POST CINEMATOGRAFICI

indice completo dei  1300 film 2016 - 2018

lista film (pdf)  2015   2014   2012-13

2016

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2017

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151 - 200

201 - 259

260 - 299

300 - 349

350 - 399

400 - 443

2018

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401 - 454

2019

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351 - 409

 

2020

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401 - 444

2021

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351 - 388  

2022

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micro-recensioni dei film del 2018   (dal 300° al 251°)


leggi tutte le 50 micro-recensioni (in basso, dopo i poster)

Anatole Litvak, USA, 1948

Laurence Olivier, UK, 1948

Luis Buñuel, Mex, 1965

Luis Buñuel, Mex, 1955

Luis Buñuel, Mex, 1954

Luis Buñuel, Mex, 1953

Luis Buñuel, Mex, 1951

Luis Buñuel, Mex, 1949

Carlos Saura, Mex, 1967

Quentin Tarantino, USA, 1992

Sam Peckinpah, USA, 1974

Rogelio A. González, Mex, 1960

Luis Buñuel, Mex, 1953

Luis Buñuel, Mex, 1950

Alberto Gout, Mex, 1950

Emilio Fernández, Mex, 1950

Emilio Fernández, Mex, 1949

Ismael Rodríguez, Mex, 1948

Ismael Rodríguez, Mex, 1946

Yimou Zhang, Jap, 1991

John D. Hancock, USA, 1974

Martin Scorsese, USA, 1974

Martin Scorsese, USA, 1972

Martin Scorsese, USA, 1967

Yoshishige Yoshida, Jap, 1968

Keisuke Kinoshita, Jap, 1954

Luis Berlanga, Spa, 1963

Luis Buñuel, Spa, 1961

Marco Ferreri, Spa, 1959

Juan A. Bardem, Spa, 1956

Luis Berlanga, Spa, 1953

Mike Nichols, USA, 1966

Delbert Mann, USA, 1955

John Ford, USA, 1952

John Frankenheimer, USA, 1962

Arthur Penn, USA, 1967

Robert Altman, USA, 1975

Preston Sturges, USA, 1941

Martin Scorsese, USA, 1973

Robert Redford, USA, 1994

John Ford, USA, 1956

Dana Rotberg, Mex, 1991

Fernando Méndez, Mex, 1957

Howard Hawks, USA, 1938

Archie Mayo, USA, 1931

F. Miller, R. Rodriguez, USA, 2005

Tim Burton, USA, 2010

Henry Selick, USA, 1994

Pino Zac, Ita, 1969

Eric Rohmer, Fra, 1978

300 "The Snake Pit" (Anatole Litvak, USA, 1948) tit. it. “La fossa dei serpenti” * con Olivia de Havilland, Mark Stevens, Leo Genn * IMDb 7,6 RT 83% * Oscar per il sonoro e 5 Nomination: miglior film, regia, Olivia de Havilland protagonista, sceneggiatura, commento musicale.
Un film audace per quei tempi, basato su un libro autobiografico, quindi una storia tristemente vera, che fece conoscere vari aspetti degli ospedali psichiatrici pubblici americani. Sia libro (1946) chefilm suscitarono grande scalpore per trattare tali argomenti e si sarebbe dovuto aspettare quasi un trentennio per qualcosa di simile, con il rinomato “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Una bravissima Olivia de Havilland (Nomination come miglior attrice protagonista) è la paziente schizofrenica che deve penare non poco per risolvere i suoi problemi mentali, supportata dal marito e da un bravo dottore, contrastata dalla perfida capo infermiera Davis (Helen Craig, seconda foto), antesignana della altrettanto perfida Nurse Ratched (Lousie Fletcher) del film di Forman. Nel film appare anche la brava Betsy Blair, in una piccola ma significativa parte; peccato che, per cause politiche, ebbe difficoltà ad ottenere scritture e la parte in "Marty" (1955), Nomination come migliore attrice non protagonista, la ottenne solo in quanto il marito (la star dell'epoca Gene Kelly) ricattò la MGM minacciando di non lavorare più per loro.
Questo film mostra elettroshock e idroterapie, nonché ampio uso di psicoanalisi, ancora poco diffusa.
Molto interessante e anche molto ben realizzato e interpretato, ma certamente un po’ deprimente.

 

299 "Hamlet" (Laurence Olivier, UK, 1948) tit. it. “Amleto” * con Laurence Olivier, Jean Simmons, John Laurie, Anthony Quayle, Peter Cushing  *  IMDb 7,8 RT 91%  *  4 Oscar (miglior film, Laurence Olivier protagonista, scenografia, costumi) e 3 Nomination (Jean Simmons non protagonista, regia e commento musicale)  *  a Venezia furono premiati Laurence Olivier, Jean Simmons e Desmond Dickinson per la fotografia
Un classico di un classico ... che tuttavia resta troppo teatrale. Comunque, non penso sia immaginabile un Amleto cinematografico fedele all’originale shakespeariano che possa staccarsi dalla rappresentazione in palcoscenico. Laurence Olivier dirige una ottima messa in scena, ma di cinematografia pura non se ne vede molta. Per apprezzare il film (e le interpretazioni) è indispensabile la versione originale ... con sottotitoli inglesi, considerato l’inglese aulico di 4 secoli fa al quale anche molti di coloro che hanno dimestichezza con la lingua sono poco avvezzi.
Solo per intenditori di teatro.

 

298 "El angel exterminador" (Luis Buñuel, Mex, 1962) tit. it. “L’angelo sterminatore” * con Silvia Pinal, Claudio Brook, Tito Junco, Luis Beristáin, Jacqueline Andere * IMDb 8,2 RT 96%  *  Premio FIPRESCI e Nomination Palma d’Oro a Cannes  * al 16° posto migliori film messicani del secolo scorso
Un film che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni, in merito al quale sono stati scritti fiumi di parole pur senza giungere ad alcuna conclusione. Buñuel, oltre 30 anni dopo il suo corto “Un chien andalou”, quasi un manifesto del surrealismo cinematografico, torna a spiazzare critica e pubblico con un film pieno di oggetti, animali, frasi, situazioni e atteggiamenti senza dubbio allusivi e simbolici, ma ciascuno si presta a molteplici interpretazioni ed è impossibile dare un sicuro senso complessivo a tale combinazione. A chi gli chiedeva lumi, Buñuel soleva ripetere che se il film sembra enigmatico anche la vita lo è, e come essa è ripetitivo e soggetto a molte interpretazioni. “La migliore spiegazione per “L'angelo sterminatore” è che, ragionevolmente, non ne ha alcuna”.
Fra i più frequenti argomenti di (accesissime) discussioni, oltre alla inspiegabile impossibilità delle persone di valicare soglie (invitati intrappolati nel salone, polizia, servitù e curiosi che non possono entrare nel parco, devoti in chiesa), ci sono le singolari ripetizioni di scene e dialoghi (che qualche operatore talvolta tagliava pensando si trattasse di un errore di montaggio), varie apparizioni di agnelli e di un orso, zampe di gallina, una mano mozzata che ricorda senz’altro quella con la quale “giocava” per strada l’androgino di “Un chien andalou”, la perdita della decenza borghese e del senso del tempo, e i mille riferimenti alla sensualità e alla religione, quest’ultima già tirata in ballo non solo nel titolo definitivo (l’angelo sterminatore è descritto nell’Apocalisse) ma anche in quello previsto inizialmente “Los náufragos de la calle Providencia”.
Dopo la breve e travagliata parentesi europea con “Viridiana” e prima di iniziare il suo lungo e conclusivo periodo francese, Buñuel tornò a girare in Messico, dove già c’era una certa crisi economica e si dovette “arrangiare” con mezzi e budget molto limitati. Più volte asserì che il film l’aveva pensato per una produzione europea, possibilmente in Francia. Anche per il soggetto di questo film Buñuel contò sulla collaborazione del fedele Luis Alcoriza, ma solo lui si occupò della sceneggiatura ... e si vede che si tratta di un’opera tutta sua.
Pur essendo stato presentato a Cannes nel 1962, solo nel ’66 poté circolare in Messico mentre sia in Spagna che in Italia giunse solo nel 1968.
Film assolutamente imperdibile! A prescindere dal gradimento, poi non si potrà fare a meno di discuterne.

 

297 "Ensayo de un crimen" (Luis Buñuel, Mex, 1955) tit. it. “Estasi di un delitto”, aka “La vida criminal de Archibaldo de la Cruz” e relative traduzioni letterali * con Ernesto Alonso, Rita Macedo, Miroslava Stern  *  IMDb 7,9 RT 100%
Al contrario dell’altro film di Buñuel appena guardato (“El rio y la muerte”) reputo questo un po’ sopravvalutato, soprattutto per le interpretazioni. Probabilmente molti si sono fatti irretire dal personaggio principale Archibaldo, feticista fin da bambino, e dalle tante immagini di gambe e scarpe, al posto giusto e “staccate”, biancheria femminile, manichini e statuette, in puro stile buñueliano.
Certamente ben diretto e con mille interessanti dettagli mostrati più o meno esplicitamente al posto giusto nel momento giusto, penso sia indubbio che Ernesto Alonso non valga Arturo de Cordova né Fernando Soler; Miroslava Stern, Rita Macedo e Ariadne Welter tutte insieme non valgano Silvia Pinal o altre protagoniste femminili dei film di Buñuel. Sarà forse dovuto al cambio di produttore e a problemi di budget, ma il film si regge quasi esclusivamente su una certa dose di suspense e sulla creatività (soprattutto feticista, quasi perversa) di Buñuel, a partire da un buon romanzo di Rodolfo Usigli (adattato dal regista stesso e Eduardo Ugarte e non dal solito Luis Alcoriza) ... il che comunque non è poco.

Tuttavia, qualunque sia il giudizio, è un film da guardare obbligatoriamente, possibilmente a breve distanza di tempo dalla visione di “El” con il quale condivide numerose situazioni, a cominciare dalle paranoie dei protagonisti in quanto ai loro rapporti con le donne.

 

296 "El rio y la muerte" (Luis Buñuel, Mex, 1954) tit. it. “Le rive della morte” * con Columba Domínguez, Miguel Torruco, Joaquín Cordero  *  IMDb 7,0 RT 61% Nomination Leone d’Oro a Venezia
Basato sul romanzo “Muro blanco en roca negra” (1952) di Miguel Álvarez Acosta, adattato da Buñuel e dal solito Luis Alcoriza, ha molti punti in comune con due successive opere di Gabriel García Márquez, poi adattate a sceneggiatura (“Tiempo de morir” e “Cronaca di una morte annunciata”) in quanto verte sull’ineluttabilità dell’assassinio, seppur secondo ben precise prassi “d’onore”, in una piccola comunità rurale messicana.
Si segue la faida fra gli Anguiano e i Menchaga che va avanti da generazioni così come varie altre nello stesso pueblo, dove sono in un modo o nell’altro accettate, perfino dal parroco (anche lui armato di pistola) che le giustifica come volontà di Dio e dalle autorità che a chi uccide “per onore” concede il tempo necessario per attraversare il fiume e autoesiliarsi, mettendo in atto solo un blando fittizio inseguimento.
Alcuni lo accomunano a “Tierra sin pan” (1933) e “Los olvidados” (1950) per occuparsi delle miserie del sottosviluppo delle comunità chiuse che vivono secondo le proprie “leggi”, formando così un trilogia. Buñuel, che non credeva al prevalere della modernità e della ragione su ataviche barbare tradizioni (e forse aveva ragione visto quello che accade ancora oggi), raccontò che non gli fu concesso di aggiungere all’ottimistico finale una ennesima sparatoria, per poi concluderlo con il cartello “Altri morti la settimana prossima”.
Sottovalutato da molti, a me è ri-piaciuto per il suo preciso taglio antropologico, con ottima - per quanto stringata - descrizione di personaggi, ambiente ed eventi, nonché per il sapiente montaggio dei lunghi flaskback. Una eccellente critica sociale, che mette ancora una volta in risalto la stupidità umana.
Pur essendo stato presentato in anteprima al Festival di Venezia 1954 (Nomination al Leone d’Oro) uscì solo l’anno successivo in Messico e non sono sicuro del fatto che sia poi stato effettivamente distribuito in Italia.

