201 * “Viento negro” (di Servando González,
Mexico, 1965) con José Elías Moreno, David Reynoso,Jorge Martínez de
Hoyos
Ennesimo film trovato rovistando in rete. Nella classifica dei
migliori 100 film messicani, stilata nel 1994 da 25 critici per la
rivista SOMOS, si trova all’88° posto ed è disponibile su YouTube a
480p con sottotitoli in inglese e anche a 720p virato a seppia (mai
il passaggio da b/n a seppia è stato più adatto. Non è certo
affidabile il generoso rating su IMDb (8,3), ma è senz’altro un buon
film rimasto quasi del tutto sconosciuto nonostante le mediamente
ottime recensioni e l’essere stato proposto alle selezioni per
rappresentare il Messico agli Oscar.
“Viento negro” è girato quasi interamente nel deserto di Altar
(Sonora, Mexico), che non ha niente da invidiare ai più famosi
deserti di sabbia africani e tratta di fatti reali relativi alla
costruzione della linea ferroviaria. Buona storia e interessanti
personaggi ben interpretati.
Servando González è stato un regista poco prolifico con solo 11 film
in 26 anni, dei quali due nel 1965: “Viento negro” e “The Fool
Killer” (con Anthony Perkins). Il titolo del secondo è in inglese in
quanto fu prodotto negli States e González fu il primo messicano a
dirigere un film in USA.
Tutti commenti che ho trovato sono positivi e ciò mi ha spinto ad
indagare anche su “The Fool Killer” con lo stesso risultato, vale a
dire film semisconosciuto ma quasi sempre elogiato, con un 7,2 su
IMDb sostenuto da recensioni con media 9/10 e le sole 2 in
RottenTomatoes ma con 4 e 5/5. Resta veramente un mistero capire
perché Servando González non abbia avuto maggior successo. Nel
frattempo ho già scaricato da YouTube “The Fool Killer”, mai uscito
in dvd
IMDb 8,3
202 * “The long goodbye” (di Robert Altman, USA, 1973) con Elliott
Gould, Nina van Pallandt, Sterling Hayden
Ai miei ospiti non è piaciuto tanto, a me è piaciuto di nuovo.
Oserei definirlo un noir moderno (relativamente), con qualche
ammiccamento alla commedia. Ambientato a Malibù (California) fra
ricche ville in riva all’oceano e personaggi al limite della legge,
o proprio fuorilegge (inclusi gli stessi poliziotti); non è cupo e
più o meno triste come i classici noir, ma più solare e festaiolo.
Elliot Gould interpreta Philip Marlowe, classico investigatore
privato protagonista di decine di romanzi di Chandler e di almeno
una dozzina di film, per non parlare delle ancor più numerose
apparizioni televisive. Il personaggio è anomalo, la storia è
abbastanza originale (con vari ruoli stravolti), non ci sono i
soliti e il più delle volte noiosi inseguimenti, né scazzottate né
sparatorie, i colpi di scena non mancano e, secondo me, ha un gran
finale.
Non aggiungo altro - chi vuole la trama la troverà facilmente in
rete - ma ne consiglio senz’altro la visione.
“The long goodbye” è l’omaggio al noir di Altman che, specialmente
nella prima metà della sua lunga carriera, se è divertito a visitare
praticamente tutti i generi cinematografici.
Curiosità: nel film potrete vedere anche il giovane Arnold
Schwarzenegger, alla sua seconda apparizione sul grande schermo, ma
non parla e il suo nome non è menzionato da alcuna parte (uncredited).
All’epoca aveva già vinto 3 dei suoi 6 titoli mondiali consecutivi
di culturismo (Mr. Olympia) che lo resero famoso e gli aprirono la
strada di Hollywood dove divenne ancor più famoso nei panni di Conan
e Terminator, prima di affermarsi anche in politica come 38°
Governatore della California.
IMDb 7,4 RT 96%
203 * “Pixote: a lei do mais fraco” (di Hector Babenco, Bra, 1981)
tit. it. “Pixote: la legge del più debole”
con Luis Bayardo, Eduardo Manzano, José Carlos Ruiz
Con questo film Babenco guadagnò notorietà internazionale con una
Nomination ai Golden Globe e tanti premi negli Stati Uniti e in
Europa (Locarno, San Sebastian) e quindi fu il suo trampolino di
lancio che lo portò ad ottenere finanziamenti per il suo film più
conosciuto "Kiss of the spider woman” (1985) che ottenne 3
nomination agli Oscar e William Hurt si guadagnò la sua statuetta
come miglior attore protagonista.
In “Pixote: ...” l’attenzione è focalizzata su un gruppo di ragazzi
“ospiti” di un carcere minorile e della loro vita una volta tornati
in strada ... una escalation criminale nonostante la loro
giovanissima età. La prima metà del film si svolge dietro le sbarre
e, seppur ben realizzata ed abbastanza varia, è un po’ scontata (i
bulli, le violenze, le bande, i secondini, ... tutto già visto e
rivisto). Nella seconda parte, invece, Babenco si concentra sui
rapporti interpersonali, le gelosie e, soprattutto, la solitudine
... e qui stanno tutti meriti di questo interessante film.
IMDb 8,0 RT 100%
204 * “Kiss of the spider woman” (di Hector Babenco, Bra, 1985) tit.
it. “Il bacio della donna ragno”
con William Hurt, Raul Julia, Sonia Braga
Come già specificato, questo è il più conosciuto dei film di Babenco
e quello che ha ottenuto maggiori riconoscimenti. In esso io ne vedo
tre ben distinti:
* quello che si svolge fra le quattro mura della cella, una piece
quasi teatrale con due soli attori William Hurt e Raul Julia
* i film raccontati dal primo al secondo con dovizia di particolari
e messi in scena con immagini virate e accativanti
* la storia che si deve invece “estrarre” dai precedenti e che
include la vita dei protagonisti nella società civile, il loro
rapporti con polizia e carcerieri, le loro attività “fuorilegge”
(omosessualità e opposizione politica).
Un giusto equilibrio fra queste tre parti, le ottime interpretazioni
e le sapienti inquadrature giustificano ampiamente premi, lodi e
recensioni positive..
IMDb 7,4 RT 88% * Oscar a William Hurt e 3 Nomination (film,
regia, sceneggiatura)
In
occasione delle visioni 203 e 204, scrissi anche il seguente post:
“In memoriam” di Hector Babenco (7/2/1946-13/7/2016)
Ho approfittato della triste occasione della morte del regista
argentino trapiantato in Brasile, per organizzarmi un double bill
con "Kiss of the spider woman” (1985), la cui visione era già in
calendario avendo trovato il dvd un paio di mesi fa a Menorca, e con
il suo primo successo internazionale “Pixote: a lei do mais fraco”
(1980) del quale, prendete nota, esiste la versione originale in
brasiliano con sottotitoli in inglese su YouTube, in HD 720p.
Li ho guardati in ordine cronologico e fra il primo, girato con
budget ridotto e quasi un docu-film, e il secondo di 4 anni dopo,
produzione internazionale con attori bravi e famosi (William Hurt
ottenne l’Oscar) si nota una grande differenza di stile, di ritmo,
di costruzione dell’intera pellicola. Le micro-recensioni di questi
2 film, le pubblicherò con post separati.
Babenco è sempre stato molto impegnato a mostrare realtà poco
conosciute e tragiche come quella delle sovraffollate prigioni
carioca dove succede di tutto e di più (ma sembra essere prassi
comune in parecchi altri paesi) tant’è che i suoi tre film più
famosi (i due citati in apertura e “Carandiru”) hanno tale
ambientazione anche se in effetti Pixote solo per la prima metà si
svolge in un carcere minorile. Quasi tutti i film hanno una profonda
connotazione sociale.
In generale, meraviglia il fatto della scarsissima produzione
brasiliana di film di livello internazionale. I registi conosciuti e
apprezzati si contano sulla punta delle dita e molti di loro hanno
proseguito la loro attività all’estero. L’industria cinematografica
brasiliana sembra non esistere pur potendo contare su una vasto
bacino di utenza (200 milioni di abitanti). A memoria posso citare
Glauber Rocha (molto sperimentale, 9 lungometraggi in 21 anni),
Fernando Meirelles (7 in 32 anni, “Cidade de Deus”, “The constant
grdener”), Walter Salles (8 in 30 anni, “Central do Brasil”,
“Diarios de motocicleta”) e, fra gli emergenti Gabriel Mascaro con
soli due film all’attivo, entrambe apprezzati in vari festival, di
recente ho visto il buon “Boi neon” in Messico.
Anche facendo una ricerca in rete non si trova molto di più di
quanto appena esposto e quindi Hector Babenco deve essere senz’altro
inserito fra i più rappresentativi registi brasiliani di sempre,
anche se in effetti è argentino (ma non ha mai prodotto niente in
patria) e dei suoi soli 11 film in 42 anni solo una parte sono
veramente brasiliani.
R.I.P.
205 * “A rivers runs through it” (di Robert Redford, USA, 1992) tit.
it. “In mezzo scorre il fiume”
con Craig Sheffer, Brad Pitt, Tom Skerritt
Film a immagine e somiglianza del regista e attore Robert Redford,
“belloccio”, senza infamia e senza lode.
“A rivers runs through it” è ben fatto, ben interpretato, con
un’ottima fotografia e spettacolari scenari naturali, ma la
sceneggiatura è un po’ debole e nell’insieme non riesce ad
avvincere. Se si vanno a leggere i commenti, questa mia analisi è
confermata dalle poche recensioni sufficienti e dalle tante divise
fra “noioso, mi sono addormentato, non succede niente, senza trama”
e “spettacolare, magico, ambientazione perfetta, ecc.”.
Come detto, io rimango nel mezzo giudicandolo sufficiente ma
assolutamente senz’anima.
