101 * “Finding Fela!” (di Alex Gibney, USA,
2014) * con Fela Kuti, Yeni Kuti, Femi Kuti
A metà strada fra documentario e
biopic, in quanto in segue la messa in scena di uno spettacolo
(musicale) sulla vita di Fela Kuti intercalando ad essa filmati
d’epoca e riprese dal vivo (ovviamente di scarsa qualità) e
interviste ai figli, ai collaboratori e agli amici. Ne scaturisce
uno spaccato dell’evoluzione della Nigeria visto attraverso la
musica e le battaglie di Fela Kuti, diventato per molti un simbolo
di libertà e innovazione che dava molto fastidio al potere militare.
Anche chi non è veramente
interessato alla musica verrà a conoscenza di molti aspetti
interessanti e taluni misterioso, come la storia del resuscitato.
Molta musica, ma ben distribuita, non lo definirei un film musicale.
Storicamente
e culturalmente interessante, per di più piacevole.
IMDB 7,0 RT 58%
102 * “La tête haute” (di Emmanuelle Bercot, Fra, 2015)
* con Catherine Deneuve, Rod Paradot, Benoît Magimel
Ha ottenuto buone recensioni, ma nessuna eccezionale e non fatevi
impressionare dal 100% di RottenTomatoes perché significa solo che
non ha ricevuto stroncature, ma il voto medio è un relativamente
basso 6,9/10.
Segue, in modo molto saltellante, la storia di un ragazzo
assolutamente ribelle e spesso violento, soprattutto fra i 16 e i 18
anni. Infatti, dopo una prima apparizione da bambino davanti al
giudice minorile, si passa direttamente all’adolescenza ma il
giudice è sempre lo stesso, o meglio la stessa, interpretata da
Catherine Deneuve.
Non so come funzioni la giustizia minorile in Francia, né quali
siano le prassi standard, ma la storia così come viene presentata
sembra poco plausibile, come poco credibili sono i personaggi.
A mio parere non raggiunge neanche la sufficienza.
IMDB 7,2 RT 100%
103 *
“Desde allà” (di Lorenzo Vigas, Ven/Mex, 2015) * con Alfredo
Castro, Luis Silva, Jericó Montilla
Partenza lenta e farraginosa che però serve a far sorgere tanti
interrogativi negli spettatori. Senz’altro migliore la seconda parte
nel corso della quale i caratteri e i secondi fini dei personaggi
vengono svelati. Molto buono il finale, quasi improvviso, certamente
secco ed essenziale.
In questo film Alfredo Castro ha avuto modo di esprimere ancora una
volta le sue qualità in un ruolo non facile e molto particolare.
Bravo anche il suo co-protagonista, il giovane e promettente Luis
Silva (al suo primo film) che interpreta un giovane piccolo
delinquente di Caracas.
In sostanza una più che buona pellicola che, oltre ad aver vinto di
recente il Leone d’Oro a Venezia, ha ricevuto ottime critiche ... il
che non sempre avviene.
IMDB 6,8 RT 100% Leone d’oro a Venezia
104 * “Boi Neon” (di
Gabriel Mascaro, Bra/Uru, 2015) * con Juliano Cazarré, Maeve
Jinkings, Josinaldo Alves
Questa co-produzione Brasile-Uruguay, con un intervento olandese,
porta gli spettatori in un Brasile sconosciuto ai più (me compreso),
né grandi città costiere, né Amazzonia, ma aree rurali dell’interno,
fra allevamenti di bestiame e moderne fabbriche tessili in mezzo al
nulla. I molto variamente assortiti protagonisti non sono operai
bensì ruotano attorno al mondo delle “vaquejadas”, una specie di
velocissima prova da rodeo nella quale due vaccari a cavallo si
affiancano ad un bue, lo stringono fra loro e uno ne afferra la coda
o lo fa cadere.
Il film procede bene per oltre un’ora fra bovini e cavalli e allo
spettatore vengono ben descritti i vari personaggi principali (tutti
molto particolari), poi comincia a perdere senso per terminare
infine in modo improvviso lasciando quasi tutto in sospeso ...
peccato.
Interessanti i legami fra i protagonisti che vivono praticamente su
un grosso camion guidato da Galega (giovane donna con al seguito la
figlia appena adolescente, Cacà), tutti insieme buoi e vaccari,
separati solo da una staccionata mobile. Erimar, il vaccaro
protagonista, ha l’hobby della moda e disegna e realizza i costumi
per Galega, che di notte si esibisce come ballerina indossando oltre
ai costumi di Erimar una maschera di testa di cavallo che la copre
fino alle spalle.
La direzione è più che buona, ma restano parecchie perplessità in
merito alla parte finale.
IMDB 7,2 RT 100% Premio speciale della giuriaa Venezia
105 * “Il fantasma
dell’Opera” (di Rupert Julian, 1925 / Laemmle, 1929, USA) *
con Lon Chaney, Mary Philbin, Norman Kerry
Non fra i migliori film di Lon Chaney anche perché limitato
dall’indossare una maschera per buona parte della sua presenza in
scena. Anche la sua incredibile versatilità nei movimenti non viene
espressa ai livelli di precedenti eccezionali performance come
quelle nel “Gobbo di Notre-Dame”, “The penalty” e nel successivo
“The unknown”.
Buona comunque la regia e la messa in scena abbastanza grandiosa.
C’è da notare che di questo film esistono due versioni. L’originale
è del 1925, ma con l’arrivo del sonoro e sulla scia del successo
della pellicola fu deciso in un primo momento di girare un sequel
che però per motivi contrattuali diventò una semi-rifacimento del
film di 4 anni prima. Anche questa seconda versione ebbe grande
successo.
Il film è di pubblico dominio, liberamente guardabile o scaricabile
da
archive.org
a questo link
https://archive.org/details/ThePhantomoftheOpera
IMDb 7,7 RT 88%
106 * “Le hérisson” (di Mona Achache, Fra, 2009)
* con Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa
Non avendo letto il libro non so quanto il film sia fedele a
“L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery e quante libertà si sia
presa Mona Achache. Di conseguenza non posso dire esattamente come
vanno divisi meriti e critiche. La storia è brillante e
appassionante, personaggi assolutamente fuori dal comune che, come
spesso accade anche nella realtà, si riconoscono subito fra di loro,
con numerose citazioni, sia letterarie che cinematografiche.
Pellicola ben diretta e ben interpretata.
Eppure ci sono vari piccoli dettagli come la storia del pesce rosso,
troppi eventi in pochi giorni, ma soprattutto il personaggio della
giovane Paloma. Non svelo niente di particolare dicendo che medita
il suicidio visto che lo dichiara lei stessa in apertura del film,
ma è questa sua decisione che non quadra. Una ragazzina sveglia, che
guarda tutti con occhio attento e critico, amante delle arti
(disegna, legge, gira un film) non capisco perché dovrebbe pensare
al suicidio ... avrei trovato più logico se avesse avuto l’idea di
incendiare il palazzo con tutti i suoi abitanti borghesi e
straricchi o di fuggire dl quel regno di falsità e ipocrisia. Ma
come ho anticipato, non ho letto il libro e forse lì c’è la risposta
...
Film piacevole, con molti ottimi momenti che però si alternano ad
alcuni cali di livello. Vale senz’altro la pena guardarlo.
IMDb 7,4 RT 88%
107 * “The Spiral Staircase” (di Robert Siodmak, USA, 1946)
* con Dorothy McGuire, George Brent, Ethel Barrymore
Grande classico del thriller, ben interpretato e con una buona dose
di suspense soprattutto nella prima parte nella quale i “sospetti”
appaiono uno ad uno. Dopo la metà è abbastanza evidente come andrà a
finire anche se, per fortuna, la sequenza degli avvenimenti che
porteranno alle scene finali rimangono imprevedibili.
Siodmak, che si è espresso al meglio nei noir come “Criss Cross”,
“The Killers”, “The File on Thelma Jordon” e tanti altri, si
destreggia comunque più che bene anche nel genere mystery scegliendo
accuratamente cosa mostrare e cosa nascondere allo spettatore e per
di più (quasi sempre) con i tempi giusti.
I cinefili e gli amanti del genere che non l’hanno mai visto
dovrebbero riparare a questa loro mancanza al più presto.
IMDb 7,6 RT 92%
108 * “Il pranzo di Babette” (di Gabriel Axel, Danimarca, 1987)
* con Stéphane Audran, Bodil Kjer, Birgitte Federspiel
Al di sotto delle aspettative, estremamente lento nella prima parte
e quasi completamente incentrato sul pranzo nella seconda diventando
molto ripetitivo con la routine cucina, impiattamento vino, commento
del generale, commenti degli altri commensali. Senz’altro originale
la storia tratta dal racconto di Karen Blixen, ma con pochi momenti
cinematograficamente validi. Buona fotografia e messa in scena ma
con varie incongruenze nella narrazione.
In sostanza un film relativamente ben fatto ma, come detto in
aperture, secondo me molto sopravvalutato per i suoi meriti
effettivi.
Confesso che, per scrupolo di coscienza, dopo aver guardato il film
sono andato a leggere varie recensioni per cercare di capire cosa mi
fossi perso e quali meriti speciali avessero trovato gli altri. In
effetti ho notato che tutti lodano la fotografia (e concordo) ma
anche che non sono il solo ad essere rimasto perplesso e poco
convinto della supposta gran qualità del film.
IMDb 7,9 RT 96% Oscar miglio film straniero
109 * “Victoria” (di
Sebastian Schipper, Germania, 2015) * con Laia Costa,
Frederick Lau, Franz Rogowski
Il merito di questa pellicola si può cercare solo nella sua tecnica
cinematografica, un unico piano sequenza che dura per tutto il film.
