100 * “Pavee Lakeeen: The Traveller Girl”
(Perry Ogden, Irlanda, 2005) * con Winnie Maughan, Rose Maughan,
Rosie Maughan
Chiariamo: Traveller in questo caso
non significa semplicemente viaggiatrice, ma indica l’appartenenza
al gruppo dei Traveller i nomadi irlandesi, i cui legami culturali
con rom, gitani ecc. non sono del tutto chiari. In passato sono
stati prodotti numerosi altri film proprio con titolo “Traveller”,
il più conosciuto dei quali è quello del 1997 di Jack Green (con
Mark Wahlberg, locandina allegata) che tratta di quelli ormai
trasferitisi negli Stati Uniti, che tuttavia continuano a mantenere
le loro tradizioni “nomadi”.
Come film praticamente non esiste in
quanto non c’è una trama, non c’è un prologo, non c’è una
conclusione e anche molti avvenimenti della quotidianità della
famiglia protagonista ed in particolare dell’undicenne Winnie
vengono proposti ma poi lasciati in sospeso, senza alcun esito.
Gli stessi problemi sociali che i
Traveller si trovano ad affrontare e il difficile rapporto con le
istituzioni vengono accennati, ma nessuno è analizzazto, neanche
superficialmente. Tanta cinepresa a spalla e recitazione “spontanea”
visto che la maggior parte dei protagonisti interpretano sé stessi.
Inserire una qualche storia, seppur
marginale, ma con un inizio, uno sviluppo e una conclusione, non
avrebbe impedito a Ogden (regista e sceneggiatore) di mostrare uno
spaccato veritiero della vita di una famiglia di traveller in un
camper alla periferia di Dublino.
Vedo questo film come una grande
occasione persa.
IMDb 6,3 RT 67%
99 * “Indiana Jones and the Last Crusade” (Steven Spielberg, USA,
1989) tit. it.
“Indiana Jones e l'ultima crociata” * con Harrison Ford, Sean
Connery, Alison Doody
Giunto al terzo Indiana Jones,
ancora non mi spiego il perché della pochezza del secondo. Questo è
molto più sagace, più colto, più divertente, molto meglio
interpretato, non insiste “all’infinito” su una stessa situazione,
le sorprese sono tante così come numerosissimi sono i dettagli
arguti, insomma tutt’altra storia. Eppure il regista è sempre lo
stesso e soggetto e personaggi continuano a essere quelli di Lucas.
E allora?
Secondo me, in sostanza è anche
migliore del primo, “I predatori dell’arca perduta” aveva solo il
vantaggio della novità.
A chi non conoscesse Indiana Jones e
volesse guardare un film della serie, consiglierei senz’altro questo
anche se, cominciando dal migliore, gli altri sembreranno scialbi se
non inguardabili.
IMDb 8,3 RT 89% *
1 Oscar e 2 Nomination
* al 111° posto nella classifica di IMDb dei migliori film di tutti
i tempi
98 * “Denial ” (Mick Jackson, UK, 2016) tit. it.
“La verità negata” * con Rachel Weisz, Tom Wilkinson, Timothy Spall
Film interessante ma abbastanza
piatto, forse per paura di essere troppo di parte. Si basa un vero
evento narrato in prima persona da Deborah Lipstadt una
storica-scrittrice americana che viene citata per diffamazione da un
negazionista (dell’olocausto) inglese. Accettando di andare a
processo e non patteggiare si trova nella situazione di dover
dimostrare di non aver calunniato lo scrittore in quanto nel sistema
giuridico inglese (al contrario di quello americano) le prove le
deve fornire l’accusato (per sua fortuna tramite i suoi avvocati).
Ancora una volta Rachel Weisz (nei
panni della Lipstadt) non riesce a convincermi, non che non sia
brava, ma le manca “personalità”. Al contrario, Tom Wilkinson offre
l’ennesima solida interpretazione nelle vesti dell’avvocato
difensore che deve smontare le accuse di diffamazione e conseguente
danno economico. Candidato due volte all’Oscar, come protagonista
per “In the Bedroom” e non protagonista per “Michael Clayton”, è
ammirevole come questo attore inglese (oggi quasi settantenne)
riesca a passare con indifferenza da film come questo, alla sci-fi
di Batman Begins, alla commedia d’azione come Rock’nrolla, a
commedie quasi surreali come The Grand Budapest Hotel, fornendo
sempre ottime prove.
IMDb 6,6 RT 82%
97 * “Indiana Jones and the Temple of Doom” (Steven Spielberg, USA,
1984) tit. it.
“Indiana Jones e il tempio maledetto” * con Harrison Ford, Kate
Capshaw, Jonathan Ke Quan
Questo non l’avevo mai visto e, dopo
averlo fatto, posso dire che non rimpiango certo di aver tardato
tanto, forse rimpiango di più le quasi due ore perse a guardarlo.
Nettamente inferiore al primo, naviga fra banalità, stereotipi,
scene viste e riviste e gli insopportabili coprotagonisti di
Harrison Ford non migliorano certo la situazione.
Si salvano solo i primi 20 minuti in
quanto più rapidi, pieni di avvenimenti e movimento, conditi con
qualche buona trovata. Il resto è da dimenticare.
Questo film assolutamente insulso
non è certo da annoverare fra i migliori di Spielberg il quale,
oggettivamente, ha prodotto più film di cassetta che di qualità.
IMDb 7,6 RT 85% *
1 Oscar e 1 Nomination
96 * “Les risques du metier” (André Cayatte, Fra, 1967) tit. it.
“Attentato al pudore” * con Jacques Brel, Emmanuelle Riva, René Dary
Sorvolando sulla pessima e
fuorviante traduzione del titolo, passo a sottolineare la stranezza
del cast con protagonista un cantante famoso che esordisce come
attore (più che degnamente) a quasi 40 anni e al suo fianco
l’affermata Emmanuelle Riva che di fatto aveva esordito 8 anni prima
con un ruolo da protagonista in “Hiroshima mon amour” (di Alain
Resnais, 1959), anche lei ultratrentenne all’epoca.
Seppur di argomento relativamente
più “leggero” (ma una calunnia, specialmente di molestie è
tutt’altro che “leggera”) “Les risques du metier” tocca ancora una
volta i temi tanto cari a Cayatte della giustizia e della morale,
temi centrali della sua precedente tetralogia. Il regista francese,
laureato in letteratura e in diritto, abbandonò la carriera forense
e si dedicò al giornalismo, scrittura e cinema, e divenne un acceso
paladino dell’abolizione della pena di morte.
Questo film si svolge in una
cittadina di provincia francese nella quale un professore viene
accusato di molestie da ben tre ragazze. In principio è il sindaco
che indaga, ma non venendo a capo di nulla subentra la polizia e la
storia si va complicando sempre di più con tante bugie e verità
nascoste.
Se vi interessa sapere di più su Cayatte, vi invito a leggere questo
ottimo articolo di Aldo Tassone, trovato nell’archivio di Repubblica
del 1989, quando i giornalisti erano giornalisti.
IMDb 7,1
95 * “Raiders of the lost Ark” (Steven Spielberg, USA, 1981) tit.
it.
“I predatori dell’arca perduta” * con Harrison Ford, Karen Allen,
Paul Freeman
Per compensare la visione di “Kong:
Skull Island”, ho messo mano alla tri-tetralogia di Indiana Jones ed
ho cominciato ovviamente dal primo film della serie. All'epoca fu
una vera novità, oltre che tanto al pubblico piacque abbastanza
anche alla critica e conquistò 4 Oscar. Da allora in poi si sono
moltiplicate a dismisura pellicole con trame che includono ricerca
di reliquie, oggetti dai poteri magici, pietre preziose ... tutti
puntualmente nascosti in templi diroccati, caverne e cripte, pieni
di insidie naturali e ingegnosissime trappole mortali opportunamente
sistemate a difesa dei preziosi oggetti.
Le sorprese sono tante, gli effetti
speciali ben realizzati (considerato che è un film di oltre 35 anni
fa), la suspense si miscela con l'ironia e un po' di commedia ... ma
in generale pecca sui tempi. Questo e un vizio o difetto di molti
che, nel tentativo di ottenere il massimo della tensione, dilatano
enormemente i tempi superando ogni plausibile limite. Ciò alla lunga
infastidisce un po’, almeno io trovo ridicole queste esagerazioni in
quanto nella maggior parte dei casi sono assolutamente inutili.
Il film lo dovreste conoscere tutti
ed è già stato scritto troppo, quindi mi fermo qui. Mi limito a
ricordarvi di tenerlo presente quando non avrete niente di meglio da
fare e cercate un modo di passare un paio d'ore piacevolmente e
senza dovervi impegnare mentalmente.
4 Oscar - al 39° posto nella
classifica dei migliori film di sempre (IMDb) - la posizione mi
sembra molto, ma molto esagerata.
IMDb 8,5 RT 94%
PS - la scena in cui
Indiana Jones
spara l'arabo nel mercato è quella che mi è sempre piaciuta di più,
... simile tattica dovrebbe essere usata più spesso e non fare come
quelli che, confrontandosi con un avversario, cominciano a parlare,
a fare rivendicazioni, rinfacciare torti subiti, ecc. e spesso per
perdere tempo hanno la peggio.
94 * “Kong: Skull Island” (Jordan Vogt-Roberts, USA, 2017) * con Tom
Hiddleston, Samuel L. Jackson, Brie Larson
Qual è la sottile distinzione fra
“citazione”, “omaggio” e “copia”? Me lo sono chiesto a più riprese
vedendo questo film che pur non essendo un remake attinge a piene
mani da film di varie epoche e qualità. Primo fra tutti Apocalypse
Now, a cominciare dal poster con la sfera solare infuocata e gli
elicotteri, per finire alla musica suonata “a palla” mentre gli
stessi volano in formazione.
Non è assolutamente un film
memorabile e penso che verrà presto dimenticato, ma devo confessare
che temevo di peggio. Il taglio anti-bellico è risibile e forse è
stato introdotto solo per giustificare la presenza della fotografa
“anti-war” Brie Larson, che ovviamente è quella che farà colpo su
(King) Kong.
Nel complesso le interpretazioni,
comprese quelle di attori bravi e buoni caratteristi, variano
dall’appena sufficiente allo scadente.
Sul versante positivo si ha conferma
dei livelli eccelsi ormai raggiunti dalla tecnologia CGI e, anche se
non sbalordisce più come qualche anno fa, si deve riconoscere che
questo Kong sembra quasi sempre assolutamente reale.
Altri pregi sono i fantastici
scenari naturali e la rappresentazione del villaggio di aborigeni
(interpretati da una etnia vietnamita, ipnotizzanti i loro sguardi,
seppur quasi mascherati dai complicati disegni sui loro volti, ben
proposti nel film) in parte reale nella provincia di Ninh Binh, in
parte ricostruito in una valle che affaccia sulla costa NE di Ohau,
Hawaii.
E qui vengo all’ultimo argomento
(molto personale) che mi ha interessato: le location hawaiane che
conosco abbastanza bene. Le poche scene cittadine sono state
ricostruite nella Chinatown di Honolulu (dove vado a mangiare almeno
4 volte a settimana), mentre le scene più “aperte” sono state girate
in un gruppo di valli contigue, dove sorge il Kualoa Ranch, famoso
per essere stato set di tanti famosi film fra i quali Jurassic Park
(1993), Godzilla (2000), Pearl Harbor (2001), Hunger Games (2013).
