POST CINEMATOGRAFICI

indice completo dei  1300 film 2016 - 2018

lista film (pdf)  2015   2014   2012-13

2016

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2017

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260 - 299

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400 - 443

2018

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401 - 454

2019

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351 - 409

 

2020

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401 - 444

2021

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351 - 388  

2022

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micro-recensioni dei film del 2018   (dal 200° al 151°)


leggi tutte le 50 micro-recensioni (in basso, dopo i poster)

David O. Russell, USA, 2012

John Malkovich, USA/Spa, 2002

John Huston, USA, 1984

Alan J. Pakula, USA, 1976

William Wyler, USA, 1946

George Seaton, USA, 1947

Alfred Hitchcock, USA, 1960

Tay Garnett, USA, 1946

Billy Wilder, USA, 1945

Howard Hawks, USA, 1944

Roberto Benigni, Ita, 1997

François Truffaut, Fra, 1959

Alejandro Galindo, Mex, 1955

Jorge Fons, Mex, 1995

Edmund Goulding, USA, 1946

Michael e Pressburger, UK, 1943

King Hu, HK, 1971

Masahiro Shinoda, Jap, 1969

Kenji Mizoguchi, Jap, 1955

Keisuke Kinoshita, Jap, 1951

Akira Kurosawa, Jap, 1993

Akira Kurosawa, Jap, 1970

Akira Kurosawa, Jap, 1951

Akira Kurosawa, Jap, 1950

Akira Kurosawa, Jap, 1948

Kim Ki-duk, Kor, 2003

Billy Bob Thornton, USA, 1996

Tim Burton, USA, 1994

Kenji Mizoguchi, Jap, 1939

Nagisa Oshima, Jap, 1960

Takashi Miike, Jap, 1999

Jûzô Itami, Jap, 1985

Shôhei Imamura, Jap, 1982

Shôhei Imamura, Jap, 1979

 Toshio Matsumoto, Jap, 1969

Masahiro Shinoda, Jap, 1964

Shôhei Imamura, Jap, 1961

Mikio Naruse, Jap, 1955

Kenji Mizoguchi, Jap, 1954

Akira Kurosawa, Jap, 1952

Akira Kurosawa, Jap, 1949

John Huston, USA, 1964

Bernardo Bertolucci, Ita, 1972

Martin Scorsese, USA, 2006

Clint Eastwood, USA, 2011

AkiraKurosawa, Jap, 1963

Mikio Naruse, Jap, 1960

Kon Ichikawa, Jap, 1956

Danny Boyle, USA, 2008

John G. Blystone, USA, 1936

200 “Silver Lininig Playbook” (David O. Russell, USA, 2012) tit. it. “Il lato positivo” * con Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro
Commedia drammatico/romantica abbastanza insensata, con dei buoni interpreti (sulla carta) ma personaggi poco credibili, a cominciare da quello interpretato da Robert De Niro. Non del tutto scontata, giustamente trattando di persone bipolari, procede fra discorsi più o meno insensati, scatti anche violenti, strilli e insulti ... non avendo esperienze in merito non posso dire quanto la descrizione dei protagonisti sia plausibile o accurata.
Avendo soggiornato a lungo e viaggiato più volte negli States, posso però dire che molte reazioni, fisime, abitudini sono tipicamente americane e poco europee, e in vari punti della sceneggiatura mi sembra di vedere posizioni critiche rispetto a tali atteggiamenti convenzionali.
“Il lato positivo” ha quindi qualche buono spunto, ma non va oltre la mera sufficienza. Varie delle 7 Nomination non stanno né in cielo né in terra, a cominciare da quelle di Robert De Niro e Jacki Weaver non protagonisti, ma c’è da dire che il livello medio dell’edizione Oscar 2013 fu relativamente scadente tranne poche eccellenze come “Django Unchained” che, tuttavia, ottenne solo 2 Oscar e 3 Nomination ... ma dai!
IMDb 7,8 RT 92%  *  Oscar a Jennifer Lawrence protagonista + 7 Nomination (miglior film, Bradley Cooper protagonista, Robert De Niro e Jacki Weaver non protagonisti, regia, sceneggiatura e montaggio)

 