Per realizzare questa “impresa” il regista ha dovuto inserire scene
di collegamento che in altri caso si sarebbero potute evitare, ma
visto che la sua era una sfida è stato costretto ad inserirle.
Questa storia di oltre due ore continue si svolge all’alba in una
Berlino quasi deserta (stranamente) e da quanto si ascolta dovrebbe
durare oltre tre ore anche se il film dura “solo” 2h18’.
Verso le 4 del mattino Victoria, una ragazza spagnola che lavora in
una caffetteria, viene abbordata da 4 giovanotti berlinesi
dall’aspetto non proprio affidabile e tranquillamente
(imprudentemente) si aggrega a loro. La vodka che beve non dovrebbe
essere sufficiente per ubriacarla e comunque apparentemente sembra
in sé. Eppure, nonostante venga presentata come ragazza “per bene”
e assennata, riesce a fare tutto ciò che un minimo di buon senso
dovrebbe assolutamente sconsigliare, accompagnandosi ai 4giovinastri
in azioni sconsiderate e chiaramente illegali.
I giovani berlinesi non sono da meno in quanto non sono neanche
bravi ad agire da piccoli delinquenti, facendo il possibile per
farsi notare, e mettendosi in un pasticcio dopo l’altro coinvolgendo
la (comunque consenziente) chica spagnola.
Le cose che non tornano (che non elenco per non svelare niente) o
che lasciano molto perplesso uno spettatore attento sono tante ed i
dialoghi sono all’altezza dell’intelligenza dei ragazzi (livello
molto basso), ma almeno questo è congruente.
Un titolo alternativo potrebbe essere “Victoria, una vera idiota”.
IMDb 7,7 RT 85% Orso d’argento e altri 2 premi a Berlino
110 * “Cautiva” (di Gaston Biraben, Argentina, 2003)
* con Bárbara Lombardo, Susana Campos, Hugo Arana0
Il film basato su eventi reali relativi ai desaparecidos argentini e
ai loro familiari0 alla fine degli anni ’70 e sul “riciclaggio”
(pessimo termine, purtroppo proprio quello più vicino alla realtà)
di minori, ma nessuna storia in particolare. Segue il percorso di
una ragazza sedicenne di famiglia borghese che all’improvviso viene
informata di una possibile altra realtà e chiaramente si trova di
fronte a persone che le raccontano storie completamente diverse e
opposte.
Senza punti di riferimento certi, ma con l’aiuto di una sua compagna
di scuola e di altre persone che hanno vissuto in un modo o
nell’altro situazioni simili, non senza sofferenza verrà a capo
dell’intricata storia della sua vita.
Ben realizzata ed interpretata, con una buona dose di suspense e
solo con pochi momenti di pausa, Cautiva è una pellicola che merita
senz’altro di essere guardata e a molti servirà anche per sapere
qualcosa di più delle dittature argentine e dei desaparecidos che si
portano sulla coscienza (ammesso che ne abbiano avuta una).
IMDb 7,5 RT 86%
111 * “El infierno” (di Luis Estrada, Mexico, 2010)
* con Damián Alcázar, Joaquín Cosio, Ernesto Gómez Cruz
Secondo ottimo film di Estrada sulle “piaghe” messicane: corruzione
e connivenze fra politici e religiosi (da secoli) e narcos (in anni
più recenti). Dopo “La ley de Herodes” (1999 - carriera, corruzione
e perdita di ogni moralità di un politico messicano nei primi anni
’50) e prima di “La dictatura perfecta” (2014 - nel quale alle
piaghe suddette si aggiunge l’uso subdolo dei media), entrambe con
Damián Alcázar come protagonista, “El infierno” segue invece la
carriera di un messicano che, espulso dagli Stati Uniti, torna nel
suo piccolo paese natale dopo 20 anni di assenza e senza avere idea
dei cambiamenti intervenuti nel frattempo: traffico di droga, guerre
fra cartelli di narcos, acquisti di armi, assassini e tradimenti che
si vanno a sommare alla solita corruzione generalizzata.
Trattato al limite del grottesco ma con una gran dose di realismo,
il film mostra tanti riti, fisime, atteggiamenti, consuetudini e
simboli dei narcos, dal famoso “chivo” (Kalashnikov AK-47) alle
tombe monumentali, dal modo di vestirsi ai mega SUV-pickup alla
presenza di bande di mariachi in ogni occasione.
La trama, seppur abbastanza lineare, è ricca di colpi di scena e
sorprese fino alla fine.
Ne consiglio la visione, così come quella degli altri due film,
possibilmente nell’ordine di uscita.
IMDb 7,9 RT 100%
112 * “Captain Abu Raed ” (di Amin Matalqa, Giordania, 2008)
* con Nadim Sawalha, Rana Sultan, Hussein Al-Sous
Film più che onesto, drammatico ma stemperato da un poco di
commedia, con molta umanità e tanti sogni, senz’altro merita ampia
sufficienza.
Una delle poche pellicole ambientate in Medio Oriente che non sia
collegata alle tragedie correlate alle guerre in quell’area, ma che
al contrario offre uno spaccato della vita quotidiana di Amman, fra
quartieri poveri e ricca borghesia. Certamente (quasi) tutti sanno
che la Giordania ha una struttura sociale ben diversa dai paesi
dell’area e quindi era lecito attendersi qualcosa di diverso dal
solito.
Il film è quasi corale, con personaggi molto vari per età, cultura
ed estrazione sociale che in un modo o nell’altro interagiscono con
il protagonista Abu Raed. Quelli che inizialmente sembrano avere un
ruolo minore saranno poi i protagonisti del finale, fino alla scena
conclusiva che riporta lo spettatore a quella iniziale e la
chiarisce.
Fra i vari premi ottenuti conta anche quello del pubblico al
Sundance Festival del 2008.
Sembra che non sia stato distribuito in Italia ma certamente lo è
stato in Europa (ho il dvd spagnolo), non dovrebbe essere
impossibile trovarlo. Vale la pena guardarlo, ma non aspettatevi un
capolavoro indimenticabile.
IMDb 7,3 RT 76%
113 * “King of California” (di Mike Cahill, USA, 2007)
tit. it.
“Alla
scoperta di Charlie” * con
Michael Douglas, Evan Rachel Wood, Willis Burks
Divertente commedia con un buon Michael Douglas in un ruolo
abbastanza insolito per lui. Trama ricca di sorprese, tutte
derivanti dalle fantasie (siamo certi che fossero fantasie?) di
Charlie, appena uscito da un ospedale psichiatrico.
Problematica la sua convivenza con la figlia non ancora
diciassettenne, eppure molto più responsabile di lui e più o meno
costretta ad assecondarlo. Come se non bastasse, c’è anche il suo
vecchio amico e partner musicale Pepper (Willis Burks II) che
ufficialmente si offre di aiutarlo, ma in effetti combina solo
pasticci.
Per finire c’è la storia surreale dei “boat people” cinesi, che ben
poco hanno a che vedere con la storia di Charlie e le sue ricerche
del tesoro e che ricompare in chiusura ... geniale.
Niente di eccezionale, ma certamente un piacevole modo di passare
un’ora e mezza senza pensieri, seguendo le fantasie di un folle,
accompagnate da una piacevolissima colonna sonora.
IMDb 6,7 RT 70%
114 * “Urga” (di Nikita Mikhalkov, Russia, 1991)
con Badema, Bayaertu, Vladimir Gostyukhin
Sono rimasto abbastanza deluso da questo film franco-russo
ambientato nella Mongolia cinese. Avendo preso atto delle ottime
recensioni e del Leone d’Oro a Venezia, francamente mi aspettavo
molto di più. Ha un buon inizio anche se un po’ sopra le righe (in
particolare il personaggio del russo Sergei è poco credibile), si
perde nella parte centrale con il viaggio in città (quasi tutto da
dimenticare tranne un paio di spunti) e la parte onirica del finale
è ancor peggiore. Confuso anche nell’ambientazione storica,
Inevitabilmente mi è
tornato alla mente “La storia del cammello che piange” ambientato in
luoghi simili e ma con la famiglia protagonista che alleva cammelli
mentre in Urga sono pecore, cavalli e vacche (che però si vedono
solo in una scena iniziale e mai più). Questo secondo film
(coproduzione Germania/Mongolia) era molto più accurato nei dettagli
della vita nella classica yurta e nella descrizione dei membri della
famiglia anche se quello era ufficialmente un “documentario” e non
esattamente un film. I due prodotti sono troppo simili per
non compararli e, da qualunque punto di vista li consideri, trovo la
“Storia del cammello ...” di gran lunga superiore ad “Urga”.
IMDb 7,8 RT 100% Leone d’Oro a Venezia
115 * “From Dusk Till Dawn” (di Robert Rodriguez, USA, 1996) tit.
it.
"Dal
tramonto all'alba" * con Harvey
Keitel, George Clooney, Juliette Lewis, Quentin Tarantino
Premesso che ho un debole per i film di Robert Rodriguez, devo dire
che questo (il suoi terzo lungometraggio) mi ha lasciato un po’
perplesso in quanto sembra composto da due parte quasi del tutto
indipendenti sia come ambientazione sia come ritmo.
Alla prima parte (che preferisco nettamente, in tutti i sensi) di
tipo tarantiniano, ben definita, con poche scene e pochi attori ma
tutti al posto giusto al momento giusto, fa seguito una seconda
parte di tipo horror di serie B che pur avendo qualche buona
trovata, dopo pochi minuti diventa ripetitiva, stiracchiata e
stucchevole.