Qui potete vedere
alcune foto della valle “al naturale”, scattate nel corso di una
escursione con i consoci dell’Hawaian Trail and Mountain Club (che
provvide ad ottenere i permessi) esattamente 9 anni fa ... c’è anche
un’indicazione di una location di Pearl Harbour.
IMDb 7,2 RT 73%
93 * “Lock, Stock & two smoking barrels” (Guy Ritchie, UK, 1998)
tit. it.
“Lock & Stock - Pazzi scatenati” * con Jason Statham, Jason Flemyng,
Dexter Fletcher, Nick Moran
Poche parole per questo film cult di
quasi 20 anni fa che, penso, quasi tutti conoscano.
Visto che hanno travisato il titolo,
più che “Pazzi scatenati” lo avrebbero potuto anche chiamare
“Perfetti sprovveduti” (per non dire altro). Ma si sa, sugli errori,
ingenuità e scelte arrischiate (e quasi nessuno di noi ne è del
tutto esente) si basano la maggior parte dei film e dei romanzi.
Pazzo (e allo stesso tempo geniale)
è senz’altro Guy Ritchie (all’esordio sia come sceneggiatore che
come regista) che è stato capace di creare una storia così contorta
e intricata con oltre una ventina di personaggi che si scontrano, si
ritrovano per caso, si minacciano e, all’occorrenza, si uccidono.
L’ambiente è quello della moderna
malavita londinese, con tanta droga e tanti soldi in circolazione,
ma a ciò Ritchie ha aggiunto furti, rapine, killer, esattori e gioco
clandestino (truccato), ma sempre con tocco leggero, tendente alla
commedia.
Pur essendo sostenitore delle
versioni originali, devo dire che mi sono trovato qualche volta in
difficoltà con lo slang e lo stretto accento londinese, ma meglio
perdere qualche parola che la sonorità di quei dialoghi.
Ottima e appropriata la colonna
sonora.
Se ci fosse ancora qualche cinefilo
che non l’ha visto, e anche se non fosse il suo genere preferito,
penso che dovrebbe comunque colmare questa lacuna.
IMDb 8,2 RT 89% * al
143° posto fra i migliori film di tutti i tempi (classifica IMDb)
92 * “The Women’s Balcony” (Emil Ben-Shimon, Isr, 2016) tit. or.
“Ismach Hatani” * con Avraham Aviv Alush, Yafit Asulin, Orna Banai
Predicatori e imbonitori mi hanno
sempre affascinato e li "ammiro" per la loro capacità di catturare
l'attenzione degli astanti e fissarla come se fossero magneti e, in
genere, per lo stesso motivo non li apprezzo in quanto molti di loro
vendono fumo e illusioni, propagano idee prive di fondamento, finte
religioni, ecc.
Restando in ambito cinematografico
ricordate il viscido predicatore (Paul Dano) di “There will be Blood”
o il finto pastore (Robert Mitchum) di “The Night of the Hunter” o,
per qualcosa di molto più leggero e positivo ma comunque
“ipnotizzante”, James Brown nelle vesti del Reverendo Cleophus James
in “The Blues Brothers”?
In “The Women's Balcony” il
protagonista (secondario per presenza sulla scena ma principale per
i malumori che suscita) è un giovane rabbino ultraortodosso il quale
subdolamente tenta di prendere il posto dell'anziano rabbino
temporaneamente inabile. Non si deve essere esperti di ebraismo per
capire che il sentimento comune è il rispetto della religione, ma
anche di insofferenza nei confronti di quelli che vogliono imporre
ad ogni costo leggi ferree e obsolete che spacciano per divine.
Per allargare (a mio rischio e
pericolo) il discorso, fra questi tipi di sacerdoti-predicatori
integerrimi spesso si nascondono i peggiori, qualunque sia la
religione interessata. Non solo ultraortodossi che uccidono e
derubano, ma anche imam che predicano violenza e seminano odio,
preti pedofili e suore aguzzine, e ognuno potrà pensare ad altri
atteggiamenti simili non solo contrari allo loro dottrina ma anche
alle leggi civili.
Nel film c'è praticamente tutto
questo, un rabbino che con modi affabili e una sapiente e
"illuminata" parlantina tenta di manipolare una piccola comunità di
ebrei osservanti, tuttavia umani e “quasi” al passo con i tempi. Le
donne saranno le prime a rendersi conto dell’ambiguità del religioso
e ci vorrà un po’ prima di convincere anche i mariti.
Film corale, ben interpretato e
portato avanti con buon ritmo, anche se vari avvenimenti e reazioni,
così come il finale, sono abbastanza prevedibili, in sostanza poche
sorprese.
Interessante anche dal punto di
vista etnico (aspetto per me sempre interessante) che mostra ai non
ebrei vari aspetti della loro liturgia, nominando un'infinità di
festività e termini religiosi. Eppure, in fondo, nelle feste,
riunioni e nel matrimonio vengono fuori le radici mediorientali con
cibo, musica e passi di danza che solo un esperto può individuare
come specifiche israeliane. Basta dare un’occhiata (e porgere un
orecchio) al trailer.
IMDb 7,7
NB - il "Balcony" del titolo si
riferisce alla "balconata" riservata alle donne all'interno della
sinagoga
91 * “Robo G” (Shinobu Yaguchi, Jap, 2012) * con Naoto Takenaka,
Yuriko Yoshitaka, Gaku Hamada
Discreto soggetto, scarsa
sceneggiatura, ancor peggiore realizzazione ... peccato.
In questa storia di un finto robot
ci sono numerosi spunti interessanti e varie sorprese disseminate
qua e là, ma così come è presentata e realizzata purtroppo non regge
proprio, lo trovo pressoché inutile.
Proponendo almeno i personaggi dei
tre creatori dell’automa meno imbranati e più plausibili sarebbe già
cambiato tanto, ma le pecche sono tante anche sotto altri punti di
vista.
IMDb 7,0
90 * “Life of Brian” (Terry Jones, UK, 1979) tit. it.
“Brian di Nazareth” * con Graham Chapman, John Cleese, Eric Idle,
Terry Gilliam, Terry Jones, Michael Palin
Nonostante le insensate accuse di
blasfemia che lo hanno tenuto lontano dai cinema per molti anni in
varie nazioni europee “bigotte” (in Irlanda ebbe il nulla-osta solo
nel 1986 e in Italia addirittura nel 1991) questo film dei Monty
Python è considerato dai più il loro migliore ed io concordo al
100%, in tutti i sensi. La storia ha una maggiore continuità e non è
una semplice sequenza di sketch, i personaggi sono tanti e nessuno
di essi è casuale, i temi toccati (per chi riesce a coglierli) sono
tanti e soprattutto non tanto religiosi quanto politici, storici e
sociali. Non riesco a capire come si possa ritenere “Life of Brian”
un oltraggio alla cristianità visto che i riferimenti sono
soprattutto a parabole o eventi non strettamente religiosi.
Alcune scene sono decisamente
esilaranti come quella della lapidazione ad opera di donne, i
discorsi di Pilato, l’uomo che vuole diventare donna ed avere un
figlio, le riunioni dei vari gruppi clandestini che vorrebbero
cacciare i romani, la lezione di grammatica latina, giusto per fare
qualche esempio. Il ritmo è serrato e, come è nel loro stile, i sei
del gruppo appaiono in ruoli diversi ogni pochi minuti.
Per questo film in particolare vale
più che mai quanto detto per il precedente Holy Graal (ma dovrebbe
essere regola generale) vale a dire l’enorme differenza fra versione
originale e quella doppiata. Questa è stata la mia prima visione in
lingua originale del film e, pur avendolo già visto un paio di volte
(doppiato) nei decenni passati, mi sono divertito come non mai.
Per quanto si possa essere
religiosi, penso che ogni persona di larghe vedute e mentalità
aperta possa trovare tanti spunti interessanti, se non divertenti,
in questo film di quasi 40 anni fa che già metteva in risalto
problemi ancora attuali e lungi dall’essere risolti.
Da non perdere, seguire con
attenzione e riflettere.
A beneficio di chi non lo sapesse,
mi permetto di ricordare che i Monty Python non erano comici o
cabarettisti di terz’ordine e anche se il loro linguaggio e ciò che
mostravano era ritenuto spesso audace o addirittura offensivo (ma
solo da alcuni) ogni loro battuta, gag o sceneggiatura completa
aveva alle spalle una gran cultura che in parte derivava anche dai
loro studi universitari, alcuni dei quali significativi per i loro
tipi di lavori. I 6 erano tutti laureati ed esattamente: John Cleese
(1939) in Legge, Graham Chapman (1941-1989) in Medicina, Terry Jones
(1942) ed Eric Idle (1943) in Inglese, Michael Palin (1943) in
Storia Moderna e Terry Gilliam (1940) in Scienze Politiche. Gilliam,
oltre ad essere l’unico americano, era il principale autore dei
disegni e delle surreali animazioni che compaiono nei loro film e,
come molti di voi ben sanno, si è successivamente dato alla regia
ottenendo anche una Nomination Oscar per il cult-movie “Brazil”.
IMDb 8,1 RT 96% * al 181°
posto fra i migliori film di tutti i tempi (IMDb)
89 * “Monty Python and the Holy Grail” (Terry Gilliam, Terry Jones,
UK, 1975) tit. it.
“Monty Python e il Sacro Graal” * con Graham Chapman, John Cleese,
Eric Idle, Terry Gilliam, Terry Jones, Michael Palin
Dopo anni di televisione con vari
tipi di show, fra i quali “Flying Circus” quello che li rese famosi
e amatissimi in Gran Bretagna, nel 1975 i Monty Python approdarono
al cinema vero e proprio dopo un primo film (“E ora qualcosa di
completamente diverso”, 1971) che però era un semplice collage di
loro sketches.
Si dovrebbe quindi considerare
questo “Sacro Graal” quale film d’esordio, avendo esso una trama
unica. Ognuno di loro interpreta più personaggi (dai “soli” 4 di
Graham Chapman fino ai 9 di Michael Palin) talvolta addirittura
nella stessa scena utilizzando il campo e controcampo.
La loro comicità “demenziale”
(eppure spesso basata su logica stringente) non è gradita a tutti
anche perché spesso risulta difficile da rendere in altre lingue, lo
stesso che successe per i fratelli Marx che basavano molto della
loro comicità sui testi ed in particolare sui giochi di parola.
Il film si apre con dei titoli di
testa folli per l’epoca, con elenco di tutti i partecipanti alla
realizzazione del film, anche in ruoli estremamente marginali,
accompagnati da sottotitoli non pertinenti scritti in modo assurdo.
Questi elenchi infiniti sono ormai diventati norma e ho visto titoli
di coda lunghi fino a 9 minuti (!) che includono i nomi degli
acconciatori e autisti di ciascun attore e addirittura i contabili.
Al contrario i titoli di coda, in tempi recenti più lunghi, non ci
sono proprio e lo schermo diventa nero interrompendo improvvisamente
il flm.
La trama propone chiaramente di una
parodia dei paladini di Re Artù, delle loro avventure, duelli,
codici di onore, armi e armature..
Da vedere assolutamente in versione
originale.