199 “The dancer upstairs” (John Malkovich, USA, 2002) tit. it. “Danza di sangue” * con Javier Bardem, Laura Morante, Juan Diego Botto
Al contrario di "Under the Volcano", visto il giorno precedente, questo film mi ha molto deluso. Apprezzo molto John Malkovich attore, ma fare il regista sembra non essere arte sua e questo è rimasto il suo unico tentativo (forse qualcuno l’ha consigliato in tal senso).
La storia è tratta da un romanzo dell’inglese Nicholas Shakespeare che però, essendo figlio di un diplomatico, è cresciuto fra Estremo Oriente e America Latina e ciò giustifica l’ambientazione in un non meglio identificato paese sudamericano al limite della dittatura, fra attentati, intrighi politici e leggi marziali. Può far pensare alle situazioni viste e riviste soprattutto in Argentina e Cile ma si mantiene sul vago e comunque fu parzialmente girato in Ecuador.
Si avvale di un cast etnicamente vario ma per niente convincente, con lo spagnolo Bardem (non certo al suo meglio), l’italiana Morante che grande attrice non è, l’argentino Botto che non cambia mai espressione, qualunque sia il ruolo e la situazione, l’inglese Cotton, il peruano Manrique, ...
Pur essendo un thriller, i tempi, le scene e la narrazione in genere non riescono ad essere coinvolgenti, né a creare suspense.
Tranquillamente evitabile, non vi perdete molto.
IMDb 7,0 RT 64%

 

198 “Under the Volcano” (John Huston, USA, 1984) tit. it. “Sotto il vulcano” * con Albert Finney, Jacqueline Bisset, Anthony Andrews
IMDb 7,1 RT 75% *  2 Nomination (Albert Finney miglior attore protagonista e commento musicale)
Senza sapere molto del romanzo e niente del suo autore, ho guardato questo film contando sulla sua reputazione generale, su Huston e su Albert Finney, attore sottovalutato nonostante le sue 5 Nomination, 4 delle quali come protagonista.
L'ho trovato molto al di sopra delle mie aspettative, sia per la sceneggiatura, sia per l'ottima prova di Finney e anche per l'eccellente ambientazione ... un piccolo paesino messicano ai piedi del Popocatepetl, alla fine degli anni '30. Bastano poche scene per rendere evidente il fatto che sia Malcolm Lowry (autore dell’omonimo romanzo) che John Huston conoscessero alla perfezione le tipologie di personaggi rappresentati, le cantine, la festa del Dia de muertos (ormai conosciuta da tanti grazie a "Coco"), i combattimenti di galli, le "corride" di quart'ordine nelle quali chiunque si può cimentare, i bordelli e via discorrendo.
Cerando ulteriori notizie sul romanzo ed il suo autore ho scoperto infatti che Lowry (di origini inglesi) fu un gran viaggiatore e visse a lungo in Messico e negli USA ed era veramente alcolizzato, fu apprezzatissimo scrittore in entrambe i continenti, ottenendo innumerevoli riconoscimenti e onorificenze pur avendo completato solo due romanzi: Ultramarine (1933) e Under the Volcano (1947). Tanti suoi altri scritti sono stati pubblicati postumi e si sa che, una volta completati ed insieme con i due pubblicati, avrebbero dovuto costituire un’opera unica di proporzioni eccezionali dal titolo “The Voyage That Never Ends” (Il viaggio che non finisce mai).
Tutti gli avvenimenti di “Under the Volcano” sono concentrati in un paio di giorni, in un paesino in festa per il Dia de muertos (2 novembre) che in vari paesi dell’America Latina ed in particolare in Messico è un evento gioioso, riunisce le famiglie, dura in effetti più giorni e è praticamente molto più sentito anche del Natale. In questo clima il protagonista (ex console inglese) beve quasi continuamente, ragiona e sragiona, si confronta con la ex moglie (Jacqueline Bisset) tornata all’improvviso, vaga per le strade fra bambini che giocano, si ferma a parlare con il medico, anziane veggenti, si scontra con le autorità.
Secondo me è un ottimo film realizzato con evidente amore per i messicani e il loro stile di vita, che con garbo mette anche in evidenza tante differenze culturali fra i latini, gli inglesi e gli americani.
Mi sembra sia stato sottovalutato dalla critica e certamente non sono d’accordo con i rating poco più che sufficenti.
Più che consigliato!
PS - Per puro caso mi è capitato di guardare  "Under the Volcano" pochi giorni dopo un altro ottimo film incentrato su un alcolizzato allo stadio terminale ("The Lost Weekend", Billy Wilder, 1945, con Ray Milland). Può essere interessante guardarli a breve distanza di tempo per le tante similitudini: protagonista alcolizzato con moglie/fidanzata che vorrebbe “salvarlo” e fratello affezionato ma più scettico e forse poco leale, storia concentrata in un paio di giorni, finale tragico.