In questo film compare anche Quentin Tarantino in qualità di
coprotagonista, probabilmente il suo ruolo più importante come
attore, quantomeno per la durata della sua presenza sulla scena, e
devo riconoscere che nella parte dello psicopatico non se la cava
troppo male ...
Se vi piace il genere splatter/horror non ve lo dovete perdere, in
caso contrario evitatelo accuratamente.
RT 63% IMDb 7,3
116 * “Viburno rosso” (di Vasiliy Shukshin, URSS, 1974) tit. or.
“Kalina krasnaya”
* con Lidiya Fedoseeva-Shukshina, Vasiliy Shukshin, Ivan Ryzhov
Storia inusuale per un film russo di quell’epoca, quasi sullo stile
della Nouvelle Vague francese. Un ladro, terminata di scontare la
sua condanna a 5 anni di prigione, si reca in un piccolo paesino di
campagna per incontrare una donna conosciuta per corrispondenza.
Ancora indeciso sul suo futuro, deve barcamenarsi fra vari lavori,
le insistenze dei componenti della sua ex-banda che lo vorrebbero di
nuovo con loro, l’ostruzionismo e i sospetti di vari membri della
famiglia della sua nuova compagna e le diffidenze degli abitanti del
villaggio.
Film datato, essenziale, molto “russo” eppure diverso da tutti gli
altri, ma certamente molto ben costruito ed interpretato.
Interessante, merita senz’altro un’attenta visione.
IMDb 8,0 - 3 premi a Berlino
117 * “Infamous” (di Douglas McGrath, USA, 2006)
* con Toby Jones, Daniel Craig, Sandra Bullock, Peter Bogdanovich,
Sigourney Weaver, Gwyneth Paltrow
Questo è uno dei vari film basati sulla storia vera del massacro di
una intera famiglia di Holcomb, Kansas, nel 1959 e resa famosa dal
romanzo-reportage ”In cold blood” di Truman Capote. Al contrario del
primo (1967, stesso titolo del libro pubblicato due anni prima) che
seguiva la storia dei due assassini dal loro incontro fino alla
cattura e oltre, questo di McGrath segue il la storia attraverso gli
occhi di Truman Capote, che si interessò alla storia, decise di
riportarla in un romanzo basato su eventi reali e instaurò uno
speciale rapporto con uno dei due criminali. Ottima
l’interpretazione di Toby Jones nel non facile ruolo dello scrittore
americano, e buone sono anche quelle dei tanti attori ben conosciuti
che vestono i panni di altrettanti famosi personaggi reali ... c’è
perfino Isabella Rossellini nelle vesti di Marella Agnelli.
Tante citazioni e aneddoti relativi alle sue amicizie nel mondo del
cinema e dello spettacolo, da Bogart a Brando, da Sinatra alla
Monroe e si parla anche del film “Beat the devil” (di John Huston,
1953, tit. it. “Il tesoro dell’Africa”) girato in gran parte in
Costiera Amalfitana.
Oltre ai due film succitati si deve ricordare anche “Capote” (di
Bennet Miller, 2005, con Philip Seymour Hoffman che con la sua
interpretazione si guadagnò l’Oscar) e che similmente a “Infamous”
si occupa più dello scrittore che degli assassini.
I tre film sono x di più che buon livello e quindi suggerirei di
guardarli tutti, magari facendo passare un po’ di tempo fra l’uno e
l’altro, e di non tralasciare assolutamente la lettura del
libro. (scarica gratis il pdf
http://www.kkoworld.com/kitablar/trumen_kapote_soyuqqanliliqla-eng.pdf)
RT 73% IMDb 7,1
118 * “Fried green tomatoes” (di Jon Avnet, USA, 1991) tit. it.
“Pomodori verdi fritti” * con
Kathy Bates, Jessica Tandy, Mary Stuart
Questo film di 25 anni fa ci porta nel sud degli Stati Uniti, fra
Alabama e Georgia. La storia si alterna fra i tempi moderni e quelli
degli anni ’20-‘30, collegando le due tramite i racconti di una
anziana signora in una casa di riposo.
Una donna più giovane, “infelicemente” sposata, diventa sua amica e
confidente attendendo il marito che regolarmente va a visitare una
bisbetica zia che puntualmente lo caccia. L’amicizia fra le due
donne diviene ben presto più profonda, le visite diventano personali
e Evelyn (Kathy Bates, l’anno precedente vincitrice dell’Oscar per “Misery”)
riuscirà ad uscire dal suo stato depressivo e riconquistare un suo
spazio anche in casa. Ninny è invece interpretata
dall’ultraottantenne Jessica Tandy che si guadagnò la Nomination
come miglior attrice non protagonista.
Oltre alle ambientazioni completamente diverse, il film alterna
anche momenti di commedia pura a quelli drammatici, solidarietà e
amicizia, a violenza e prevaricazione, fra eventi melodrammatici e
altri al limite del surreale.
Grazie anche alle ricostruzioni di vari momenti della vita di
campagna fra le due guerre, con tanti dettagli e una bella
fotografia dai colori molto carichi, le due ore passano
piacevolmente. Una buona alternativa alle solite commedie
drammatiche, ma non lo definirei un gran film.
RT 75% IMDb 7,6 - 2 Nomination Oscar
119 * “El club” (di Pablo Larrain, Cile, 2015)
* con Alfredo Castro, Roberto Farías, Antonia Zegers
Altro film sudamericano potente e ben realizzato, di argomento molto
scabroso, ottimamente interpretato, ma assolutamente deprimente.
Grigio, cupo, lento, con la maggior parte degli esterni con sagome
scure in controluce sullo sfondo di un cielo plumbeo, e a tutto ciò
va aggiunto l’ossessivo sottofondo musicale di archi che eseguono
brani del compositore estone Arvo Part, una celebrità per quanto
riguarda la musica sacra moderna.
Il titolo si riferisce ad uno sparuto gruppo di religiosi inviati ad
espiare (eufemismo) i loro peccati, sia religiosi che civili, in una
casa di un paesino costiero del Cile. Sono accuditi da una religiosa
e tutto sembra filare liscio fino all’arrivo di un nuovo “recluso” e
subito dopo di un “inquisitore” che viene ad indagare e tentare di
porre ordine e quindi termine a questa situazione.
Purtroppo molti dei fatti a cui si fa riferimenti sono veritieri e
molto più frequenti di quanto la maggior parte della gente possa
pensare e Larrain (regista e co-sceneggiatore) non ci spinge ad
essere molto ottimisti.
RT 87% IMDb 7,4 - Orso d’Oro a Berlino, Nomination Golden Globe
120 * “El clan” (di Pablo Trapero, Argentina, 2015)
* con Guillermo Francella, Peter Lanzani, Lili Popovich
Trama basata sulla storia vera della famiglia Puccio, apparentemente
normale e benestante, in effetti una banda di spietati criminali
dediti a rapimenti di persone facoltose nell’Argentina della prima
metà degli anni ’80.
Film di genere ben realizzato, con ii giusti tempi e buona
descrizione dei personaggi principali. Ancora una volta viene
descritto il modo, a dir poco molto discutibile, di amministrare il
potere nel paese sudamericano dove militari, malavitosi e
imprenditori con minimi scrupoli agivano più o meno impunemente
aiutandosi e coprendosi reciprocamente.
Il film mantiene un buon ritmo ed è ben interpretato, senz’altro
merita di essere visto.
RT 90% IMDb 7,2 - Leone d’argento a Venezia
121 * “Terra em
transe” (di Glauber Rocha, Brasil, 1967) * con Jardel Filho,
Paulo Autran, José Lewgoy
A mio parere uno dei migliori film di Rocha, molto teatrale ma
sostenuto da ottimi testi che variano da quelli poetici a quelli
filosofici, a quelli strettamente politici. La storia dei rivali in
politica e del loro rapporto con il popolo, il clero, gli
imprenditori e la stampa è assolutamente attuale e sembra quasi che
Rocha abbia previsto con quasi 50 anni di anticipo quello che sta
accadendo in Brasile negli ultimi anni.
Questo film del Cinema Novo brasiliano non ha nulla da invidiare ai
migliori della Nouvelle Vague francese. Ottimi riprese, buon
montaggio, movimenti di camera e tanti primi piani con i
protagonisti che guardano direttamente nell’obiettivo declamando
slogan politici o esprimendo le proprie idee. Gli esterni nei quali
i protagonisti si confrontano con manifestanti si alternano ad
interni nei quali discutono delle loro prospettive politiche, a
scene di pura festa borghese e altre cariche di simbologia.
Anarchia, populismo, demagogia e palesi falsità descrivono
perfettamente questo ambiente dominato da corruzione, tradimenti,
cambi di bandiera, promesse non mantenute, bugie e minacce ...
“affermando oggi le bugie di ieri, negando domani le verità di
oggi”.
Girato in un bel bianco e nero, “Terra em transe” è molto
interessante, coinvolgente e accompagnato da un appropriato commento
sonoro molto vario.
La visione di questo film è quasi un obbligo per qualunque cinefilo
o appassionato di cinema.
IMDb 7,5 - Premio FIPRESCI a Cannes e Nomination Palma d’Oro
122 * “Detective Kitty 'O Day” (di William Beaudine, USA, 1944)
* con Jean Parker, Peter Cookson, Tim Ryan
Classica commedia poliziesca, molto commedia e poco poliziesca,
dalla trama intricata e ritmo molto veloce.