IMDb 8,3 RT 95%
* al 101° posto nella
classica dei migliori film di tutti i tempi di IMDb
88 * “Songs my brother taught me” (Chloé Zhao, USA, 2015) * con
Wambli BearRunner, Irene Bedard, Dakota Brown
Molti avranno ormai capito che i
film a sfondo etnico mi interessano particolarmente e nelle mie
valutazioni sono molto più ben disposto a "tollerare" carenze,
imprecisioni e riprese non eccelse tenendo conto delle oggettive
difficoltà di produzione. Molti di essi sono tuttavia ancor più
apprezzabili per la semplicità delle inquadrature, per il sonoro in
presa diretta o comunque non troppo rielaborato, per il linguaggio
filmico essenziale.
Con questo spirito mi sono
avvicinato a questo film ambientato in una comunità di nativi
americani (facente parte del gruppo dei Sioux), e non sono rimasto
deluso. La tribù degli Oglala Lakota una volta abitava le immense
praterie fra Dakota, Montana e Saskatchewan (Canada), ma oggi si può
trovare traccia della loro cultura solo in alcune delle "riserve"
dove vivono più o meno emarginati.
Il film, molto semplice nella sua
struttura, mostra con crudo realismo una comunità quasi allo sbando,
con pochissime attività commerciali, oltre il 70% di disoccupati,
livello di vita sotto il livello di povertà e molti (troppi)
spendono i loro pochi soldi in alcool e fumo. Molti sopravvivono
solo grazie agli aiuti (incluse distribuzione di cibo) del governo e
di varie associazioni, e ho anche letto che nelle Americhe solo
Haiti ha un reddito pro-capite più basso. Molti dei gruppi familiari
sono allo sbando in quanto esiste di fatto la poligamia e
considerato che parte degli adulti hanno problemi con la legge ci
sono tante madri single. Il padre di Johnny (protagonista con la
sorella Jashuan) nel film come nella vita reale ha 7 “cosiddette
mogli” e 25 figli ... e nel film muore all’inizio lasciando i due
soli con la madre, mentre un terzo fratello è in carcere. La regista
Chloé Zhao (cinese) esordisce con questo film raccontando
dall’interno, con tanta camera a spalla, senza nessun set
ricostruito, ma riesce a mantenersi ben lontana dal documentarismo
limitandosi ad un semplice, buon cinéma vérité.
“Songs my brother taught me” è
completamente girato nella Pine Ridge Reservation (South Dakota),
nelle vere case dove abitano attualmente i Lakota e negli ampi spazi
circostanti (le famose Badlands), con interpreti esclusivamente
locali, tutti alla prima esperienza di fronte alla cinepresa.
Oltre alle belle riprese delle
praterie e degli aridi calanchi delle Badlands, mostra anche qualche
svago della popolazione, soprattutto rodei nei quali i partecipanti
sono più numerosi degli spettatori ed è significativo il fatto che
diventare un “bull rider” sia una delle aspirazioni più comuni dei
ragazzi.
IMDb 6,7 RT 89%
* Nomination a Cannes e al Sundance
87 * “Remember” (Atom Egoyan, Isr, 2015) * con Christopher Plummer,
Kim Roberts, Amanda Smith
Acuto thriller "lento", più che
giustificato dal fatto che il protagonista è un novantenne, affetto
da demenza senile, che viaggia da solo e via terra da un lato
all'altro degli Stati Uniti con una deviazione in Canada. Ottima
performance di Christopher Plummer (all’epoca 86enne) nei panni di
un sopravvissuto di Auschwitz, convinto da un suo compagno di
sventura a cercare il loro aguzzino e "fare giustizia" (vendetta).
Fatto il quadro della situazione, è facile comprendere come a tratti
tenda verso la dark comedy e per questo mi ha ricordato vari lavori
dei primi fratelli Coen.
Anche se guidato dai dettagliati
appunti scritti per lui dal suo diabolico amico costretto su una
sedia a rotelle, il lungo viaggio di Zev non sarà ovviamente facile.
Oltre a vari incontri con bambini e tutori dell'ordine (guardie di
frontiera, trooper e vigilantes) dovrà affrontare una serie di
imprevisti prima del colpo di scena finale.
Il racconto è portato avanti in modo
tale che veramente non si riesce ad immaginare come si possa
concludere il film se non un minuto prima della fine.
IMDb 7,4 RT 71% *
Premiato a Venezia 2015
86 * “Abulele” (Jonathan Geva, Isr, 2015) * con Yoav Sadian, Idan
Barkai, Bar Minali
Il film di apertura del Jewish Film
Festival di Honolulu si è rivelato una piacevole sorpresa. Con i
film israeliani non si sa mai dove vanno a parare e temo sempre che
contengano messaggi integralisti più o meno velati, relativi
all’etnia o alla religione.
Niente di tutto ciò, "Abulele" è un
film per adolescenti, avente come protagonisti un ragazzo di una
decina d'anni e Abulele, un simpatico mostro, più che altro uno
"spirito" un po' dispettoso ma non certo malvagio, assimilabile al
famoso "munaciello" napoletano.
Al contrario di quanto paventato, mi
sembra che prenda sfacciatamente in giro i fanatici delle forze di
sicurezza e i nazionalisti sfrenati. Dopo un inizio un po' lento e
macchinoso, il film prende corpo e fra varie situazioni prevedibili
o comuni in questo tipo di storie scolastiche sono inserite
sorprese, argute battute e colpi di scena.
Considerato il target l'ho trovato
più che buono e anche i personaggi adulti sono ben caratterizzati e
divertenti.
Se vi capita e siete interessati ad
un'ora e mezza di svago, prendetelo in considerazione.
IMDb 7,1
85 * “Cartel Land” (Matthew Heineman, USA, 2015) aka “Tierra de
carteles” * con Tim Nailer Foley, José Manuel 'El Doctor' Mireles,
Paco Valencia
Documentario un po’ lento e molto
macchinoso, incentrato su due personaggi principali, su lati diversi
della frontiera USA/Messico.
Uno organizza squadre di
“vigilantes” per liberare varie città dello stato di Michoacan dalle
violenze e dai traffici dei narcos, l’altro al contrario recluta
volontari per sorvegliare la frontiera statunitense nel tentativo di
non far passare né clandestini, né droga. In effetti i due sono
quasi alleati (seppur a oltre 1000km di distanza) nella guerra
contro i “carteles”.
Di argomento simile ma opposto (nel
senso che fa conoscere proprio i trafficanti di droga) ho trovato
molto più interessante “Narco Cultura” (di Shaul Schwarz, 2013). Se
siete interessati a conoscere un po’ di più in merito a ciò che
succede in Messico, fra la capitale ed il confine con gli USA, e
doveste scegliere fra i due, vi consiglio il secondo.
IMDb 7,4 RT97% *
Nomination Oscar 2016 come miglior documentario, premiato dal
Directors Guild of America, 2 premi al Sundance e altre 15 vittorie
e 35 nomination
84 * “Logan” (James Mangold, USA, 2017) * con Hugh Jackman, Patrick
Stewart, Dafne Keen
La mia opinione da INesperto di
questo genere.
Avendo letto tante buone o ottime
recensioni che sottolineavano l’atipicità di Logan, diverso dai
precedenti film di “supereroi”, sono andato a guardarlo.
In effetti non è comparabile con
quelli che avevo precedentemente visto e si sviluppa più che altro
sullo stile dei film on the road, con un lungo inseguimento che
inizia in Messico e termina in Canada, dopo aver attraversato gli
Stati Uniti da sud a nord, ovviamente su strada
Logan viene presentato come i
classici “buoni” che dopo le loro lunghe carriere caratterizzate
dalla violenza hanno deciso di smettere di fare gli “sceriffi” o i
“paladini” e tentano di ritirarsi a vita privata isolandosi.
Purtroppo per lui (ma anche questa è storia vista e rivista in mille
western e polizieschi) il riluttante Logan viene trascinato in una
disperata fuga con una bambina ed un anziano su sedia a rotelle.
Il film è senz’altro molto più
meritevole di tanti altri dello stesso genere e Hugh Jackman,
sebbene invecchiato e appesantito, è più che convincente.
Penso che sia un film imperdibile
per gli appassionati, mentre gli “altri” ne possono fare
tranquillamente a meno.
Come sempre più spesso accade di
recente per i lanci dei film di cassetta, l’8,8 di IMDb che lo
porrebbe al 46° posto dei film di tutti i tempi è assolutamente
fasullo e sta scendendo a vista d’occhio.
IMDb 8,8 RT93%
83 * “Ambush” (Olli Saarela, Fin, 1999) tit. or. “Rukajärven tie” *
con Peter Franzén, Irina Björklund, Kari Heiskanen
Film di guerra, ma non il solito ...
e non solo per gli "esploratori ciclomontati" che con le loro
biciclette sferraglianti vanno su e giù lungo le piste sterrate
negli sterminati boschi della regione dei laghi, ma anche per il
soggetto.
I fatti narrati si collocano
nell’ambito della “Guerra di continuazione” (1941, una delle tante
che pochi di noi conoscono) combattuta fra finlandesi, russi e
partigiani, dopo chel’anno prima la Russia aveva attaccato
proditoriamente la Finlandia, quindi poco a che vedere con la seppur
contemporanea II Guerra Mondiale.
Diverso dai soliti cliché, segue la
missione di una quindicina di soldati in missione perlustrativa,
gruppo che, ovviamente, si andrà man mano riducendo per cause
diverse, in eventi distinti. A margine di ciò si sviluppa la
travagliata storia d'amore fra il tenente a capo del manipolo e una
ausiliaria.
Interessante, originale, buona
fotografia, ottimi scenari naturali.
IMDb 6,8
82 * “Hear me” (Fen-fen Cheng, Taiwan, 2009) tit. or.
“Ting shuo” * con Eddie Peng, Ivy Yi-Han Chen, Michelle Chen
Delicato e divertente film, non
proprio una commedia ma lungi dall'essere drammatico, non
sentimentale ma abbastanza romantico.
Storia di un amore a prima vista fra
un ragazzo che consegna pasti a domicilio per il ristorante dei
genitori e una ragazza sordomuta che si prende cura della propria
sorella maggiore, anch'ella sordomuta, che aspira ad entrare nella
squadra di nuoto per le Paralimpiadi.
Volendo approfondire l’analisi al di
là dell’aspetto “leggero”, ci sarebbe tanto da prendere in
considerazione in merito ai rapporti di portatori di handicap con i
propri familiari e con gli estranei, lo strano ma profondo rapporto
fra le sorelle, le attenzioni dei genitori nei confronti del figlio.
Film ben realizzato e piacevole, con
due giovani protagonisti più che convincenti.
IMDb 7,5
81 * “The zookeeper” (Ralph Ziman, Cze-Dan-UK-NL, 2001) tit. or.
