, alle quali si sovrappone la voce di Jessica Chastain (chi la doppierà in italiano avrà una grande responsabilità) che declama a ritmo sostenuto e quasi senza pause intere pagine del libro/sceneggiatura. Inoltre, in alcune parti, per esempio l’inizio di tema sciistico ed alcune scene relative al poker, allo spettatore vengono forniti una serie di dettagli tecnici e cifre (pendenza, lunghezza pista, classifiche e poi termini di gergo pokeristico, chi è chi, quanto guadagna e di cosa si occupa, ecc.) che ben poco hanno a che vedere con il nocciolo della storia narrata nel film. Al contrario vengono trattati molto brevemente - e superficialmente - i rapporti familiari che tuttavia hanno influito sulla personalità e sulle scelte della protagonista.
Nel complesso la vedo come un’occasione perduta in quanto Molly Bloom è stata veramente un personaggio fuori del comune, con trascorsi molto peculiari e di genere molto vari, che l’hanno portata a venire a contatto con persone singolari ... tutto narrato dettagliatamente nel suo libro autobiografico, poi adattato (male) da Sorkin per il grande schermo.
“Molly’s Game” ha ottenuto 2 Nomination Golden Globe, una per la Chastain e una per Aaron Sorkin, ma per la sceneggiatura e non per la regia, per lo stesso motivo candidato anche ai BAFTA.
Jessica Chastain viene indicata come prima delle outsider per le Nomination Oscar come miglior attrice protagonista dopo le 5 favorite Sally Hawkins (“The Shape of Water”), Frances McDormand (“Three Billboards Outside of Ebbing, Missouri”), Margot Robbie (“I, Tonya”), Saoirse Ronan (“Lady Bird”), Meryl Streep (“The Post”). Anche per Sorkin si prevede una Nomination, di nuovo per sceneggiatura adattata e non per la regia.
Pare che Molly Bloom abbia insistito affinché fosse Jessica Chastain ad impersonarla in questo film.
Mi sono appena imbattuto in questo sagace commento (che condivido):
It's tempting to think of "Molly's Game" in poker terms: Sorkin's holding a queen, a king, and at least a couple of aces, but the tell is that he talks too much, and in the end you realize he's bluffing.
(Ty Burr, del Boston Globe).
Non penso che questo film avrà grande successo, ma probabilmente (restando nell’ambito delle recenti sceneggiature di Sorkin) farà meglio di Steve Jobs ... magra consolazione.
 

9 “Un sac de billes” (Christian Duguay, Fra, 2017) tit. it. “Un sacchetto di biglie “* con Dorian Le Clech, Batyste Fleurial, Patrick Bruel  *  IMDb 7,3
Christian Duguay (canadese francofono, del Quebec) riprende la storia dei fratelli Joffo, narrata in prima persona dal minore (Joseph) nell’omonimo romanzo autobiografico (1973), già adattata per il cinema nella versione del 1975 diretta da Jacques Doillon. Il risultato è molto deludente, dalla sceneggiatura, alla recitazione, alla messa in scena. I due giovani appaiono come due sprovveduti (seppur con tutte le giustificazioni dell’età) con una fortuna sfacciata. Nel complesso, se il film fosse veramente fedele al libro (cosa che non so) sorge il dubbio che Joffo descrivendo gli eventi 30 anni dopo li abbia abbastanza “romanzati”.
Per favorire la fotografia sono state utilizzate luci assolutamente fuori della realtà e, al di là dell’implicazione diretta dei ragazzi, vari avvenimenti sono presentati in modo molto poco credibile.
Evitabile, non lo consiglio.
 

8 “Quartet” (Michael Mann, UK, 1948) tit. it. “Passioni” (sic!) * con Basil Radford, Dirk Bogarde, Ian Fleming, Naunton Wayne  *  IMDb 7,4
Quattro racconti di W. Somerset Maugham, adattati da R.C. Sherriff e diretti da Ken Annakin ("The Colonel's Lady"), Arthur Crabtree ("The Kite"), Harold French ("The Alien Corn"), Ralph Smart ("The Facts of Life").
Il prolifico autore, i cui scritti hanno fornito i soggetti di oltre 150 film fra cinema e televisione, compare in prima persona all’inizio a alla fine del film commentando brevemente l’origine dei suoi scritti.
Arguto come sempre, Maugham propone ambienti prettamente inglesi, a volte quasi teatrali. Gli ottimi gli interpreti (fra i quali un giovane Dirk Bogarde, al suo secondo ruolo ufficiale) e le più che buone le regie fanno passare piacevolmente le due ore esatte del film.
 