IMDb 7,3 RT 91% * Oscar per miglior fotografia, Nomination per
sceneggiatura e colonna sonora
206 * “Lola” (di Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1981)
con Barbara Sukowa, Armin Mueller-Stahl, Mario Adorf
Girato nel classico stile di Fassbinder, questo film è una
graffiante satira sugli eterni e storici vizi umani, con particolare
riferimento alla politica vista come potere, quindi corruzione,
soldi, prevaricazione, avidità, ricatti e, ovviamente, sesso e
passione. Si tratta del tassello centrale della trilogia (Maria
Braun - Lola - Veronika Voss) della quale Fassbinder non solo è
regista ma anche co-sceneggiatore al pari di quasi tutte le sue
opere.
Ambientata nella Germania del dopoguerra questa commedia drammatica
beneficia delle ottime interpretazioni dell’intero cast ed in
particolare dei tre protagonisti fra i quali spicca l’imperituro
Mario Adorf (ancora attivissimo all’età di 86 anni, due film e un
telefilm quest’anno, 216 in carriera), spesso poco apprezzato o
relegato a ruoli minori nelle sue apparizioni italiane.
Piacevole ed interessante in senso assoluto, può essere molto più
apprezzato da chi conosce almeno un po’ della realtà del Nuovo
Cinema Tedesco, quello che includeva anche Werner Herzog, Wim
Wenders, Volker Schlondorff, Margarethe von Trotta, ... che in
patria, negli anni ’70-’80, hanno probabilmente dato il meglio di sé
prima di perdere smalto nel tempo o, per alcuni di loro,
cimentandosi in megaproduzioni all’estero. Una storia che si ripete
da quasi un secolo.
IMDb 7,7 RT 100%
207 * “Veronika Voss” (di Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1982) con
Rosel Zech, Hilmar Thate, Cornelia Froboess
Pellicola conclusiva dell trilogia di Fassbinder (Maria Braun - Lola
- Veronika Voss) si differenzia dalle precedenti per avere un
risvolto noir. e per essere girato in bianco e nero (eccellente).
Inoltre fu il suo penultimo film, seguito solo da “Querelle” uscito
pochi mesi dopo, dopo la sua morte per overdose, a 37 anni, il 10
giugno 1982.
Giudicato da molti l’elemento più debole della trilogia, la sua
quota artistico comunque non se ne distacca molto e penso che sia
una questione puramente soggettiva. Egualmente sono convinto che
Fassbinder sia stato un regista ampiamente sottovalutato dal grande
pubblico, nonostante l’ottimo livello media della sua produzione,
ricchissima considerato il relativamente breve periodo di attività
(1969-82).
Tornando al film, ho trovato avvincente la sceneggiatura (dello
stesso Fassbinder) molto ben decritta per immagini, luci, cose dette
e non dette, bugie lampanti, pause e sorprese. Nulla da eccepire in
quanto alle interpretazioni.
Da non perdere, possibilmente dopo aver visto anche gli altri.
IMDb 8,0 RT 67%
208 * “Death of a salesman” (di Volker Schlöndorff, USA, 1985) con
Dustin Hoffman, Kate Reid, John Malkovich
Non amo il teatro quanto il cinema, neanche lontanamente, e quindi è
naturale che questa versione di “Morte di un commesso viaggiatore”
non mi abbia entusiasmato in quanto Schlöndorff dirige in modo
troppo “teatrale”, senza aggiungere molto di “cinematografico”.
Sulle ottime interpretazioni di Hoffman, Reid e del giovane
Malkovich nei ruoli principali non si discute, mentre gli altri,
anche per avere parti minori, non mi hanno colpito particolarmente
colpito.
In quanto alla regia, trovo che Schlöndorff non abbia saputo gestire
al meglio gli spazi ristretti e limitati facendoli apparire più
palcoscenico che set cinematografico.
Da non perdere per gli amanti del teatro, noioso per gli amanti del
Cinema (che oltretutto lo troveranno estremamente lungo con le sue
2h15min).
IMDb 7,3 RT 100%
209 * “L'éden et après” (di Alain Robbe-Grillet, Fra, 1970) con
Catherine Jourdan, Pierre Zimmer, Richard Leduc
Sempre più sperimentale, sempre più misterioso, sempre più criptico.
Pur essendo enigmatico come i precedenti, questo film di
Robbe-Grillet è ancor più teatrale anche se i cambiamenti di
ambiente sono frequenti e includono molti esterni, particolarmente
affascinanti quelli girati in Tunisia. Comincia con dei titoli di
testa molto originali e prosegue alternando le usuali
scene”congelate” a serie di brevissime riprese, solo pochi
fotogrammi, che comunque riescono ad essere recepite creando
ulteriore curiosità e talvolta disorientamento nello spettatore.
Per buona parte del film le “finzioni reali” iniziali vengono
sostituite da fantasie, allucinazioni e visioni apparentemente senza
senso alle quali lo spettatore dovrà cercare di darne uno. In questa
parte ci sono anche scene più lunghe alcune delle quali si
inseriscono perfettamente nel ritmo serrato mentre altre, a mio
parere, lo rallentano troppo. Il tutto per tornare poi al punto di
partenza alla fine della pellicola.
Per dare un giudizio definitivo (che comunque prevedo provvisorio in
quanto opere come queste hanno bisogno di essere digerite,
analizzate e discusse) aspetto di guardare anche il successivo, “N.
a pris les dés...”, che è stato prodotto utilizzando le stesse scene
di “L'éden ...” montate in modo totalmente diverso e quindi
raccontando un’altra storia con immagini identiche.
In ansiosa attesa, per ora posso solo consigliare la visione di
questo quarto film di Robbe-Grillet.
IMDb 6,8
210 * “N. a pris les dés...” (di Alain Robbe-Grillet, Fra, 1971)
con Catherine Jourdan, Pierre Zimmer, Richard Leduc
Un po’ deludente rispetto al precedente “L'éden et après” del quale,
come detto, è gemello per utilizzare molte riprese identiche .
Soffre di un lungo preambolo con voce fuori campo (questa volta il
narratore è un uomo, l’altra era una donna, Violette).
I punti di vista sono quindi un po’ ribaltati, l’uomo misterioso ha
un ruolo molto minore e comunque questo film è più breve dell’altro
di una ventina di minuti. Molte sono le riprese interessanti, anche
viste di nuovo ad un paio di giorni di distanza, ma resto
dell’impressione “N. a pris les dés...” non valga “L'éden et après”
ed il divario è notevole. Ma ci si deve rendere conto che
Robbe-Grillet faceva quasi sperimentazione pura, i suoi film
circolavano poco e l’onda lunga susseguente il suo successo come
sceneggiatore di “L'année dernière à Marienbad” tanto lunga non fu.
Ha portato una certa innovazione parallela alla Nouvelle Vague
eppure in qualche modo contrastante con essa.
Non è fra i suoi miglio film ma senz’altro vale la pena guardarlo
per la sua unicità.
IMDb 6,7
211 * “Europa” (di Lars von Trier, Dan, 1991) (aka “Zentropa”)
con Barbara Sukowa, Jean-Marc Barr, Udo Kier
Gran bel film, fotografia molto curata e nitida, così come sono ben
scelte le inquadrature sia come campo che come angolo di ripresa.
Quasi completamente in bianco e nero, vanta parecchi inserti a
colori (virati, solo tonalità della gamma dei rossi, dal carminio al
marrone al rosaceo della carnagione) e alcune sovrapposizioni di
riprese a colori su sfondo in b/n.
Von Trier (sua anche la sceneggiatura originale) mette molta carne a
cuocere spaziando dalla guerra (in senso generale) ai tradimenti,
dall’amore agli ideali (più o meno nobili che siano) e collegandoli
con numerosi colpi di scena. Una fotografia cupa e quasi perfetta,
che spesso fa pensare ai grandi registi negli anni ’20 e ’30, quasi
costringe lo spettatore a tenere lo sguardo “incollato” allo schermo
alle ricerca dei particolari, nessuno dei quali è casuale (e questo
lo vedo come un merito).
Una musica ossessiva, quasi come un ticchettio o lo scandire del
tempo di un metronomo, accompagna la voce fuori campo (di Max von
Sydow) che sembra essere quella di un ipnotizzatore, che quindi
pronuncia distintamente le parole, in modo lento e cadenzato, con
voce suadente, bassa monotona.
Von Trier è giustamente considerato l’unico degno erede
dell’indiscusso Carl Theodor Dreyer nell’ambito della cinematografia
danese
I cinefili che non l’hanno ancora visto dovrebbero senz’altro
guardare “Europa”, senz’altro uno dei migliori film di Von Trier.
IMDb 7,7 RT 85% * 3 premi a Cannes oltre alla Nomination
per la Palma d’Oro (che andò a Barton Fink dei fratelli Coen)
212* “Road to perdition” (di Sam Mendes, USA, 2002) tit. it. “Era
mio padre” * con Tom Hanks, Tyler Hoechlin, Rob Maxey, Paul Newman,
Daniel Craig, Jude Law, Stanley Tucci, Jennifer Jason Leigh
Nonostante un cast pieno di nomi famosi (ma non tutti grandi attori)
e un soggetto niente male tratto da graphic novel, Sam Mendes
(regista) e Davis Self (sceneggiatore) sono riusciti a mettere
insieme un film veramente di scarso livello con dialoghi
inverosimili e spesso noiosi, pieno di errori e incongruenze (le
oltre 100 elencate su IMDb, ne sono solo una parte).
“Era mio padre” si salva per la fotografia (per la quale ottenne
l’Oscar), le altre Nomination furono per l’allora 77enne Paul Newman
(alla sua ultima apparizione sul grande schermo) e per scenografie e
3 relativi al sonoro. Trovo che il sopravvalutato Tom Hanks nel
ruolo principale anche in questo caso “vanti” una interpretazione
più che scialba e Daniel Craig, futuro 007, non gli è da meno.
Chi si aspetta un ennesimo film di gangster nell’America fra le due
guerre rimarrà deluso, non solo per la pochezza dei personaggi (in
questo caso irlandesi e non i soliti italiani di Cosa Nostra) ma
anche per la scarsa e superficiale analisi.
A parte la buona ricostruzione degli ambienti dei primi anni ’30,
sia di interni che di esterni, oggetti e costumi, “Road to perdition”
ha ben poco da offrire e quindi penso che non sia indispensabile
guardarlo.