“Rukajärven tie” * con Sam Neill, Gina McKee, Ulrich Thomsen, Om
Puri
Soggetto dalla storia strana questo
di "The zookeeper", che mi lascia molto perplesso. Qualcuno saprà
certo che è in uscita "The zookeeper's wife" (di Amma Asante, 2017,
con Jessica Chastain e Johan Heldenbergh) che è "ufficialmente"
tratto dall'omonimo romanzo non-fiction (del 2007) di Diane Ackerman,
a sua volta basato sul diario inedito di Antonina and Jan Zabinski,
direttore dello Zoo di Varsavia. La cosa strana è che non ho trovato
nessun riferimento a questo misconosciuto film del 2001 che tratta
di una storia parzialmente simile seppur con varie differenze: il
guardiano dello zoo è single, nasconde solo due “partigiani”, guerra
civile e paese non meglio identificato, avvenimenti successivi alla
caduta dei regimi comunisti. C'è da pensare che la sceneggiatura di
“The zookeeper” abbia avuto come spunto gli stessi fatti reali che
portarono i coniugi Zabinski a salvare decine e decine di ebrei e
quindi essere successivamente riconosciuti quali “Giusti tra le
nazioni”.
Ma veniamo a questa coproduzione
danese-anglo-ceca-olandese che sembra non essere mai giunta in
Italia (io ho trovato il dvd in Spagna). Scarsissima la
circolazione, su RT c'è la sola recensione di xxx dal titolo: “A
haunting film, superbly directed, and filmed with a harsh beauty”
(4/5). Su IMDB vanta un più che buono 7,6 e tanti commenti positivi.
Il film non è certo allegro, ma
neanche deprimente come altri avrebbero potuto realizzarlo. Sam Neil
si destreggia in modo dignitoso e fino ad un certo punto il suo
personaggio è abbastanza credibile, ma man mano che la storia va
avanti sia lui che i comprimari cominciano a diventare sempre meno
plausibili e quindi abbastanza irritanti. Peccato.
Da ciò che ho visto nel trailer di
"The zookeeper's wife" mi sembra che varie scene, così come la
scelta degli animali, ricordino il film di Ziman.
IMDb 7,6
80 * “Namour” (Heidi Saman, USA, 2016) * con Karim Saleh, Waleed
Zuaiter, Nicole Haddad
Film d'esordio dell'americano Heidi
Saman, figlio di immigrati egiziani, il quale si cimenta in un
(piccolo) dramma familiare ai tempi della crisi economica della fine
del decennio scorso. Attorno al protagonista Steven, che si arrangia
lavorando come valet al parcheggio di un costoso ristorante, ruotano
i genitori (divorziati, lui vive con la madre), la sorella (più
concreta di lui), l’anziana nonna e la fidanzata un po’ ossessiva
(si vede poco, ma è in costante contatto tramite messaggi sullo
smartphone). Aggiungete il cambio casa in corso e le insoddisfazioni
lavorative e avrete un quadro pressoché completo della situazione.
Prodotto garbato e senza eccessi,
descrive bene i rapporti all’interno della famiglia egiziana
(comunque relativamente agiata e senz’altro integrata), le dinamiche
sociali e la precarietà del lavoro.
A tratti risulta un po' lento, ma mi
è parso ben realizzato e dignitosamente interpretato. Interessante,
merita la sufficienza.
Due premi al Los Angeles Film
Festival
79 * “Get Out” (Jordan Peele, USA, 2017) tit. it.
“Scappa” * con Daniel Kaluuya, Allison Williams, Bradley Whitford
Qui negli States è il “caso” del
momento, in piena frenesia Oscar tutti ne parlano e in questi primi
giorni (è uscito il 24, quindi da neanche una settimana) ha
incassato la bellezza di 35 milioni di dollari! Ciò non sorprende
più di tanto, ma quello che meraviglia trattandosi di una commedia
“terror” è che sta ricevendo anche critiche estremamente positive.
Sul più importante aggregatore (Rotten Tomatoes) al momento sono
riportate 147 recensioni delle quali una sola insufficiente, ma
prendendo in considerazione solo quelle dei "top critics" si ha un
rotondo 100% (47 su 47) con voto medio 8.
Dopo questo dovuto preambolo,
veniamo al dunque. Chi è Jordan Peele? E’ un famos(issim)o comico,
soprattutto televisivo (Emmy Award per la serie “Key and Peele”)
alla sua prima esperienza come regista e alla seconda come
sceneggiatore (Keanu, la precedente).
Onestamente penso che non avrà lo
stesso successo al di fuori dei confini americani in quanto non è
abbastanza commedia horror-terror ed il resto è satira politica,
sociale e razziale, del tipo difficilmente traducibile e ancor più
difficilmente percepibile per i non americani.
Ben strutturata con una lunga prima
parte di “sospetti” ma pochi avvenimenti, abbastanza originale per
gli sviluppi, senza zombie, mostri e simili, si basa invece su un
paio di molto ipotetiche (in effetti poco credibili) idee
medico-biolgiche-psicologiche. Bravi gli attori e molto buona
l’ambientazione nella grande residenza in mezzo alla natura “lontana
da ogni altra abitazione”, come ci tiene a sottolineare il padrone
di casa.
In conclusione non è male e per
niente banale, ma certamente non vale gli attuali rating. Di questo
stesso genere il mio preferito in assoluto è il geniale "Tucker and
Dale vs Evil" (di Eli Craig, 2010) con Alan Tudyk ... e non ve lo
dovete perdere!
IMDb 8,3 RT 100%
78 * “Le soupirant” (Pierre Étaix, Fra, 1962) tit. it. “Io e le
donne” * con Pierre Étaix, France Arnel, Laurence Lignières
Commedia di e con Pierre Étaix,
quasi emulo di Jacques Tati, dico quasi in quanto di tanto in tanto
proferisce qualche parola al contrario del suopiù famoso collega che
era mimo vero e proprio.
Il timido (e “imbranato”) Pierre,
già uomo fatto sempre con la testa fra le nuvole, viene spinto dai
genitori a cercarsi una moglie, ma la cosa si rivela tutt’altro che
semplice. Equivoci a non finire, situazioni originali e tempi
perfetti caratterizzano questa commedia nella quale le parole certo
non si sprecano. Film recentemente restaurato insieme con gli altri
di Étaix.
Prodotto molto particolare e
sottile, poco a che vedere con le commedie classiche.
IMDb 7,3 RT 100%
77 * “I'm not you Negro” (Raoul Peck, USA, 2016) * con James
Baldwin, Samuel L. Jackson (voce)
Documentario estremamente
interessante, specialmente per quelli come me che, pur sapendo
qualcosa delle lotte dei negri (allora si chiamavano così) per la
parità di diritti civili e fine della segregazione razziale, e
conoscendo chi fossero Malcolm X e M. L. King, non hanno comunque un
quadro completo della situazione a metà del secolo scorso.
Affascinante il modo in cui James
Baldwin espone le sue idee nei filmati originali di interviste e
conferenze, punti di vista assolutamente non banali. Appropriati le
foto e i filmati d’epoca.
Ed ecco quello che non mi è
piaciuto: l’inserimento di vari filmati “moderni” (per fortuna
pochi) come quelli relativi agli scontri di Ferguson del 2014 e
troppi spezzoni di film, spesso non proprio attinenti al discorso,
ma solo per dimostrare come al cinema si propinasse continuamente la
superiorità dei bianchi.
Candidato all’Oscar come miglior
documentario (ma, come saprete, questo è andato a “O.J.: Made in
America””
IMDb 6,7 RT 100%
76 * “Maya Angelou: and Still I
Rise” (Bob Hercules e Rita Coburn Whack, USA, 2016) * con Maya
Angelou
Ottimo documentario sulla vita di
una donna eccezionale, attiva fino a poco prima della morte
sopraggiunta a 86 anni (1928-2014) dopo una vita intensa e varia,
piena di successi nei campi più disparati.
Una perfetta combinazione di filmati
e foto d’epoca, interviste ad amici e ad alcuni dei tanti personaggi
famosi che l’hanno conosciuta e frequentata e tanti racconti,
ricordi e declamazioni di versi dalla sua viva voce. Amata e
rispettata da tutti, combattiva, poliedrica, insignita della
Presidential Medal of Freedom (medaglia presidenziale della
libertà).
Non sto qui ad elencare tutti quelli
che appaiono o vengono citati ma mi limito a pochi nomi famosi in
settori completamente differenti: Malcolm X, James Baldwin, B.B.
King, Common, Oprah Winfrey, Bill Clinton. Guardando il documentario
apprenderete molto di più dai suoi successi come poetessa e
scrittrice, giunti dopo quelli giovanili di ballerina e cantante,
alle sue permanenze in Africa, fra Egitto e Ghana, alle lotte per i
diritti civili
Concludo con la buona notizia della
disponibilità gratuita e legale del documentario su Vimeo.
Ovviamente in lingua originale, da
non perdere se conoscete a sufficienza l’inglese (americano).
IMDb 8,0 RT 94%
75 * “Nocturnal Animals” (Tom Ford, USA, 2016) * con Amy Adams, Jake
Gyllenhaal, Michael Shannon
Nei mesi scorsi ho letto commenti
molto contrastanti su questo film che, a dire il vero, non mi
attirava tanto ma avendolo avuto a tiro sono andato a guardarlo. Non
mi è affatto dispiaciuto il modo in cui Tom Ford porta avanti le due
storie, parallele ma non troppo, in parte simili ma molto diverse.
Tuttavia non mi hanno convinto i finali (plurale in quanto sono due
le storie che si concludono). Poco convincente la prima (almeno
cìper come è presentata), inaspettata (fatto positivo) la seconda ma
non troppo coerente con i personaggi descritti fino a quel momento.
Se da un lato si potrebbe anche accettare l’idea di un spietata
rivincita, dall’altro è poco plausibile la passiva accettazione del
fatto.
Il pur bravo Shannon (ho ancora in
mente la sua interpretazione in “99 Homes”) ha un ruolo troppo
marginale e relativamente breve per ambire all’Oscar ... ma credo
che comunque sia più che soddisfatto per la Nomination.
IMDb 7,6 RT 73%
74 * “Neruda” (Pablo Larrain, Cile, 2016) * con Gael García Bernal,
Luis Gnecco, Mercedes Morán
Certamente non ne posso essere
sicuro e tantomeno lo posso dimostrare, ma ho il vago sospetto che
Pablo Neruda si stia rivoltando nella tomba. Il tentativo di
esercizio cinematografico di Larrain mi sembra mal riuscito.
Efficace solo a tratti, si trascina per quasi tutto il film con
tanto parlare fuori campo e con discorsi che proseguono senza
soluzione di continuità, pur cambiando di scena e ambiente.
Devo dire che il tanto acclamato (da
una parte della critica) regista cileno mi sembra sopravvalutato e
degli altri due suoi lavori che ho visto, “Post mortem” e “El club”,
solo il secondo mi è piaciuto. Sospendo un giudizio complessivo in
attesa di guardare anche Jackie fra un paio di settimane.
Anche gli attori protagonisti
secondo me lasciano a desiderare, specialmente Gael García Bernal, e
solo Mercedes Morán mi è sembrata più calata nella parte.
Non brutto, con buoni spunti nella
parte centrale, ma in generale deludente rispetto a quanto mi
aspettassi.
IMDb 7,3 RT 97%
73 * “John Wick: Chapter 2” (Chad Stahelski, USA, 2017) * con Keanu
Reeves, Riccardo Scamarcio, Ian McShane,
Si tratta chiaramente del sequel di
“John Wick” (Stahelski, 2014), con lo stesso protagonista,
interpretato da Keanu Reeves. Non ho visto il primo (né sapevo nulla
di questo) ma sembra che anche nel precedente, similmente a questo,
un Keanu Reeves indistruttibile fa fuori decine e decine di sicari
in ognuno dei quattro scontri principali, con killer che continuano
a spuntare da tutte le parti come in un videogioco, uscendone sempre
vivo e non troppo malconcio. Tutto ciò tuttavia non infastidisce più
di tanto in quanto non ha nessuna pretesa di essere credibile così
come tanti altri film di 007, “Mission impossible”, “Die Hard” e chi
più ne ha più ne metta.