 

295 "El" (Luis Buñuel, Mex, 1953) tit. it. “Lui” * con Arturo de Córdova, Delia Garcés, Aurora Walker *  IMDb 7,9 RT 100% - Nomination Grand Prix a Cannes  *  al 7° posto nella classifica dei migliori film messicani del secolo scorso
In questa sommaria rivisitazione del periodo messicano di Buñuel, eccomi giunto a un film veramente suo a cominciare dai primi minuti con immagini che mostrano il rito della lavanda dei piedi del giovedì santo. Sfruttando proprio la lentezza di questa ritualità, in un silenzio quasi assoluto, il regista indugiano nei primi piani dei piedi dei bambini mentre vengono lavati e poi baciati, per poi passare alle caviglie delle devote convenute.
Basato su un romanzo di Mercedes Pinto, l’adattamento cinematografico è opera dello stesso Buñuel e del suo solito grande amico e collaboratore Luis Alcoriza. Anche se IMDb lo classifica semplicemente come “drama, romance”, in “El” c’è una grande componente di thriller visto il comportamento a tratti paranoico-psicopatico di Francisco (Arturo de Córdova) per lo più innescati dalla gelosia e dalla sua fissazione per recuperare una proprietà che già era stata dei suoi avi. Una menzione particolare merita l’enorme, splendido palazzo in stile liberty, ... ma non sono riuscito a trovare notizie in merito.
In quanto ai collegamenti con altri film famosi, ne vedo uno (ma non ho trovato conferme) nei cinici commenti dei protagonisti che osservano dall’alto i passanti: in “The Third Man” (1949) Orson Welles li vede come formiche dall’alto della ruota panoramica mentre in "El" Arturo de Cordova li addita come vermi dal campanile della chiesa, stando proprio sotto la campana, scena poi ripresa da Hitchcock (dichiarato ammiratore di Buñuel) in “Vertigo” (1958). Guardare per credere ...
Un ottimo film, angosciante quanto basta, nel quale il machismo si alterna alla passione e le minacce all’amore più puro.
Da non perdere.

 

294 "La hija del engaño" (Luis Buñuel, Mex, 1951) trad. lett. “La figlia dell’inganno” * con Fernando Soler, Alicia Caro, Fernando Soto, Rubén Rojo  *  IMDb 7,0 RT 64%
Al pari di “El gran calavera” (1949) anche questa fu definita da Buñuel una “película alimenticia” = film per poter mangiare. Ma se il primo può essere definito una commedia un po’ drammatica, questo è un dramma con qualche tocco di commedia, soprattutto a carico dei due inetti “guardaspalle” del protagonista, non proprio una comedia negra. In Spagna fu distribuito con il titolo “Don Quintín, el amargao” che è quello del “sainete” originale del 1927 dal quale fu adattato dal solito Luis Alcoriza (con sua moglie Janet, aka Raquel). I “sainete” sono brevi lavori teatrali, in uno o due atti, per lo più tendenti alla farsa, con commento musicale dal vivo.
Don Quintín (Fernando Soler), tradito dalla moglie, diventa una specie di gangster irascibile, violento, pronto a cogliere l’occasione per venire alle mani o mettere mano alla pistola e, se l’occasione non si presenta, la crea lui.
Oltre al sempre ottimo Soler nel ruolo di protagonista, ritroviamo anche Rubén Rojo, di nuovo innamorato della figlia.
Anche questo film è più che sufficiente, ma si dovrà aspettare per i veri Buñuel.

 

293 "El gran calavera" (Luis Buñuel, Mex, 1949) tit. int. “Il grande teschio” * con Fernando Soler, Rosario Granado, Andrés Soler, Rubén Rojo  *  IMDb 7,3 RT 75%
Comincio con il titolo italiano, che stavolta i “geni” dei distributori/titolisti hanno voluto tradurre letteralmente ... e hanno preso una cantonata! Infatti, si sono fermati al primo e più comune significato, e possono essere eventualmente giustificati solo per non aver visto il film. In Messico un “calavera” (persona) è un irresponsabile, spendaccione, amante di bisbocce, feste, alcool, ecc. e questo è il senso del titolo originale.
Si tratta di una divertente commedia di Adolfo Torrado (adattata dal solito Luis Alcoriza, che ha anche una parte nel film) che come in tante altre occasioni pone a confronto ricchi e poveri, avidità e generosità, machiavellismi e buoni sentimenti. Chiaramente non è in puro stile Buñuel, ma il regista, dopo 10 anni di “silenzio” era tornato alla regia appena un paio di anni prima con “Gran Casino” (un fiasco commerciale nonostante la presenza di star come Jorge Negrete e Libertad Lamarque) e quindi, essendo quasi al verde, colse al volo l’occasione di dirigere Fernando Soler che in un primo momento avrebbe dovuto essere regista e protagonista. I fratelli Soler si distinguono come al solto per la loro bravura e versatilità, e in questo caso godono anche di buona compagnia anche se i comprimari sono meno noti.
Scordatevi del Buñuel surrealista e/o feticista che conoscete e godetevi questa commedia, comunque ben diretta.
PS - Nel 2013 Gary Alazraki diresse il quasi remake “Nosotros los nobles” (di qualità abbastanza inferiore all’originale) eppure ottenne un successo eccezionale quanto insperato, incassando in sole 10 settimane il doppio del precedente record al botteghino che resisteva da una decina di anni. Chiaramente gran parte del pubblico non conosceva il film diretto da Buñuel oltre 60 anni prima ...

 

292 "Peppermint Frappé" (Carlos Saura, Spa, 1967) tit. it. “Frappè alla menta” * con Geraldine Chaplin, José Luis López Vázquez, Alfredo Mayo  *  IMDb 7,2 RT 77%
Film molto sui generis, chiaro omaggio di Saura a Buñuel, esplicitato chiaramente nei titoli di coda. L'impareggiabile José Luis López Vázquez (260 film in 60 anni di attività) è un radiologo feticista, che stravede per il trucco femminile (in particolare occhi e labbra), ma soprattutto per le gambe (rif. Buñuel).
L'oggetto dei suoi desideri diventa la bionda moglie di un suo amico di infanzia appena rientrato in Spagna, incredibilmente somigliante alla sua assistente mora, fino a quel momento ignorata. Entrambe sono interpretate da Geraldine Chaplin, all’epoca già compagna di Saura, e questo fu il primo dei 7 film che interpretò diretta dal regista spagnolo. Ennesima tipica storia partorita dal genio della comedia negra Rafael Azcona.
In partenza un po’ farraginoso, recupera ampiamente nella seconda parte e con il finale fra noir e thriller.
Saura ottenne a Berlino l‘Orso d'Argento per la miglior regia, due anni dopo aver vinto identico premio con “La caza” per il quale fu anche candidato all’Orso d’Oro, come per l’ancora precedente “Llanto por un bandido” (1964).
Interessante visione, ma non certo il top fra i film di Saura.

 

291 "Reservoir dogs" (Quentin Tarantino, USA, 1992) tit. it. “Le iene” * con Harvey Keitel, Tim Roth, Steve Buscemi, Michael Madsen   *  IMDb 8,3 RT 96% 76° nella classifica IMDB dei migliori film di tutti i tempi
Pur essendo il primo vero lungometraggio di Tarantino, resta uno dei suoi migliori film, se non il migliore. Stringato, essenziale, pochi set, pochissimi esterni, un numero limitato di (buoni) attori. Dialoghi taglienti, relativamente poca azione ma tanto sangue.  Senza ombra di dubbio fu quello che lanciò Tarantino nell'élite dei grandi registi, anche se molto discusso per il suo inconfondibile stile.
Con lo stesso titolo, l'anno precedente Tarantino aveva realizzato un video per il Sundance Institute Film Lab.
Dando per certo che tutti coloro che leggono lo conoscano (e avranno la propria rispettabile opinione) mi limiterò a dire che lo trovo un ottimo film, in particolare per le situazioni “teatrali” (poca azione, tanto parlare, attesa per quello che potrebbe avvenire da un momento all’altro) mentre vedo un Tarantino ancora un po’ acerbo per quanto riguarda gli esterni.
Mirabile è la scelta dei protagonisti, così come le loro performance. Singolare e perfettamente calzante la colonna sonora, con la geniale chiusura di “Coconut” (interpretata dal suo autore Harry Nilsson) sui titoli di coda.
C’è poco da aggiungere ... ri-guardatevelo.

 

290 "Bring me the Head of Alfredo Garcia" (Sam Peckinpah, USA, 1974) tit. it. “Voglio la testa di Garcia” * con Warren Oates, Isela Vega, Emilio Fernández   *  IMDb 7,5 RT 83%
Questo western moderno / noir / road movie è uno dei miei preferiti fra i film diretti da Peckinpah, non solo per l'originalità della storia e l’eccellente ambientazione messicana, ma anche per avere come protagonista un ottimo Warren Oates, attore di più che buon livello, forse penalizzato dal suo singolare aspetto, e per la partecipazione di Emilio Fernandéz “el Indio”.
Volere la testa di qualcuno è una espressione utilizzata di solito in senso figurato, ma in questo caso c'è un “jefe” (Fernández) che la vuole fisicamente come prova dell’eliminazione definitiva del giovane Alfredo e quindi il discorso è ben diverso. Ma è solo il titolo italiano a creare l'equivoco, in inglese è molto più chiaro e significativo traducendosi letteralmente come "Portatemi la testa di Garcìa".
E detta testa farà un lungo e travagliato viaggio per strade polverose e desolate, in pueblos con fiestas e funerali, fra furti, agguati, inseguimenti e sparatorie. Fra quelli che hanno brevi ma sostanziali parti, ci sono anche guest stars come Kris Kristofferson che l’anno prima era stato Billy The Kid al fianco di Pat Garret (James Coburn) diretti dallo stesso Peckinpah, la star TV Robert Webber e Gig Young (Oscar per “Non si uccidono così anche i cavalli?”, 1969), e tanti extra e comparse messicani con un’infinità bambini.
Trovo geniale l’inizio che per costumi e ambienti lascia per vari minuti lo spettatore dubbioso su epoca e luogo in cui si svolge la storia, che poi terminerà nello stesso ranch con un finale in tipico stile Peckinpah.
Non meraviglia il fatto che, pur essendo stato un quasi fiasco al botteghino e anche poco apprezzato dalla critica all'uscita, sia poi diventato un cult, definito l'ultimo vero film di Peckinpah il quale dichiarò che questo fu l'unico suo film uscito come lui lo aveva immaginato, quindi un director’s cut senza interventi della produzione.
Né meraviglia leggere che, per il suo taglio che tende al noir, alla black comedy e quasi allo splatter con tante sparatorie e un buon numero di morti, "Bring me the Head of Alfredo Garcia" sia fra i preferiti in assoluto di registi come Tarantino, Lynch e Takeshi Kitano.
Visto per l'ultima volta poco più di 6 anni fa ne avevo nostalgia.