Con le tante piccole sorprese (seppur molte siano abbastanza
prevedibili) avrebbero potuto senz'altro realizzare un film di
lunghezza standard e non limitarsi all'ora netta.
Un commissario non troppo sveglio con un assistente al limite
dell'idiozia segue un caso che inizia con un tentativo di spacciare
un omicidio per suicidio. Successivamente sulla sua strada oltre a
trovare vari altri cadaveri, continua a incappare nella testarda
Kitty che trascina con sé il riluttante fidanzato, a loro volta
quasi ossessionati da un onnipresente tassista.
Se si ha solo un'oretta a disposizione e la si vuole passare
spensieratamente, questo è un film adatto, ma non vi aspettate
niente di più. Sufficiente.
IMDb 5,4
123 * “Cloak and dagger” (di Fritz Lang, USA, 1946) tit. it.
"Maschere e pugnali" (!) * con Gary Cooper, Robert Alda, Lilli
Palmer
Prima parte guardabile, ma una volta passata la metà, con l'arrivo
di Gary Cooper in Italia per trovare e far uscire dal paese un
fisico nelle mani di fascisti e tedeschi, diventa sempre più lento,
mal interpretato, con tutti le prevedibili routine dei film di
spionaggio in tempi di guerra. Chi, guardando il film, spera almeno
in un finale originale e scoppiettante, con qualche sorpresa o
colpo di scena degno di tale nome, può mettersi l'animo in pace, il
finale è assolutamente banale e proposto in modo quasi ridicolo .
C'è da pensare che Fritz Lang abbia dovuto seguire le direttive dei
produttori che, pur fornendogli un discreto cast, l'hanno obbligato
a dirigere “Cloak and dagger” sulla base di una sceneggiatura molto
debole.
Purtroppo questa è la fine che hanno fatto, e continuano a fare,
molti buoni registi europei o dell'America latina dopo essere stati
attratti e “comprati” di produttori di Hollywood.
L'essere stato prodotto nell'immediato dopoguerra non è scusa
sufficiente per fargli meritare la sufficienza.
Mi dispiace per Fritz Lang, ma questo film non è all’altezza dei
suoi lavori precedenti e quindi tranquillamente evitabile.
IMDb 6,6
124 * “The Jungle Book” (di Jon Favreau, USA, 2016)
* con Neel Sethi, voci: Bill Murray, Ben Kingsley, Scarlett
Johansson, Christopher Walken
Remake con tecnica mista reale/digitale della Disney del suo stesso
famoso film di animazione, uscito nel 1967 con identico titolo.
Non ci si poteva aspettare altro che un ottimo livello tecnico dalla
Disney e non si rimane certo delusi. Il film differisce tuttavia in
più punti dalla trama del precedente e, considerato il maggiore
realismo, appare anche più violento. Per gran parte della pellicola
resta il taglio ironico e divertente di molti dialoghi, ma nel
finale si perde un poco.
Certamente il piccolo ma già bravo Neel Sethi che interpreta il
ragazzo della jungla (unico umano ad apparire nel film) si sarà
divertito come nessun altro attore della storia del cine, anche se
il suo ruolo non sarà stato sempre facile. Guardate il video in
questa pagina per rendervi un po' conto di come funzioni la tecnica
mista moderna.
http://www.badtaste.it/2016/04/16/libro-giungla-effetti-visivi-video/168857/
Un appunto lo farei a proposito delle proporzioni degli animali, sia
rispetto a Mowgli sia fra di loro. Infatti troppo spesso cambiano
considerevolmente da una scena all'altra. E aggiungo un’opinione
strettamente personale che però so essere condivisa da tanti: alla
Disney ancora non si sono resi conto che le canzoni o canzoncine
sono spesso uno strazio. Spezzano il ritmo del film e inoltre, ma
forse ancor più importante, tradotte in altra lingua diventano
assolutamente inascoltabili. Per fortuna in questo The Jungle Book
ce ne sono solo un paio oltre a quelle che accompagnano i titoli. A
proposito di questi, ricordatevi di guardare quelli di coda ... non
scappate dalla sala.
Viste le performance sempre più frequenti, molte realistiche e
sempre di migliore qualità, degli omologhi virtuali, nostri e di
ogni specie di animali, ci stiamo avviando verso la scomparsa
definitiva di attrici e attori in carne ed ossa?
RT 94% IMDb 8,1
125 * “The Glass
House” (di Tom Gries, USA, 1972) * con Vic Morrow, Alan
Alda, Clu Gulager
Pur trattando di avvenimenti simili a quelli di tante altre storie
di film dello stesso genere, che si svolgono interamente in una
prigione, The Glass House è diverso dagli altri.
Infatti la sceneggiatura è opera di Truman Capote e in Italia ciò è
stato sottolineato nel pessimo titolo “Truman Capote: la corruzione
il vizio e la violenza”). L’autore americano scriveva per esperienza
quasi diretta avendo frequentato il carcere nel corso delle sue
ricerche che poi portarono alla realizzazione del suo più famoso
romanzo “In Cold Blood”. (ne ho parlato nella micro-recensione di “Infamous”
- 16/117, in questa stessa pagina)
Devo dire che pur distinguendosi da filmacci di genere simile, non
riesce comunque ad assurgere a livelli notevoli guadagnando però
ampia sufficienza. Il film fu prodotto per la tv e non ha mai avuto
una distribuzione adeguata e fu girato in una vera prigione con veri
carcerati. Un flim-documentario-reality simile (ma senz’altro
inferiore) a Medium cool di Haskell Wexler.
(rec 16/54)
IMDb 7,4
126 * “Nahid” (di Ida Panahandeh, Iran, 2015)
* con Sareh Bayat, Nasrin Babaei, Pejman Bazeghi
Nahid (interpretata da Sareh Bayat, la badante di "Una separaziona") è
una di quelle persone che mi fanno torcere le budella. Se si trova
perennemente nei guai non è perché sia particolarmente sfortunata,
ma perché fa il possibile per cacciarvisi. Da bugiarda matricolata
pensa di riparare ad una bugia smascherata con un'altra bugia. Non
accetta l'aiuto offerto e tradisce la fiducia di amici e parenti ...
un vero disastro. Eppure non è una delinquente matricolata né
un'illetterata, eppure ha sempre la “faccia appesa” come tutti
quelli che sono convinti che tutto il mondo ce l’abbia con loro. Ci
sarebbe da chiedersi come abbia fatto ad arrivare alla sua età
avendo ancora gente che l'ascolti.
Il film non racconta molto di più di una serie di eventi del genere
“andiamocela a cercare”, tutti più o meno concatenati e prevedibili.
Non è malvagio, ma è semplicemente "inutile e ignavo" in quanto non
ha neanche particolari pregi narrativi o scenografici e non si
avvale di grandi interpretazioni. Raggiunge a stento la sufficienza,
Per nostra fortuna il cinema iraniano ci propone di meglio.
IMDb 6.7 - premiato a Cannes
127 * Addio mia concubina
(di Kaige Chen, Cina, 1993) tit. or. “Ba wang bie ji"- con
Leslie Cheung, Fengyi Zhang, Li Gong
Film molto interessante che introduce gli spettatori al mondo
dell'opera di Pechino, classica forma d'arte cinese, a dire il vero
un po' ostica per chi è abituato agli standard occidentali.
Nelle oltre due ore e mezza bisogna sorbirsi un bel po' di canto con
le caratteristiche voci acute orientali, ma la "sofferenza" è ben
compensata dalla teatralità delle rappresentazioni, dai costumi,
dalla gestualità e dal trucco degli attori. La storia si sviluppa
attraverso vari decenni, mostrando anche alcuni effetti diretti
sull'opera di Pechino di eventi come l’invasione giapponese, la
guerra civile, la rivoluzione culturale.
Parimente a molti altri film profondamente calati in culture tanto
distanti (in tutti i sensi) dal mondo occidentale, al di là del
coinvolgimento nella storia in sé e per sé, gli spettatori attenti
potranno trovare interesse nei tanti momenti di vita cinese che
vengono proposti, dalla severissima scuola che costringe i ragazzi
ad esercizi al limite della tortura e infligge frequenti punizioni
corporali, alle ricchissime case, ai bordelli. In questo trovo un
parallelismo con “Huo zhe” (Vivere!, di Yimou Zhang, 1994, con
stessa Li Gong come protagonista - micro-recensione 16/31)
che in un simile periodo, dall’anteguerra agli anni ’70, segue la
vita della famiglia di un ricco cinese che si riduce sul lastrico
per il vizio del gioco ridotto.
Se non si è
assolutamente “allergici” alle culture dell’Estremo Oriente, è un
film da non perdere e la visione successiva di “Vivere!” può essere
un ottimo complemento.
RT
88% IMDb 8,1 - 2 Nomination Oscar
128 * “Frida, naturaleza viva” (di Paul Leduc, Mex, 1983)
* con Ofelia Medina, Juan José Gurrola, Max Kerlow
Film lento, di taglio documentaristico ma senza commento di voce
fuori campo, lente carrellate si alternano a lente zoomate, specchi,
silenzio, qualche canzone, i suoi quadri, qualche mural di Diego
Rivera. Colpisce la quasi totale assenza di dialoghi, il primo -
quasi un monologo - è inserito a metà film ... dopo 45 minuti.