Fra i non troppi film del genere che
ho visto, devo dire che escluse le parti di combattimenti e
sparatorie (qualcuno tirato un po’ troppo per le lunghe) la trama è
abbastanza interessante e intricata, con personaggi non del tutto
banali o visti e rivisti, e c’è anche spazio per unpo’ di ironia qui
e lì.
Fra i tanti attori più o meno noti
che ricoprono ruoli di contorno ci sono anche Laurence Fishburne e
un nutrito gruppo di italiani con Claudia Gerini, Franco Nero e
qualche altro nome meno conosciuto, capitanati da Riccardo Scamarcio
(fra i protagonisti principali).
La parte centrale del film (come
molti forse sapranno) è stata girata a Roma e oltre ai vari panorami
generici e non strettamente relazionati alla storia, buona parte
delle scene si svolgono Terme di Caracalla, in corridoi appartenenti
a chissà quali catacombe, nel 5 stelle Grand Hotel Plaza fatto
passare per un fantomatico Hotel Continentale e anche nella Galleria
d'Arte Moderna presentata come sale di un museo newyorkese.
Insomma, quelli che amano il genere
non se lo possono perdere, ma non credo che valga i rating attuali
di IMDb e RottenTomatoes, chiaramente “pompati” per il lancio.
Un’ultima nota. Mi sembra strano che
fra quel pochissimo che ho letto, non ho trovato alcun riferimento
ad una citazione per me estremamente evidente, quella dello scontro
in una “casa degli specchi”, come nel finale di “The Lady From
Shanghai” (di e con Orson Welles, 1948).
Leggo che dovrebbe arrivare nelle
sale italiane fra un mesetto, il 23 marzo ... a voi la scelta.
IMDb 8,3 RT 90%
72 * “Captain Fantastic” (Matt Ross, USA, 2016) * con Viggo
Mortensen, George MacKay, Samantha Isler
Avendo letto del soggetto (poco
convincente) rinunciai alla visione un paio di mesi fa; leggendo poi
varie buone recensioni sono andato a guardarlo comunque e, pur non
deludendomi del tutto, non mi ha certo entusiasmato.
A scene e battute sagaci sulle
cattive abitudini americane, in parte anche europee, alterna quelle
della vita della famiglia, troppo esageratamente "fuori".
Ross avrebbe potuto muovere le
stesse critiche, insieme con tante altre, e anche prendere in giro
il sistema senza esasperazioni sul versante opposto e avrebbe così
evitato di imbarcarsi in situazioni al limite dell'assurdo o
quantomeno insensato. Il buddismo e il presunto amore per la natura
mal si sposano con la violenza iniziale e anche con gli inutili
addestramenti al combattimento (da chi si sarebbero dovuti
difendere?) e la presenza di tante armi, anche in mano a bambini più
o meno irresponsabili.
Precisando che non sono vegano, né
vegetariano, né buddista, né pacifista e pur condividendo molto di
quanto dicono padre e figli (questi ultimi molto poco credibili)
tutto quanto proposto avrebbe avuto maggior valore e destato maggior
attenzione se questi oppositori del consumismo fossero stati, per
esempio, semplicemente una famiglia che viveva in armonia e
autosufficienza in campagna (tipo Amish).
Buttandola troppo sulla commedia,
con qualche inserto drammatico, Ross ha perso un'occasione e resta
solo un divertimento (?) per hippies nostalgici e fanatici del
survival. L'interpretazione di Viggo Mortensen non è male, ma ben
lontana dall'essere tanto memorabile da meritare un Oscar (misteri
delle Nomination ...).
Peccato, a partire dallo stesso
soggetto avrebbe potuto rinunciare a poche crasse risate e proporre
qualcosa di meglio, sarà per la prossima volta.
IMDb 7,9 RT 83%
71 * “The Eagle Huntress” (Otto Bell, UK-Mongolia, 2015) * con
Aisholpan Nurgaiv, Daisy Ridley, Rys Nurgaiv
Ultimo film della serie Women in
Film al museo d'arte di Honolulu. Dopo l'IRAN di Sonita ci spostiamo
ancora più a est (e un poco a nord) per deliziarci con gli immensi
panorami mongoli, steppe e deserti, per lo più pietrosi, frequentati
solo da pochi nomadi. Questo "The Eagle Huntress" (“La falconièra”?
Esiste il femminile di falconière? lett. sarebbe “La cacciatrice con
l’aquila” ma i PESSIMI ideatori di titoli italiani l’hanno
trasformato in “La principessa e l’aquila”!?!?) è un po’ più
documentario rispetto a “Sonita” ma i due hanno in comune il fatto
che la protagonista è di nuovo una giovane ragazza che si distingue
in un campo molto inconsueto, anche in questo caso tradizionalmente
riservato agli uomini, per di più adulti. Ma stavolta i contrasti si
limitano allo scetticismo degli anziani cacciatori che nutrono dubbi
in merito alle sue vere capacità e possibilità, e non vanno oltre i
commenti “maschilisti” tipo “le donne devono restare a cucinare,
accudire i figli e mungere le capre”. Le carrellate dei loro volti
mentre sono intervistati prima e dopo il Festival sono uno
spettacolo e c’è non poca ironia nel modo nel quale sono presentati
da Otto Bell.
Oltre a godere della bellezza dei
panorami è interessante seguire l’addestramento dell’aquilotto
(preso dal nido dalla stessa Aisholpan) e della ragazza, nonché la
crescita del loro rapporto. Guardate le foto per rendervi conto
delle dimensioni di quell’Aquila Reale, quasi 7 kg di peso e oltre 2
metri di apertura alare) e l’assoluta tranquillità della
“cacciatrice” che la regge..
Il film è stato girato interamente
in Mongolia con il supporto finanziario e tecnico di produttori
inglesi e, al di là di quanto possa essere o meno rigorosamente
fedele alla vera storia, le riprese sono pressoché impeccabili con
ovvio generoso uso di droni e “gopro” (sull’aquila) e le immagini
sono oltremodo affascinanti. L’ambientazione, i volti degli anziani
ammantati in enormi pellicce e con copricapo decorati, le tipiche
guance rosse delle paffute ragazzine, le scene di vita quotidiana, i
costumi tradizionali sono tutti ben miscelati e certamente il film
non “pesa” quanto potrebbe un documentario di un’ora e mezza.
In attesa che arrivi nelle sale a
quelli a cui interessano film di ambientazione simile suggerisco:
Dersu Uzala (Akira Kurosawa, 1975, Oscar), Urga (Nikita Mikhalkov,
1991, Nomination Oscar), Mongol (Sergei Bodrov, 2007, Nomination
Oscar), Il matrimonio di Tuya (Quan'an Wang, 2007) e, infine, La
storia del cammello che piange (Byambasuren Davaa e Luigi Falorni,
2003, Nomination Oscar).
IMDb 7,6 RT 93% Nomination BAFTA
70 * “Sonita” (Rokhsareh Ghaem Maghami, Ger, 2015) * con Sonita
Alizadeh, Latifah Alizadeh, Fadia Alizadeh
La
recensione del film e altro in merito alla “tratta delle spose” si
trova in questo post di Discettazioni Erranti
IMDb 7,9 RT 100%
69 * “The Fits” (Anna Rose Holmer, USA, 2015) * con Royalty
Hightower, Alexis Neblett, Antonio A.B. Grant Jr
Oggi doppio spettacolo al Doris
Duke, nell'ambito del "Women in film" festival. Questo primo si è
rivelato un film dalla costruzione a dir poco stravagante.
L'undicenne Toni aiuta il fratello nella pulizia di un centro
sportivo e frequenta soprattutto la palestra di boxe dove è l’unica
ragazza ed è praticamente la mascotte de giovani pugili. Ad un certo
punto comincia ad interessarsi ad un gruppo di danza moderna, tipo
cheerleader e quindi passa in un ambiente totalmente diverso, un
mondo di sole ragazze di età e taglia molto diverse, ma con due
punti in comune: la passione per la danza e l’essere afroamericane.
Storia di solitudine e di amicizia,
quasi assente il commento sonoro, pochissime le parole e anche poco
ballo. La regista si concentra sulle ragazze, le segue e le osserva,
ne descrive paure e aspirazioni con semplici immagini mute.
Alla pur brava protagonista Royalty
Hightower ruba spesso la scena la coetanea Alexis Neblett, entrambe
effettivamente di Cincinnati (dove è ambientato il film) e
selezionate in loco per il film.
Una stranezza: nel film vengono
attribuiti all’acqua contaminata vari svenimenti fra le ragazze.
Qualcuno ha voluto vedere in ciò un riferimento alla vicenda di
Flint (Michigan, USA) che però fu, seppur di pochi mesi, successiva.
“The Fits” è selezionato per la fase
finale di Biennale College - Cinema (Venezia, 2014-2015).
IMDb 6,8 RT 100%
68 * “Tokyo Tower: Mom and Me, and Sometimes Dad” (Joji Matsuoka,
Jap, 2007) tit. or.
“Tôkyô tawâ: Okan to boku to, tokidoki, oton” * con Joe Odagiri,
Kirin Kiki, Yayako Uchida
Film tratto dal bestseller
autobiografico del poliedrico artista Masaya Nakagawa's (in arte
Lily Franky, attore, scrittore, disegnatore, musicista, saggista,
...). Con un’abile mistura di brevi flashback e voce narrante,
racconta per sommi capi gli eventi salienti della infanzia e
adolescenzadi Nakagawa, focalizzando la maggior parte
dell’attenzione sui suoi anni da studente (svogliato) e infine sul
rapporto con la madre e il (ritrovato) padre. Attenta descrizione di
vita “normale” e familiare, con tante scene in interni, dove il cibo
è quasi sempre presente. Crude e quasi strazianti (ma senza alcuna
forzatura) le scene della fase terminale della malattia della madre
(una ottima Kirin Kiki). Toccante la "redenzione" del padre (che si
presenta molto male all'inizio del film) sia nel rapporto con il
figlio che con la moglie, fino al commovente rito funebre.
Con il suo passo lento e lieve, a
tratti ricorda Rohmer ma certamente è molto più vicino al “maestro”
Ozu. Forse, dico “forse”, Matsuoka ha un po’ esagerato nella durata
... 2h22’.
Film di 10 anni fa, ma in classico
stile giapponese di metà secolo scorso ... consigliato a chi
apprezza il genere.
IMDb 7,5
67 * “Bekas” (Karzan Kader, Swe-Fin-Iraq, 2012) * con Zamand Taha,
Sarwar Fazil, Diya Mariwan
Produzione finnico-svedese, ma film
interamente girato in Kurdistan e interpretato da soli curdi.