 

289 "El esqueleto de la señora Morales" (Rogelio A. González, Mex, 1960) tit. int. “Skeleton of Mrs. Morales” * con Arturo de Córdova, Amparo Rivelles, Elda Peralta  *  IMDb 8,2 RT 88%
Una delle poche "comedias negras" della Epoca de Oro del Cine Mexicano (19° nella classifica dei film del secolo scorso), senz’altro un classico amatissimo anche per la presenza come protagonista del poliedrico Arturo de Córdova, capace di passare brillantemente dai noir ai film romantici, alle commedie e a film impegnati come “El” (Luis Buñuel, 1962) e ancora prima aveva interpretato Agustin in “Per chi suona la campana” (Sam Wood, 1943) al fianco di Gary Cooper e Ingrid Bergman.
Si assiste ad una continua presa in giro del bigottismo di un certo tipo di media borghesia messicana, simboleggiato alla perfezione da Gloria, moglie del pacifico tassidermista Dr. Pablo Morales, e dalla sua “corte” capitanata da un prete e composta da varie amiche sempre vestite di nero con tanto di velo, nonché da sua sorella sempre accompagnata dal marito che si atteggia a “guappo” mostrando la pistola alla cintola e un “historiador” che interviene sempre a sproposito.
Gloria, a dispetto della sua pretesa “aura di santità” è perfida tanto da derubare il marito, accusarlo delle peggiori ignominie, rovinare ogni sua semplice innocua passione. Dando uno sguardo ai commenti ne ho visto uno che si intitola: “uno dei pochi film nel quale il pubblico spera vivamente che l’uomo uccida la moglie”.
La sceneggiatura è firmata da Luis Alcoriza (citato nei precedenti post per i suo lavori Buñuel, e ciò mi ha riportato in mente questo film), che ha brillantemente adattato il racconto "The Islington Mystery" (1927) di Arthur Machen, autore gallese che trattava soprattutto di soprannaturale, fantastico e horror.
Rivisto con molto piacere, lo consiglio vivamente.

 

288 "El Bruto" (Luis Buñuel, Mex, 1953) tit. it. “Il bruto” * con Pedro Armendáriz, Katy Jurado, Rosa Arenas, Andrés Soler  *  IMDb 7,4 RT 88%

Film molto poco conosciuto di Buñuel che molti, compreso me, giudicano ampiamente sottovalutato. Lo si potrebbe vedere quasi come un sequel di “Los olvidados”, per la violenza, l’acrimonia e la povertà che condizionano la vita in ambienti marginali delle grandi città. Stavolta, però, non si tratta di giovani ma di adulti e il sesso (appena accennato nell’altro) gioca qui un ruolo devastante visto che si accompagna a avidità e gelosia. La perfidia e malvagità di Paloma (Katy Jurado, Premio Ariel come non protagonista) che spesso appare come una fiera predatrice è forse peggiore della brutalità del “bruto” Pedro (l’ottimo Pedro Armendáriz, perfetto per questo ruolo). Nel variegato cast che include tanti buoni caratteristi e la insipida Rosa Arenas, spicca anche Andrés Soler (Nomination Ariel come non protagonista) fratello di Fernando, Domingo e Julián tutti attori, alcuni anche registi e sceneggiatori ... una vera famiglia di cineasti.
Anche in questo caso Buñuel si affida ad uno stimato direttore della fotografia in bianco e nero (Agustín Jiménez) che lo assisterà anche nei successivi Abismos de pasión (1954) e Ensayo de un crimen (1955); in quanto alla sceneggiatura il suo co-autore è ancora una volta Luis Alcoriza.
I personaggi e gli ambienti sono ben proposti, le scene appropriate e quasi sempre allusive (come quella nel mattatoio), negli interni spesso si percepisce che la violenza sta per esplodere così come incutono timore le strade buie, teatro di percosse e inseguimenti.
Non manca il solito criptico simbolismo di Buñuel distribuito in più punti, con la perla finale dell’inquietante gallo padrone della scena dopo una serie di eventi distruttivi e fatali.
Penso sia chiaro che suggerisco di guardare anche questo film, seppur reputato “minore” da molti.

 

287 "Los Olvidados" (Luis Buñuel, Mex, 1950) tit. it. “I figli della violenza” * con Alfonso Mejía, Roberto Cobo, Miguel Inclán, Estela Inda, *  IMDb 8,3 RT 94%
Terzo film messicano di Buñuel, il primo veramente suo dopo i commerciali “Gran Casino” (1947) e “El gran calavera” (1949) - girati dopo un’assenza di una decina d’anni dai set- e la differenza è lampante; nella classifica dei migliori film messicani del secolo scorso si trova al secondo posto.
"Los Olvidados" riscosse immediatamente un enorme successo in Messico vincendo l’Ariel d’Oro come miglior film e ottenendo ben 10 premi e 2 Nomination nelle altre categorie, ma ancora più importante fu il premio per la miglior regia conquistato a Cannes da Buñuel, insieme con la Nomination al Grand Prix. Al di là dei suoi riconosciuti meriti come regista, Buñuel fu premiato anche per soggetto e sceneggiatura (insieme con Luis Alcoriza, suo collaboratore in tanti altri suoi film: El gran calavera, La hija del engaño, El bruto, El, El rio y la muerte, La fièvre monte à El Pao, El ángel exterminador); i membri del cast ottennero 3 Ariel e una Nomination e il solito Gabriel Figueroa fu premiato per la fotografia.
Fra i giovani attori qualcuno aveva già un po’ di esperienza, altri erano all’esordio, ma tutti risultano molto credibili. Oltre Estela Inda che già godeva di relativa fama, si può dire che l’unico “professionista” è l’ottimo Miguel Inclán (del quale ho appena scritto nel post sulle peliculas cabareteras) nei panni di un equivoco suonatore ambulante cieco.
Il film si apre con una serie di immagini di metropoli (New York, Londra, Parigi, ...) e una voce fuori campo ricorda che la delinquenza giovanile è una piaga comune a tutte le grandi città del mondo. La storia, veramente cruda e violenta, è incentrata su un gruppo di giovani e giovanissimi che vivono nella povera e per lo più squallida periferia di Città del Messico. Quasi a voler sostenere tale tesi, il film è volutamente molto realista concedendo solo qualche divagazione surrealista, specialmente nelle brevi parti oniriche, ma in sintesi riesce ad essere un vero pugno nello stomaco presentando un ambiente di piccoli delinquenti, lavoro minorile, sfruttamento, pedofilia, bullismo, tradimenti e omertà.
Eppure, in tutto questo squallore, Buñuel riesce ad inserire in più occasioni scene nelle quali mostra gambe femminili abbastanza scoperte (per l’epoca), indugiando sulle immagini qualche secondo più del necessario, come suo solito.
Essendo ancora banditi in patria sia il regista che i suoi film, questo giunse nelle sale spagnole (e anche in quelle italiane) solo nel 1964.
Film assolutamente imperdibile per i cinefili in quanto, come ricordano i registi Carlos Saura e José Luis Borau negli extra del dvd, chiunque si occupi del cinema del ‘900 non può prescindere dai lavori di Buñuel.

 

Visioni 284-285-286 del 2018
284 Salón México (Emilio Fernández, Mex, 1949) * con Marga López, Miguel Inclán, Rodolfo Acosta * IMDb  7,6 * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore fotografia: Gabriel Figueroa

285 Víctimas del pecado (Emilio Fernández, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito Junco, Rodolfo Acosta * IMDb  7,7 RT  86% * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore fotografia: Gabriel Figueroa

286 Aventurera (Alberto Gout, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito Junco, Andrea Palma, Miguel Inclán * IMDb  7,6  RT  81% * sceneggiatura: Álvaro Custodio, Alberto Gout e Carlos Sampelayo * fotografia: Alex Phillips

Film poco conosciuti (ma che vale senz’altro la pena guardare) della Epoca de Oro del Cine Mexicano durante la quale si distinsero grandi registi, ottimi direttori della fotografia e tanti buoni attori, caratteristi e cantanti.

Del genere, spesso più affine al noir che al musical, e dei 3 film ne ho parlato in questo post su Discettazioni Erranti.
 

282 "Los tres Garcia" (Ismael Rodríguez, Mex, 1946) * con Pedro Infante, Abel Salazar, Sara García, Víctor Manuel Mendoza, Fernando Soto IMDb 8,0
283 "Los tres Huastecos" (Ismael Rodríguez, Mex, 1948) * con Pedro Infante, Blanca Estela Pavón, María Eugenia Llamas, Fernando Soto "Mantequilla" IMDb 8,0
Due classiche commedie di Ismael Rodríguez, entrambe vedono Pedro Infante quale protagonista e ovviamente canta alcune canzoni, entrambe sono basate sui movimentati rapporti fra tre parenti, cugini nel primo caso, fratelli nel secondo.

José Luis, Luis Antonio e Luis Manuel sono i 3 cugini Garcia, tenuti più o meno a bada da una energica nonna (interpretata da Sara Garcia), perennemente con il sigaro in bocca. La competitività fra i 3 (il ricco, il povero e il viveur), sempre pronti a litigare, aumenta ulteriormente all'arrivo della bella e bionda lontana cugina messicano-americana (Marga Lopez) accompagnata dal padre. Equivoci, dispetti, continui tentativi di rissa (qualcuna messa in atto) fanno passare velocemente le quasi 2 ore del film. L'immancabile cura (parroco) dovrà faticare non poco per evitare spargimenti di sangue, considerato che ci sono anche i 3 Lopez che vogliono far fuori i 3 Garcia per una annosa faida fra le loro famiglie.
Nel complesso abbastanza banale, ma le commedie leggere di questo tipo di erano quelle che avevano successo nell’immediato dopo-guerra, anche grazie ai cast pieni di attori bravi, famosi e, soprattutto, amatissimi dal pubblico.
Più insolito e divertente, certamente originale in assoluto, è "Los tres Huastecos", soprattutto grazie alla intricata trama. Tre fratelli gemelli (separati alla nascita per la morte della madre), si ritrovano già adulti in una stessa cittadina in vesti molto diverse Juan de Dios (parroco), Lorenzo (pistolero gestore di una malfamata cantina) e Víctor (nuovo comandante della guarnigione). I tre sono tutti interpretati da Pedro Infante e il regista e co-sceneggiatore Ismael Rodríguez è più che abile a mantenere un ritmo fluido di immagini anche quando sullo schermo compaiono due fratelli contemporaneamente e in qualche caso anche tutti e tre. Questo “esperimento” (soprattutto considerati i mezzi tecnici dell’epoca) riuscì quindi molto bene anche per la versatilità di Infante il quale oltre a interpretare i tre, si esibisce anche nei panni di uno travestito da un altro. Oltre a lui si devono comunque menzionare un altro paio di personaggi memorabili quali l’onnipresente caratterista Fernando Soto (oltre 150 film in 30 anni, noto col soprannome di Mantequilla = burro) e l’esordiente giovanissima (4 anni) María Eugenia Llamas nei panni di Tucita, l’incontrollabile figlia di Lorenzo, che gioca con serpenti e tarantole, vuole dormire con la pistola sotto al cuscino per “sentirsi sicura” e si mette a piangere dopo aver sparato al padre, ma solo perché non lo ha colpito! Questo ruolo la rese subito famosa e nei film successivi il suo nome apparì come “Ma. Eugenia Llamas 'Tusita'”.
Pedro Infante è tutt'oggi il più amato attore messicano e nel 1994 anche Hollywood gli rese onore con la “Star on the Walk of Fame”.