7 “The Insider” (Michael Mann, USA, 200x) tit. it. “Dietro la verità “ * con Russell Crowe, Al Pacino, Christopher Plummer, Gina Gershon  *  IMDb 7,9 RT 98%  *  7 Nomination Oscar (miglior film, regia, Russell Crowe protagonista, sceneggiatura, fotografia, montaggio, sonoro), ma non ne vinse nessuno ...
Nonostante le due ore e mezza di durata e l’handicap di una storia dalla conclusione nota a molti spettatori, Michael Mann riesce a mantenere la tensione sempre alta, con tanti cambiamenti di ambiente e punti di vista diversi. La storia è quella, ben conosciuta in quanto vera, della famosa "rivelazione" della manipolazione del tabacco da parte delle sette maggiori aziende americane produttrici di sigarette, per indurre i fumatori alla dipendenza, come una droga.
Christopher Plummer, seppur in una parte abbastanza limitata, non sfigura assolutamente al lato dei due "divi" prim'attori e forse li sovrasta (almeno Al Pacino) con una interpretazione superba.
Questo ottimo film, che all'uscita mi ero perso, mi ha ricordato tanto “Spotlight” per la difficile indagine giornalistica contro nemici potenti, ma l'ho trovato di gran lunga migliore, molto più articolato e per sua “fortuna” non ridotto a lunghissimi dialoghi fra giornalisti, anche se sarebbe meglio dire abilità di Eric Roth e lo stesso Michael Mann che adattarono per il cinema l’articolo di Marie Brenner's pubblicato su Vanity Fair con il titolo "The Man Who Knew Too Much" (citazione cinematografica visto che è anche il titolo di 2 film di Hitchcock, 1934 e 1956).
 

6 “El milagro de P. Tinto” (Javier Fesser, USA, 1998) * con Luis Ciges, Janusz Ziemniak, Pablo Pinedo  *   IMDb 7,2
Mi è capitato fra le mani il dvd e ho colto l’occasione al volo, nonostante avessi visto questa originalissima commedia semi-demenziale, eppure arguta, piena di dark humor e, soprattutto, surrealismo appena un paio di anni. La prima visione mi era “capitata” in volo e quindi, sul piccolissimo schermo, avevo potuto apprezzare solo parte delle tante scritte e dettagli, nessuno dei quali casuali.
In breve, e senza spoiler, la trama tratta di una longeva coppia molto particolare seguendola dai tempi delle elementari fino ad età molto avanzata. Con la loro storia si intrecciano quelle di tanti altri personaggi che sembrano non invecchiare mai, persone in fuga da manicomi, extraterrestri, e via discorrendo, il tutto in modo quasi romantico nonostante il gran numero di incidenti e morti violente.
Le riprese variano dal bianco e nero dei flashback e della prima parte in un non meglio identificato paese dell’est Europa (almeno a giudicare dal singolare idioma, sottotitolato anche se essendo fasullo è in gran parte comprensibile) ai colori sparati, brillanti e molto contrastati in pieno stile pubblicitario del quale Fesser è un esperto essendo un apprezzato regista in tale campo, con alle spalle centinaia di spot prodotti per aziende spagnole e straniere di primo livello.
Tranne un rallentamento nella parte centrale, il film è un susseguirsi di eventi geniali, mai tirati troppo per le lunghe, qualcuno ripetuto a mo’ di tormentone, ma sempre i situazioni diverse. Non da ultimo, si deve apprezzare la composizione del cast nel quale, fra fisionomia e trucco, non c’è una sola persona “comune” o volto “banale”. (date uno sguardo alle foto).
Colgo l’occasione per ricordare altri due eccellenti film spagnoli di José Luis Cuerda (e con Luis Ciges) pieni di umorismo dissacratore e surrealismo: “Amanece que no es poco” (1989) e “Así en el cielo como en la tierra” (1995).
Consiglio decisamente la visione di tutti e tre fra i quali non saprei scegliere il migliore essendo di generi completamente diversi pur avendo un solido punto in comune: uno straordinario umorismo surreale.
PS - uno dei protagonisti va in giro con una bombola di gas (foto centrale del collage di 9), come nel precedente corto di Fesser. In entrambe i casi quelle scene mi ricordano tanto Javier Barbem in "No Country for Old Men" (2007)

 