IMDb 7,7 RT 81% * 1 Oscar + 5 Nomination
213 * “Death proof” (di Quentin Tarantino, USA, 2007) *
con Kurt Russell, Zoë Bell, Rosario Dawson, Quentin Tarantino
Film sottovalutato dai più, con molte recensioni negative che però
sono soprattutto di quelli che non apprezzano/comprendono Tarantino
e tuttavia continuano ad andare a vedere i suoi film. Secondo me,
invece, è uno dei migliori e le tante esagerazioni sono il vero
scopo del regista, dagli inseguimenti, meglio dire “duelli”, in auto
(non che li ami, ma trattandosi di un road movie sono
indispensabili) ai lunghi dialoghi che mi sono sembrati molto più
realistici e plausibili (considerati i personaggi) di quelli dl
molto più acclamato “Road to Perdition”, visto appena prima. (micro-recensione
212). Nella prima parte, come spesso accade, si vede Tarantino anche
nelle vesti di attore, interpretando Warren, il gestore del bar dove
si riuniscono le protagoniste.
Singolari sono i tanti graffi sulla pellicola (artificiosi) e i
falsi salti in corrispondenza delle giunture delle bobine (le famose
pizze che si montavano e smontavano, le cui code si rovinavano e
spesso ne venivano tagliati vari fotogrammi).
E’ stracolmo di citazioni (IMDb ne elenca ben oltre 100) dai
B-movies ai classici, dai western ai thriller fra i quali ce ne sono
anche vari di Dario Argento e polizieschi. I riferimenti principali
ed evidenti (per chi conosce i classici road-movies degli anni ’70)
sono a “Convoy” (di Sam Peckinpah, 1978) e, nella seconda metà del
film, a “Vanishing Point” (Richard Sarafian, 1971, tit. it “Punto
Zero”).
Nel primo caso si tratta del fregio (un’anatra arrabbiata”, vedi
foto) sul cofano della macchina di Kurt Russel, identico a quello di
Kris Kristofferson (che in “Convoy” interpretava 'Rubber Duck'), nel
secondo è invece la Dodge Challenger R/T bianca del 1970 (circa
7.000cc di cilindrata ...) guidata dal mitico Kowalski (ne
ho parlato brevemente in questo post relativo al cinema
americano degli anni ’70).
“Death proof” fu ideato per essere distribuito insieme con “Planet
Terror” di Robert Rodriguez, sotto l’unico titolo “Grindhouse” come
un classico “double bill”. In questo doppio programma era anche
inserito un falso trailer di “Machete” (altro notevole film cult)
che evidentemente all’epoca era già in embrione anche se vide la
luce solo nel 2010, prodotto e diretto da Robert Rodriguez.
IMDb 7,1 RT 67%
214 * “Sliding Doors” (di Peter Howitt, UK, 1998) *
con Gwyneth Paltrow, John Hannah, John Lynch
Uno dei tanti film basati su ipotetiche vite parallele, conseguenza
del Caso. Mi sembra inutile scomodare filosofi per ribadire il
concetto, ovvio, che tutti siamo soggetti alle casualità della vita
in quanto anche pochi secondi di fortuito ritardo possono cambiare
radicalmente la vita delle persone, anche se poi vengono di solito
considerati più gli effetti disastrosi che gli quelli positivi
conseguenti dalla pura casualità.
Per estensione, sono simili anche i film con salti temporali,
talvolta anche di secoli, viaggi a ritroso nel tempo, Doppelgänger e
via discorrendo. Considerando solo i film che ho visto recentemente,
mi vengono in mente vari di Robbe-Grillet e soprattutto “Los
cronocrimenes” che però, in confronto a questo, è di livello
nettamente superiore essendo a dir poco geniale.
Venendo allo specifico, questo “Sliding Doors”, pur avendo dei
meriti per come tratta la quasi contemporanea presenza delle due
Helen (Gwyneth Paltrow) nella stessa scena, non riesce ad
appassionare o ad essere avvincente e i rapporti con i due uomini mi
sembrano quasi surreali.
Non sono riuscito a capire se fossero pessimi gli attori (Hanna e
Lynch) o interpretavano alla perfezione degli evidenti bugiardi che
incredibilmente riescono ad abbindolare la ragazza.
“Sliding Doors” uno dei rarissimi film durante i quali ho rischiato
di addormentarmi, veramente deludente.
IMDb 6,8 RT 62%
215 * “Flags of our fathers” (di Clint Eastwood, USA, 2006) *
con Ryan Phillippe, Barry Pepper, Joseph Cross
Ennesimo buon film di Eastwood, anche se non fra suoi migliori. Il
principale punto di forza è quello di mostrare l’altra faccia della
medaglia, la necessità di creare miti ed eroi per la popolazione in
patria allo scopo di ottenere supporto per i militari al fronte.
Questi si trovano quindi a diventare eroi loro malgrado, qualcuno
tenta di resistere e di scrollarsi di dosso l’etichetta per lui
incomoda, altri tentano di approfittarne in ogni modo possibile. C’è
chi si rende perfettamente conto che i veri eroi sono per lo più
sconosciuti ed anonimi e che lui si è solo trovato al posto “giusto”
al momento “giusto” e poco gli importa - anzi, gli dà fastidio -
essere additato e riconosciuto come eroe pensando ai commilitoni
tragicamente rimasti sul campo. La storia, vera, tratta dal libro
scritto dal figlio di John "Doc" Bradley (interpretato da Ryan
Phillippe) fa ben comprendere come la macchina organizzativa della
propaganda passasse su tutto e tutti pur di perseguire i suoi scopi.
Molto interessante e da guardare, ma i più sensibili sappiano che si
imbatteranno in immagini molto cruente.
Ai lunghi titoli di coda sono affiancate molte foto originali
relative agli eventi e personaggi rappresentati nel film.
IMDb 7,1 RT 73%
216 * “Glissements progressifs du plaisir” (di Alain Robbe-Grillet,
Fra, 1974) * con Anicée Alvina, Olga Georges-Picot,
Michael Lonsdale
Ultimo film incluso nel cofanetto dei primi sei diretti da
Robbe-Grillet. Dopo averli visti tutti, in ordine cronologico, devo
dire che concordo con la valutazione dei più, vale a dire che dopo
un inizio a dir poco travolgente e scoppiettante, anticipato dalla
sceneggiatura d’esordio per “L’anno scorso a Marienbad”, ha man mano
perso verve e in più occasioni appare troppo ripetitivo.
In questo “Spostamenti progressivi del piacere” (il più osé dei 6)
la trama si sviluppa lentamente, soprattutto in interni, e pertanto
le inquadrature sono troppo da studio e fanno rimpiangere le
avvincenti riprese esterne, i campi lunghi e gli inusuali angoli di
ripresa dei film precedenti.
Una curiosità: ritorna Jean-Louis Trintignant (nel ruolo, breve ma
non troppo, del poliziotto) senza essere però menzionato in alcun
modo nei titoli.
Nel suo genere, avanguardia francese degli anni ‘60-‘70, è comunque
un buon film, da guardare per completezza d’informazione.
I miei preferiti sono (nell’ordine, che corrisponde anche a quello
cronologico): “L’immortelle”, “Trans-Europ-Express” e “L'éden et
après”.
IMDb 6,3
217 * “Tinker Tailor Soldier Spy” (di Tomas Alfredson, UK, 2011)
tit. it. “La talpa” * con Gary Oldman, Colin Firth, Tom Hardy,
Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Toby Jones, John Hurt, Ciarán
Hinds
Cast d’eccezione con Gary Oldman nelle vesti del protagonista,
Smiley. Trama piene di sorprese, dubbi, sospetti e colpi di scena,
come è giusto che sia trattandosi di una storia di spionaggio
ambientata all’epoca della Guerra Fredda e, del resto, da John Le
Carré (autore del libro omonimo) non ci si poteva aspettare altro.
Le due ore scorrono velocemente con pochi spari, ma nessuna
sparatoria, e senza alcun inseguimento (film inglese, non
americano). Ritmo lento all’insegna della sobrietà, ottima
fotografia nella quale prevalgono i toni scuri e da parte del
regista svedese Alfredson (“Lasciami entrare”) grande attenzione ai
tempi, agli sguardi, alle inquadrature.
Se non si disdegna il genere, è certamente un film da non perdere,
uno dei migliori fra quelli di spionaggio degli ultimi anni.
Segnalo la
esaustiva ed interessantissima pagina Wikipedia
IMDb 7,1 RT 93% * 3 Nomination Oscar
218 * “Frida” (di Julie Taymor, USA, 2002) con Salma Hayek, Alfred
Molina, Geoffrey Rush
Avevo il sentore che non fosse un gran film e non mi sbagliavo. Pur
basato sulla biografia di una donna certamente fuori dal normale,
eccezionale, non riesce a coinvolgere e ad interessare più di tanto.
Il punto di vista artistico-creativo è assolutamente trascurato e la
struttura portante delle sceneggiatura è più che altro basata sugli
amori, avventure e tradimenti di Frida e dell'altrettanto famoso
(all'epoca più di lei) Diego Rivera, suo marito.
La pur apprezzabile fotografia e la buona ricostruzione degli
interni contrasta con una molto approssimativa descrizione degli
ambienti umani ed esterni che appaiono estremamente edulcorati.
Infine mi è sembrato abbastanza ridicolo il forzato inglese con
accento latino degli interpreti, la maggior parte dei quali sono
nati in UK o USA. Potrebbero aver girato il film in spagnolo, lingua
parlata da Frida, Diego e la quasi totalità degli altri
protagonisti, ma avendo optato per l'inglese perché quel ridicolo
accento? (ho scoperto che questa mia critica è condivisa da molti)
In generale mi sembra un'occasione persa pur avendo due meriti: la
colonna sonora e le transizioni da quadri e foto a immagini reali e
viceversa ... tutto veramente notevole.
Per alcuni versi mi sembra che il precedente messicano "Frida,
naturaleza viva" (di Paul Leduc, 1983, microrecensione 16/128)
prodotto con budget molto inferiore e senza grandi nomi, pur non
essendo certo un capolavoro sia molto più credibile di questo e
senz'altro trasmetta di più (a patto che si conosca l’argomento
...).