 

281 "Raise the Red Lantern" (Yimou Zhang, Cina/HK/Taiwan, 1991) tit. or. “Da hong deng long gao gao gua”, tit. it. “Lanterne rosse “ * con Li Gong, Jingwu Ma, Saifei He  *  IMDb 8,2 RT 96% * Nomination Oscar miglior film non in lingua inglese
Senz’altro uno dei migliori film di Yimou Zhang (quasi tutti ottimi, sono buone perfino le sue commedie più banali) ma non il mio preferito. Penso che il regista si sia espresso meglio nei film più ricchi di azione e di colori. Qui, fedele al titolo, il predominante è il rosso e l’atmosfera (seppur giustificata dalla drammaticità della storia) è quasi sempre cupa. In ogni caso, la descrizione degli ambienti e dei ruoli dei vari personaggi nella gerarchia della enorme dimora apre agli spettatori un mondo sconosciuto ai più.
La lentezza della vita del palazzo, le silenziose pause, gli annunci “gridati” dei movimenti del signore, il lento procedere dei personaggi principali nei cortili e sulle terrazze e quello più affrettato della servitù, i dettagli delle attività rituali quasi giornaliere, i particolari degli oggetti e degli arredi, creano un atmosfera fantastica e affascinante.
Film da non perdere.

 

280 "Bang the Drum Slowly" (John D. Hancock, USA, 1973) tit. it. “Batte il tamburo lentamente“ * con Robert De Niro, Michael Moriarty, Vincent Gardenia  *  IMDb 7,0 RT 92%  *  Nomination Oscar per Vincent Gardenia non protagonista
Un buon dramma di ambientazione sportiva, che riesce a bilanciare i vari aspetti messi in ballo, senza alcuna esagerazione o predominanza. Pur gravitando nel mondo del baseball di alto livello non si vede molto gioco, De Niro interpreta un giocatore malato ma non si insiste sulla parte medica, i dottori si vedono appena, parimenti Hancock non annoia con beghe, ripicche e scherzi dei giocatori mostrando solo il giusto necessario, il cambiamento di atteggiamento dei compagni di squadra è graduale e non appare mai falso e melenso, bensì genuino. La sceneggiatura (tratta dal romanzo omonimo di Mark Harris e adattata dall’autore stesso) è di ottimo livello e il cast è più che adeguato per i personaggi molto eterogenei.
La star del baseball Henry Wiggen (interpretato da Michael Moriarty, proprio il procuratore Ben Stone di “Law & Order” dal 1990 al ’94), grazie al suo potere contrattuale, riesce ad ottenere un contratto per il suo amico Bruce Pearson (De Niro), giocatore non eccezionale e malato ... ma ancora nessuno lo sa. L’allenatore “Dutch” (Vincent Gardenia, inconfondibile per il suo naso aquilino e la bocca “contorta”) sospetta qualcosa ma non riesce a venire a capo di niente. Ben delineati da buoni caratteristi anche vari altri personaggi dello spogliatoio fra i quali si nota anche l’esordiente Danny Aiello (all’epoca già 40enne), il cui ruolo successivo sarebbe stato quello di Tony Rosato in “The Godfather: Part II” (1974). L’iconico caratterista italoamericano newyorkese, ha poi lasciato il segno come capo della polizia in “Once Upon a Time in America” (Sergio Leone, 1984) e nelle vesti di Sal proprietario/gestore della pizzeria in “Do the Right Thing” (Spike Lee, 1989).
De Niro si difende bene in un ruolo per lui inusuale, assolutamente poco esuberante, sempre dal tono dimesso, accomodante con tutti.
In quanto al regista Hancock, questo è il secondo dei suoi solo nove film ed è unanimemente giudicato di gran lunga il suo migliore.
Curiosità: in questo film si mostrano brevemente alcune partite del fantasioso e geniale gioco di carte TEGWAR, acronimo di “The Exciting Game Without Any Rules” (emozionante gioco privo di regole), giocato di solito da 3 o 4 persone, uno dei quali è il “pollo” da spennare o semplicemente prendere in giro. Regole inventate al momento, combinazioni dai nomi strani e giocate prive di alcun criterio si susseguono a ritmo vertiginoso non permettendo al novellino di capire cosa stia effettivamente accadendo.

 

279 "Alice doesn't live here any more" (Martin Scorsese, USA, 1974) tit. it. “Alice non abita più qui“ * con Ellen Burstyn, Kris Kristofferson, Diane Ladd, Harvey Keitel  *  IMDb 7,4 RT 88% * Oscar a Ellen Burstyn protagonista, Nomination per sceneggiatura e Diane Ladd non protagonista * Nomination Palma d’Oro a Cannes * 4 premi e 3 Nomination BAFTA
Quarta regia di Scorsese, subito dopo “Mean Streets” (1973) e immediatamente prima di “Taxi Driver” (1976), di conseguenza è già di tutt’altro livello rispetto ai suoi primi due film. Il soggetto è abbastanza insolito per lui, ma conta su una ottima sceneggiatura (Nomination per l’autore Robert Getchell) e su un buon cast con la sola palla al piede di Kris Kristofferson ... il solito broccolo lesso, assolutamente inespressivo. Al contrario, la protagonista Ellen Burstyn (che qui ottenne il suo unico Oscar da 6 Nomination) è affiancata da Harvey Keitel (quasi onnipresente nei primi film di Scorsese), ma soprattutto dagli caratteristi che impersonano lavoratori e gestori di bar, fast food e night, in primis l’ottima Diane Ladd (meritata la sua Nomination) e Vic Tayback. Bravi anche i due 12enni, l’esordiente Alfred Lutter III (attore bambino con poche apparizioni, solo fra il ’74 e il ‘77) nei panni dell’insopportabile e indisponente figlio della Burstyn e la più esperta Jodie Foster (già al quinto film e da 5 anni in tv) che sarebbe diventata famosa due anni dopo per “Taxi Driver”).
Un dramma sentimentale con sprazzi di commedia, che si fa guardare con piacere.

 

277 "Who's that knocking at my door" (Martin Scorsese, USA, 1967) aka “I Call First” (da una battuta/gag ripetuta più volte nel corso di una scena)., tit. it. “Chi sta bussando alla mia porta?“ * con Harvey Keitel, Zina Bethune, Anne Collette  *  IMDb 6,7 RT 71%
278 "Boxcar Bertha" (Martin Scorsese, USA, 1972) tit. it. “America 1929 - Sterminateli senza pietà“ * con Barbara Hershey, David Carradine, Barry Primus  *  IMDb 6,1 RT 48%
Sono i primi due film di Martin Scorsese, che successivamente sarebbe divenuto un emblema del nuovo cinema americano, molti esponenti del quale (sia attori che registi) oltre a segnare un'epoca sono ancora sulla cresta dell'onda: Spielberg, Lucas, Coppola, De Niro, Nicholson, Keitel, Ford, Walken, ...

Tempo fa scrissi degli inizi (non proprio brillanti) di altri due famosi registi: Kubrick e Coppola; alla pari di costoro, anche Scorsese non può essere molto fiero dei suoi primi film, nel complesso confusionari, slegati, ripetitivi ... ma andiamo per ordine.
Nel primo sceneggiatura e dialoghi sono scadenti, Keitel non era certo ancora diventato l’egregio attore di The Duelists (1977), Bugsy (1991), Reservoir Dogs (1992), The Piano (1993), Pulp Fiction (1994), in alcuni momenti sembra di guardare dei provini per "Mean Streets" o "Taxi Driver" (entrambi con Keitel e De Niro). Siamo nell'ambiente degli giovani italoamericani sfaccendati (non veri criminali), quindi ci sono “l’amichevole bullismo”, qualche battuta in dialetto meridionale, il "pentimento" in chiesa, le ubriacature, la caccia a ragazze “facili”, ecc.
Molta camera a spalla, tanti interni “originali” (non set, evidente conseguenza del limitato budget), riprese ripetute, scene inutilmente allungate. Solo di tanto in tanto, e con il senno di poi, si riescono ad apprezzare inquadrature originali che saranno poi riproposte (perfezionate) in film successivi.
Il secondo, oltre al patire di una pessima traduzione del titolo (oltretutto la storia si sviluppa negli anni successivi), l’ho (ri)trovato veramente inconsistente, nonostante Scorsese potesse contare su una certa esperienza e su maggiori e migliori mezzi (il produttore fu Roger Corman). Si appoggia molto sulla belloccia e spesso volutamente discinta Barbara Hershey, su John e David Carradine (padre e figlio, il primo già attore di successo) e su una buona dose di violenza, ma l’insulsa sceneggiatura è veramente da dimenticare.
Per la fortuna degli spettatori, dopo questi relativi obbrobri, Martin Scorsese si mise sulla retta via già con il film successivo (“Mean Streets”, 1973) per poi “esplodere” definitivamente nel 1975 con “Taxi Driver”.
Da guardare esclusivamente per curiosità cinefila ...

 

276 “Affair in the Snow“ (Yoshishige Yoshida, Jap, 1968) tit. or. “Juhyo no yoromeki“ * con Mariko Okada, Isao Kimura, Yukio Ninagawa  *  IMDb 7,0
Ancora una volta sono rimasto affascinato dal modo di girare di Yoshishige Yoshida, che con il suo stile molto particolare riesce a far tenere gli occhi incollati allo schermo anche se la sceneggiatura è basata sugli sviluppi psicologici di un insolito (e abbastanza irreale) triangolo amoroso. Ogni volta che può (certamente non nei campi lunghi su campi innevati) inquadra i soggetti in “cornici”, non sempre regolari. In più, in questo film ha utilizzato tanta macchina a spalla, spesso con riprese circolari attorno agli attori ed in un caso (veramente pregevoli sia idea che realizzazione) un attore gira attorno all’altro mentre la camera li riprende girando attorno ad entrambi in verso opposto.
Ottimo il bianco e nero, buona la recitazione (forse un po’ troppo teatrale, ma del resto ci sono in effetti solo tre personaggi), accattivante il commento sonoro; avendo già elogiato la regia resta solo da dire che il punto debole è il comportamento fra lo snervante e l’insopportabile dei protagonisti, dettato per lo più dai loro trascorsi e dalla perenne indecisione.
In conclusione, un film che senz’altro consiglio a chi è attento a inquadrature e composizione dell’immagine, ma non a quelli che badano troppo alla trama. Appena di poco inferiore ai suoi successivi Eros + Massacre (1969) e Heroic Purgatory (1970). Da quel poco che ho trovato in rete, sembra che il soggetto sia molto simile al suo immediatamente precedente "Flame and Women” (tit. or. “Honô to onna”, 1967), ma non mi è chiaro quale sia il legame fra i due.