Chi non è "preparato" ha senz’altro difficoltà ad identificare i
personaggi e comprenderne i ruoli e l'importanza nella vita di Frida
e i continui flashback non aiutano di certo. Solo chi conosce le
opere, lo stile e la burrascosa vita della Kahlo, nonché un po’ di
storia messicana e le relazioni con le sinistre europee, potrà
comprendere e apprezzare le varie scene che costituiscono il film,
non montate in ordine cronologico. Si nominano Cardenas e Zapata
(chi conosce il loro ruolo politico effettivo?), si vede la foto di
Pancho Villa appena assassinato (ma quanti lo riconoscono?), c’è
Siqueiros e si mostra il primo attentato a Trotskij (fallito, ma lo
spettatore “che non ha studiato” non lo saprà mai).
Tutto ciò non meraviglia più di tanto se si considera che la maggior
parte delle opere di Paul Leduc sono veri documentari o documentari
travestiti da film come questo e il precedente “Reed, México
insurgente” del 1973, l’unica altra sua opera relativamente
conosciuta.
Complessivamente definirei “Frida, naturaleza viva” abbastanza
deludente, quasi del tutto incomprensibile e quindi noioso per chi
non conosca gli argomenti trattati, interessante per gli ammiratori
di Frida Kahlo.
IMDb 7.0
129 * Departures (di
Yôjirô Takita, Japan, 2008) tit. or. “Okuribito”
* con Masahiro Motoki, Ryôko Hirosue, Tsutomu Yamazaki
Gran bel film, di argomento assolutamente insolito non solo in
Europa ma anche nello stesso Giappone dove è considerato
“indelicato” parlare della morte. E invece in Okuribito la morte è
quasi sempre presente, non nell’attimo del trapasso ma nelle ore
successive. Il protagonista Daigo, perso il lavoro a Tokio, torna
nella sua casa natale e, fortuitamente, trova impiego in una
particolare impresa funebre addetta alla preparazione dei defunti
prima dell’ultimo addio (da cui il titolo).
Fra qualche scena drammatica e tante ironiche si affrontano temi
relativi alla vita e alla morte, all’unità della famiglia e agli
abbandoni (qualunque sia la causa), agli affetti e ai rancori. Non
scade mai di tono, è ben interpretato e conta su una ottima
fotografia e eccellente colonna sonora e non a caso ha vinto l’Oscar
nel 2009.
Ancora una volta attraverso i film prodotti in paesi di culture
tanto diverse dalla nostra è possibile imparare tanto e agli
spettatori attenti vengono forniti non pochi spunti di riflessione e
di discussione.
Da non perdere.
IMDb 8.1 RT 81% - Oscar miglior film straniero 2009
130 * “Crossroads Blues” (di John Doe, USA, 2010)
Documentario sulle origini del Blues, o meglio, alla ricerca di un
leggendario pezzo di Robert Johnson, da molti ritenuto “l’inventore”
di detto genere musicale. Non è recensito ufficialmente e
addirittura non si trova neanche su IMDb (dove c’è quasi tutto), ma
in compenso lo trovate su
archive.org,
liberamente scaricabile (versione or. inglese con sottotitoli in
francese) https://archive.org/details/CrossroadsBlues_EnglishVersion
In rete potrete trovare molto in merito alle leggende urbane
relative a Robert Johnson, della cui vita si sa molto poco e della
sua morte ancora meno (ci sono tre diverse tombe). Pare che esistano
solo due sue fotografie e la sua fama è quasi del tutto postuma.
Morì nel 1938 a 27 anni, forse assassinato, dopo aver inciso in due
giorni 29 canzoni, molte delle quali sono classici del Blues.
Il suo omonimo Robert " Bud " Johnson va alla ricerca del trentesimo
pezzo viaggiando nel sud degli Stati Uniti, fra Memphis e Greenwood
(Mississippi).
Belle immagini di distese di campi di cotone, strade interminabili e
vecchie auto abbandonate si alternano a varie interviste con vari
artisti e ammiratori della musica di R. Johnson, e ovviamente tutti
i pezzi della colonna sonora sono suoi.
La leggenda più ricorrente vuole che questo famoso artista si sia
venduto l’anima al diavolo in cambio di fama ed in effetti
dall’essere quasi totalmente sconosciuto è diventato probabilmente
il bluesman più famoso ma a costo della vita che gli fu presa dal
Diavolo nel loro incontro al crocevia (crossroads).
131 * “Julieta” (di Pedro Almodóvar, Spa, 2016)
* con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Inma Cuesta, Dario Grandinetti,
Michelle Jenner, Rossy de Palma
Per questo film, in concorso a Cannes il mese prossimo e in uscita
in Italia in 26 maggio, ho scritto questo
commento più lungo delle solite micro-recensioni e corredato
oltre che da qualche foto anche da un paio di video.
IMDb 7.1 RT 56%
132 * “Barrio” (di Fernando León de Aranoa, Spa, 1998)
* con Críspulo Cabezas, Timy Benito, Eloi Yebra
Come esplicitamente anticipato dal titolo, il film tratta della vita
di un barrio (quartiere), nella fattispecie uno di vera periferia,
costituito da una serie di più o meno nuovi casermoni tutti simili,
al limite di campi incolti, strade incomplete e urbanizzazione molto
arretrata. In questo ambiente di famiglie di operai e impiegati,
seguiamo la vita di tre amici adolescenti durante le loro vacanze
estive quando, senza impegni scolastici, non c’è praticamente niente
da fare e le giornate sembrano non finire mai.
I tre protagonisti di “Barrio”, pur essendo grandi amici, hanno
caratteri molto diversi e vivono anche gravosi problemi famigliari
molto differenti. Il linguaggio e gli schemi dei dialoghi sono molto
ripetitivi ma probabilmente anche vicini alla realtà dei quindicenni
che ripetono fatti ascoltati dai genitori, fratelli maggiori o in TV
e fra un insulto e l’altro si passa per la routine di “E allora?”
(di chi mette in dubbio quanto detto) e di “Ma che ne sai ...” di ha
raccontato il fatto.
Non sono più ragazzini, ma non sono nemmeno uomini, parlano molto di
donne (ma più o meno per sentito dire) e trascinati da Rai (il più
irrequieto dei tre) fanno spesso cose che non dovrebbero.
Il regista sembra amare questo tipo di ambienti, li descrive
abbastanza bene e per questo è stato molto apprezzato in Spagna sia
per questo film che per il successivo “Los lunes al sol” (2002, con
Javier Bardem) nel quale i protagonisti sono dei lavoratori
precari..
Ottima colonna sonora, molto varia, molto appropriata.
IMDb 7,1 FA 7,1
133 * “Alice's restaurant” (di Arthur Penn, USA, 1969)
* con Arlo Guthrie, Patricia Quinn, James Broderick
Il film ebbe una certa notorietà all’epoca della sua uscita e Arthur
Penn (Furia selvaggia, La caccia, Piccolo grande uomo, Bonnie &
Clide, ...) ottenne la sua terza Nomination all’Oscar, direi
abbastanza immeritata. La storia ruota attorno ad un gruppo di
hippies più o meno borghesi e si svolge nel 1967. La datazione è
precisa in quanto fra gli eventi reali c’è anche la morte del famoso
cantante folk Woody Guthrie (1 ottobre 1967) padre del protagonista
Arlo Guthrie che interpreta sé stesso,
Il film riprende il titolo di una famosa canzone autobiografica di
Arlo, lunga ed ironica (Alice's Restaurant Massacre, di oltre 18
minuti) che narra le sue disavventure del 1965, conseguenti all’aver
sca0ircato abusivamente della spazzatura. Questo evento (vero), è
spostato nel tempo ed unito ad altri anch’essi veri, a molti
adattati e a qualcuno inventato di sana pianta. Lo stesso accade per
i protagonisti in quanto Arlo non è il solo ad interpretare sé
stesso, ma persino l’ineffabile poliziotto Obie è “originale”,
Alice effettivamente gestiva un ristorante ma nel film appare per
solo pochi secondi come comparsa mentre la sua parte è interpretata
da Patricia Quinn e altri personaggi sono di fantasia.
Le parti del film relative “all’ordine costituito” (indagini,
processo e visita di leva) pur basate su fatti reali sono molto
esagerate in senso ironico, a momenti quasi surreali.
In sostanza non è classificabile come un film di denuncia, né un
film drammatico, ma semplicemente satirico non solo nei confronti
della polizia, dei militari e dell’intolleranza verso i “capelloni”,
ma anche autoironico.
Onestamente, il film non è un gran ché ed a momenti anche un po’
noioso, ma era l’epoca delle manifestazioni giovanili, delle
proteste contro la guerra in Vietnam, delle comunità hippy e quindi
divenne quasi un’icona, ma ben lontana dalla fama di altri film
come per esempio Easy rider, uscito quasi contemporaneamente.
IMDb 6.3 RT 67% - Nomination Oscar per Arthur Penn
134 * “La adultera”
(di Tulio Demicheli, Mex, 1956) * con Silvia Pinal, Víctor
Junco, Ana Luisa Peluffo
Un altro buon film dell’Epoca d’oro del cinema messicano anche se
semisconosciuto, se ne trovano poche immagini e ancor meno
recensioni. Si tratta dell’ennesimo noir la cui trama si sviluppa
nell’ambiente dell’alta borghesia, con case che non avevano niente
da invidiare a quelle americane in quanto a grandezza e senz’altro
meglio arredate in stile classico.
La bella hostess Irene (Silvia Pinal, una delle attrici più amate da
Luis Buñuel nel suo periodo messicano, protagonista in Viridiana,
L’angelo sterminatore, Simon del deserto) accetta di sposare Raúl
Galvez, un ricchissimo uomo di affari che sembra essere stato
fulminato dalla sua avvenenza. Nella enorme casa le cose però si
complicano in quanto si troverà a dover fronteggiare Cecilia, cugina
di Raúl che si dimostrerà essere l’opposto di quanto potesse
apparire, la servitù e l’improvvisa apparizione di Joaquín, il
pilota suo ex-fidanzato.