5 “Glen or Glenda” (Edward D. Wood Jr., USA, 1953) * con Edward D. Wood Jr., Bela Lugosi, Lyle Talbot  *  IMDb 4,2
Primo dei film più famosi del “famigerato” Ed Wood (“il peggior regista di tutti i tempi”) e, nonostante fra i 5 abbia il rating migliore, è pressoché improponibile. Questo è uno dei vari nei quali compare Bela Lugosi, famoso per i suoi tanti ruoli horror-terror, che alla fine di un’onorata carriera stranamente si “associò” a Ed Wood. Per scoprirne le ragioni potrebbe essere utile guardare il film di Tim Burton “Ed Wood” (1994) nel quale Lugosi (interpretato da Martin Landau che nell’occasione vinse addirittura l’Oscar) ha un ruolo importante.
“Glen or Glenda” viaggia a metà strada fra una parvenza di documentario sul cambio di sesso e la storia di una coppia con un lui che ama vestirsi da donna (esattamente come era Ed Wood nella realtà) e una lei molto comprensiva. Tuttavia, nonostante i soli 68 minuti di durata, il film appare “vuoto”, con insensate colloqui con uno psicologo, scene (per fortuna mute) ripetute e tirate per le lunghe, un uso ignobile di dissolvenze e doppie esposizioni, per non parlare delle interpretazioni ... ridicola anche quella di Bela Lugosi con la sua lenta declamazione caricata con forte accento.
Avevo anticipato la mia intenzione di guardare questi film dopo aver visto qualche giorno fa “The Disaster Artist” che trattava di Tommy Wiseau, regista del “peggior film di tutti i tempi”: “The Room” (1993). Penso che per avere una scala completa di valori, anche se logicamente si tende a scegliere il meglio, ogni tanto si debba anche andare a scavare fra il peggio per cercarne il limite inferiore. Ma il proverbio (e i proverbi raramente sbagliano) dice: “Al peggio non c’è mai fine”.
 

4 “Junior Bonner” (Sam Peckinpah, USA, 1972) tit. it. “L'ultimo buscadero“ * con Steve McQueen, Robert Preston, Ida Lupino, Ben Johnson  *  IMDb 6,8 RT 89%
Più che un film vero e proprio, sembra quasi un documentario sul mondo dei rodeo nel sudovest americano. Dall'accoppiata Sam Peckinpah - Steve McQueen, oltretutto con la compresenza di Ben Johnson e Ida Lupino, sarebbe stato lecito aspettarsi molto di più ... qui sembra assolutamente sprecata.
Non che sia un brutto film, ma la storia è in sostanza poco interessante, scialba, scontata e poco articolata, ad occhio direi che per almeno la metà della durata del film si assiste alle prove di abilità classiche dei rodei, un po’ di “dietro le quinte” e qualche scazzottata. Il tempo dedicato ai difficili rapporti fra Junior (Steve McQueen) e i suoi familiari (padre, madre e fratello) sono poco approfonditi pur costituendo la sostanza della (esile) trama.
Guadagna la sufficienza solo per contare su buoni attori, per il resto è evitabile. Visto per “devozione” a Penckinpah ...
 

3 “The Disaster Artist” (James Franco, USA, 2017)  con James Franco, Dave Franco, Ari Graynor, Seth Rogen  *  IMDb 8,0 RottenTomatoes 92% (top critics 88%)

Recensione nel post su Discettazioni Erranti

 

2 “F for Fake” (Orson Welles, Fra/Iran/Ger, 1973) tit. it. “Verità e menzogne“ * Film-documentario su falsari, frodi, bugie e finzione in genere, diretto e narrato da Orson Welles, con Elmyr de Hory, Clifford Irving, Oja Kodar  *   IMDb 7,8 RT 88%
Geniale documentario, con tanta presenza di Orson Welles che con il suo sorriso sornione e con l’immancabile sigaro fra le labbra, spesso guardandolo direttamente negli occhi (in camera), insinua nella mente dello spettatore tanti dubbi e perplessità in merito a ciò che è vero e ciò che non lo è ... forse.
Nella parte centrale si parla (e si mostra) molto Elmyr de Hory, forse il più famoso falsario d’arte mai esistito; mai troppo avido si divertiva e “godeva” nel prendere in giro i più grandi “esperti” e direttori di musei che non riuscivano a riconoscere i suoi “veri falsi”. Sue opere sono tuttora esposte (con il nome del presunto autore) in vari importanti musei. I suoi dipinti originali (nel senso creati da lui) non sono mai stati apprezzati.
Singolare un aneddoto su Picasso (una delle sue “vittime” preferite, insieme con Modigliani) il quale dopo aver eseguito vari disegni, li distrusse. Ad uno dei presenti che si meravigliava del fatto disse: “Che importa, erano falsi!” e quando questi replicò “Ma ti ho appena visto disegnarli ...” e Picasso concluse “Anche io posso disegnare falsi Picasso”.
Ovviamente si parla anche della finzione cinematografica e quella radiofonica che rese famoso lo stesso Welles: “War of the Worlds” (La guerra dei mondi).
Ottimo ed originale il montaggio, così come le numerose riprese nelle quali la nera silhouette di Welles avvolto in un mantello e con cappello a tesa larga si muove in un ambiente luminoso, mentre si continua ad ascoltare la sua eccellente narrazione.
 