 

275 “Twenty-Four Eyes”“ (Keisuke Kinoshita, Jap, 1954) tit. or. “Nijûshi no hitomi“, tit. it. "Ventiquattro occhi" * con Hideko Takamine, Chishû Ryû, Takahiro Tamura, Yumeji Tsukioka * IMDb 8,1 RT 60%  *  Golden Globe come miglior film e Nomination Leone d’Oro a Venezia
Il titolo si riferisce agli occhi dei dodici bambini di prima elementare che al primo giorno di scuola incontrano la loro giovane maestra, al suo primo incarico. Così comincia un particolare rapporto di affetto che viene descritto attraverso vari momenti distribuiti nell’arco di 18 anni, passando dai periodi delle guerre in Cina e Manciuria, fino ad oltre la fine della II Mondiale, dal 1928 al 1946.
In poco più 2 ore e mezza Keisuke Kinoshita (poi definitivamente affermatosi come regista con “Narayama bushikô”, La leggenda di Narayama,1958) mostra la vita di una relativamente povera comunità che vive lungo le rive del mare interno giapponese. Non ci sono solo eventi commoventi e disavventure, ma anche tanti momenti gioiosi sottolineati da giochi e canzoncine infantili, nonché vari riferimenti alla caccia ai comunisti e una aperta critica al nazionalismo e all’inutilità della guerra.
Classico film giapponese degli anni ’50, con riprese curate, ottima recitazione, in stile quasi neorealstico ... forse si è un po’ ecceduto con le canzoni, troppe per i miei gusti, sia infantili che patriottiche.

 

274 “El verdugo“ (Luis Berlanga, Spa, 1963) tit. it. “La ballata del boia” * con Nino Manfredi, Emma Penella, José Isbert  * IMDb 7,4 RT 91% * Premio FIPRESCI e Nomination Leone d’Oro a Venezia
Un film geniale realizzato alla perfezione, ancor più pregevole se si considerano ambiente e periodo storico, ma gran merito va senz’altro attribuito agli sceneggiatori (lo stesso Luis Berlanga e il sempre sorprendente Rafael Azcona, con la collaborazione ai dialoghi di Ennio Flaiano).
Senza dire troppo della trama, voglio comunque accennare a questa storia di un necroforo (evitato dai più) che si innamora della figlia del boia (e per questo evitata da tutti). Queste sono le ottime premesse per un eccezionale “comedia negra” in puro stile latino. Per questioni familiari, economiche e sociali, l’anziano “verdugo” vuole che il genero (assolutamente contrario ad ogni forma di violenza) prenda il suo posto. José Luis Rodríguez (Nino Manfredi) arriverà alla sua prima esecuzione, seppur controvoglia? Grazie a questa incertezza, la seconda parte del film diventa quasi un thriller. Fra i protagonisti si fanno notare l’ineffabile José Isbert Emma Penella, l’onnipresente José Luis López Vázquez e, seppur in una breve parte, l’italiano Guido Alberti.
Con questo, concludo in mini-ciclo dedicato ai 5 film simbolo dell’opposizione alla censura del regime del “Caudillo” Francisco Franco analizzati, insieme con “Bienvenido Mr. Marshall” (Luis Berlanga, 1953), “Calle Mayor“ (Juan Antonio Bardem, 1956), “El pisito“ (Marco Ferreri, 1959), “Viridiana“ (Luis Buñuel, 1961)  in questo dettagliato articolo

 

273 “Viridiana“ (Luis Buñuel, Spa/Mex, 1961) * con Silvia Pinal, Fernando Rey, Francisco Rabal  *  IMDb 8,2 RT 95% * Palma d'Oro a Cannes
Uno dei più apprezzati film di Buñuel, il primo (semi)europeo dopo il suo lungo forzato "esilio" negli Stati Uniti e poi in Messico dove ne aveva comunque diretto di ottimi fra i quali “Los olvidados” (1950), “El” (1953), “Ensayo de un crimen” (1955), “Nazarin” (1959) e, l’anno dopo “Viridiana”, avrebbe diretto uno dei suoi indiscussi capolavori: “El angel extermidador".
Ho scritto “(semi)europeo” in quanto fu girato in Spagna - dove Buñuel era temporaneamente tornato fra mille polemiche e critiche sia da parte dei repubblicani che dei franquisti -, con la star e sua musa messicana Silvia Pinal (all’epoca moglie di Gustavo Alatriste, produttore messicano che finanziò questo e altri due film di Buñuel), fu presentato ufficialmente a Cannes come pellicola spagnola ma a seguito di una durissima presa di posizione dell'Osservatore Romano che la definì “blasfema e sacrilega” il direttore del settore cinematografico, che appena un paio di giorni prima aveva presenziato orgogliosamente alla consegna della inaspettata Palma d’Oro, fu costretto a dimettersi, il film fu bandito su tutto il territorio spagnolo e le copie distrutte. Per fortuna, una copia fu salvata e trasportata in Francia al seguito di un gruppo di toreri ... il divieto di proiezione nelle sale spagnole fu tolto solo nel 1977.
Ovviamente, e forse più di altri, il film non è di semplice lettura. Si ritrovano tanti elementi classici buñueliani (scarpe, piedi e gambe in primis), ma abbondano anche simboli e oggetti proposti e riproposti in situazioni molto differenti, le inquadrature che alludono a opere pittoriche così come i brani musicali (classici, sacri e moderni) sono certamente significativi e non casuali, i vari animali e oggetti che spesso appaiono solo brevemente non sono certamente un inutile “riempitivo”. Comprensibilmente, la Chiesa (di fondamentale importanza il regime di Franco ) non poteva essere “contenta” della storia proposta da Buñuel e il fatto che meraviglia è del come la sceneggiatura possa aver ottenuto l’approvazione preventiva e film (una volta completato) il visto per la proiezione.
“Viridiana“ è senza dubbio un (capo)lavoro da rivedere più volte e, fra una visione e l’altra, vale la pena leggere qualche analisi e informarsi sul contesto storico e sulle idee di Buñuel in merito a religione e clero.
Mettetevi all’opera, procuratevelo o recuperatelo dalla vostra filmoteca.

 

272 “El pisito“ (Marco Ferreri, Spa, 1958, co-sceneggiato con Rafael Azcona, dal suo romanzo omonimo) tit. it. “L’appartamentino” * con Mary Carrillo, José Luis López Vázquez, Concha López Silva  *  IMDb 7,3 RT 67%
Probabilmente non tutti sanno che Marco Ferreri iniziò la sua carriera di regista in Spagna, con una trilogia di film fra neorealismo e comedia negra. Questo primo è un’ottima combinazione fra i due generi, seguiranno “Los chicos” (1959, più drammatico e non al livello degli altri due) e “El cochecito” (1960, di nuovo con Rafael Azcona come co-sceneggiatore).
Il tema, già esplicitato dal titolo, è quello del problema delle case nella Madrid di fine anni ’50. La grande migrazione dalle campagne verso le città, e soprattutto verso la capitale, creò una penuria di appartamenti, singoli e intere famiglie condividevano quelli più grandi occupando ognuno una stanza, i fitti aumentarono in modo vertiginoso e si facevano salti mortali per mantenere quelli bloccati. Questo è il caso di Rodolfo che dopo 12 anni di fidanzamento ancora non si può sposare per mancanza di un alloggio. Vive in subaffitto in un appartamento al centro, presso la Gran Via, e si illude di poter subentrare all’anziana titolare del contratto. Dopo che gli hanno spiegato che questo è possibile solo per vincoli diretti, accetta di sposarla in modo da acquisire i diritti come vedovo. Ma la “vecchia”, che sembrava avere i giorni contati, resiste, la aspirante vera sposa diventa sempre più impaziente e il libretto di risparmio (promesso in eredità) non si trova ...
Aggiungete i coinquilini (Mari Cruz, una “allegra” e procace signorina e il callista Dimas, squatrinato e incapace), la badante di Doña Martina, il datore di lavoro (e che lavoro) di Rodolfo, il padrone di casa che spera di poter vendere l’edificio, onnipresenti ragazzini terribili e altri personaggi singolari e capirete come le situazioni da “commedia tragica” si presentano in ogni momento.
Una eccellente analisi del film è compresa nel precedentemente citato documento “Disidencia en el franquismo”.
 
271 “Calle Mayor“ (Juan Antonio Bardem, Spa, 1956) * con Betsy Blair, José Suárez, Yves Massard  *  IMDb 7,9 RT 83% Gran Premio della critica internazionale a Venezia
Juan Antonio Bardem (nato in una famiglia di attori e cineasti, zio di Javier) ha diretto vari film notevoli, e ne ha sceneggiato molti altri, anche questi di buon livello. Qui ritroviamo Betsy Blair, (Nomination Oscar per “Marty”, guardato pochi giorni fa) e stranamente interpreta di nuovo la "zitella" di buona famiglia e sani principi, ma in questo caso, dopo essersi illusa di aver trovato l'amore della vita dovrà presto ricredersi.
Dall'ambiente di Villar del Rio (il paesino rurale nel quale si svolgeva "Bienvenido mr. Marshall") siamo passati ad una cittadina qualunque, in qualunque regione (come dice la voce narrante all’inizio del film) con differenti problemi sociali; i vitelloni locali, nullafacenti, perditempo e privi di alcuna considerazione per gli altri (la scena iniziale è eloquente). Per prendere in giro una “zitella”, nei suoi confronti architettano un piano forse peggiore del bullismo, l'illudono per poi umiliarla ... situazione certo sfruttata anche in altri film, di solito conseguenza di stupide scommesse.
In questo dramma neorealista, più che la vena drammatica risalta quella amara in quanto niente di ciò che accade è ineludibile o dovuto a pura sfortuna, ma è conseguenza della superficialità, dei vincoli del conformismo e soprattutto della cattiveria umana e della mancanza di principi morali. Un tardivo ripensamento del protagonista non riuscirà a sanare la situazione, ormai spinta troppo all’estremo, e quindi qualunque “soluzione” lascerà conseguenze per niente piacevoli, forse disastrose.
Ottima la sceneggiatura (dello stesso Bardem) e ottime le interpretazioni, ennesima dimostrazione di come si possano produrre film di qualità senza grandi budget (affermazione valida ancora oggi). Oltre a rappresentare egregiamente un certo tipo di società piccolo-borghese di provincia, nel film ci sono vari espliciti riferimenti alla censura spagnola e anche al famoso “Hays Code" americano.
IMDb non fornisce notizie in merito alla distribuzione in Italia, né ho trovato un titolo italiano, ciò nonostante la presentazione al Festival di Venezia dove ottenne il Gran Premio della critica internazionale; fu preso in seria considerazione per l’attribuzione del Leone d’Oro, che tuttavia quell’anno non fu assegnato. Per aver preso posizione contro la censura, Bardem fu arrestato proprio mentre girava “Calle Mayor” ... qualcuno dice che il fatto lo aiuto ad avere successo internazionale. Il suo precedente film (altra pietra miliare della storia del cinema spagnolo) era stato “Muerte de un ciclista”, distribuito in Italia con titolo “Gli egoisti”.