Cecilia muore (non svelo niente di particolare in quanto accade
all’inizio del film e poi si prosegue con flashback) e Irene viene
accusata di omicidio ... giustamente o ingiustamente? Verrà
condannata o riacquisterà la libertà?
Il film è disponibile su YouTube anche in HD 720p.
https://www.youtube.com/watch?v=VIiH6lNkBC0
IMDb 7, 2
135 * “Captain
America: Civil War” (di Anthony Russo e Joe Russo, USA, 2016)
* con Chris Evans, Robert Downey Jr., Scarlett Johansson
Non sono un amante del genere fantastico, fantascientifico,
supereroi e via discorrendo, ma apprezzo i buoni film e quindi
quando leggo ottime recensioni e vedo rating stellari metto da parte
le mie remore e vado a rendermi conto.
Attratto dal momentaneo 8,7 su IMDb, che lo poneva fra i migliori
100 film di sempre e dell'altrettanto buon 94% di RottenTomatoes
sono quindi andato a vedere il più recente dei prodotti della
Marvel: “Captain America: Civil war”.
Ad essere onesto mi ha abbastanza deluso, pur essendo senz'altro
molto ben realizzato, in particolare le scene di azione sono molto
efficaci, con un ottimo montaggio. Al contrario, le parti fra uno
scontro ed un altro sono abbastanza melense, scontate e quelle che
vorrebbero essere divertenti non riescono ad esserlo.
L’essenza della trama non è assolutamente nuova, è simile a quella
di “Batman v Superman: Dawn of Justice” uscito appena qualche
settimana fa, ma la ritroviamo addirittura nel film di animazione
“The Incredibles” (2004) (vedi foto tratta dal film, con i titoli
dei giornali).
Sono certo che chi conosce i precedenti ed ha dimestichezza con i
vari personaggi potrà apprezzare “Civil war” molto di più,
conoscendo le caratteristiche di ciascun personaggio, i suoi
superpoteri, il suo tallone d'Achille e i rapporti interpersonali
con i “colleghi”. In mancanza di tutto ciò il film si riduce ad una
serie di scontri spettacolari, ma con poche vere sorprese,
indipendentemente dal conoscere o meno tutti i retroscena.
In quanto agli eccellenti rating (per quello che contano), prevedo
che quello di IMDb continuerà a diminuire così come quello di RT che
per ora ha raccolto solo 10 recensioni di top critics ... è strano
che un film appena uscito in una 30ina di paesi e prima di uscire in
altrettanti (fra i quali Italia e gli stessi USA) su IMDb avesse già
30.000 voti la settimana scorsa. Si può ben immaginare che la
maggior parte provengano dai fan che lo sono andati a vedere in
anteprima o sono voti “a fiducia” ... marketing?
Fra i pochi film del genere (molto ampio) che ho visto negli ultimi
anni, Mad Max fury road resta senz'altro il mio preferito e Star
Wars the force awakens nettamente ed indiscutibilmente ultimo. Civil
war lo posiziono comunque nella parte alta di questa ridotta
classifica.
IMDb 8,6 RT 94%
136 * “Dheepan” (di
Jacques Audiard, Fra, 2015) * con Jesuthasan Antonythasan,
Kalieaswari Srinivasan, Claudine Vinasithamby
In questo periodo durante il quale si parla tanto di rifugiati, in
vari paesi ha avuto via libera Dheepan, il cui protagonista è
appunto un rifugiato. Strano questo ritardo nella distribuzione:
presentato a Cannes a maggio dell’anno scorso (vincendo la Palma
d'oro), uscì nelle sale francesi a fine agosto e poi pur
partecipando ad altri 30 Festival ha raccolto ben poco (4 premi e 11
nomination delle quali 9 ai César Awards - prettamente francesi).
Arrivato in Italia a ottobre con il titolo “Una nuova vita”, più o
meno in contemporanea con pochi altri paesi europei, dalla settimana
prossima uscirà nelle sale statunitensi. In effetti tutto ciò è
facilmente spiegabile in quanto se ne è fatto un gran parlare per
l’attualità dell’argomento trattato e facendo leva sulla Palma d’Oro
vinta l’anno scorso, ma non si tratta di un gran film, solo un
discreto prodotto rovinato da un finale eccessivo e poco plausibile
... fra “Il giustiziere della notte” e “Taxi driver” con conclusione
ancor più dubbia.
Dheepan è un tamil che arriva in Francia dallo Sri Lanka, con una
moglie e una figlia “di comodo”, abbandonando l’isola natale alla
fine della guerra civile che ha praticamente tenuto divisa l'isola
in due per oltre 25 anni causando un centinaio di migliaia di morti.
Pur essendo stato una “tigre tamil” (combattente per i suoi,
terrorista per il governo cingalese), Dheepan sceglie un basso
profilo per cercare di integrarsi pacificamente e iniziare una nuova
vita. Comincia a lavorare e anche la sua compagna trova
un’occupazione, mentre la ragazzina va a scuola. Ma purtroppo per
loro, il quartiere in cui vivono all’estrema periferia di Parigi è
dominato da malavitosi e l’escalation di violenza è inevitabile.
Il film non ha una sua continuità stilistica, ma è apprezzabile
l’interpretazione dei tre protagonisti (attori non professionisti,
Jesuthasan Antonythasan ha veramente combattuto in Sri Lanka) e per
i tanti interessanti temi toccati: i rifugiati, l'integrazione in un
altra cultura, le periferie degradate, le differenze culturali, la
dignità, la difesa della famiglia (forse troppa carne a cuocere).
Sufficiente, ma non imperdibile ... sono curioso di vedere quale
accoglienza gli sarà riservata negli USA.
IMDb 7, 2 RT 94% - Palma d’Oro a Cannes 2015
137 * “Chocolat” (di Roschdy Zem, Fra, 2015)
* con Omar Sy, James Thierrée, Clotilde Hesme
Biopic di Rafael Padilla, più conosciuto con il nome d'arte monsieur
Chocolat, primo artista di colore a raggiungere grande notorietà in
Francia. Nel film la storia inizia nel 1897 in un piccolo circo che
ha eretto il suo tendone nelle campagne francesi. Un alto giovanotto
di colore si esibisce in compagnia di uno scimpanzé fingendosi un
cannibale e spaventando gli astanti. Fra gli "artisti" che vengono a
proporre i loro numeri all'impresario c'è George Foottit, un clown
una volta famoso, ma adesso in quel momento in declino. Apprezzando
la gestualità e le smorfie mediante le quali Rafael si esprime, lo
convince a lavorare con lui organizzando nuovi sketch basati sulle
differenze culturali e di pelle. Mi fermo a questo inizio in quanto
non mi piace entrare nei dettagli della trama e mi limito a dire che
il nostro eroe diventerà famoso con il nome di Monsieur Chocolat e
seguiremo gli alti e bassi della sua carriera, fino alla morte
avvenuta nel 1917.
Quindi 20 anni della vita "del primo uomo di colore a divenire
famoso in Francia" (come recita la pubblicità), storia non
eccessivamente appassionante, parti clownesche non tanto divertenti
(ma forse quello era il gusto dell'epoca) mediocre ricostruzione di
ambienti. C’è da sottolineare che Rafael Padilla/Chocolat è
realmente esistito ma gli sceneggiatri si sono presi moltissime
libertà mischiando il clown che lo scoprì, Tony Grice, con quello
che lo portò al successo, Foottit. Anche varie date sono cambiate e
molti avvenimeni sono inventati di sana pianta.
Se qualcuno si aspetta un film per bambini (che talvolta amano i
clown, ma spesso ne hanno paura) sbaglia. Anche se c'è un po' di
dramma, non è drammatico, non è romantico, non c'è molta azione.
Forse l'unica nota di merito va Omar Sy che interpreta Monsieur
Chocolat.
In sostanza potete tranquillamente evitarlo, non vi perdete molto
... in giro c'è di meglio.
IMDb 7, 2
138-139 * 2 film di Kenji Mizoguchi
“Ugetsu monogatari” (Jap, 1953)
tit.
it. "I racconti della luna pallida di agosto" *
con Masayuki Mori, Machiko Kyô, Kinuyo Tanaka * IMDb 8,2 RT 100%
“Akasen chitai” (Jap, 1956) tit. it. "La strada della vergogna"
* con Machiko Kyô, Aiko Mimasu, Ayako Wakao * IMDb 7,9 RT 82%
Il primo gode di migliore critica e ebbe la Nomination all’Oscar
(costumi) e vinse il Leone d’argento, il secondo - ultimo film di
Mizoguchi - ottenne la “menzione speciale” a Venezia.
Ugetsu è ambientato nel XVI secolo e la trama deriva dall’unione di
due diversi racconti. Segue le avventure e disavventure di due
fratelli (uno contadino e l’altro vasaio) che lasciano il villaggio
con grandi aspirazioni di gloria e ricchezza.
L’ho trovato non sempre lineare, a volte confuso, un po’ troppo
poetico per i miei gusti e secondo me soffre, come molti altri film
giapponesi, di una recitazione troppo distante dagli standard
occidentali, troppo teatrale, troppo sopra le righe.
Ciò non toglie che sia un buon film con un’ottima fotografia bianco
e nero.