 

197 “All the President's Men” (Alan J. Pakula, USA, 1976) tit. it. “Tutti gli uomini del presidente” * con Dustin Hoffman, Robert Redford, Jack Warden Martin Balsam, Jason Robards, Jane Alexander

IMDb 8,0 RT 93%  *  4 Oscar (Jason Robards non protagonista, sceneggiatura, scenografia, sonoro) + 4 Nomination (Miglior film, regia, Jane Alexander non protagonista, montaggio)

Come forse qualcuno saprà, la storia di questo film inizia dove finisce quella del recente “The Post” (di Spielberg. 2017) ed ovviamente segue gli sviluppi dello scandalo Watergate. Si tratta di uno dei migliori film di indagine giornalistica, in questo caso basato su una storia vera e narrato in modo relativamente fedele alla realtà dei fatti. Pakula dirige alla perfezione un cast di ottima qualità nel quale spiccano tanti non protagonisti e non solo Jason Robards (Oscar) e Jane Alexander (Nomination).
Eccellente la chiusura con le notizie battute dalla telescrivente.
Per goderlo appieno è bene conoscere un po’ di storia di quegli anni, non solo americana, e essere addentro ai ruoli di FBI e CIA.
Molto interessante ... consigliato.

 

196 “The Best Years of Our Lives” (William Wyler, USA, 1946) tit. it. “I migliori anni della nostra vita” * con Myrna Loy, Dana Andrews, Fredric March, Harold Russell

IMDb 8,1 RT 96% 249°  *  7 Oscar (miglior film, regia, Fredric March protagonista, Harold Russell non protagonista, sceneggiatura, montaggio, commento musicale + Nomination per il sonoro e riconoscimento onorario ad Harold Russell per il supporto)

I 7 Oscar più uno extra mi facevano sperare in qualcosa di meglio. Resta senz’altro un buon film ma è troppo scontato, prevedibile, didascalico, insomma di propaganda. Si deve tuttavia ricordare che la guerra era appena finita e i reduci feriti e/o traumatizzati erano tanti e non sempre era facile reinserirsi nella società. A questi si devono aggiungere vedove, orfani e famiglie colpite da lutti.
Il film si sviluppa seguendo tre reduci che per puro caso tornano insieme in una piccola cittadina del midwest, dove avranno diversi tipi di problemi di adattamento in campo lavorativo e affettivo, ma rimarranno tuttavia amici.
In sostanza, buone le interpretazioni e la regia, ma la sceneggiatura lascia a desiderare.

 

195 “Miracle on 34th Street” (George Seaton, USA, 1947) tit. it. “Il miracolo della 34ª strada” * con Edmund Gwenn, Maureen O'Hara, John Payne, Natalie Wood

IMDb 7,9 RT 96%  *  3 Oscar (Edmund Gwenn non protagonista, miglior soggetto, miglior sceneggiatura) + Nomination come miglior film
Un intramontabile classico natalizio per le famiglie americane, commedia garbata e allo stesso tempo acuta, che propone vari livelli di lettura. Tralasciando la parte legata al protagonista Kris Kringle (alias di Santa Claus = Babbo Natale), si trovano infatti tanti spunti critici in merito al consumismo, alla pubblicità, all’uso errato della psicologia soprattutto quando è affidata ad incompetenti presuntuosi, potere giudiziario sottomesso a quello politico, e altro ancora.
Alle ottime interpretazioni degli adulti, alcuni dei quali si cimentano in ruoli quasi caricaturali, si aggiunge quella di una giovanissima Natalie Wood (9 anni), già con vari film alle spalle fra i quali “The Ghost and Mrs. Muir” uscito pochi mesi prima. Con questo film la giovane attrice si affermò come enfant prodige e per anni fu la più amata dal pubblico americano prima di diventare definitivamente famosa a soli 17 anni con la sua partecipazione a “Rebel without a cause” (Gioventù bruciata, 1955, di Nicholas Ray) al fianco di James Dean.
Anche se non siamo in periodo natalizio, lo consiglio.