 

270 “Bienvenido Mr. Marshall“ (Luis Berlanga, Spa, 1953) tit. it. “Benvenuto Mr. Marshall!* con Lolita Sevilla, Manolo Morán , José Isbert  *  IMDb 8,0 RT 95% * 2 premi e Nomination al Gran Prix a Cannes
Terminata la breve serie di film americani vincitori di Oscar mezzo secolo fa e oltre che non avevo ancora guardato, torno in Spagna con i 5 film analizzati in questa ottima e dettagliata analisi dal titolo “Disidencia en el franquismo”.  Chiaramente si parla di censura e dei salti mortali che sceneggiatori e registi (in questo caso Luis Berlanga e Juan Antonio Bardem) erano costretti a fare per evitare troppi tagli.
Questo “Bienvenido Mr. Marshall“ è un film cult, apprezzato dovunque e non solo in patria per la furbizia e l’acume con i quali riuscì a rappresentare personaggi, mestieri, ambiente e i vari responsabili dei “poteri” senza incorrere in troppi ostacoli, che comunque ci furono. La cosa non era facile in quanto nel film compaiono il Delegado General (portavoce delle disposizioni della dittatura), l’alcalde, il parroco, l’hidalgo senza un soldo, eterno bastian contrario e si parla anche (come intuibile dal titolo) del Piano Marshall e quindi degli americani ... protestarono anche loro per una bandiera portata via dalla corrente.
Durante i primi 7 minuti la voce narrante di Fernando Rey mostra i vari ruoli dei suddetti, ma descrive anche le attività di farmacista, maestra e allievi, autista della corriera, barbiere, impresario con cantante al seguito, banditore con l’immancabile trombetta e via discorrendo. L’ora e poco più del resto del film è pieno di battute sagaci ed equivoci, fino ad arrivare al mesto eppure significativo finale. L’unica parte secondo me discutibile è quella onirica, nella quale Berlanga mostra sogni e incubi dei vari protagonisti durante la notte prima dell’arrivo degli americani. Spunti geniali si alternano a idee banali e talvolta scontate.
“Bienvenido Mr. Marshall“ si rifà in parte al neorealismo, ma all’epoca non s poteva eccedere in quanto era assolutamente proibito di mostrare povertà e situazioni disdicevoli per il governo, ma c’è anche un evidente omaggio al cinema classico russo con un perfetto piano Pudovkin (massa di persone con cappelli, ripresi di spalle, seconda foto).
A chi non leggerà l’articolo suggerito in apertura, anticipo che questo miniciclo continuerà con “Calle Mayor“ (regia e sceneggiatura di Juan Antonio Bardem, 1956), “El pisito“ (regia di Marco Ferreri, co-sceneggiato con Rafael Azcona, 1959), “Viridiana“ (regia e sceneggiatura di Luis Buñuel, 1961), “El verdugo “ (regia di Luis Berlanga, co-sceneggiato con Rafael Azcona, con la collaborazione di Ennio Flaiano, 1963).

 

269 “Who's Afraid of Virginia Woolf?“ (Mike Nichols, USA, 1966) tit. it. “Chi ha paura di Virginia Woolf?” * con Elizabeth Taylor, Richard Burton, George Segal, Sandy Dennis  *  IMDb 8,0 RT 100% * 5 Oscar (Elizabeth Taylor protagonista, Sandy Dennis non protagonista, fotografia b/n, scenografia, costumi b/n) + 8 Nomination (miglior film, regia, Richard Burton protagonista, George Segal non protagonista, sceneggiatura, montaggio, sonoro, musica originale)
Si nota chiaramente la sua origine teatrale, ma ciò non pesa più di tanto (nonostante le due ore e passa di durata) grazie all'ottima sceneggiatura e alle interpretazioni. Praticamente solo 4 personaggi (2 coppie) e 3 scene in poche ore notturne, da mezzanotte all'alba, compaiono solo per pochi attimi due altri personaggi (personale del bar deserto) interpretati dai coniugi Frank e Agnes Flanagan.
Tutto ruota attorno al travagliato rapporto di odio/amore/disprezzo fra Martha e Geroge, interpretati da Elizabeth Taylor e Richard Burton (all’epoca sposi anche nella vita reale), i quali, complice anche una discreta quantità di alcool si accusano e si rinfacciano di tutto e di più, si insultano e si provocano a vicenda anche in presenza della giovane coppia ospite anche loro in preda ai fumi dell’alcool.
I dialoghi sono brillanti e colti (i due uomini sono professori universitari), soprattutto considerando la quasi assenza di freni inibitori e la rabbia che monta, ed è un piacere ascoltarli seppur spesso urlati. Solo nell’ultima parte, forse per esaurimento delle energie, i contrasti diminuiscono e qualcuno deve ammettere la sconfitta, ma si può ben star sicuri che al risveglio tutto ricomincerà.
Film/dramma teatrale da non perdere.

 

268 “Marty“ (Delbert Mann, USA, 1955) tit. it. “Vita di un timido* con Ernest Borgnine, Betsy Blair, Joe Mantell, Esther Minciotti  *  IMDb 7,7 RT 100%  *  4 Oscar (miglior film, regia, Ernest Borgnine protagonista, sceneggiatura) + 4 Nomination (Betsy Blair e Joe Mantell non protagonisti, fotografia b/n, scenografia) * Palma d'Oro a Cannes
Al contrario del film visto in precedenza (The Quiet Man) questo mi ha un po’ deluso, anche se sono senz'altro buone le caratterizzazioni dei personaggi e le interpretazioni. Ne avevo letto buone recensioni e da tempo era in lista d’attesa quando è tornato in ballo con “Quiz Show” (di Robert Redford, visto pochi giorni fa) nel quale è argomento di una domanda cruciale a John Turturro.
Certo il timido e non certo un Adone macellaio italoamericano Marty/Ernest Borgnine (che si autodefinisce “dog”, appellativo utilizzato anche dai suoi amici nei confronti Clara/Betsy Blair) ha i suoi problemi a socializzare, accompagnato com’è da un branco di “vitelloni”. A ciò si aggiungono i problemi familiari avendo una madre (vedova e italiana) che lo incalza per indurlo a trovarsi una moglie. L’insegnante Clara, oggettivamente avrebbe più possibilità di lui, sia per il lavoro che svolge che per non essere proprio brutta, ma si sa, ognuno ha le proprie fissazioni.
Interessanti i personaggi della madre e della zia di Marty, entrambe vedove, entrambe molto italoamericane, che si raccontano i loro guai e preoccupazioni ed anche quelli degli altri. Esther Minciotti (la madre) e Augusta Ciolli (esordiente, la zia) sono caratteriste che hanno partecipato a pochissimi film ma sono ricordate soprattutto per questo in quanto interpretano quasi sé stesse o quantomeno personaggi che ben conoscevano.
Merita comunque di essere guardato, oltre che per l’ottima performance di Borgnine (una volta tanto vero protagonista) per l’interessante spaccato della vita newyorkese degli anni ’50, soprattutto nell’ambiente degli immigrati italiani (non gangster).
Due parole sulla strana carriera cinematografica di Betsy Blair, appena 21 film nell’arco di 40 anni. In origine ballerina e benché sposata con Gene Kelly dal 1941 al 1957, non trasse alcun vantaggio specifico dall’essere moglie di tale star del musical in quanto non apparve mai in nessun film del genere. Subito dopo aver girato “Marty“ (e aver ottenuto la Nomination Oscar) finì nella black list dei maccartisti e per questo si trasferì in Europa dove fu protagonista di buoni film drammatici fra i quali “Calle Mayor” (J. A,. Bardem, 1956, uno dei migliori film spagnoli dell’epoca), “Il grido” (Antonioni, 1957), “Senilità” (Bolognini, 1962).

 

267 “The Quiet Man“ (John Ford, USA, 1952) tit. it. “Un uomo tranquillo” * con John Wayne, Maureen O'Hara, Barry Fitzgerald, Victor McLaglen  *  IMDb 7,8 RT 90%  *  2 Oscar (regia e fotografia/colore) e 5 Nomination (miglior film, Victor McLaglen non protagonista, sceneggiatura, scenografia, sonoro)  *  3 Premi a Venezia per John Ford e Nomination Leone d'Oro
Scavando fra classifiche e vincitori di Oscar, sono giunto a “The Quiet Man“, una vera sorpresa per me, sembra che la versione doppiata sia stata proposta più volte in televisione, che io guardo molto poco.
In uno spiritoso ruolo insolito per lui, troviamo John Wayne e la sua partner di scena è una abbastanza insipida Maureen O'Hara (per lo più si limita a strabuzzare gli occhi), ma attorno a loro c’è una pletora di ottimi caratteristi, perfettamente calati nei rispettivi ruoli.
Si tratta di un fantastico film americano ma la storia si svolge nelle campagne irlandesi, con un sacco di personaggi molto particolari, tradizioni e accento molto Irish, una brillante commedia romantica ben scritta e messa in scena. Questo è un altro di quei film per i quali la lingua originale è imprescindibile per goderselo, casomai dai sottotitoli inglesi per ovviare ad eventuali problemi di comprensione dovuti non solo all’accento ma anche all’utilizzo di termini desueti se no proprio obsoleti.
Un Oscar lo avrei senz’altro dato all’ineffabile Barry Fitzgerald, che non riesco ad immaginare come possa essere stato doppiato, in particolare nel suo ruolo professionale di paraninfo!
Da non perdere ... in versione originale

 

266 “The Manchurian Candidate“ (John Frankenheimer, USA, 1962) tit. it. “Va' e uccidi” * con Frank Sinatra, Laurence Harvey, Angela Lansbury, Janet Leigh * IMDb 8,0 RT 98%  *  2 Nomination Oscar per montaggio e a Angela Lansbury (la “signora in giallo” della serie tv “Murder, She Wrote”) non protagonista
L’omonimo film con Denzel Washington (2004, regia di Jonathan Demme) è indicato come remake di questo di Frankenheimer ma le storie, pur essendo entrambe concettualmente congruenti con il romanzo di Richard Condon (1959), sono abbastanza diverse, soprattutto in quanto contestualizzate in epoche e situazioni ben distinte. Questa prima versione cinematografica, infatti, resta molto più fedele al libro e quindi è ambientata a metà anni ’50, i reduci sono veterani della guerra in Corea e il dibattito politico verte sugli strascichi della “caccia alle streghe” promossa da McCarthy; nell’altro, come molti ricorderanno, la guerra è quella “del Golfo”, la situazione politica è ben diversa e si tirano in ballo le Corporation.
I due protagonisti sono Frank Sinatra che impersona Bennet Marco (Denzel Washington nel 2004) mentre Laurence Harvey è Raymond Shaw (Liev Schreiber nel 2004). Essendo oltretutto un po’ diversi sia ruoli che la conclusione, consiglio di guardare questo film, indubbiamente molto migliore come realizzazione e più interessante, anche se avete visto il film di Demme e casomai vi ha lasciato un po’ freddini.