IMDb 7,4 RT 75% * 2 Oscar (musica originale e makeup) +
4 Nomination
219 * “Trumbo” (di Jay Roach, USA, 2015) con Bryan Cranston, Diane
Lane, Helen Mirren
Buon film con un interessante soggetto purtroppo solo parzialmente
analizzato. Si tratta di un dovuto tributo ad uno dei più grandi
sceneggiatori di Hollywood, capace di trattare qualunque genere con
grande maestria.
La storia dei “10 di Hollywood” è relativamente abbastanza
conosciuta grazie soprattutto alla notorietà delle persone
coinvolte, condannate o semplicemente sospettate, ma in Trumbo quasi
non si fa riferimento all’estremamente più vasta operazione di
“caccia alle streghe” condotta ad ogni livello ed in ogni ambito,
addirittura anche fra militari di alto rango.
Mi sembra che Jay Roach abbia scelto di focalizzarsi più sulla
famiglia Trumbo che non sui reali problemi nell’ambiente
cinematografico dell’epoca. A questo proposito torna utile avere una
certa dimestichezza con i titoli originali dei film americani
menzionati e quelli dei quali si vedono alcune scene o solo i
poster, nonché con i nomi dei tanti attori, registi e sceneggiatori
citati e inclusi fra i personaggi del film.
In merito alla veridicità della storia è sorta un’aspra polemica
relativa ad Edward G. Robinson che fu veramente indagato, ma non c’è
evidenza del fatto che fece i nomi dei 10, cosa che invece avviene
nel film. Ciò ha causato una levata di scudi da parte dei numerosi
ammiratori del “Piccolo Cesare” e degli amanti della verità storica.
Per saperne di più su questo periodo del cosiddetto maccartismo
(anche se McCarthy non fu l’unico né il principale esponente della
caccia alle streghe durata fino al 1954) si può guardare “J. Edgar”
(di Clint Eastwood, 2011), biopic di J. Edgar Hoover, che cominciò
la sua ascesa ai vertici dell’FBI proprio perseguendo i comunisti o
presunti tali.
IMDb 7,5 RT 74% * Nomination Oscar per Bryan Cranston
220 * “Mississippi burning” (di Alan Parker, USA, 1988) tit. it.
"Arde Mississippi" con Gene Hackman, Willem Dafoe, Frances McDormand
Solido film, coinvolgente e terribile per i fatti narrati, realmente
accaduti nel 1964 anche se qualcosa nella versione cinematografica è
stato ovviamente adattato. Eccezionale il casting, non solo dei
protagonisti (che forniscono prove più che convincenti) ma anche dei
comprimari e comparse, che danno l’idea di essere veri abitanti
degli stati del sud, con i loro volti rugosi e bruciati dal sole. La
buona regia di Parker fa passare in sottordine le poche debolezze
della sceneggiatura.
Pellicola da non perdere, ma poco adatto ai più sensibili
considerate le violenze subite dagli afroamericani (all’epoca ancora
chiamati “negri”) da parte del Ku Klux Klan e dei suoi simpatizzanti
con continuità durante l’intero film.
IMDb 7,8 RT 89% * 1 Oscar (miglior fotografia) + 6
Nomination
221 * “Cachè” (di Michael Haneke, Fra, 2005) tit. it “Niente da
nascondere”* con Daniel Auteuil, Juliette Binoche, Maurice Bénichou,
Annie Girardot
Il film è inusuale ma ben fatto e c’è poco da discutere. Haneke
riesce a mantenere alta l’attenzione, e la tensione, raccontando
poco o niente ma lasciandoci la possibilità di elaborare le ipotesi
più strane e fare mille illazioni. L’alone di mistero, anche più che
un alone, rimane fino alla fine e neanche a quel punto allo
spettatore viene fornita una spiegazione definitiva. L’alternanza
fra le lunghissime inquadrature fisse (mute) e i dialoghi,
soprattutto fra i coniugi, è ben ritmata e gli attori sono bravi
eppure nella sceneggiatura dello stesso Haneke c’è qualcosa che non
convince.
I coniugi interpretati da Auteuil e Binoche, apparentemente persone
colte, felici e soddisfatti di carriera e famiglia, gestiscono
talmente male la situazione, oggettivamente spiacevole e
preoccupante, da provocare una escalation di bugie, ripicche che
porta al limite dell’esasperazione la loro relazione. Pur essendo
entrambi professionisti della comunicazione, parlano a vuoto, non
solo fra loro, non vanno mai al sodo, agiscono in modo del tutto
irrazionale. I dialoghi sono irrazionali e i pochi suggerimenti
logici avanzati dalla moglie restano puntualmente inascoltati.
Non sarebbe stato possibile mantenere egualmente il mistero, e
quindi tutta la struttura del film, con protagonisti un po’ più
plausibili?
Aspetto di guardare “The white ribbon” (2009 tit. it “Il nastro
bianco”) nella speranza di comprendere meglio il lavoro di Haneke.
IMDb 7,3 RT 89%
222 * “The white ribbon” (di Michael Haneke, Ger, 2009) tit. it “Il
nastro bianco”
con Christian Friedel, Ernst Jacobi, Leonie Benesch
Questo film conferma l’impressione che avevo avuto di Haneke
guardando “Caché” (recensione 221): ottimo regista, tempi perfetti,
belle inquadrature, ora ho scoperto che tratta magnificamente anche
il bianco e nero, ma resto dell’opinione che per i soli dialoghi si
debba affidare ad altri ... soggetto e il resto della sceneggiatura
vanno più che bene.
“Il nastro bianco” si svolge durante l’anno precedente l’inizio
della I Guerra Mondiale in una piccola comunità rurale tedesca,
tutti al servizio del Barone. Questa volta il Haneke fornisce più
indizi per indirizzare lo spettatore alla ricerca di chi sia a
provocare i misteriosi incidenti e chi sia l’autore di vere e
proprie aggressioni. Oltretutto, non essendo palese che si tratti
sempre della stessa persona, si resta liberi di pensare che gli
avvenimenti non siano connessi tra loro, o che dietro tutto ciò ci
sia un gruppo di persone che agiscono seguendo un preciso schema.
Per questo film ho quindi ancor meno riserve rispetto al precedente
guardato ieri e senz’altro ne consiglio la visione. Non a caso
ottenne due Nomination agli Oscar (fotografia e miglior film
straniero), vinse un Golden Globe, ben 4 premi a Cannes oltre ad
un’altra cinquantina di successi. Non ve lo perdete!
IMDb 7,8 RT 86%
223 * “El dia de la bestia” (di Alex de la Iglesia, Spa, 1995) tit.
it “Il giorno della bestia” * con Álex Angulo, Armando De Razza,
Santiago Segura, Gianni Ippoliti, M. Grazia Cucinotta
Questo è il secondo lungometraggio di Alex de la Iglesia, ma è
quello che lo ha fatto conoscere al grande pubblico come regista
dissacratorio che spazia fra i generi horror, demenziale, splatter e
la classica comedia negra spagnola. Si tratta dello stesso regista
dei più conosciuti (almeno in Italia) “La comunidad” /aka “Intrigo
all'ultimo piano” (2000) e “Crimen ferpecto” / aka “Finché morte non
li separi” (2004). Fra i suoi fan spagnoli “El dia de la bestia”
rimane il suo film più apprezzato e da tempo è un vero e proprio
film cult in Spagna.
In breve, un sacerdote è convinto di aver trovato nell’Apocalisse di
San Giovanni la profezia della nascita dell’Anticristo e quindi si
dà da fare in ogni modo (più illeciti che leciti, certamente non
molto cristiani) per bloccarlo, tentando perfino di mettersi in
contatto con il Diavolo. I suoi compagni di “avventura” sono un
mago/veggente (=ciarlatano) ed un rockettaro specializzato in heavy
metal e musica satanica. Trovo che abbia delle trovate veramente
geniali, ma più di una volta quasi si arena, rallenta, per poi
cambiare rotta con l’introduzione di nuovi personaggi o con colpi di
scena. Un po’ deludente il finale, ma si deve riconoscere che è
difficile concludere film come questo in modo perfetto.
Curiosa la presenza di un trio italiano nel cast: Armando De Razza
(lanciato da Arbore con il personaggio del cantante escobarito
interprete di “Esperanza d’escobar”) / Cavan, il veggente, Maria
Grazia Cucinotta / Susana, la sua fidanzata e Gianni Ippoliti / il
suo produttore televisivo (negli studi campeggia una gigantografia
di Berlusconi!).
Ovviamente c’è tanta violenza (palesemente finta), tanto sangue e,
dato l’argomento, qualcuno lo ha anche bollato il film come
blasfemo.
Mi sembra sopravvalutato, ma se niente di quanto anticipato vi
disturba è un buon modo per distrarsi un po’ e farsi due risate.
IMDb 7,5 RT 80%
224 * “Blind Husbands” (di Erich von Stroheim, USA, 1919) tit. it
“Mariti ciechi”
con Sam De Grasse, Francelia Billington, Erich von Stroheim
Film d’esordio di von Stroheim, sia come regista che sceneggiatore,
ma già gravitava nell’ambiente hollywoodiano da vari anni dove si
era fatto le ossa lavorando come stuntman e comparsa, fra l’altro
anche nei due più famosi film di Griffith, “Nascita di una nazione”
e “Intolerance”.
“Blind husband” fu un buon viatico per la sua breve carriera di
regista, infatti ottenne subito successo e conseguenti buoni
contratti, ma le sue manie di precisione e grandiosità esasperarono
ben presto i produttori e ufficialmente diresse meno di una decina.
Fece qualcosa di più come sceneggiatore e ancor più come attore
impersonando per lo più lo stereotipo di cattivo, seduttore e uomo
senza scrupoli, spesso nelle vesti di ufficiale austroungarico.
Fu interprete di tutti i film diretti da lui, ma rimangono
memorabili i suoi ruoli in “La grande illusione” (Jean Renoir, 1937)
e “Il viale del tramonto” (Billy Wilder, 1950) per il quale ottenne
la Nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista.