 

194 “Psycho” (Alfred Hitchcock, USA, 1946) * con Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles
IMDb 8,5 RT 97% *  4 Nomination Oscar (miglior regia, Janet Leigh non protagonista, fotografia, scenografia)  *  34°  nella classifica IMDb di tutti i tempi
Uno dei miei Hitchcock preferiti e, in questo caso, sembra che anche la maggior parte di critici e spettatori siano d’accordo con me. Viene proposta una storia essenziale, con pochi personaggi ognuno dei quali appare sullo schermo per un tempo molto limitato. Dialoghi secchi e stringati, lunghe scene “mute” nelle quali il “maestro del thriller” riesce a focalizzare l’attenzione dello spettatore su particolari, mostrati e non mostrati (fa solo vedere lo sguardo di qualcuno puntato nella direzione di qualche oggetto fuori campo). Tempi perfetti e una bella fotografia, insieme con il motel isolato dominato dalla sinistra magione arroccata su una piccola altura fanno il resto.
Eppure c’è qualcosa che secondo me stona in tutta questa “quasi perfezione” ... la lunga disquisizione dello psicologo che quasi alla fine del film illustra in dettaglio (ed in modo eccessivamente prolisso) la doppia personalità del protagonista è in contrasto stridente con la laconicità del resto del film ed oltretutto si svolge per intero in una stessa stanza, senza che niente di rilievo accada. Ma questi sono dettagli, sottigliezze, che non intaccano il valore
assoluto del film.
Nel caso esistesse qualcuno che non l’abbia ancora visto ed avesse intenzione di colmare questa sua grave lacuna, stia attento a recuperare il film giusto (Hitchcock, 1960) e non un (ignobile) remake del diretto da Gus Van Sant, con Vince Vaughn, Anne Heche, Julianne Moore (IMDb 4,6 RT 37%)

 

193 “The Postman Always Rings Twice” (Tay Garnett, USA, 1946) tit. it. “Il postino suona sempre due volte” * con Lana Turner, John Garfield, Cecil Kellaway
Originale del noto omonimo film del 1981 diretto da Bob Rafelson (“5 pezzi facili”, “Il re dei giardini di Marvin”, ...), interpretato da Jack Nicholson e Jessica Lange, dai più reputato di qualità inferiore al precedente, come la maggior parte dei remake.
Una torbida storia in una stazione di servizio/ristorante in California è l’asse portante di questo noir, che include una parte legale sostanziale, seppur breve, e una certa suspense, tendendo al thriller.
Nel complesso offre buone interpretazioni, la meno convincente, tendente allo scialbo, è quella di Lana Turner (come spesso accade con le bellocce o vamp hollywoodiane).
Un buon noir d’epoca, ma certamente non memorabile.
IMDb 7,5 RT 95%

 

192 “The Lost Weekend” (Billy Wilder, USA, 1945) tit. it. “Giorni perduti” * con Ray Milland, Jane Wyman, Phillip Terry
IMDb 8,0 RT 100% * 4 Oscar (miglior film, regia, Ray Milland protagonista e sceneggiatura) + 3 Nomination (fotografia, montaggio e commento musicale)
Seguendo le tracce di film pluripremiati e di quelli inseriti più spesso in “classifiche” ed elenchi di vario genere, sono giunto a quest’altro ottimo, seppur poco conosciuto, lavoro di Billy Wilder, forte di una eccezionale interpretazione da parte di Ray Milland, a detta di molti la migliore della sua carriera.
Eccellente dramma della solitudine ed alcolismo, che ha per protagonista uno scrittore una volta di belle speranze, ma ora assolutamente incapace di scrivere, handicappato dal fatto di essere un bevitore compulsivo. Nonostante gli sforzi del fratello (che praticamente lo mantiene) e della devotissima fidanzata, riesce sempre a trovare il modo di recuperare una bottiglia di Rye. Molto ben proposto il rapporto con il suo bartender “di fiducia” (un ottimo Howard Da Silva), un buon uomo che, pur avendo interesse a vendere, cerca di dissuaderlo dal bere nel suo modo esagerato. Da non sottovalutare il pur breve ruolo della giovane hooker di turno (Doris Dowling), che ha messo gli occhi sullo scrittore. Interessante il flash back proposto come ipotetico inizio di un romanzo.
In breve, un film da non perdere.
Come il film visto ieri (To have and have not), giunse nella sale italiane solo nel 1947.