 

265 “Bonnie and Clyde“ (Arthur Penn, USA, 1967) tit. it. “Gangster Story” * con Warren Beatty, Faye Dunaway, Michael J. Pollard, Gene Hackman, Estelle Parsons * IMDb 7,9 RT 89%  * 2 Oscar (miglior fotografia e Estelle Parsons non protagonista) e 8 Nomination (miglior film, regia, sceneggiatura, costumi, Warren Beatty e Faye Dunaway protagonisti e Gene Hackman e Michael J. Pollard non protagonisti)
Da Arthur Penn sarebbe stato lecito aspettarsi molto di più ... invece questo “Bonnie and Clyde“ è un film fatto con i piedi. Non c’è una sequenza credibile, luci impossibili, posizioni che cambiano, sole che compare e scompare e ombre fuori controllo, le sequenze in auto sono ridicole con le scene sullo sfondo che “girano” anche se il volante non viene assolutamente mosso, i poliziotti restano fulminati con un solo tiro e loro con ferite multiple o addirittura crivellati di colpi restano vivi, le auto pur percorrendo strade sterrate e spesso attraversando campi sono sempre lucide e splendenti, e così via. Ciò dal punto di vista cinematografico, ma molti dei sostenitori di questo film lo esaltarono soprattutto per un diverso motivo: il cambio nella rappresentazione della violenza (considerata l’epoca, è quasi uno splatter).
Oltretutto l’intera banda viene presentata come un gruppo di disadattati incapaci (che non sarebbero restati vivi o in libertà una sola settimana) tanto che i produttori furono citati in giudizio e furono costretti a pagare un risarcimento.
Comunque, non condivido i rating e non capisco il successo che ottenne all’epoca con Oscar e tante Nomination.
 

264 “Nashville“ (Robert Altman, USA, 1975) * con Keith Carradine, Karen Black, Ronee Blakley, Ned Beatty, Geraldine Chaplin, Cristina Raines, Henry Gibson, Michael Murphy, ...  IMDb 7,8 RT 100%  *  Oscar migliore canzone orinale per "I'm Easy", composta ed interpretata da Keith Carradine, e 4 Nomination (miglior film, regia, Ronee Blakley e Lili Tomlin come attrici non protagoniste)
Nashville, uno dei famosi film corali di Altman, con tanti protagonisti che si incrociano più vote ed in varie situazioni nel corso di pochi giorni nei quali tutto ruota attorno alla musica e all'organizzazione di uno spettacolo canoro a sostegno di Hal Phillip Walker, un candidato indipendente alle primarie presidenziali.
Si possono contare un paio di dozzine di co-protagonisti, ciascuno dei quali è legato in qualche modo a vari altri secondo uno schema che graficamente potrebbe essere rappresentato come una intricatissima ragnatela. Ovviamente ciò fornisce ottime occasioni ad Altman di porne vari nella stessa scena e passare da uno all'altro con i suoi famosi piano-sequenza.
Tanti sono i volti conosciuti ma non ci sono grandi nomi, qualche sorpresa viene anche dal fatto che molti degli attori cantano effettivamente e si scopre così una Karen Black compositrice e interprete di “Memphis” e “Rolling Stone”, Keith Carradine è l’autore, oltre che della canzone che gli fece vincere l’Oscar, anche di “It Don't Worry Me” interpretata da Barbara Harris in chiusura di film, 3 sono i pezzi composti ed interpretatati dalla cantautrice Ronee Blakley praticamente al suo esorsio sul grande schermo che tuttavia dopo la notorietà acquisita con film e Nomination non si dimostrò molto interessata a continuare la sua carriera di attrice, Henry Gibson (il piccoletto capo neonazista di The Blues Brothers) è interprete di 4 pezzi della colonna sonora e autore di due di essi.
Un film notevole non solo per la tecnica di Altman ma anche per buone interpretazioni dell’intero cast, tutti perfettamente calati nel rispettivi personaggi. Molto piacevole la musica country - con un po’ di bluegrass e gospel - ma se non la sopportate questo non è il vostro film.
 

263 “Sullivan's Travel“ (Preston Sturges, USA, 1941) tit. it. “I dimenticati” * con Joel McCrea, Veronica Lake, Robert Warwick  *  IMDb 8,1 RT 100%
Commedia drammatica che comprende momenti molto vari, dai “parlatissimi” minuti iniziali a varie sequenze verso la metà del film assolutamente senza dialoghi nelle quali la narrazione procede solo per immagini, da situazioni esagerate quasi da slapstick a parti drammatiche, dal ricco ambiente di cineasti hollywoodiani con tanto di ville, chaffeurs, maggiordomi e piscine alla vita di senzatetto e vagabondi nonché ad un bagno penale per i condannati ai lavori forzati.
Joel McCrea è abbastanza convincente, molto meno lo è Veronica Lake, il resto dei personaggi sono rappresentati in modo un po’ caricaturale ma gli interpreti fanno bene la loro parte. Dialoghi brillanti al limite del nonsense, gag azzeccate e qualche colpo di scena riescono in un modo o nell’altro a tenere in piedi una sceneggiatura traballante ed in vari punti scontata.
In sostanza una decente commedia d’epoca con tanti buoni sentimenti e qualche riferimento alla situazione sociale (siamo nei primi anni della II Guerra Mondiale), secondo me sopravvalutata ma tenuta in alta considerazione negli States.
Una curiosità tutta cinematografica: viene più volte citato un fantomatico libro "Oh Brother, Where Art Thou?" (di un inesistente autore Sinclair Beckstein) dal quale il regista Sullivan (protagonista di questo “I dimenticati”) avrebbe dovuto trarre un film, cosa che solo oltre mezzo più tardi fecero effettivamente i fratelli Coen utilizzando esattamente lo stesso titolo (2000, con George Clooney e John Turturro)
 

262 “Mean Streets“ (Martin Scorsese, USA, 1973) tit. it. “Domenica in chiesa, lunedì all'inferno” * con Robert De Niro, Harvey Keitel, David Proval, Cesare Danova, Richard Romanus, George Memmoli  *  IMDb  7,4  RT 96% * presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 1974 e riproposto nel 2018

Vai al post su Discettazioni Erranti Mean Streets, Scorsese e De Niro insieme per la prima volta insieme

 

261 “Quiz Show“ (Robert Redford, USA, 1956) * con Ralph Fiennes, John Turturro, Rob Morrow  *  IMDb 7,5 RT 96%  *  4 Nomination Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, Paul Scofield non protagonista)
Questo è un altro di quei film degli anni ’90 che mi era sfuggito all’epoca della sua uscita (non riuscivo a seguire molto il cinema) e del quale non avevo neanche mai sentito parlare, nonostante le 4 Nomination Oscar.
Fra i protagonisti si fa notare l’allora giovane promettente e rampante Ralph Fiennes, solo alla sua quarta interpretazione, ma quella precedente era stata in “Schindler List” per la quale ottenne la sua prima Nomination Oscar come non protagonista alla quale seguirà un paio di anni più tardi quella come protagonista di “The English Patient” ... poi sembra essersi perso, riapparendo qui e là anche in film buoni ma in ruoli poco incisivi.
Il suo “collega e antagonista” è John Turturro che, al contrario, aveva già un buon numero di film alle spalle, inclusi vari con i fratelli Coen e Spike Lee.
I due sono affiancati da un gran numero di caratteristi e volti noti , fra i quali c’è anche Martin Scorsese che ha un proprio ruolo e non limitandosi a fare da comparsa.
La sceneggiatura è basata su una storia vera e certamente fa aumentare i dubbi in merito alla regolarità dei tanti “Quiz Show” che ancora riempiono i palinsesti delle televisioni di tutto il mondo. La buona regia di Redford porta avanti la storia con una giusta dose di suspense rendendo piacevoli e scorrevoli le circa due ore di visione.
Niente di eccezionale, ma onestissimo prodotto senza alcuna particolare pecca.
 

260 “The Searchers“ (John Ford, USA, 1956) tit. it. “Sentieri selvaggi” * con John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles  * IMDb 8,0 RT 100%
Classico western, di quello con gli indiani e le immense praterie del west e non del tipo saloon, sceriffi e allevatori prepotenti.
Certamente spettacolare, con buone inquadrature, scene ed interpretazioni, tuttavia mi sembra che in più occasioni manchi di continuità, sia in senso strettamente cinematografico (sequenza di scene non congruenti), sia come storia nel suo complesso, con grandi salti temporali ... alla fine si scopre che fra inizio e conclusione sono passati ben 5 anni!
Comunque è un cult del suo genere e non solo per la direzione di Ford e l’interpretazione di Wayne.
Ovviamente i titoli inglese/italiano non sono corrispondenti e quello nostrano mi sembra che abbia poco senso.

 

259 “Ángel de fuego“ (Dana Rotberg, Mex, 1991) ) tit. int. “Angel of Fire” * con Evangelina Sosa, Roberto Sosa, Lilia Aragón  *  IMDb 6,8 * presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 1992 * al 78° posto nella famosa lista dei migliori 100 film messicani
Singolare regista Dana Rotberg, una delle poche messicane che si sono dedicate ai lungometraggi, ma ne ha diretti solo 4 nell’arco di ben 25 anni, tutti incentrati sulla condizione femminile o, almeno, con donne al centro della trama.
In questo caso si tratta di una giovane trapezista-mangiafuoco, “star” di un malridotto circo di infima categoria. Figlia di circensi separati, resta incinta dopo un rapporto incestuoso, si allontana dal circo e si aggrega ad una specie di santona che rappresenta scene bibliche nel suo teatro itinerante di marionette, gestito insieme con un paio di giovani assistenti.
Si può ben comprendere che lo squallore regna sovrano, ma nel complesso il film è ben fatto.

 
258 “El vampiro“ (Fernando Méndez, Mex, 1957) tit. it. “La stirpe dei vampiri” * con Abel Salazar, Ariadne Welter, Carmen Montejo  *  IMDb 7,2
Reputato dagli esperti (e aficionados) un classico del genere horror in America latina, "El vampiro" compare addirittura al 35° posto nella famosa lista dei migliori 100 film messicani.
Fedele agli elementi classici dei vari Nosferatu e Dracula, include ovviamente canini, trasformazioni in pipistrello, morti che escono dalle bare di notte con tanto di mantello, picchetti di legno, morsi sul collo e via discorrendo, eppure la trama non è delle solite viste e riviste, né delle più banali. Mai sopra le righe, usufruisce di un più che degno commento sonoro e anche realizzazione, ambientazione e fotografia sono di ottimo livello, soprattutto se comparato all’infinità di scadenti B-movies del settore.
In precedenza avevo già visto “Ladrón de Cadáveres” (1957) anch’esso piacevole e originale.