Introdotto il personaggio, passo al film, ambientato sulle Dolomiti,
esattamente a Cortina d’Ampezzo e su Monte Cristallo che la domina.
Come il titolo lascia intendere (una volta tanto tradotto
fedelmente) è la storia di un dottore americano che trascura
l’avvenente moglie che quindi viene subito corteggiata dal tenente
von Steuben (von Stroheim). Fra tentativi di seduzione ostacolati da
una guida e una cameriera e ardue scalate verso Monte Cristallo, le
immagini scorrono velocemente e mantengono viva l’attenzione.
Si tratta senza dubbio di un film di ottima qualità in particolare
in considerazione delle limitate possibilità tecniche dell’epoca ...
quasi un secolo fa. Non a caso Erich von Stroheim è considerato uno
fra i più importanti registi del muto americano.
Per la cronaca, il film che segnò la sua fine come regista fu
“Greed” (“Rapacità”, 1924). Infatti la “sua” versione del film
fedelissima al romanzo dal quale era tratto ("McTeague”, di Frank
Norris, 1899, classico della letteratura americana), durava oltre 8
ore e, visto che non acconsentì a ridurla in alcun modo, fu
licenziato e ne fu montata una versione di sole 2h20’. Questa
versione commerciale comunque ottenne un grande successo, ma
purtroppo si sono perse le tracce di quasi tutte le altre 6 ore di
film.
Chi non disdegna i muti, dovrebbe senz’altro guardarlo e sono
convinto che, se non gia visti, seguiranno “Foolish Wives”, “Greed”,
“The Wedding March”, ...
IMDb 6,7
225 * “Traffic” (di Steven Soderbergh, USA, 1942) con Michael
Douglas, Benicio Del Toro, Catherine Zeta-Jones, Dennis Quaid
Molti, parlando di “Sicario” (di Denis Villeneuve, 2015), lo
paragonarono a questo film di Soderbergh che nel 2001 vinse 4 Oscar
su 5 Nomination, mentre Sicario, pur essendo secondo me migliore, da
3 Nomination non ha ottenuto nessuna statuetta.
Questo è uno di quei film che non avevo visto all’epoca della sua
uscita e francamente mi aspettavo qualcosa di più. Non è certo un
filmaccio, ma lo trovo senza dubbio sopravvalutato.
Non ho afferrato l'utilità del diverso colore che distingue le
riprese in Messico e quelle negli USA, né mi sembra un apprezzabile
pregio artistico; fra i protagonisti non brilla si distingue il
solito Benicio Del Toro, poco incisivo si rivela ancora una volta M.
Douglas (lontanissimo dai livelli del padre) e Catherine Zeta-Jones
può contare solo sulla sua avvenenza, ma in quanto a recitazione ...
Fra i personaggi secondari, molti dei quali più che buoni, c’è una
vecchia conoscenza del cinema italiano (provate a riconoscerlo nelle
ultime due foto). non può salvarsi ... una patata avrebbe recitato
in modo più convincente.
La pur buona sceneggiatura soffre, secondo me, di troppi e continui
salti da un paese all'altro, da un ambiente all'altro, da una storia
all’altra. Infatti la trama soffre di mancanza di continuità essendo
costituita da tante vicende, ciascuna con almeno un elemento o un
personaggio collegato con un’altra, ma senza un vero punto comune
per tutte.
Prima di guardarlo di nuovo nei prossimi anni, prima certamente
vedrò con maggior piacere Sicario.
IMDb 7,6 RT 92%
226 * “Arrebato” (di Iván Zulueta, Spa, 1979)
con Eusebio Poncela, Cecilia Roth, Will More
Dopo “El dia de la bestia” ecco un altro cult del cinema spagnolo,
anche questo del genere certamente fantastico, quasi
fantascientifico con un po’ di horror (è difficilissimo, se non
impossibile, categorizzare film come questi).
Prodotto con budget ridottissimo, è uno dei due soli lungometraggi
di Zulueta che per il resto si è limitato a dirigere una decina di
corti e qualche telefilm. Eusebio Poncela è affiancato da Cecilia
Roth, al suo primo film da protagonista, entrambe poi finiti alla
“corte” di Almodovar, ma hanno recitato insieme anche nell’ottimo
“Martìn (Hache)” dell’argentino Aristarain (1996, consigliato).
L’inquietante personaggio di Pedro è affidato a Will More (nome
d’arte del madrileno Joaquín Alonso Colmenares-Navascúes
García-Loygorri de los Ríos, certamente un po’ lungo per i titoli e
per i poster), probabilmente anche lui un cinefilo che si divertiva
a partecipare film sperimentali, corti e poco altro, in tutto 13
solo apparizioni.
Pellicola di cinefili pensata per cinefili, inizia con il dettaglio
di una giuntatrice per pellicole Super8, si continua con numerosi
poster di film, strisce di pellicola pendono dalle finestre, e poi
proiezioni casalinghe del girato, proiettori, riprese da cavalletto,
consegna e ritiro delle bobine.
Considerato il suo ruolo fondamentale, fra i protagonisti avrebbero
dovuto citare anche la cinepresa Canon (non posso dire di più).
Su IMDb non risulta essere stato distribuito in Italia, ma viene
citata una proiezione proposta dal DBCult Film Institute, 4 gennaio
2012.
Film molto, molto particolare che può entusiasmare qualcuno e far
inorridire altri ... usate il vostro giudizio, casomai leggendo di
più sull’argomento.
IMDb 7,2
227 * “To be or not to be” (di Ernst Lubitsch, USA, 1942) tit. it
“Vogliamo vivere”
con Carole Lombard, Jack Benny, Robert Stack
Classica e godibile commedia americana degli anni ’40, in pieno
periodo di guerra. Eppure il soggetto (prima di sapere come sarebbe
andata a finire) era una palese, ma arguta ed elegante, presa in
giro del nazismo e dei suoi leader.
Oltre ai protagonisti famosi, vanta un cast di ottimi caratteristi,
diretti con mano sicura da Lubitsch, tedesco di Berlino ma già da
una ventina d’anni a Hollywood, maestro della commedia sofisticata (Ninotchka,
Il cielo può attendere, Scrivimi fermo posta, Mancia competente,
...).
Ottimo ritmo, tanti colpi di scena al di là di quelli un po’
prevedibili.
Fu l'ultimo film di Carol Lombard (star dell'epoca e moglie di Clark
Gable) che morì in un incidente aereo prima dell'uscita del film.
Nel suo genere è una perla da non perdere, ovviamente non adatta a
chi ama solo ed esclusivamente drammi e contorsioni mentali.
IMDb 8,2 RT 98% * 1 Nomination Oscar 1943
228 * “Las bicicletas son para el verano” (di Jaime Chávarri, Spa,
1984) con Amparo Soler Leal, Agustín González, Victoria Abril,
Gabino Diego, Laura del Sol
Oserei definirlo un film ignavo, senza infamia e senza lode, privo
di chiare finalità e/o idee. L’ambientazione è quella iperutilizzata
della guerra civile spagnola (1936-1939) e i fatti sono incentrati
solo su una famiglia e il loro vicinato. Soffre anche del fatto di
essere adattamento di una pièce teatrale (di Fernando Fernán Gómez
il quale, stranamente, non partecipa come attore). Si notano le
scene esterne aggiunte proprio per spezzare il ritmo lento, con
lunghi dialoghi, proprie del teatro.
Le tante facce conosciute da anni di famosi attori spagnoli sono
affiancate da promettenti giovani come Diego Gabino (diciottenne, al
suo esordio), Laura Del Sol (23 anni) al suo secondo film dopo
l’esordio in “Carmen” di Saura e Victoria Abril (25enne ma già con
una ventina di film alle spalle). Le pecche sono da ricercare nella
sceneggiatura e non certo nelle interpretazioni.
Un film di argomento simile (vita di una famiglia borghese nello
stesso periodo storico), ma secondo me più incisivo e in generale
migliore, è “Las largas vacaciones del ‘36” (di Jaime Camino, 1976,
tit. it. “Le lunghe vacanze del ‘36”).
IMDb 7,3
229 * “Precious” (di Lee Daniels, USA, 2009) con Gabourey Sidibe,
Mo'Nique, Paula Patton, Mariah Carey
Precious è una ragazza di 16 anni nettamente in sovrappeso
(interpretata dalla brava Gabourey Sidibe, al suo debutto) ma questo
è l’ultimo dei suoi problemi. Alla seconda gravidanza (a 16 anni),
deve continuare a subire le angherie e le violenze gratuite e al
limite della perversione da parte della madre malvagia, spietata e
crudele (potrei aggiungere altri aggettivi, ma scadrei nel
turpiloquio). Tuttavia, ci sono delle svolte positive nella vita di
Precious, ma anche qualche altra brutta sorpresa.
Film molto ben fatto, anche gli inserti dei sogni e delle fantasie
della ragazza, che in un primo momento mi avevano lasciato
perplesso, in una visione generale sono appropriati e funzionali.
La madre è interpretata dalla bravissima Mo'Nique (vinse l’Oscar
come miglior attrice non protagonista) che riesce a farsi odiare e
disprezzare fin dalle prime scene, per poi proseguire con un
crescendo che incita lo spettatore a elaborare pensieri di violenza,
anche con risvolti sadici .
Penso sia importante sapere che, purtroppo, la storia non è campata
in aria ... alle gravidanze fra teenager (note) si deve aggiungere
il fatto (meno noto) che 32 milioni di statunitensi (il 21% della
popolazione) non sanno leggere e che un altro 19% legge e scrive al
livello elementare.
IMDb 8,0 RT 91% * 2 Oscar + 4 Nomination, una delle
quali per Gabourey Sidibe.
230 * “Guide” (di Vijay Anand, India, 1965) con Dev Anand, Waheeda
Rehman, Leela Chitnis
“Guide” è di solito inserito fra i migliori film indiani del secolo
scorso, e anche su IMDb è ben quotato con un 8,6; fu candidato agli
Oscar dall'India, ma non ottenne la Nominationà; nel 2007, 42 anni
dopo la sua uscita, fu proiettato al Festival di Cannes.