Comparato con i vari visti l’anno scorso ambientati nella stessa
area, ma in territorio iraniano e prodotti in IRAN, devo dire che
questo è di livello inferiore sotto quasi tutti i punti di vista,
pur non essendo un cattivo film. Due fratelli orfani si danno da
fare per sopravvivere e sognano di andare in America per conoscere
Superman. La guerra non viene quasi mostrata né percepita, viene
solo nominato (e maledetto) Saddam Hussein. Si sviluppa sui toni da
commedia con qualche svolta drammatica e qualcuna quasi surreale, un
paio di scene sono anche molto divertenti. Tuttavia infastidisce il
continuo gridare (quasi di tutti, in particolare del minore dei
fratelli) e la violenza sotto forma di schiaffi e scapaccioni
all’indirizzo del piccolo da parte di adulti e del fratello
maggiore, ma in questo secondo caso in modo più paterno/educativo.
Sia come sia, e come ripeto spesso
per film che in un modo o nell’altro ci calano in ambienti tanto
distanti da quello in cui viviamo, anche questo film ha il merito di
fornire allo spettatore una seppur parziale visione della vita di
tutti i giorni in quelle aree.
IMDb 7,5
66 * Oscar Nominated Short - Animation
I 5 candidati per il miglior
cortometraggio d’animazione
A differenza dei Live Action, gli
Short d’animazione sono veramente “corti” con durata fra i 6 e gli 8
minuti, ma con una eccezione ... il quinto è di ben 35 minuti, quasi
un mediometraggio, e per di più anche il soggetto non è comune per
l'animazione, tanto da essere vietato (è stato proiettato per ultimo
dopo una breve pausa per consentire ai minorenni di abbandonare la
sala.
Ecco i 5 Candidati, in ordine di
proiezione.
* Borrowed Time * di Andrew
Coats e Lou Hamou-Lhadj, USA, 2016 (7 min, IMDb 7,8)
Un anziano sceriffo è ossessionato
dai ricordi di un incidente che da anni tenta disperatamente di
dimenticare.
Corto di ambientazione western,
abbastanza statico, alterna ricordi e sofferenza dello sceriffo.
Belli i panorami sul canyon e buone le scene di azione, i personaggi
tuttavia sono poco convincenti.
* Pearl * di Patrick Osborne, USA,
2016 (6 min, IMDb 7,1)
Un musicista girovago viaggia in
auto con chitarra e la figlia. I pochi minuti coprono oltre 10 anni
con la bambina che cresce e si svolge quasi completamente in
macchina e on the road. Colori e stile dei disegni non mi sono
piaciuti ... e neanche la musica.
* Piper * di Alan Barillaro, USA,
2016 (6 min, IMDb 8,5)
E' l'originale storia di un
sandpiper (avete presente quegli uccelli che corrono sul bagnasciuga
sempre al limite delle onde?) che, ancora pulcino, viene invitato
dalla madre a lasciare il nido e imparare a procurarsi il cibo da
solo. L'inizio è traumatico, ma con osservazione e acume il picolo
piper troverà un modo molto originale per cacciare. Divertente la
storia, accompagnata da musica appropriata che si combina bene con
cinguettii e sciabordìo. Eccezionalmente realistici i disegni.
Forse qualcuno lo ha già visto,
proiettato prima di Finding Dory.
Alan Barillaro è un italo-canadese
che da anni lavora per la Pixar ed ha collaborato alle produzioni di
Finding Nemo, The Incredibles, WALL-E, Monsters.
Blind Vaysha * di Theodore Ushev,
Canada, 2016 (8 min, IMDb 7,7)
Questo è un soggetto affascinante
che potrebbe essere preso come spunto tanto per uno sci-fi di alto
livello che per riflessioni filosofiche. Gli occhi della giovane
protagonista Vaysha non solo hanno diverso colore, ma anche diverse
caratteristiche: uno vede solo il passato e l'altro solo il futuro.
La logica terribile conseguenza è l'impossibilità di percepire il
presente.
Disegni tratteggiati, spesso con
colori cupi e molte volte sullo schermo appare la doppia visione
passato/futuro, come una soggettiva. Bella la musica, interessante
il soggetto, accattivanti le immagini stilizzate.
* Pear Cider and Cigarettes * di
Robert Valley, Canada/UK, 2016 (35 min, IMDb 7,2)
E per ultimo questo lungo dramma di
un uomo molto mal ridotto, da incidenti, malattie e tropo alcool,
assistito da un amico che dovrebbe riportarlo in patria dopo un
trapianto di fegato. Troppo parlato ... e non dai protagonisti. La
voce fuori campo dell'amico di gioventù parla ininterrottamente, con
la cadenza classica dei noir, alternando la descrizione degli
avvenimenti a ricordi di avventure in comune. Non mi ha convinto per
la lunghezza e per la ripetitività di molte scene, alla fine anche
la voce fuori campo stanca. Certamente è originale, assolutamente
fuori dagli standard.
65 * Oscar Nominated Short Films (Live Action)
i 5 candidati all'Oscar per miglior
cortometraggio
Prima di iniziare questo conciso
commento dei corti, mi urge ribadire che se i corti vengono reputati
un sottordine di scarso valore è anche perché nessuno pensa a fare
operazioni così semplici come questa. E’ vero che questi sono i
candidati agli Oscar, ma se qualche distributore mettesse insieme 4
o 5 buoni corti, anche di varie nazionalità e non obbligatoriamente
recentissimi, con una durata complessiva standard 100-120 minuti,
pensate che nessuno andrebbe a vederli? Per quanto ne so,
attualmente i corti sono per lo più relegati in sezioni di festival
e in pochi festival dedicati. Quelli che ho visto oggi costituivano
un programma di 2h10’, il tempo è passato in un baleno ed il
pubblico è uscito soddisfatto. Ecco ciò che ho visto, nell’ordine di
proiezione.
* "Mindenki" (Sing) * di Kristof
Deak, Ungheria, 2016 (25 min, IMDb 8,4)
Breve ma significativa storia che si
sviluppa in ambito scolastico nei primi anni ’90, all’inizio del
periodo post comunista, con particolare attenzione al coro
giovanile. Regia e sceneggiatura sono canoniche e con i tempi
giusti, mostrando tutto il necessario e lasciando intendere il
resto, senza lasciare nulla di vago. Vengono sottoposti allo
spettatore anche un paio di dilemmi non da poco. Tratto da una
storia vera.
Si tratta di un breve film ben
realizzato, intelligente e serio, probabilmente il favorito.
* "Silent Nights" * di Aske Bang,
Danimarca, 2016 (30 min, IMDb 6,2)
Amore a prima vista, ma non troppo
duraturo, fra una volontaria del Salvation Army ed un immigrato
gahanese. Viene messa troppa carne a cuocere, mischiando stereotipi
pro e contro immigranti e aggiungendo problemi prettamente danesi.
Un guazzabuglio spesso troppo buonista, senza né capo né coda.
* "Timecode" * di Juanjo Giménez
Peña, Spagna, 2016 (15 min, IMDb 7,2)
Originale storia quasi surreale di
due guardiani di un garage multipiano (nel film quasi sempre
deserto). Sono “costretti” (ma consenzienti) a turni di 12 ore e
quindi si incontrano ad ogni cambio, alle 6 precise di mattina e di
pomeriggio. Qualche buono spunto, ma abbastanza monotono e noioso
pur durando solo un quarto d’ora.
* "Ennemis Intérieurs" * di Sélim
Aazzazi, Francia, 2016 (28 min, IMDb 7,5)
Film assolutamente non compresso, al
contrario si svolge quasi in tempo reale. Eccellente sceneggiatura,
quasi teatrale, visto che si svolge quasi esclusivamente in una
stanza di un commissariato francese all’inizio dei turbolenti anni
’90. Pochi e brevi flash mostrano i pensieri di un algerino francese
il quale dopo aver presentato la documentazione per essere
naturalizzato, viene sottoposto ad un interrogatorio violento ed
aggressivo, non fisicamente ma psicologicamente. Ottimo il testo,
più che buone le interpretazioni dei due protagonisti.
* "La Femme et la TGV" * di Timo von
Gunten, Svizzera, 2016 (30 min, IMDb 7,1)
Questo corto è l’unico del lotto ad
avvalersi di un nome famoso: Jane Birkin. L’ormai 70enne
attrice/cantante divenuta improvvisamente famosa in tutto il mondo
nel 1969 per la “scandalosa” canzone "Je T'Aime ... Moi Non Plus"
(interpretata con Serge Gainsbourg), è qui una dinamica sognatrice
che corre, va in bicicletta e non si fa mettere i piedi in testa da
nessuno. Anche questo corto è ispirato alla storia vera, seppur
abbastanza modificata, di un amore a distanza fra un conduttore di
TGV e la protagonsta.
64 * “Toni Erdmann” (Maren Ade, Ger, 2016) tit. it.
"Vi presento Toni Erdmann" * con Sandra Hüller, Peter Simonischek,
Michael Wittenborn
Fin qui “peggior film dell’anno”,
delusione totale, ancora maggiore del normale in quanto sarebbe
lecito aspettarsi molto di più da un candidato all’Oscar come
miglior film non di lingua inglese. Leggo che ha pretese di essere
una commedia drammatica, a me sono sembrate estenuanti 2h40’ (una
follia visti i contenuti) di strazio fra tristezza, stupidità,
squallore, banalità e qualche (a mio parere inutile) volgarità.
Forse non sono all’altezza di comprendere l'umorismo teutonico ...
spero che quelli più esperti di me che lo guarderanno mi potranno
illuminare.
Dovrebbe arrivare in Italia il 23
... vi suggerisco di sentire almeno qualche altra campana prima di
spendere i vostri soldi e impegnare almeno 3 ore della vostra vita,
io vi ho avvertiti.
IMDb 7,8 RT 93%
* Nomination come miglior film straniero.
63 * “The Salesman” (Asghar Farhadi, Iran, 2016) tit. it.
“Il cliente” * con Taraneh Alidoosti, Shahab Hosseini, Babak Karimi
Nomination Oscar miglior film
straniero. Già tutti avrete letto che probabilmente Farhadi non
potrà essere presente a causa del “bando” imposto da Trump . Conterà
nella scelta della Giuria?
Il regista iraniano porta sullo
schermo un altro drammone familiare, costruito alla perfezione, con
ottime interpretazioni ed eccellenti movimenti di macchina,
specialmente negli spazi ristretti degli appartamenti. Tuttavia,
seppur con tecnica sopraffina, resta su temi già trattati e sembra
che quasi non riesca a distaccarsi da questo ambito di coppie
borghesi relativamente giovani, riproponendo i forti contrasti fra
partner, la crisi del rapporto, con una tensione che monta fino al
punto di tagliarla col coltello. Questa volta, più che in precedenti
lavori, ho trovato i protagonisti veramente irritanti.
Farhadi potrebbe ottenere il suo
secondo Oscar, stavolta da regista, dopo quello di 5 anni fa per la
sceneggiatura di “Una separazione”.
NOTA - Nel film si parla più volte
di una vacca (o mucca, non so come sia stato tradotto in italiano) e
della possibilità che una persona possa trasformarsi in tale
animale. Ci si riferisce al famoso film iraniano “Gaav” (trad. lett.
“La vacca”, 1969, regia di Dariush Mehrjui) che è quello che viene
proiettato per gli studenti. Visto in Messico e micro-recensito
circa un anno fa (rec. 16/84)
IMDb 8,3 RT 98%
62 * “A man called Ove” (Hannes Holm, Swe, 2015) * con Rolf Lassgård,
Bahar Pars, Filip Berg
Film come raramente se ne vedono,
una giusta combinazione fra dramma e black comedy (humor
scandinavo), assolutamente bilanciato e abbastanza ben interpretato.