Francamente dei due ho preferito Akasen chitai, ottimo film nel
quale si descrive la vita in una "casa di piacere" giapponese verso
la metà degli anni '50, periodo durante il quale si tentava di
promulgare una legge per la loro chiusura, cosa che puntualmente
avvenne pochi mesi dopo l’uscita del film.
Non si pensi assolutamente ad uno squallido postribolo o bordello,
ma di una casa ben tenuta con delle "signorine", o signore,
professioniste per vari motivi ... chi per pagarsi dei debiti, chi
per un figlio, chi per sposarsi.
Cinque donne di età molto varie, spinte da motivazioni diverse e
caratteri contrastanti. La precisa descrizione di Mizoguchi in poco
più di un'ora e mezza riesce a mettere in risalto pregi e difetti,
aspirazioni e delusioni, gioie e dolori di questa piccola comunità
che sembra andare abbastanza d'accordo. Notevoli anche i personaggi
di contorno.
140 * “Trainspotting” (di Danny Boyle, UK, 1996)
* con E.
McGregor, E. Bremner, J. Lee Miller
Chi non l’ha ancora visto dovrebbe vederlo, possibilmente in
versione originale. Anche se conoscete abbastanza bene l’inglese,
probabilmente avrete bisogno dei sottotitoli (inglese UK) in quanto
l’accento scozzese dei protagonisti è a tratti incomprensibile, ma
non si può prescindere da quell’accento, da quello slang, da quei
suoni. Più che mai un doppiaggio,per quanto possa essere ben
realizzato, sminuirebbe il lavoro di Boyle.
Tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh, Trainspotting è
diventato ben presto un film cult e, nonostante l’argomento ed il
modo in cui è trattato, è stato ufficialmente inserito fra i
migliori film inglesi, il migliore in assoluto fra quelli scozzesi.
Film divertente e folle, a tratti surreale, segue le vicissitudini
di un gruppo di amici che passano il tempo fra droga, sesso, ancora
droga, piccoli furti e per finire altra droga. Le visioni si
miscelano con la realtà, musica e montaggio travolgenti ma ...
dovete essere dotati di stomaco forte per guardare alcune delle
scene che Danny Boyle ci propone.
Trainspotting ha fatto storia e non penso sia paragonabile ad altri
film, pur essendocene molti altri sul tema droga e
tossicodipendenza. Si tratta sostanzialmente di una commedia con
tratti drammatici, accompagnata spesso dalla voce fuori campo di uno
dei protagonisti che discetta sulle sue aspirazioni, sul suo
passato, sulle droghe.
Da non perdere assolutamente.
IMDb 8,2 RT 90%
141-142 * 2 film di Paul Greengrass, dai romanzi di Robert Ludlum
“The Bourne supremacy” (USA, 2004) * con M. Damon. F. Potente, J.
Allen * IMDb 7,8 RT 81%
“The Bourne ultimatum ” (USA, 2007) * con M. Damon. E. Ramirez, J.
Allen * IMDb 8,1 RT 98%
Secondo e terzo film della serie di 5 (il quinto, “Jason Bourne”, è
prossimo all’uscita) tratti dagli omonimi romanzi (1986 e 1990) di
Robert Ludlum, gli ultimi due di quelli scritti da lui. Infatti i 9
successivi titoli della saga Bourne sono in effetti firmati da Eric
Van Lustbader al quale è stato concesso di continuare ad utilizzare
il personaggio dopo la morte di Ludlum (2001).
Tornando ai due film, le storie sono state “modernizzate” (fra libri
e film ci sono oltre 15 anni e tanta tecnologia di differenza) e
notevolmente abbreviate. Considerate che i libri, in formato
paperback, constano di 600-700 pagine e i film circa due ore. Se a
ciò aggiungete il fatto che gli inseguimenti (che non sopporto, ma
pare che siano molto amati dagli americani) sono relativamente
dilatati capirete bene che il tempo che resta da dedicare a
personaggi, dialoghi e dettagli è abbastanza poco e ciò che viene
proposto è estremamente incompleto. Restano ottimi film, entrambi
diretti da Greengrass e interpretati da Matt Damon, ma niente a che
vedere con gli eccellenti libri di Ludlum.
Visto che si tratta di thriller, più che mai non dirò niente delle
trame se non che in entrambi si salta con frequenza da un continente
all’altro, inclusi due passaggi in Italia (Napoli in Supremacy e
Torino in Ultimatum), e che le due ore scorrono velocemente e quasi
senza respiro.
Se amate il genere dovreste guardare questi film e, nel caso siate
anche lettori, a maggior ragione dovreste leggere i libri.
143 * “Gladiator” (di Ridley Scott, USA, 2000)
* con
Russell Crowe, Joaquin Phoenix, Connie Nielsen
Classico colossal, ben interpretato, storia poco credibile anche se
con riferimenti storici veritieri, ricostruzioni e costumi molto
hollywoodiani spesso esagerati e grossolani. Non c’è molto da
aggiungere.
Vorrei però sottolineare le ottime interpretazioni di un paio di
“vecchi” attori a fine carriera che hanno avuto momenti di gloria
negli anni 60-70: Richard Harris nelle vesti di Marco Aurelio (breve
apparizione) e Oliver Reed nel ruolo dell’impresario ex-gladiatore.
Il primo è ricordato soprattutto per “Un uomo chiamato cavallo” del
1970, ma non si deve dimenticare il suo ruolo da protagonista con
Monica Vitti in “Il deserto rosso” (1964, di Michelangelo Antonioni)
e la partecipazione in “Unforgiven” (“Gli spietati”, di Clint
Eastwood, Oscar 1993) nella parte di English Bob.
Per Oliver Reed, londinese purosangue, il ruolo di Proximo in
Gladiator è stata la sua ultima interpretazione per la quale ottenne
una Nomination postuma ai BAFTA Awards. Attivo soprattutto in TV,
qualcuno lo ricorderà comunque per alcune interpretazioni
cinematografiche come quelle in due film di Ken Russell: “Women in
love” (1969) e “Tommy” (1975).
Buona la fotografia, spettacolari gli esterni.
RT 76% - IMDb 8,5 * vincitore di 5 Oscar
144 * “The constant gardener” (di Fernando Meirelles , UK, 2005)
*
con Ralph Fiennes, Rachel Weisz, Hubert Koundé
Buon film con buoni attori, ma con trama un po’ scontata. Non c’è
abbastanza intrigo, non c’è molta suspense, c’è poca azione. Bravo
come sempre Ralph Fiennes, che si destreggia più che bene sia in
ruoli drammatici come questo o in “Schindler’s list” e “Il paziente
inglese”, sia in quelli di commedie dark come nell’eccezionale “In
Bruges” o commedie pure come “Gran Budapest Hotel” e se ne
potrebbero citare tanti altri.
Al contrario l’interpretazione di Rachel Weisz, pur essendo buona,
non mi ha convinto del tutto e non so quanto sia stata meritevole
dell’Oscar ottenuto come attrice non protagonista, ma non posso
giudicare in quanto non ho visto tulle le altre sue concorrenti.
Termino con il regista brasiliano Fernando Meirelles il quale dopo
l’acclamato “City of God” si è dedicato soprattutto alle serie
televisione, ai documentari e alla produzione dirigendo solo pochi
altri film, ma senza mai riuscire ad essere mai convincente (come in
questo caso) o almeno a far sentire la mano del regista.
Non mi è dispiaciuto averlo visto, ma certamente per molti anni non
ho avrò intenzione di rivederlo.
RT 84% - IMDb 7,5 * Oscar a Rachel Weisz e altre 3 Nomination
145 * “Buena Vista Social Club” (di Wim Wenders, Ger, 1999)
* con
Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Rubén González, Ry Cooder
Un po’ documentario
su Cuba, un po’ riprese da concerto, un po’ brevi biografie di
grandi musicisti. Nel complesso molto piacevole, ma quasi
nessuno rimane del tutto soddisfatto. Al di là della bravura
degli artisti e della piacevolezza della loro musica, Wenders non
riesce a fornire un prodotto uniforme e bilanciato.
Ry Cooder, grande
chitarrista dallo stile molto particolare e coordinatore del
progetto, insieme con suo figlio Joachim, percussionista, è troppo
presente, quasi invadente. Anche in vari pezzi dal vivo il suo
intervento musicale è un po’ fuori luogo. Ho riscontrato
un’altra piccola pecca: in molti casi la musica è preponderante
rispetto alle voci e non sempre si riesce a capire il testo.
Tuttavia i simpatici terribili “vecchietti” coinvolgono talmente lo
spettatore/ascoltatore sia con i loro ricordi sia con le loro
performance che tutto viene perdonato a Wenders, a Cooder e al
tecnico del suono.
RT 91% - IMDb 7,6 * 1 Nomination Oscar
146 * “The last station” (di Michael Hoffman, UK-Ger-Rus, 2009) con
Christopher Plummer, Helen Mirren, James McAvoy, Paul Giamatti
Buon film, con due ottimi attori, estremamente interessante per i
suoi contenuti. Narra infatti in modo molto accurato ed abbastanza
fedele alla verità storica gli ultimi mesi di vita dello scrittore
(termine molto riduttivo) russo Lev Tolstoj, che molti ricordano
solo quale autore di “Guerra e pace” e, forse, di “Ana Karenina”.