Commedia drammatica e romantica, con una decina di canzoni e varie
coreografie in stile musical hollywoodiano, passa disinvoltamente da
scene campestri e vasti panorami, alla descrizione della semplice
vita di una villaggio rurale e ai palazzi della ricchissima
borghesia, e infine si conclude in modo quasi mistico. C’è quindi
tutto quello che ci si aspetta da una megaproduzione in classico
stile indiano, della durata di quasi 3 ore, inclusa la morale e il
divertimento.
La sceneggiatura è basata su un omonimo romanzo molto apprezzato,
che descrive vari anni di vita della guida (turistica) Raju, nel
corso dei quali incontra un amore in modo abbastanza burrascoso,
arriva all’apice del successo, ricade molto in basso fino a
diventare (quasi) un santo. Tutti gli elementi per avere un gran
successo popolare.
Per apprezzare pellicole come queste torna utile avere un minimo di
conoscenza di cultura orientale ed aver visto qualche altro film del
genere.
Come altre volte accade, è un peccato che i sottotitoli non
comprendano le traduzioni dei testi delle canzoni in quanto queste
non sono un semplice contorno musicale, bensì vere e proprie
espressioni di pensiero o dialoghi se duetti.
Se si vuole comprendere qualcosa del variegato modo del cinema
indiano, “Guide” deve senz’altro essere inserito nella prima lista
di film da guardare.
IMDb 8,6
231 * “The wedding march” (di Erich von Stroheim, USA, 1928) tit. it.
“Sinfonia nuziale” * con Erich von Stroheim, Fay Wray, Zasu Pitts,
Matthew Betz
Dopo i grandi successi dei film precedenti, a Erich von Stroheim si
concedeva quasi ogni stravaganza prima di giungere al punto di
rottura. Pare che per questo film non fu licenziato come regista a
metà delle riprese solo perché era anche interprete principale.
Storia semplice e classica di un nobile impoverito che è costretto
ad un matrimonio di interesse abbandonando l’amata (povera) nelle
mani di un rivoltante macellaio (personaggio veramente disgustoso
interpretato forse con troppa enfasi da Matthew Betz).
Nei panni del principe Nickolas (Nicki ) c’è lo stesso von Stroheim
mentre la bella ragazza contesa è Fay Wray al suo primo film
importante come progonista, preludio ad una rapida ascesa che
culminerà con la sua interpretazione di Ann nello storico “King
Kong” del 1933.
Pur non essendo, secondo me, all’altezza di “Greed”, “Foolish wives”
e “Blind husbands” resta un ottimo film. Nonostante gli sfarzi dei
set, i palazzi regali , i costumi e i gioielli, le scene di massa,
certamente von Stroheim avrebbe voluto ancora di più ... chissà cosa
avrebbe potuto realizzare senza limiti di spesa e con produttori che
gli avessero concesso carta bianca.
IMDb 7,5 RT 71%
232 * “Queen Kelly” (di Erich von Stroheim, USA, 1929) tit. it. “La
regina Kelly” * con Gloria Swanson, Walter Byron, Seena Owen
Dove arrivava von Stroheim arrivavano anche i guai. Questo film ha
in effetti due finali (e durate) completamente differenti. Dopo la
prima ora, praticamente identica, nella versione più lunga ci si
sposta in Africa dove Gloria Swanson verrà effettivamente
soprannominata Queen Kelly. Di questa parte della trama la Swanson
(coproduttrice del film) non fu per niente soddisfatta, sostenne di
essere stata ingannata da von Stroheim e il film fu distribuito
quasi esclusivamente in sud America e nel vecchio continente. Per
non perdere le buone riprese (= tempo e denaro), soprattutto quelle
girate in Europa, nel 1931 la stessa attrice diresse il nuovo breve
finale riducendo così la durata da 100 a circa 70 minuti. Questa
versione breve, conosciuta come “Swanson ending” (finale Swanson) è
quella che si trova in rete ed è quella che ho visto. Sarebbe
interessante guardare l’oltre mezz’ora mancante, girata da von
Stroheim.
Così com’é mi ha lasciato perplesso ed il lento inizio sembra ancora
più lungo considerata la brevità della versione. Certamente nel
finale “africano” sarebbero apparsi significativi vari elementi che
invece restano in sospeso. Difficile giudicare metà film con un
finale aggiunto successivamente da altri.
Dopo i “dissapori” sorti per questo film von Stroheim e Gloria
Swanson appariranno insieme nel famoso “Sunset Boulevard” (di Billy
Wilder, 1950, tit. it.”Il viale del tramonto”) interpretando
rispettivamente Max, ruolo per il quale ottenne la sua unica
Nomination Oscar, e Norma Desmond, attrice a fine carriera ... sul
“viale del tramonto”..
IMDb 7,8 RT 100%
233 * “Le rouge est mis” (di Gilles Grangier, Fra, 1957) tit. it.
“Il dado è tratto” * con Jean Gabin, Paul Frankeur, Marcel Bozzuffi,
Lino Ventura, Annie Girardot
Classico film noir - gangster francese degli anni 50, con un cast di
tutto riguardo, sceneggiatura basata su un romanzo di Auguste Le
Breton, autore molto utilizzato in questo campo per i vari Rififi,
“Razzia sur la chnouf” ma soprattutto per l’ottimo “Bob le flambeur”
(di Melville, 1956, un cult per questo genere).
Tutto fila liscio per gran parte del film, nel senso che non ci sono
rallentamenti, le interpretazioni sono di ottimo livello così come
la scelta dei tempi e delle inquadrature. Poi, giunti al finale, che
si prospetta più che buono con un confronto a tre, si rimane
profondamente delusi per gli ultimi due minuti, trattati in modo
quasi indegno, privo di qualunque plausibilità e anche mal
interpretato (sembra che anche gli attori si trovassero a disagio
per queste poche scene insulse che hanno quasi rovinato l’intero
film).
Perché???
IMDb 6,4
234 * “Los tramposos” (di Pedro Lazaga, Spa, 1959) * con Tony
Leblanc, Concha Velasco, Antonio Ozores, Laura Valenzuela, José Luis
López Vázquez
Un classico della commedia spagnola (in questo caso, non negra)
degli anni ’50, quasi un cult.
“Tramposo” si può tradurre imbroglione, truffatore, bugiardo e i
protagonisti del film sono appunto dei piccoli imbroglioni che
sbarcano il lunario fra borseggi e truffe di poco conto finché un
bel giorno decidono di cambiar vita, ovviamente per amore.
L’ottima serie di “lavori” (fra i quali vari non visti e rivisti),
l’ambiente della “taberna” nella quale si riuniscono con i loro
“colleghi”, i difficili rapporti con le fidanzate (oneste
lavoratrici) si susseguono velocemente e piacevolmente fra sorprese
e qualche colpo di scena.
Non essendo trama vera e propria, penso di poter accennare al loro
lavoro onesto: agenzia turistica che propone visite guidate di
Madrid. In modo imprevedibile si troveranno ad avere un gran
successo coinvolgendo i turisti (stranieri, non spagnoli) in
situazioni tipiche della vita della città. Alcune trovate sono
veramente geniali, particolarmente apprezzate da chi conosce
l’ambiente delle guide ...
Come altre volte faccio un richiamo a un film italiano per certi
versi simile e solo di pochi anni successivo: Totòtruffa (di Camillo
Mastrocinque, 1962). In “Los tramposos” si vedono un paio di volte
dei colleghi dei protagonisti andare in giro vestiti da operai e con
un cartello “Lavori in corso”. Ovviamente fanno intendere a qualche
negoziante di dover eseguire degli scavi proprio davanti al suo
ingresso, per poi farsi convincere ad andare da un’altra parte,
persuasi da una “spontanea donazione”. In questo caso scena molto
rapida, mentre quella in cui Totò e Nino Taranto fingevano di dover
piazzare un vespasiano davanti ad un ristorante è molto più lunga e
articolata.
Sembra che non sia giunto in Italia, ma se vi trovate in Spagna e
aveste l’occasione di guardarlo in televisione o, come è capitato a
me, di trovare il dvd pubblicato da EL PAIS non vi perdete questa
commedia divertente, originale, pulita e ben realizzata ... altro
che cinepanettoni!
IMDb 6,5
235 * “The English patient” (di Anthony Minghella, UK, 1996) con
Ralph Fiennes, Kristin Scott Thomas, Juliette Binoche, Willem Dafoe,
Colin Firth
Questo è uno dei pochi film che ottengono molte Nomination e quasi
tutte si trasformano in effettivi Oscar, in questo caso ben 9 su 12,
il che mi sembra del tutto esagerato. Infatti il film non mi ha
convinto ... ottima fotografia, buon intreccio di storie con
continui salti temporali fra prima e dopo l’incidente, buone (ma non
eccezionali) prove degli interpreti, ma i personaggi non convincono,
sembrano tutti irreali in un contesto di europei in Africa, per di
più in periodo di guerra. Anche i tanti dettagli sono spesso poco
congruenti e credibili e vari comportamenti sono del tutto
improbabili.
Questo a voler essere attenti e un po’ pignoli, altrimenti si
sopportano più che bene le circa 2h30min ammirando la parte
strettamente visiva ... gli Oscar per fotografia, scenografia e
costumi sono certamente meritati, non sono assolutamente d’accordo
per quello a Minghella e per il miglior film. . .
IMDb 7,4 RT 88%
236 * “In the mood for love” (di Kar Wai Wong, Cina, 2000) con Tony
Chiu Wai Leung, Maggie Cheung, Ping Lam Siu
Essenziale, bello, lento al punto giusto, con pochi attori, riprese
quasi tutte in interni, ottima fotografia.
Brevi lente carrellate si alterano a tanti primi piani e dettagli
con pochissima profondità di campo, spesso meno della metà
dell’inquadratura è a fuoco..
Anche la colonna sonora è perfetta, spezzata talvolta da silenzi
quasi assoluti, è caratterizzata dall’originale, affascinante ed
assolutamente appropriato tema strumentale (in questo video con foto
del film), intervallato da varie canzoni di Nat 'King' Cole ed il
famoso “Perfidia” di Xavier Cugat.