Il protagonista Ove, 59enne burbero scontroso e ultrapreciso, vive
in un lotto di casette indipendenti divise da una vialetto di
accesso “esclusivamente pedonale”, del quale è anche
responsabile-factotum. Ai residenti, già ben “assortiti”, si
aggiunge ben presto una coppia (lei iraniana) con due bambine
piccole e per il povero Ove, aspirante suicida, cominciano i tempi
duri.
Con brevi flash vengono messi in
risalto difetti, manie, cattive abitudini, ostacoli quotidiani e si
toccano un numero incredibile di argomenti, sempre con molto garbo e
senza approfondire ... sta allo spettatore meditare, forse anche sui
propri difetti.
Visto il film, pensavo fosse stato
sceneggiato da qualcuno almeno dell’età di Ove e invece Fredrik
Backman, autore del romanzo omonimo e cosceneggiatore, ha solo 36
anni. Mi ha colpito questa bellissima frase: “il Fato è uguale alla
somma delle stupidaggini che si commettono”.
Leggero ma profondo, ironico ma
toccante ... consigliato.
IMDb 7,6 RT 91%
* Nomination miglior film straniero
61 * “Lion” (Gart Davis, Aus, 2016) * con Sunny Pawar, Dev Patel,
Nicole Kidman, Rooney Mara
Un altro dei tanti buoni film che ci
giungono sempre più spesso dall'emisfero australe. Con un cast
solido ed una buona storia di base (vera) Lion si è assicurato 6
Nomination, ora il problema sarà quello di portare a casa qualche
statuetta, ma non sarà facile.
Concordo con varie recensioni e
commenti che mi sono passati sotto agli occhi in queste ultime
settimane: c’è una enorme discrepanza fra la prima e la seconda
parte. Per quanto è coinvolgente e ben realizzato il “viaggio” di
Saroo (interpretato da Sunny Pawar, eccezionale per la sua età),
tanto è lenta e disordinata la descrizione della sua permanenza in
Tasmania. Si cita ma si non sviluppa e approfondisce il rapporto con
il fratellastro, Rooney Mara sembra spaesata in un ruolo poco
determinante, la pur brava Nicole Kidman sembra essere stata
ingaggiata solo per aver un nome di peso nel cast, il viaggio finale
è presentato in modo affrettato e viene trascurata la sicura ansia
dell’ormai 25enne Saroo sulla via di casa. Infine, anche il modo in
cui ci viene proposta la ricerca di Ganesh Talai puzza molto di
manipolazione.
6 Nomination (miglior film, attore e
attrice non protagonisti - Dev Patel, Nicole Kidman -, sceneggiatura
non originale, fotografia e musica)
Resta un buon film ma, come dicevano
i professori una volta, Gart Davis poteva fare di più.
IMDb 8,0 RT 83%
60 * “Daughters of the dust” (Julie Dash, USA, 1991) * con Cora Lee
Day, Alva Rogers, Barbarao
Soggetto interessante, ottima
fotografia con insoliti scenari, musica coinvolgente, ma purtroppo
si ferma qui. Al film manca una sceneggiatura degna di tal nome e la
recitazione è, in linea di massima, scadente. Si va avanti in modo
slegato con sermoni dei più anziani, recriminazioni dei giovani,
serie di inquadrature belle ma irrilevanti, non connesse fra loro.
Alla sua uscita ricevette buona
accoglienza della critica anche, e forse soprattutto, per essere il
primo lungometraggio diretto da una afroamericana ad avere una
normale distribuzione. Inoltre ebbe il pregio di fa conoscere la
realtà particolare dei Gullah, ex-schiavi fra i primi ad essere
affrancati, che grazie ad una serie di situazioni sono rimasti più o
meno isolati e compatti e quindi hanno mantenuto quasi intatte
almeno parte di usanze, linguaggio, cucina, cultura.
Per saperne di più
suggerisco di consultare la pagina Wikipedia che è abbastanza
esauriente e molto interessante.
IMDb 6,3 RT 100%
59 * “L'assassin habite... au 21” (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1942)
tit. it.
“L'assassino abita al 21” * con Pierre Fresnay, Suzy Delair, Jean
Tissier
Il programma francese al Movie Museum proseguiva con questa commedia
thriller diretta da uno dei migliori registi francesi degli anni ’50
(, quasi all’esordio. Mi permetto di ricordare ai più giovani e agli
smemorati che Clouzot ha diretto “filmoni” come “Le salaire de la
peur” (1953, aka Vite vendute) e “Les diaboliques” (1955, aka Le
diaboliche), rispettivamente al 190° e 224° posto nella classifica
IMDb di tutti i tempi (per quello che conta, ma certo non da
disprezzare).
Per un crime l’asserzione del titolo (assolutamente vera) può
apparire come un controsenso, ma non è così in quanto l’indirizzo è
quello di una pensione nella quale alloggiano molti tipi strani e
sospetti. Sotto falsa identità l’ispettore si introduce nella
comunità e con tocchi da thriller alternati a quelli da commedia si
seguono gli sviluppi delle sue indagini, piene di colpi di scena e
sorprese. Molti lo paragonano a Hitchcock per il suo far vedere
senza mostrare e per il senso dell’umorismo. A metà strada fra
commedia e poliziesco può essere paragonato a uno dei tanti film
simili (come alcuni di Agatha Christie, p. e. tutta la serie “Miss
Marple”) nei quali si sa per certo che l’assassino è presente ma non
è facile identificarlo.
Piacevole e ben diretto, ma ho preferito “Une si jolie petite plage”
IMDb 7,5
58 * “Une si jolie petite plage” (Yves Allégret, Fra, 1949) “La via
del rimorso” (sic!) * con Gérard Philipe, Jean Servais, Madeleine
Robinson
Grazie al Movie Museum, oggi ho sospeso (momentaneamente) le visioni
di film candidati agli Oscar o comunque recenti, e con un bel salto
di una settantina di anni sono tornato agli anni '40 con due buoni
film francesi. Il primo è questo di Allegret, un noir della migliore
tradizione transalpina dell'epoca.
Piccola cittadina sul mare con aspirazioni turistiche, una sera un
uomo misterioso giunge in bus sotto una pioggia sferzante - quasi
ininterrotta durante tutto il film - e va ad alloggiare nell'unica
pensione aperta fuori stagione. La mattina dopo arriva in auto un
enigmatico secondo uomo e inizia il gioco del gatto con il topo al
quale partecipano anche vari personaggi che alloggiano o frequentano
la pensione. Numerosi sono gli intrecci e i misteri fra chi spia,
chi diviene informatore, chia avanza soapetti, chi apparentemente sa
ma non è in grado di parlare, chi fa troppe domande e chi non
fornisce risposte.
Con il suo passo lento questo film cupo conta su una notevole
fotografia bianco e nero e più che buone interpretazioni di tutto il
cast nel quale spiccano Jean Servais (volto classico dei noir
francesi, allo stesso livello di Jean Gabin) e un giovane Gérard
Philippe.
Interessante, merita una visione.
IMDb 7,4
57 * “Fences” (Denzel Washington, USA, 2016) tit. it.
“Barriere” * con Denzel Washington, Viola Davis, Stephen Henderson
Per non perdermi Fences mi sono sobbarcato oltre un'ora di bus
all'andata e altrettanto al ritorno, ma ne è valsa assolutamente la
pena.
Il primo quarto d'ora è un po' atterrente con un continuo dialogo
serrato fra il protagonista Troy ed il suo compagno di lavoro Bono
nel quale si palesa senza lasciar spazio a dubbio alcuno la sua
origine teatrale.
La quasi totalità del film si svolge fra backyard e casa e tuttavia
questa ambientazione, quasi claustrofobica per un film di oltre due
ore, assolutamente non si sente grazie alla bravura dell'intero cast
dominato da Washington e ancor di più dalla eccezionale
interpretazione di Viola Davis (sarebbe uno scandalo se non le
dessero l'Oscar).
Molto merito deve essere riconosciuto all'autore dell'omonimo dramma
August Wilson che ha ottenuto la Nomination (postuma, è deceduto nel
2005) per la sceneggiatura, adattata da lui stesso. Pur nella sua
essenzialità la scenografia è ben realizzata e la regia, considerati
i limiti imposti dagli spazi ristretti, non è niente male.
Questo pregevole film conta su soli 7 personaggi, volendo contare
anche la giovanissima (ma già brava) Saniyya Sidney che appare solo
nei minuti finali, già apprezzata anche in “Hidden Figures”.
A meno che non siate di quelli che vogliono per forza azione ed
effetti speciali, non ve lo perdete per niente al mondo.
IMDb 7,5 RT 98%
*
Nomination (miglior film, Denzel Washington attore e Viola Davis non
protagonista, sceneggiatura non originale)
PS - Ho appena guardato il trailer italiano per avere un'idea del
doppiaggio e non mi esprimo per non passare per ipercritico, ma se
ne avete l'occasione guardatelo in versione originale, eventualmente
sottotitolata ... come il giorno e la notte.
56 * “Loving” (Jeff Nichols, USA, 2016) * con Ruth Negga, Joel
Edgerton, Will Dalton
Ennesimo film basato su eventi reali che, più o meno romanzati,
sembrano costituire la maggior parte delle sceneggiature
cinematografiche degli ultimi anni. Bei tempi quelli degli avvisi a
inizio o fine titoli: "Ogni riferimento a ... è puramente casuale."
Tuttavia si deve ammettere che questo tipo di film portano
all'attenzione di tanti storie più o meno sconosciute, spesso
drammatiche, di persone eccezionali, imprese epiche, situazioni che
i vari poteri tennero, o ancora oggi tentano di tenere, nascoste.
Concluso il cappello, veniamo a Loving, che nei mesi passati era
stato indicato fra i papabili all’Oscar come miglior film, ma che
alla fine ha racimolato solo la Nomination per la protagonista Ruth
Negga. Ci racconta la storia della prima coppia interrazziale
ufficiale nello stato della Virginia dove le leggi segregazioniste
erano ancora in essere e quella che impediva il matrimonio fra razze
diverse rimase in vigore fino al 1967, anno della sentenza della
Corte Suprema.
Lui bianco, lei nera (si dovrebbe dire caucasico e afroamericana, ma
il contrasto sembrerebbe minore) vivono pacificamente per lo più
nella comunità di colore e quando decidono di sposarsi devono farlo
nel vicino District of Columbia, ma appena tornati cominciano i
problemi.
Storia significativa ma troppo spezzettata, che descrive più la loro
vita famigliare che l’ambiente in cui vivono, tutti sembrano essere
tranquilli, non viene mostrato alcun attrito razziale degno di tale
definizione.
Regia passabile, interpretazioni non memorabili anche se entrambe
sono stati candidai ai Golden Globe e solo lei, Ruth Negga,
all’Oscar, brevissima parte per Michael Shannon (Nomination non
protagonista in “Nocturnal Animals”). Joel Edgerton è l’ombra di
quello che era stato apprezzato al lato di Tom Hardy nell’ottimo
“Warriors” (di Gavin O'Connor, 2011).