1 “Mr Arkadin” (Orson Welles, Fra-Spa-Svi, 1955) tit. it. “Rapporto confidenziale“ * con Orson Welles, Robert Arden, Paola Mori, Patricia Medina  *  IMDb 7,4 RT 83%
Ottimo inizio di un nuovo anno cinefilo con un altro film di Orson Welles (anche se non del tutto ...), questo anche interpretato da lui a differenza di “The Magnificent Ambersons” (con il quale ho chiuso il 2017) del quale era solo regista e sceneggiatore.
Visto che è fra i meno conosciuti, seppur secondo me eccellente, è bene chiarire alcuni punti.
Di “Mr Arkadin” NON ESISTE ALCUN DIRECTOR’S CUT.
Lo stesso Welles raccontava a Peter Bogdanovich di non aver mai deciso come iniziare il film, né come concluderlo. La versione che ho visto, e che raccomando, è quella Criterion, montata nel 2006 a cura di due “giovani” cineasti (Claude Bertemes, Cineteca di Lussemburgo, e Stefan Drössler, Munich Film Museum), con la collaborazione di Jonathan Rosenbaum e Peter Bogdanovich (prima che regista, storico e critico cinematografico). Il dvd contiene molti extra fra i quali un documentario di una ventina di minuti nel quale vengono spiegati chiaramente i criteri secondo i quali è stato ri-montato il film dopo aver analizzato le 5 diverse versioni conosciute, includendo tutte le scene e battute che compaiono in almeno una di esse (e quindi diventando la più lunga con 106’ contro i nemmeno 100’ delle altre) e quanto più possibile vicino alle idee (accertate) di Welles.
Il film si compone per lo più di eventi separati (ambientati in una serie di luoghi ben distinti quali Napoli, Parigi, Londra, Amsterdam, Monaco, Costa Azzurra, Svizzera, numerose località spagnole e, fuori Europa, a Tangeri e in Messico) e gli avvenimenti sono stati proposti talvolta in ordine diverso. Il “marchio di fabbrica” di Welles, le riprese dal basso, qui diventano spesso quasi verticali e ce ne sono anche dall’alto verso il basso, i suoi primi piani grazie non solo alla sua indiscussa bravura di attore, ma anche al lavoro del direttore della fotografia Jean Bourgoin (Oscar per il b/n nel 1963, “The Longest Day) sono davvero inquietanti e rendono alla perfezione il personaggio nel gioco di gatto con il topo. L’uso delle luci e delle ombre come nelle scene iniziali nelle quali un uomo corre ma la sua ombra resta proiettata sulla stessa limitata superficie, dei tanti sguardi diretti nell’obiettivo e delle tante inquadrature con orizzonte inclinato sono senz’altro originali e talvolta innovativi. Ottima anche la colonna sonora che spazia dai tanti pezzi spagnoleggianti a “Stille Nacht”, i tanti brevissimi aneddoti inseriti qui e là con sottili riferimenti al rapporto fra Arkadin e Guy Van Stratten, e le scene “di massa” della processione dei penitenti e della festa in maschera.
Leggendo qui e là e ascoltando le dichiarazioni di Bogdanovich, si viene a sapere che perfino inizio e conclusione del film sono stati proposti in modo diverso. Io ho solo il dvd della versione 2006, ma so che esiste un cofanetto che, oltre a questo, comprende la versione "Corinth" e quella "Confidential Report", il libro a vari ulteriori extra.
In questa versione omnicomprensiva di “Mr Arkadin” del 2006, di 50 anni successiva alla prima uscita, pur non essendo attribuibile al 100% all’autore, c’è tanto del genio dell’ineffabile attore - soggettista - sceneggiatore - regista Orson Welles.
Il film è del “periodo europeo”, successivo al primo americano (fino al 1948) conclusosi a causa dei pessimi rapporti con le case di produzione e i non eccellenti risultati al botteghino (anche se i film furono molto ben accolti dalla critica) ... praticamente bandito da Hollywood come regista.
Nei prossimi giorni guarderò anche “F for Fake” (1973), film-documentario su falsari, frodi, bugie e finzione in genere, diretto e narrato da Orson Welles.

Per informazioni generiche, tecniche e recensioni  dei film consiglio di consultare i seguenti siti:

IMDb (Internet Movie Database) : il più completo, la Bibbia del Cinema, con archivio di 3.5mln di titoli e quasi 7mln di nomi (in inglese)

Rotten Tomatoes : meno dati di IMDb, raccoglie soprattutto recensioni in rete, quindi carente su film datati (in inglese, con numerose recensioni in spagnolo)

Film Affinity/es : trovo che sia il più completo per quanto riguarda film spagnoli e dell'AmericaLatina (in spagnolo)

Allo Ciné : sopratutto cinema francese, ma non solo (in francese)

 Upperstall.com  : specializzato in cinema indiano. uno dei più frequentati al mondo fra i siti che si occupano di cinema  (in inglese)

per ricevere o fornire informazioni cinematograiche potete scrivermi a giovis@giovis.com

     

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