 

191 “To Have and Have Not” (Howard Hawks, USA, 1944) tit. it. “Acque del Sud” * con Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Walter Brennan
IMDb 8,0 RT 97% - giunto nella sale italiane solo nel 1947, con doppiaggio effettuato negli USA, da attori italo-americani
Ottimo “noir d’avventura” nelle acque dei Caraibi, diretto da un regista che si cimentò (con successo) nei generi più diversi, dalle commedie ai noir, dai polizieschi ai western, e avente come protagonista un’icona di Hollywood già all’apice del successo quale Bogart, un astro nascente come l’esordiente Lauren Bacall ed famoso e ineffabile caratterista Walter Brennan (3 Oscar, oltre 200 film, famoso “vecchietto terribile” di tanti western).
Ottime le interpretazioni non solo dei protagonisti ma anche del resto del cast fra i quali spiccano Dan Seymour (Key Largo, Johnny Belinda, ...) nei panni del commissario e Marcel Dalio nel ruolo di Frenchy. In questa sua prima apparizione sullo schermo Lauren Bacall si esibisce anche come cantante e particolarmente nel canto si nota e sorprende la sua voce profonda, quasi mascolina, quasi in contrasto con il suo aspetto.
Un film ben costruito con vari personaggi interessanti, nel quale a una buona dose di suspense fra qualche sparatoria, interrogatori, ferimenti e successive cure non professionali, si affiancano una love story, battute di pesca e riferimenti alla situazione francese fra Governo di Vichy, partigiani e colonie d’oltremare.
Liberamente tratto dal romanzo omonimo (ma solo in inglese, in italiano il titolo era correttamente tradotto in “Avere e non avere”, 1937) di Ernest Hemingway. Un adattamento un po’ più fedele fu realizzato nel 1950 da Michael Curtiz con titolo “The Breaking Point” (tit. it. Golfo del Messico) e infine Don Siegel ne diresse una ulteriore versione nel 1958. Nel romanzo la storia si svolge fra Florida e Cuba (Key Islands, fra contrabbando e trasporto clandestini e rivoluzionari), nel film del ’44 alla Martinica con i contrasti politici fra partigiani francesi e potere fedele a Vichy, in quello del ‘50 nelle acque del Pacifico fra California e Messico, in quello del ‘58 a Cuba all’epoca dei primi moti rivoluzionari,
Ancor più distanti dal testo originale sono (1977) con l’azione spostata fra Bermuda e Haiti, con traffico di droga e addirittura una versione iraniana diretta da Nasser Taghvai, ambientata nel Golfo Persico.
Curiosità: fu su questo set che nacque l’amore fra Bogart e Bacall (25 anni di differenza), i quali si sposarono l’anno successivo e rimasero uniti fino alla morte di lui, nel 1957, una delle coppie più durature e più amate dal pubblico.

 

190 “La vita è bella” (Roberto Benigni, Ita, 1997) tit. int. “Life is Beautiful” * con Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Giorgio Cantarini
IMDb 8,6 RT 80% - 3 Oscar come miglior film non in lingua inglese, Benigni protagonista e musica (Alberto Piovani) + 4 Nomination come miglior film, regia, sceneggiatura e montaggio * al 26° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi

Visto che sono certo che tutti conoscano questa commedia pseudo drammatica, sarò ancor più breve del solito nell’esprimere il mio punto di vista.
Il garbo con cui ha trattato il problema dell’olocausto lo pone certamente al di fuori di quel filone di film tutti più o meno simili fra loro. Lo vedo come un sapiente esercizio sul come trattare certi argomenti con ironia, dicendo e mostrando fatti e avvenimenti tabù per tanti altri. Sicuramente è un omaggio ad un certo tipo di comicità, rifacentesi soprattutto a Charlie Chaplin e al molto più moderno Troisi (scomparso 3 anni prima). Non penso sia un caso che abbia inserito citazioni “cult” di “Ricomincio da 3”, film di esordio dell’attore/regista partenopeo del quale era grande amico e con il quale aveva scritto e diretto l’altra famosa commedia “Non ci resta che piangere” (1984), quali il “giro del palazzo” per ritrovarsi di fronte alla sua fiamma e i tentativi di telecinesi (strano che non siano stati riportati su IMDb). Similmente penso che il cavallo Robin Hood dipinto di verde sia una citazione di Hollywood Party (Blake Edwards, 1968), anche se in quel caso si trattava di un elefante,
I tempi e le ricorrenze di eventi quasi incredibili sono pressoché perfetti, i personaggi, le situazioni e i concisi dialoghi sono ben delineati e ben proposti. La traduzione estemporanea delle disposizioni urlate nel campo di concentramento è semplicemente geniale.