Non male, ma al momento c’è tanto altro di più interessante da
vedere
IMDb 7,2 RT 89%
55 * “The Light between the Oceans”” (Derek Cianfrance, NZ, 2016)
tit. it.
“La luce sugli oceani” * con Michael Fassbender, Alicia Vikander,
Rachel Weisz
Melodramma di inizio secolo scorso, tratto dal romanzo omonimo della
scrittrice australiana M.L. Stedman, forte di un ottimo cast
(purtroppo sprecato), belle immagini di tramonti, coste, mare
battuto dal vento e isola con faro (sempre suggestivo) che però alla
lunga stancano essendo usate quasi come dissolvenza fra una scena e
l’altra. La regia è più o meno inconsistente e al trio Fassbender,
Vikander e Weisz non vengono date troppe opportunità di recitare
restando sempre in situazioni standard e più che prevedibili.
Le riprese esterne, i costumi e la buona essenza della trama non
bastano a salvare questo lavoro di Cianfrance, appena sufficiente
Presentato a Venezia a settembre scorso, candidato al Leone d’Oro
IMDb 7,2 RT 61%
54 * “The Handmaiden” (Chan-wook Park, S.Kor, 2016) tit. or.
Ah-ga-ssi * con Min-hee Kim, Jung-woo Ha, Jin-woong Jo
Chan-wook Park (Oldboy, Lady Vendetta, ...) ci regala un altro film
straordinario in quanto a regia, fotografia e intreccio di trama.
C’è meno violenza che nei suoi precedenti più famosi, in gran parte
“sostituita” da una buona dose di scene e racconti erotici.
Affascinante fotografia con colori molto caldi e carichi che ci fa
immergere in una enorme residenza in parte stile giapponese ed in
parte inglese, circondata da un grande parco ... splendidi i
dettagli degli interni, bellissime le riprese nel parco.
Accompagnata da una colonna sonora pertinente e non invasiva
l’ottima narrazione utilizza innumerevoli flashback (che non amo
particolarmente) ma in questo caso sempre giustificati,
significativi e gestiti magistralmente con molte scene riproposte da
un altro punto di vista, da una diversa angolazione.
La storia basata su bugie, tradimenti e tentati raggiri, tratta dal
romanzo "Fingersmith" di Sarah Waters e co-sceneggiata dallo stesso
Chan-wook Park, è un po' forzata ma le quasi 2 ore e mezza passano
senza assolutamente pesare, rimanendo intrappolati fra fasi
descrittive e colpi di scena.
Premio speciale e Nomination Palma d’Oro a Cannes, oltre ad altre 45
vittorie e 55 nomination
Da non perdere! (ma al momento non è annunciato in Italia)
IMDb 8,1 RT 94%
53 * “Miss Sharon Jones!” (Barbara Kopple, SKo, 2016) biodocum.
* con Sharon Jones, Megan Holken, Austen Holman
Sharon Jones, grande soul singer, la “versione femminile di James
Brown”, sopravvissuta a un tumore al pancreas, sul palcoscenico fino
a 60 anni, incurante di aver perso capelli e sopracciglia, sempre
combattiva e determinata, un carattere assolutamente esemplare. A
partire dal momento della diagnosi Barbara Kopple ha iniziato a
raccogliere immagini per questo documentario montando stralci di
spettacolo, commenti dell’entourage e dei medici, chiacchierate con
l’artista, il tutto accompagnato ovviamente da ottima musica.
Sharon Jones ha raggiunto il successo solo verso i 40, prima si
esibiva solo in matrimoni, chiese, feste private e piccoli eventi
perché, almeno così le aveva detto un impresario pochi anni prima,
era: "troppo grassa, troppo nera, troppo bassa e troppo vecchia!”
Donna fenomenale , brava e simpaticissima che supera con decisione
la sua malattia, senza un momento di avvilimento.
Documentario toccante e ben realizzato che consiglio a tutti quelli
che parlano inglese. Invito comunque gli altri che non conoscessero
questa incredibile cantante a guardare almeno qualcuno dei video in
rete.
IMDb 7,3 RT 88%
52 * “Paterson” (Jim Jarmush, USA, 2016) * con Adam Driver,
Golshifteh Farahani, Nellie
Non si sa mai cosa aspettarsi da Jarmush in quanto la sua carriera
da regista è stata un po’ altalenante e molto varia.
“Paterson” mi è piaciuto, pur non essendo amante della poesia ho
trovato il filo conduttore dei versi “recitati” dall’autista-poeta
arguto e non invadente. Le ripetizioni di frasi, situazioni,
apparizioni e citazioni sono ben congegnate e variano dal divertente
allo stimolante. La progressione dei disegni in bianco e nero nei
vestititi, biscotti e decorazioni della casa creati dalla compagna
del protagonista (forse il personaggio meno incisivo), le varie
scene nel bar, le visioni dei gemelli, le immagini della cascata che
si riaggancia alla poesia della bambina, le routine quotidiane di
Paterson e infine l’incontro con il poeta giapponese tengono lo
spettatore continuamente e piacevolmente impegnato.
Tante le citazioni storiche e culturali che si intrecciano, per i
poeti viene nominato addirittura Petrarca per il collegamento con
Laura, ma anche i più moderni Emily Dickinson e William Carlos
Williams che ha scritto “Paterson” che è il nome della città dove
lavora l’autista Paterson interpretato da Adam Driver (driver in
inglese significa autista), si parla di Abbot e Costello (in
italiano Gianni e Pinotto) in quanto Costello nacque a Paterson e si
ripete la loro più famosa gag “Who is on first” (ripresa in tanti
film), si torna in Italia ascoltando il discorso di una ragazza -
seduta proprio dietro a Paterson autista - che racconta ad un
compagno di studi la storia di Gaetano Bresci, anarchico che visse a
Paterson e tornò in patria dove assassinò Umberto I e poi morì in
circostanze quanto meno misteriose nel carcere di Ventotene.
Tornando al giapponese, questi sottolinea l’inaccettabilità delle
traduzioni delle poesie (concetto assolutamente condivisibile) e
dice: 'Poetry in translation is like taking a shower with a raincoat
on.' (la poesia tradotta è come fare la doccia con l’impermeabile).
Nel film i testi delle poesie che Paterson “recita” (in effetti
pensa, ma se ne ascolta la voce) appaiono in sincrono in
sovrimpressione e quindi mi chiedo come sia stato risolto il dilemma
nella versione italiana. Si è optato per i sottotitoli
contravvenendo a quanto detto dal poeta giapponese, è stato
sostituito l’italiano all’inglese (ancora peggio) o si è l’asciato
solo l’originale? Per la cronaca le poesie sono di Ron Padgett.
Nel 2016 Adam Driver ha anche avuto un ruolo in Silence di Scorsese,
nei panni dell’altro gesuita missionario. Golshifteh Farahani,
attrice iraniana protagonista di "About Elly" (2009) di Asghar
Farhadi, regista di “A separation” e di “The Salesman”, quest'ultimo
candidato all’Oscar 2017 come miglior film straniero. Il cane Nellie
ha vinto il premio “Palm Dog” a Cannes 2016.
Un film secondo me godibile e ben realizzato, con tanti intrecci e
riferimenti forse non sempre comprensibili dai non americani (e di
una certa cultura). Lo si può anche andare a guardare come semplice
commedia, e in questo caso non è delle migliori o delle più
divertenti, ma lo spettatore attento saprà cogliere almeno parte dei
tanti dettagli che Jim Jarmush (sceneggiatore oltre che regista) ha
saputo incastrare come pezzi di un puzzle.
IMDb 7,7 RT 97%
51 * “Queen of Katwe” (Mira Nair, USA, 2016) * con Madina Nalwanga,
David Oyelowo, Lupita Nyong'o
Dopo il celebratissimo (per me deludente) La La Land, sono andato al
Movie Museum a guardare “Queen of Katwe”, diretto da Mira Nair, la
regista indina di Monsoon Wedding. Come forse avrete notato dalle
foto, l'ambiente in cui si svolge e ben diverso da quello
californiano e gli africani di colore sono quelli originali, per la
maggior parte ugandesi. Mira Nair ormai risiede negli States e il
film è prodotto dalla Disney; Katwe è un sobborgo (povero) di
Kampala, capitale ugandese. Ciò premesso, veniamo al sodo.
Letto l'argomento ho temuto che potesse essere troppo didascalico,
edulcorato o drammatizzato a seconda delle situazioni, invece, per
fortuna, non è così pur essendo una storia pressoché unica ma vera.
Leggendo fra le righe ci sono tanti spunti di riflessione relativi
al modo in cui persone combattono per sopravvivere, alla corruzione
sempre presente, il disprezzo e l'ostilità fra classi sociali, in
qualunque paese del mondo e in questo caso il razzismo non c'entra
in quanto sono tutti "neri".
La vera storia di Phiona Mutale (campionessa di scacchi) era già
stata il soggetto di un libro e di un documentario ed infine è
finita fra le mani della regista di “Salaam Bombay” e “Monsoon
Wedding” e penso che solo una come lei, con il suo background,
potesse essere capace di girare in modo almeno credibile nei
bassifondi di una città africana.
I ruoli principali degli adulti sono stati affidati ad ottimi attori
quali la keniana Lupita Nyong'o (esordì guadagnandosi l’Oscar come
miglior attrice non protagonista in “12 Years Slave”) e l'inglese di
origini nigeriane David Oyelowo (il Martin Luther King di “Selma”,
apparso anche in “Lincoln”, “Interstellar”, “A most violent year” ed
è protagonista di “A United Kingdom”, appena uscito), mentre la
protagonista è la giovane esordiente ugandese Madina Nalwanga,
effettivamente nata e cresciuta in un ghetto di Kampala. I bambini,
ovviamente tutti non professionisti, sono stati diretti in modo
egregio dalla Nair e hanno svolto un ottimo lavoro nei limiti delle
loro possibilità.
Il film, pur non essendo realistico al 100% (ma quanti film lo
sono?) mette lo spettatore a confronto con un mondo sconosciuto ai
più, nei quali si soffre e spesso si combatte per la sopravvivenza,
ma si riesce anche a sorridere, a vivere con dignità, ad
accontentarsi di quel poco che si ha e a lottare per ottenere un po’
di più. Fra momenti divertenti e momenti drammatici, fra gioie e
delusioni, con lo sfondo non solo delle baracche ma anche dei mille
colori dei vestiti delle donne, con l’accompagnamento di musiche
appropriate - con qualche accenno di danza - che rimandano a
Bollywood, le due ore e pochi minuti del film passano in un
battibaleno e si concludono con l’apparizione sullo schermo di tutte
le coppie vero personaggio / interprete tranne, ovviamente, chi
interpreta sé stessa che appare sola.
Tenendo presente che è una produzione Disney e che può essere
assimilato ad uno dei tanti film di tema sportivo nei quali
l’outsider vince o arriva a un passo dalla vittoria, “Queen of Katwe”
merita senz’altro una visione e non solo per la sua originalità.
Sottolineo anche che su RottenTomatoes vanta un ottimo 92% e non su
poche recensioni, ma su ben 146.
Ho letto che fu annunciato in Italia l’anno scorso, ma poi sembra
che se ne siano perse le tracce. Tenetelo d’occhio o cercatelo in
rete.
IMDb 7,3 RT 92% |