 

257 “Bringing up Baby “ (Howard Hawks, USA, 1938) ) tit. it. “Susanna!” * con Katharine Hepburn, Cary Grant, Charles Ruggles  *  IMDb 8,0 RT 95%  fino ad una ventina di anni fa era incluso fra i migliori 100 film americani di sempre (!) e 14° fra le commedie. Non sono tanto d'accordo per nessuna delle due valutazioni.
Classica commedia americana degli anni '30 con una coppia di protagonisti d'eccezione, diretti da un grande regista quale Howard Hawks, che tuttavia sarà ricordato per ben altri film di tutt’altro genere (p.e western come “Rio Bravo” e noir come “The Big Sleep”).
In quanto alle commedie interpretate da Cary Grant, resta insuperabile “Arsenic and Old Laces” (“Arsenico e vecchi merletti”) di Frank Capra, con Peter Lorre e Raymond Massey, che quindi resta il mio preferito.
La trama è abbastanza originale ma scontata in più occasioni, la recitazione un po’ sopra le righe. Comunque trattandosi di una commedia leggera, ciò è quasi normale e certamente non guasta la visione.
Per la cronaca, Baby è un simpatico leopardo.

 

256 “Svengali “ (Archie Mayo, USA, 1931) * con John Barrymore, Marian Marsh, Donald Crisp  *   IMDb 6,9 RT 83%  *  2 Nomination Oscar (fotografia e scenografia)
A distanza di 6 anni ho voluto ri-guardare questa piccola perla dei primi anni del sonoro. La storia di Svengali (impostore, musicista e ipnotizzatore) e Trilby (la sua “vittima”, ma con benefici) è quella di un classico e famoso feuilleton di fine '800 di George L. Du Maurier, portato molte volte sullo schermo, talvolta con il titolo originale del romanzo (Trilby) altre con titolo Svengali. La prima versione è del 1914, la più recente (diretta da Anthony Harvey, 1983) è interpretata nientemeno che da Peter O'Toole e Jodie Foster ... un fiasco! L'ottimo John Barrymore "è" Svengali e l'allora 17enne Marian Marsh (al suo primo ruolo da protagonista) non può essere che superiore all'insipida Jodie Foster.
Sostanzialmente drammatico, ma in più punti emergono chiari toni da commedia per come sono presentati Svengali, il suo assistente e i suoi vicini aspiranti pittori.
Archie Mayo fu regista eclettico e noto per il suo cattivo carattere, affrontò i generi più disparati dai crime con James Cagney ai noir con Humphrey Bogart, alle commedie con i fratelli Marx.
Le ottime le scenografie di chiara ispirazione espressionista sono opera di Anton Grot, che per esse ottenne la prima delle sue 5 Nomination Oscar. Penso che anche la Nomination per la fotografia di Barney McGill sia stata meritata.
Pur non essendo un capolavoro, e se non rifuggite dai film degli anni ’30 per partito preso, “Svengali “ merita senz’altro una visione.

 

255 “Sin City“ (Frank Miller e Robert Rodriguez + Quentin Tarantino special guest director, USA, 2005) * con Jessica Alba, Clive Owen, Bruce Willis, Benicio Del Toro, Mickey Rourke *   IMDb 8,0 RT 77%  *  Technical Grand Prize e Nomination Palma d'Oro a Cannes
Grafica molto accattivante con tanto cupo e molto contrastato bianco e nero dal quale emergono pochi colori “sparati” (soprattutto rossi, blu e gialli), trattandosi di qualcosa simile a un noir è tutto perfetto. La combinazione fra grafica e attori (alcuni dei quali sostanzialmente “modificati”) funziona più che bene. Tuttavia, mi sembra che si sia ecceduto con la voce narrante, classica dei noir.
Tanti attori dai volti molto peculiari e tutti legati in un modo o nell’altro a film violenti, crime o thriller.
L’originale montaggio di quattro storie, diverse ma con qualche scena in comune, mi è sembrato un è po’ confusionario. C’è un prologo, la prima parte di una storia, poi due storie a sé stanti, la seconda parte della prima storia, e infine la conclusione del prologo ...
Un film da guardare senz’altro a prescindere dall’essere o meno aficionados di graphic novel, ma i più “sensibili” sappiano che (pur se chiaramente esagerata finzione) c’è tanta violenza da fare invidia ai film splatter (e non c’è da meravigliarsi visti i registi).
Particolarmente apprezzabili i passaggi al b/n quasi negativo; concettualmente, il finale mi ha ricordato quello di “Man on Fire” (Tony Scott, 2004, con Denzel Washington).

 

254 “Alice in Wonderland “ (Tim Burton, USA, 2010) * con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter *  IMDb 6,5 RT 57%  *  2 Oscar (scenografia e costumi), 1 Nomination (effetti speciali)
Ottimi i disegni e l’animazione, buona l’interazione con gli attori (tutti sottotono) che risultano così l’anello debole della catena.
Inizio e fine (le parti con solo attori) risultano ovviamente banali e poco avvincenti.
Nel complesso scadente, considerato il curriculum di Tim Burton, il budget elevato e grandi nomi coinvolti (secondo me tutti sopravvalutati).

 

253 “The Nightmare before Christmas“ (Henry Selick, USA, 1993) * animazione - stop motion  *  IMDb 8,0 RT 96%  * Nomination Oscar per gli  effetti speciali
Pur se non ne è il regista, questo film è inequivocabilmente di Tim Burton, ufficialmente sceneggiatore e produttore.
Ci propone un mondo popolato dai “mostri” più amati, quelli preferiti per Halloween, e mette a confronto questa festa per lo più macabra/horror tutta anglosassone con il tradizionale buonismo natalizio: The Pumpkin King vs Sandy Claws (letteralmente “artigli di sabbia”, libera interpretazione di Santa Claus).
Visivamente molto accattivante, ha secondo me il limite di comprendere troppe parti cantate (che a me proprio non vanno giù) il che inevitabilmente rallenta l’azione. A partire dalle rappresentazioni classiche di vampiri, scheletri, ecc. sono stati creati “mostri” ad hoc e l’animazione (pur con tutti i limiti dello stop motion) risulta piacevole e creativa, quindi divertente e apprezzabile.
Per la cronaca, in italiano le canzoni sono interpretate da Renato Zero, quelle originali da Danny Elfman, fedele collaboratore di Tim Burton non solo come cantante ma anche come compositore.

 

252 “Il cavaliere inesistente” (Pino Zac, Ita, 1969) * con Stefano Oppedisano, Hana Ruzickova, Evelina Vermigli-Gori + animazione *  IMDb 7,3 RT 77%
Dal romanzo omonimo (1959) di Italo Calvino, terzo elemento della "trilogia araldica" intitolata “I nostri antenati”, dopo “Il visconte dimezzato” (1952) e “Il barone rampante” (1957).
Questa fantastica (in entrambe i sensi) versione cinematografica del famoso romanzo di Calvino è stato realizzato con tecnica mista, tanti disegni, stop motion e pochissimi attori, in pratica solo due (tre volendo considerare anche Evelina Vermigli-Gori che interpreta Suor Candida), gli sono semplici comparse. Ciascuno di loro interpreta più personaggi (ovviamente ben riconoscibili dall’abbigliamento e dalla situazione), Stefano Oppedisano è di volta in volta Torrismondo, Rambaldo e Rinaldo, la cecoslovacca Ana Kozyokova veste i panni della conversa Teodora, Bradamante, Priscilla e Sofronia. Renato Cominetti dà voce al “cavaliere inesistente” Agilulfo del quale è possibile vedere solo la (vuota) armatura bianca.
Il siciliano Pino Zac (al secolo Giuseppe Zaccaria) mette in scena in maniere divertente e geniale l’arguta storia creata da Calvino, aggiungendo in quasi ciascuna scena rifermenti a elementi, personaggi ed eventi di epoche successive, dei generi più disparati, eppure tutti al posto giusto al momento giusto se visti in modo ironico. Beethoven, Verdi e i Beatles, orsi/cavalieri del Walhalla con insegne naziste e del Ku Klux Klan, riviste moderne e parole crociate, Carlo Magno che canticchia la Marsigliese, carri armati, giocatori football americano, morra, carabinieri, radiocronache di calcio, sigla dell’eurovisione e antenne televisive, cancan, tutto si combina egregiamente alle situazioni paradossali proposte da Calvino.
Un paio di "tormentoni" sono ambientati nel convento dove si ascoltano le interminabili oziose discussioni provenienti dal chiostro sulla distinzione fra cardi e sedani e Suor Candida che continuamente propone alla scrivana Teodora camomilla, infusi e tisane di ogni tipo di erbe.
Una perla fra letteratura e cinema, che non dovrebbe essere dimenticata.
Invito a leggere questo interessantissimo, dotto e approfondito post di Pier Paolo Argiolas

Più che consigliato (in particolare a chiunque abbia un minimo di cultura classica).

 

251 “Perceval le gallois “ (Eric Rohmer, Fra, 1978) tit. it. “Perceval” o “Il fuorilegge” * con Fabrice Luchini, André Dussollier, Solange Boulanger * IMDb 7,2 RT 89%
Messa in scena in stile teatrale sulla base di parte degli ottonari di “Le conte du Graal ou le Roman de Perceval” (opera incompiuta di Chrétien de Troyes, XII sec.) riadattati dallo stesso Rohmer in un francese più moderno e comprensibile
Fondali e scene sono minimaliste e stilizzate, la musica è dal vivo con strumenti medioevali e accompagna canti che commentano (quasi sempre in rima) le azioni di Perceval, mentre i protagonisti parlano di sé stessi in terza persona.
In quanto alla scenografia, si nota che l’edificio merlato è sempre lo stesso anche se di volta in volta cambiano le composizioni dei suoi elementi, gli addobbi, le insegne e i vessilli, e ci sono solo pochi alberi fra esso e il fondale. Molto scarne, eppure efficaci nel loro genere, le poche altre scenografie con rocce, la riva di uno specchio d’acqua, borghi in distanza.
Poco conosciuto anche in patria, giunse nelle sale italiane solo nel 1984 (sottotitolato). Io ebbi la fortuna di guardarlo in occasione della première assoluta al Festival di Parigi 1978 e ne rimasi affascinato. A 40 anni di distanza sono riuscito a recuperarlo e questa opera “anomala” della filmografia di Eric Rohmer mi ha nuovamente incantato.
Vi invito a leggere questo ottimo e illuminante articolo che chiarisce e approfondisce vari aspetti del film

Per informazioni generiche, tecniche e recensioni  dei film consiglio di consultare i seguenti siti:

IMDb (Internet Movie Database) : il più completo, la Bibbia del Cinema, con archivio di 3.5mln di titoli e quasi 7mln di nomi (in inglese)

Rotten Tomatoes : meno dati di IMDb, raccoglie soprattutto recensioni in rete, quindi carente su film datati (in inglese, con numerose recensioni in spagnolo)

Film Affinity/es : trovo che sia il più completo per quanto riguarda film spagnoli e dell'AmericaLatina (in spagnolo)

Allo Ciné : sopratutto cinema francese, ma non solo (in francese)

 Upperstall.com  : specializzato in cinema indiano. uno dei più frequentati al mondo fra i siti che si occupano di cinema  (in inglese)

per ricevere o fornire informazioni cinematograiche potete scrivermi a giovis@giovis.com

     

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