Il soggetto è appassionante e rivela agli spettatori un Tolstoj non
solo scrittore, ma anche filosofo, drammaturgo, pedagogista,
anarchico cristiano e pacifista. Per queste ultime sue attività si
fece molti nemici agguerriti e potenti i quali, però, non riuscirono
a tacitarlo anche perché la sua fama era tale che ne avrebbero fatto
solo un martire con conseguenze ancora peggiori per loro. Per
spiegarsi il gran seguito che ebbe la sua “fuga finale” ad Astapovo
alla fine del 1910 può essere utile conoscere un po’ di più di ciò
in merito alla sua intensa vita (breve
bio su Treccani )
Come ho scritto in apertura, ottime le interpretazioni di
Christopher Plummer nel ruolo di Tolstoj ed Helen Mirren in quello
di sua moglie Sofya (entrambi guadagnarono la candidatura all’Oscar)
e assolutamente da non sottovalutare quelle di Paul Giamatti (Chertkov)
e James McAvoy nei panni del giovane Bulgakov.
Passato un po’ inosservato in Italia, penso che comunque valga la
pena di cercarlo e guardarlo, in particolare per coloro che si
interessano di letteratura, storia e filosofia.
RT 81% - IMDb 7,0 * 2 Nomination Oscar
147 * “Before the Devil knows you're dead” (di Sidney Lumet, USA,
2007)
* con Philip Seymour Hoffman, Ethan
Hawke, Albert Finney
A mio modesto parere, se Lumet non avesse scelto di eccedere nel
montaggio della prima metà del film in flashback e flashforward con
continui salti temporali introdotti da “un giorno prima del ...”,
“il giorno del ...”, “tre giorni prima del ...”, questo film sarebbe
stato molto più lineare a piacevole. Ho trovato la seconda metà
eccellente, dal momento in cui le cose si complicano ulteriormente e
allo spettatore vengono “suggerite” varie possibili evoluzioni della
trama, ma lasciandolo in sospeso fino alla fine.
Conducono il gioco tre ottimi attori, fra i quali trovo si distingua
l’allora settantenne Albert Finney, alla sua ultima interpretazione
da protagonista ma forte di una lunga esperienza in film di livello
che gli hanno fatto guadagnare 5 nomination agli Oscar, quattro
delle quali come attore protagonista.
In breve l’argomento: due fratelli decidono di organizzare una
rapina per sanare le proprie situazioni economiche, ma qualcosa va
storto e il seguito della storia è un crescendo di intoppi e
ulteriori difficoltà inaspettate.
Strano titolo originale con uno molto peggiore scelto, con la solita
maestria, per la versione italiana “Onora il padre e la madre” ...
Ottima scelta per gli amanti del genere crime-thriller.
RT 88% - IMDb 7,3
148 *
“Pantaleón y las visitadoras” (di Francisco J. Lombardi, Perù, 1999)
* con Angie Cepeda, Salvador del Solar, Mónica Sánchez
Storia al limite del surreale che solo uno scrittore latinoamericano
poteva partorire, e che scrittore ... il peruviano Mario Vargas
Llosa, Premio Nobel per la letteratura nel 2010. Il libro fu
pubblicato nel 1973 e questa di Lombardi è la seconda trasposizione
cinematografica. La prima nel 1975 fu diretta da José María
Gutiérrez Santos e dallo stesso Vargas Llosa e si avvalse di un cast
internazionale (Pantaleón era interpretato dall spagnolo José
Sacristán), ma non ebbe grande successo anche a causa della censura
imposta dal governo militare dell’epoca.
In altre mani questa storia dell’organizzazione di un servizio di
“visitadoras” (prostitute) per i reparti militari dislocati lungo i
corsi d’acqua dell’Amazzonia a difesa dei confini (tutt’oggi
contestati) con Ecuador a Colombia sarebbe probabilmente diventata
una sexy-commedia di basso rango o addirittura un porno softcore.
E invece, pur forse esagerando nella scelta del cast (tante ragazze
troppo avvenenti per quel tipo di situazione), Lombardi ha saputo
mettere insieme un film ben bilanciato includendo il sesso
(inevitabile) nella giusta dose e miscelandolo abilmente con il
rapporto di Panta(león) con la moglie, i suoi superiori, il cronista
locale, il cappellano militare, gli abitanti di Iquitos e della
“selva”.
Ci crediate o meno, i fatti descritti nel romanzo e ripresi dagli
omonimi film (il secondo modernizzato) sono più o meno
effettivamente avvenuti negli anni a cavallo fra i ’50 e i ’60 ... i
sudamericani non finiranno mai di stupirci, nel bene e nel male.
Non è un capolavoro, ma certamente vale la pena di guardarlo e le
quasi due ore e mezza scorrono piacevolmente, fino alla geniale
conclusione.
La versione originale del film è disponibile su YouTube (480p)
https://www.youtube.com/watch?v=rRgXmcTGEE0
RT 88% - IMDb 7,2
149 * “Le mari de la coiffeuse” (di Patrice Leconte , Fra, 1990) con
Jean Rochefort, Anna Galiena, Roland Bertin, Henry Hocking
Film molto particolare che ondeggia fra romanticismo e humour,
limitato in ambienti ristretti ricostruiti con cura e pieni di
dettagli significativi, con pochissimi attori (tutti bravi),
beneficia di una buona regia e ottima fotografia.
Rientra nei classici canoni dei registi francesi che descrivono alla
perfezione particolari situazioni e personaggi della provincia
francese.
Tranne che per un paio di rallentamenti nella narrazione e per
qualche salto temporale di troppo fra l’Antoine bambino (Henry
Hocking) e l’Antoine adulto (Jean Rochefort), il film scorre
piacevolmente con molti momenti di ottima cinematografia che
culminano con le danze di entrambe gli Antoine.
Se siete spettatori che notano i dettagli e apprezzano il buon
cinema, quello che non ha bisogno di effetti speciali, grandi budget
e grandi nomi, non dovreste perdervelo assolutamente.
Se siete invece fra quelli che dicono “Non succede niente”,
evitatelo.
RT 100% - IMDb 7,4
150 *
“Citizen Kane” (di Orson Welles, USA, 1941) con Orson Welles, Joseph
Cotten, Dorothy Comingore
Ho scelto di ri-godermi questo film per celebrare la mia 150^
visione del 2016.
Praticamente acclamato da tutti, si tratta della pellicola di Orson
Welles che in Italia è conosciuta con il titolo “Quarto potere”
invece di “Il cittadino Kane” (nome mantenuto in quasi tutte le
altre traduzioni) aprendo le porte ad un’altra traduzione fantasiosa
come “Quinto potere” affibbiata a “Network” del 1977 (4 Oscar, di
Sidney Lumet, con Faye Dunaway, William Holden, Peter Finch).
Eccellenti le riprese, praticamente geniali, con punti di vista dal
basso fino al livello del suolo e poco rispetto dell’orizzontalità.
Molte scene ci riportano alla mente l’espressionismo tedesco degli
anni ’20, esaltate da un nitido bianco e nero che sfrutta al meglio
le possibilità fornite dalla tecnologia dell’epoca, chiaramente
molto più avanzata di quella a disposizione dei maestri del muto. Le
inquadrature che più rimangono impresse alla maggior parte degli
spettatori sono quelle innovative con grande profondità di campo che
presentano soggetti in primissimo piano assolutamente a fuoco come
quelli che appaiono molto più piccoli sullo sfondo.
Wells poté portare a termine questo film “d’avanguardia” in virtù
del contratto assolutamente anomalo che riuscì a strappare ai
produttori ai quali impose varie condizioni capestro. Infatti in
esso erano inserite varie clausole che gli consentirono la massima
libertà di azione, fra esse quella che gli permetteva di essere
totalmente indipendente dai giudizi dei produttori, con la sola
condizioni di attenersi al budget, vale a dire non superare il mezzo
milione di dollari di spese. Inoltre, era autorizzato a mantenere
segreto la sceneggiatura e non era obbligato a mostrare nessuna
ripresa prima del montaggio definitivo del quale lui e solo lui
sarebbe stato responsabile e che nessuno avrebbe potuto cambiare.
Citizen Kane è un film eccezionale, eppure non è il mio preferito
fra quelli diretti e interpretati da Orson Welles. Uno dei motivi è
che la trama coinvolge, ma non è veramente appassionante. Abbraccia
un arco di tempo troppo ampio con vari flashback e la storia non è
credibile al 100%. Personalmente ne prediligo un altro,
relativamente poco conosciuto in Italia se non ai cinefili, vale a
dire “Touch of Evil” (1958, malamente tradotto “L’infernale Quinlan”,
con Charlton Heston e Janet Leigh quali coprotagonisti).
Per “Quarto potere”, per dirlo all’italiana, Welles ottenne 3
Nomination agli Oscar del 1942, ma vinse solo quello per la migliore
sceneggiatura originale (condiviso con H. J. Mankiewicz) e non per
la miglior regia o come miglior attore protagonista. Il film ebbe
altre 6 Nomination.
Probabilmente per essere fuori dagli schemi convenzionali e troppo
all’avanguardia rispetto alle produzioni americane non fu mai
ritenuto “degno” di un Oscar nonostante tanti altri ottimi film
elogiati dalla critica nazionale ed internazionale. Solo nel 1971 l’Academy
of Motion Picture Arts and Sciences (quella che conferisce gli
Oscar) si decise ad insignirlo di un Oscar onorario per la sua
“superlativa arte e versatilità nella creazione di film”.
Oltre il già citato “Touch of Evil”, i miei preferiti sono "The
stranger” (Lo straniero), “Chimes at midnight” (Falstaff) e “The
third man” (Il terzo uomo), in quest’ultimo caso fu diretto da Carol
Reed ma certamente la sua interpretazione è superlativa.
RT 100% - IMDb 8,4 * Nella classifica di tutti i tempi in IMDB si
trova al 67° posto. |