Questo
secondo me è CINEMA, storie semplici senza dialoghi infiniti (spesso
di scarsa qualità) ma egregiamente descritte per immagini.
C'è poco da aggiungere, non vi resta che guardarlo e, casomai,
ri-guardarlo.
IMDb 8,1 RT 90% * 2 premi e una nomination a Cannes e
altri 44 premi
237 * “Amreeka” (di Cherien Dabis, USA, 2009) con Nisreen Faour,
Melkar Muallem, Hiam Abbass
Cherien Dabis è una giovane regista americana di origini palestinesi
e nei suoi primi film ha messo molto delle esperienze sue e della
sua famiglia (il padre giunse negli USA come rifugiato), dai
problemi alla frontiera (sia israeliana che statunitense. L’essere
sempre visto come estraneo, anche dopo anni di permanenza solo per
il nome, l’aspetto, l’abbigliamento o le tradizioni pesa e questi
atteggaimenti si sentono ancora di più in comunità più piccole e la
diffidenza, se non l’odio, razziale sale a limiti “pericolosi” ogni
volta che ci avveimenti di guerra o terrorismo (invasione IRAQ, 11
settembre, ecc.). In Amreeka in aggiunta a tutto ciò ha voluto
inserire i problemi che qualunque adolescente si trova ad affrontare
per inserirsi nella scuola e fare nuove amicizie e quelli di
un’immigrata (in questo caso la madre) che cerca lavoro. Di
conseguenza ci sono buoni spunti di riflessione forniti da aspetti
spesso sottovalutati inframezzati da una serie di situazioni viste e
riviste che, come dicevo, prescindono assolutamente dallo scontro
culturale americano/arabo.
Senza infamia e senza lode, se avesse concentrato la sua attenzione
solo sulla metà della tanta carne messa a cuocere avrebbe senz’altro
ottenuto miglior risultato.
IMDb 7,1 RT 87% * Premio FIPRESCI a Cannes, sembra non
sia giunto in Italia
238 * “Catch me, if you can” (di Steven Spielberg, USA, 2006) tit.
it. “Prova a prendermi” * con Leonardo DiCaprio, Tom Hanks,
Christopher Walken, Martin Sheen
Film straconosciuto, c’è poco da svelare, colgo l’occasione per fare
un po’ di sana polemica.
In queste mie micro-recensioni spesso inserisco i più importanti
premi vinti, quindi Oscar e, a seguire, Cannes, Berlino, Venezia
(quando era un Festival che contava veramente). Ciò non perché i
premi diano garanzia di qualità, bensì per fornire una vaga idea del
gradimento della critica dell’epoca (è noto che film pluripremiati
sono completamente caduti nell’oblio e, al contrario, alcuni
stroncati in un primo momento sono stati rivalutati nel corso degli
anni diventando casomai cult-movies) . Questo film, chissà come
posizionato al 232° miglior film di tutti i tempi (IMDb), ottenne 2
Nomination Oscar: Christopher Walken come non protagonista e John
Williams per il commento musicale ... appena visto, già non me ne
ricordavo ....
Se Spielberg è più o meno una garanzia così come DiCaprio, devo dire
che proprio non capisco il ranking generale di Tom Hanks che, a mio
parere, non ha mai fornito prove eccezionali ma si aggiudicato 2
Oscar e che solo quest’anno in “Bridge of Spies” (di Steven
Spielberg, 2015) mi ha convinto un po’ di più. Esattamente opposta è
la situazione di Leonardo che negli anni ha accumulato Nomination e
buone interpretazioni raccogliendo ben poco e solo pochi mesi fa si
è aggiudicato la sua prima statuetta per “The Revenant”, dopo
numerose Nomination..
Tornando al film, si tratta di una piacevole commedia, basata su
fatti veri (ma molto romanzata e adattata, poco credibile) con un
buon cast nel quale anche i comprimari come Christopher Walken,
Martin Sheen, Nathalie Baye e Amy Adams sono più espressivi di
Hanks. In complesso un buon film ma nettamene sopravvalutato.
Una menzione speciale meritano i titoli di apertura, molto
originali,
IMDb 8,0 RT 96%
239 * “They Shoot Horses, Don't They?” (di Sidney Pollack, USA,
1969) tit. it. “Non si uccidono così anche i cavalli?” * con Jane
Fonda, Michael Sarrazin, Susannah York, Gig Young, Michael Conrad,
Bruce Dern
Riagganciandomi a quanto scritto nella micro-recensione precedente,
comincio col ricordare che questo film ottenne ben 9 Nomination
dalle quali scaturì un solo Oscar, troppo americano per avere
successo internazionale diventò ben presto un cult, ma quanti in
Italia lo hanno visto, o almeno lo conoscono?
Tratto dall’omonimo romanzo di Horace McCoy del 1935, è un film
quasi corale che si sviluppa in un grande dancing hall e nelle sue
pertinenze seguendo le vicende di una decina di coppie fra quelle
partecipanti ad una particolare maratona di ballo (10 minuti di
sosta ogni ora) che andrà avanti per ben oltre 1000 ore, quasi due
mesi. “Non si uccidono così anche i cavalli?” è molto ben diretto da
Pollack ed è sostenuto dalle interpretazioni di pochi attori
conosciuti, ma sopratutto di tanti caratteristi dai volti noti a
tutti, ma nomi sconosciuti ai più. Non per niente l’unico Oscar andò
ad uno di questi ultimi, Gig Young nei panni del direttore di gara.
Ci tengo a chiarire che non è assolutamente un film sul ballo (si
danza poco e male), ma sui rapporti fra i partecipanti e,
soprattutto, sul loro livello di sconforto, gestito dagli
organizzatori in modo estremamente cinico. Questi disperati tentano
di sopravvivere nella speranza di ottenere il ricchissimo premio di
1.500$ e nel frattempo raccolgono i pochi centesimi che gli
spettatori gettano in pista se hanno gradito le loro estemporanee e
saltuarie performance.
Un film che ogni cinefilo dovrebbe aver guardato. Personalmente me
lo sono goduto di nuovo circa 40 anni dopo la mia prima visione
avendo trovato il dvd “Danzad, danzad, malditos” (lett. “Ballate,
ballate, maledetti”, ma riconobbi subito il poster) che per fortuna
includeva la versione originale ... i doppiaggi spagnoli sono
mediamente terribili!.
IMDb 7,9 RT 84% * 1 Oscar + 8 Nomination
240 * “The aviator” (di Martin Scorsese, USA, 2004) con Leonardo
DiCaprio, Cate Blanchett, Kate Beckinsale, Alan Alda
Interessante biopic di un personaggio certamente fuori del comune:
Howard Hughes, imprenditore, aviatore, cineasta. Scorsese non delude
e altrettanto fa il buon Leonardo (Nomination per entrambe). Come
tutti i film del genere, i fatti narrati oltre ad essere spesso
esagerati (ma fa spettacolo) sono un po’ scollegati fra loro ed
anche questo è inevitabile visto che il film copre un arco temporale
di una ventina di anni.
Gli Oscar andarono a Cate Blanchett (non protagonista) agli italiani
Ferretti e Lo Schiavo per le imponenti scenografie, e poi
fotografia, montaggio e costumi. Oltre le due già citate, ottenne
Nomination anche come miglior film, sceneggiatura, musica e non da
ultimo per l’ottimo Alan Alda.
In parole povere un kolossal del XXI secolo, lungo quasi 3 ore, con
ottimo cast, grandi scenografie, diretto da un regista dalle
indiscutibili capacità (anche se questo non è fra i suoi migliori
film).
IMDb 7,5 RT 87% * 5 Oscar e 6 Nomination
241 * “Le Pacha” (di Georges Lautner, Fra, 1968) tit. it. “La fredda
alba del commissario Joss” (!) * con Jean Gabin, Dany Carrel, Jean
Gaven, André Pousse
Ennesimo poliziesco francese avente Jean Gabin come protagonista,
stavolta dal lato della legge. Ad una prima parte relativamente ben
strutturata, rapida, con pochi dialoghi, si contrappone l’ultima
mezz’ora, molto poco credibile, abbastanza illogica, con un numero
incredibile di morti (tutti dalla stessa parte). La situazione
generale è ulteriormente peggiorata da un leitmotiv musicale
costituito da una canzone di Serge Gainsbourg (che compare in una
breve parte) ripetuta all’infinito, dai titoli di testa a quelli di
coda. Evitabile senza alcun rimpianto.
Da notare la traduzione “letterale” del titolo! Anche il nudo che
compare in uno dei poster italiani non ha niente a che vedere con la
storia.
IMDb 6,8
242 * “They Live by Night” (di Nicholas Ray, USA, 1948) tit. it. “La
donna del bandito” * con Cathy O'Donnell, Farley Granger, Howard Da
Silva
Primo film di Nicholas Ray, buon esordio in un noir quasi classico.
Personaggi ben delineati, trama abbastanza varia e con molte
svolte,tante scene con un po’ di suspense e qualche scena romantica.
Godibile, ma molto di genere. Buona fotografia in bianco e nero.
IMDb 7,6 RT 100%
243 * “A Woman's Secret” (di Nicholas Ray, USA, 1949) tit. it. “Hai
sempre mentito” (la semplice traduzione letterale non piaceva?) *
con Maureen O'Hara, Melvyn Douglas, Gloria Grahame
Ufficialmente viene spesso classificato come noir ma in effetti
sembra più una commedia, e non delle migliori. La storia è debole e
senza svolte fino alla rivelazione finale, il lungo flashback non
aggiunge molto. Il personaggio della moglie del detective rasenta il
ridicolo. In alcune parti si avvicina al dramma psicologico, ma in
conclusione non riesce ad avere una vera identità. Con giudizio
praticamente unanimemente è visto come uno dei meno meritevoli fra
tutti i film di Ray, fatto ben evidente dando un’occhiata ai rating:
IMDb 6,1 RT 43%.
Una curiosità, ma significativa: il film fu girato prima del debutto
ufficiale di Ray (They live by night), ma fu distribuito nelle sale
solo un anno dopo esso, ciò per scelta del produttore Howard Hughes
lo stesso al centro del biopic “The aviator”, del quale ho scritto
pochi giorni fa (ma questa è pura coincidenza).
244 * “Rojo amanecer” (di Jorge Fons, Mex, 1990) tit. internazionale
“Red Dawn” * con Héctor Bonilla, María Rojo, Jorge Fegán
Unanimemente giudicato un ottimo film, questo “Alba rossa”
(traduzione letterale del titolo) si occupa in maniera singolare
degli avvenimenti del 2 ottobre 1968, giorno in cui la protesta
degli studenti messicani, dopo essere andata avanti per circa 3 mesi
più o meno pacificamente, fu repressa sanguinosamente con il
“massacro di Tlatelolco” dove furono uccisi un numero imprecisato di
studenti (sicuramente varie centinaia) appena 10 giorni prima
dell’inizio della Olimpiadi Mexico ’68.
Tutto si svolge all’interno di un edificio prospiciente la piazza,
per lo più nell’appartamento di una famiglia della media borghesia
composta da nonno ex-militare, padre funzionario pubblico, moglie
casalinga e 4 figli, due dei quali studenti universitari attivisti.
Lo spettatore segue gli eventi tramite i rumori provenienti dalla
piazza e i notiziari, il blocco delle linee elettriche e
telefoniche, i racconti di quelli che arrivano in casa, le
perquisizioni dei militari e poliziotti in borghese.
La circolazione all’estero è stata pressoché nulla, ma in Europa fu
presentato con successo in vari Festival importanti come Berlino e
San Sebastian, dove ottenne il Premio della Giuria. Della strage
trattarono anche una decina di altri film e documentari e fra questi
il primo usci lo stesso anno, 1968, con il titolo “El grito”, con
regia di Leobardo López Aretche e sceneggiatura di Oriana Fallaci la
quale fu testimone delle manifestazioni e incolpevole protagonista.
Ecco quanto riportato sul sito www.oriana-fallaci.com
“Il 1968 è anche l’anno in cui Oriana, trovandosi a Città del
Messico alla vigilia delle Olimpiadi, il 2 ottobre viene coinvolta
nella strage di piazza delle Tre Culture. Apparentemente ferita a
morte dalla polizia che spara sugli studenti che si riparano come
possono (Oriana è sdraiata a terra sulla terrazza dell’edificio
Chihuahua), è trasportata prima all’obitorio, da lì miracolosamente
recuperata e trasferita all’ospedale. Nonostante le gravi ferite,
dal letto d’ospedale registra per «L’Europeo» una drammatica cronaca
dell’eccidio di Città del Messico. Un episodio che permette di
comprendere la passione, la grinta, il coraggio di una donna che ha
fatto della sua professione la ragione della propria esistenza.”
In rete potrete trovare tanto a riguardo della strage che vide
coinvolti l’allora presidente Diaz Ordaz, i militari e molti
sostengono che dietro ci fosse anche la CIA.
Sia “Rojo amanecer” che “El grito” sono su YouTube, ovviamente in
versione originale, spagnolo latino.
IMDb 8,1 FA 7,3
245 * “Born to Be Bad” (di Nicholas Ray, USA, 1950) tit. it. “La
seduttrice” * con Joan Fontaine, Robert Ryan, Joan Leslie, Mel
Ferrer, Zachary Scott
Anche questo terzo film del cofanetto “Nicholas Ray nella RKO” viene
incluso nel genere film-noir da IMDb, ma più che altro si tratta più
una commedia drammatica ... non c’è delitto, non ci sono criminali e
non c’è polizia. Comunque nettamente migliore dell’insulso “A
Woman's Secret” opera prima di Ray, ma uscito dopo “They live by
night”.
Visto nella sua reale essenza e non come noir o poliziesco, non è
male, si avvale di un ottimo cast ed è molto ben diretto.
Un buon prodotto degli anni ’50, ... piacevole.
Curiosità: Joan Fontaine visse una grande rivalità con sua sorella
maggiore Olivia de Havilland; sono le uniche due sorelle (o
fratelli) vincitrici di Oscar, Joan per “Sospetto” (Hitchcock, 1941)
e Olivia per “A ciascuno il suo destino” (Mitchell Leisen,1946) e
“L’ereditiera” (William Wyler, 1949)
IMDb 6,7 RT 75%
246 * “Flying Leathernecks” (di Nicholas Ray, USA, 1951) tit. it.
“Diavoli alati” * con John Wayne, Robert Ryan, Don Taylor
Primo film di guerra di Nicholas Ray, ambientato nelle isole del
Pacifico durante la II Guerra Mondiale. Come annunciato dal titolo
si tratta di piloti di caccia americani alle prese con i giapponesi
per il controllo di isole strategiche come Guadalcanal e Okinawa.
Classica pellicola incentrata sui contrasti fra ufficiali e
subalterni, con qualche personaggio particolare quasi da commedia,
in questo caso il sergente Clancy, interpretato dall’ineffabile e
notissimo (come volto) Jay C. Flippen, nome che però probabilmente
non dice niente a nessuno.
I veri protagonisti sono John Wayne e Robert Ryan, entrambi
ufficiali, il primo superiore del secondo, praticamente sempre in
attrito dall’inizio alla fine ... come ogni film di guerra che si
rispetti.
Non proprio memorabile, semplicemente guardabile.
IMDb 6,4 RT 86%
247 * “On Dangerous Ground” (di Nicholas Ray, USA, 1952) tit. it.
“Neve rossa” * con Ida Lupino, Robert Ryan, Ward Bond
Anche in questo quinto ed ultimo film del cofanetto “Nicholas Ray
nella RKO” Robert Ryan ricopre un ruolo importante, essendo in
effetti protagonista quasi assoluto. Insieme con la prima (“They
live by Night”) questa pellicola è effettivamente un noir ed è
praticamente divisa in due parti ben distinte, la prima in città si
focalizza sul lavoro dei detective, la seconda si svolge invece
nella provincia rurale, in lande desolate e innevate.
In questo tipo di film Ray sembra trovarsi più a suo agio anche se,
mi preme sottolineare, la sceneggiatura del finale è piuttosto
debole.
Da sottolineare la prova di Ida Lupino, non certo famosa per il
grande pubblico, ma certamente personaggio molto singolare. Ha
interpretato tante donne “dure” che si confrontavano con i divi
dell’epoca, una per tutte la Marie di “High Sierra” (1941, di Raoul
Walsh, con Humphrey Bogart), ed è stata una delle poche registe
degli anni ‘50, dirigendo anche un cult come “The Hitch-Hiker”
(1953), unico noir diretto da una donna.
Notevole anche il caratterista Ward Bond.
Penso che “On Dangerous Ground” meriti senz’altro una visione anche
se, come appena detto, nel finale la mancanza di decisione del
poliziotto “violento” appare troppo incongruente con il personaggio.
IMDb 7,4 RT 100%
248 * “The French lieutenant woman” (di Karel Reisz, UK, 1981)
tit.it. “La donna del tenente francese”
con Meryl Streep, Jeremy Irons, Hilton McRae
Molto al di sotto delle aspettative, per non dire deludente. Tranne
Meryl Streep, che si salva pur non essendo questa una delle sue
migliori interpretazioni, il resto del cast offre prove abbastanza
sconcertanti, a cominciare da Jeremy Irons ... un pesce lesso
(scusatemi l’espressione).
La doppia storia avente gli stessi interpreti, un film nel film, non
è certo una novità ed una parte è troppo preponderante rispetto
all’altra.
La relazione fra i due attori moderni è frutto dell’adattamento di
Pinter sulla base dell’omonimo romanzo di Fowles.
Considerate le due ore di durata della pellicola, è lecito pensare
che si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno della storia
moderna (aggiunta), limitandosi a quella ottocentesca che ha il
pregio di avere più personaggi potenzialmente interessanti e di
usufruire di una pregevole ricostruzione di ambienti supportata da
una bella fotografia. Il risultato sarebbe probabilmente stato un
film più gradevole e più snello.
IMDb 7,0 RT 80% * 5 Nomination Oscar (Meryl Streep,
sceneggiatura non originale, scenografia, costumi, montaggio),
nessuna statuetta
249 * “Le tueur” (di Denys de La Patellière, Fra, 1972) tit.it. “Il
commissario Le Guen e il caso Gassot” * con Jean Gabin, Fabio Testi,
Bernard Blier, Gerard Depardieu
Comprai il dvd incuriosito dal cast stranamente assortito,
nonostante il rating di IMDb non promettesse niente di buono (5,0)
... ma anche in questo caso si è dimostrato condivisibile.
L’imperturbabile commissario (Gabin) deve cercare di riacciuffare
l’implacabile assassino (“tueur” in francese, Testi) ma deve
combattere anche con il suo diretto superiore (Blier). L’allora
quasi imberbe Depardieu compare solo in poche scene del finale.
Tanti morti (Testi non sbaglia un colpo), molto scarsa la mira degli
altri.
Quasi senza né capo né coda, insulso e con situazioni scontate, “Le
tueur” si può (si dovrebbe) tranquillamente evitare ...
IMDb 5,0
250 * “Prizzi's Honor” (di John Huston, USA, 1985) tit.it. “L’onore
dei Prizzi” * con Jack Nicholson, Kathleen Turner, Robert Loggia,
Anjelica Houston, William Hickey
Aveva le potenzialità per essere un film migliore, ma è
irrimediabilmente frenato da una delle peggiori interpretazioni di
Jack Nicholson. Anche la prima attrice Kathleen Turner non brilla
più di tanto ed è un peccato perché invece tutti i co-protagonisti
offrono un perfetto contorno e fra loro ovviamente brilla Anjelica
che così si guadagnò il suo unico Oscar.
Intrighi, ricatti, assassinii e colpi di scena si susseguono con
discreto ritmo in questa black comedy che prende garbatamente in
giro i film che ruotano attorno alle grandi famiglie mafiose
americane, sostanzialmente ben diretta dall’allora già quasi
ottantenne John Houston che aveva esordito oltre 40 anni prima con
il famoso “Il falcone maltese” (1941), con Humphrey Bogart.
IMDb 6,8 RT 88% |