 

189 “Les quatre cents coups” (François Truffaut, Fra, 1959) tit. it. “I 400 colpi” * con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier
Alcuni cinefili mi potranno tacciare di eresia, ma trovo che questo film, per quanto abbia fatto storia soprattutto per essere innovativo e originale, è più che sopravvalutato. Appena dopo averlo ri-visto (storcendo un po’ il naso) sono andato a scavare fra recensioni e “analisi” (mi piacerebbe chiedere ai registi quanto di vero ci sia nelle elucubrazioni filosofiche-psicologiche ai quali sono soggetti ...) e ho scoperto di non essere certo l’unico a ridimensionare questo film di esordio di Truffaut, pietra miliare della Nouvelle Vague francese. Fra i fondatori di questa scuola, gli preferisco senz’altro Godard (che comunque ha dei limiti) e in parte Rivette. Tutto il gran parlare della problematica giovanile-adolescenziale e i rapporti fra giovani e istituzioni (considerando tale anche la famiglia) mi sembra pretestuoso e si sono andati a evidenziare e analizzare aspetti profondi che probabilmente non erano neanche negli obiettivi del regista. In quanto alla cinematografia, non mi sembra che siano state proposte innovazioni radicali e poche riprese originali non giustificano il clamore suscitato.
Lo vedo come una singola storia, in parte autobiografica, di un ragazzino certamente molto particolare che quindi non può trasmettere concetti e valutazioni assolute o, quantomeno, di carattere generale.
IMDb 8,1 - Nomination Oscar come sceneggiatura originale - a Cannes 2 Premi e Nomination Palma d’Oro per Truffaut - al 205° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi

 

188 “Espaldas mojadas” (Alejandro Galindo, Mex, 1955) * con David Silva, Víctor Parra, Martha Valdés
Galindo non è inserito fra i vari ottimi registi della Epoca de Oro del Cine Mexicano, ma certamente è uno stimato e rispettato regista e sceneggiatore, attivo in Messico per oltre 50 anni, dopo aver fatto pratica e studiato in ambiente Hollywoodiano. Nella maggior parte dei suoi film descrive un ceto medio-basso con un notevole realismo, ma senza cadere nel melodramma. David Silva fu uno dei suoi attori preferiti e, come Galindo, fu certamente apprezzato e famoso ma non riuscì mai ad avvicinarsi alla fama e al successo delle star dell’epoca come Pedro Infante, Cantinflas, Arturo de Córdova, Pedro Armendariz, Fernando Soler, Jorge Negrete, ...
In “Espaldas mojadas” Galindo affronta i temi della immigrazione clandestina dal Messico verso gli Stati Uniti, dello sfruttamento dei “sin papeles” sia da parte dei datori di lavoro (nero) che di quelli che li aiutano a passare la frontiera. Con il termine del titolo (trad. lett. “spalle bagnate”) sono indicati quelli che attraversano il Rio Bravo (per un lungo tratto frontiera fra USA e Mexico) in questo caso fra Ciudad Juarez e El Paso. A oltre 60 anni di distanza poco è cambiato come concetto, sono solo cambiati i tipi di affari, gestiti da potenti “intoccabili” ... tutti sanno, tutti criticano, nessuno muove un dito.
Forse Galindo mette troppa carne a cuocere e quindi tocca solo superficialmente vari temi connessi all’immigrazione e lavoro illegali.
Onesto film drammatico, quasi “impegnato”.
IMDb 7,2

 

187 “El Callejón de los Milagros” (Jorge Fons, Mex, 1995) tit. int. “Midaq Alley” * con Ernesto Gómez Cruz, María Rojo, Salma Hayek
IMDb 7,5 - Premio Speciale a Berlino ’95 e Nomination all’Orso d’Oro

Al di sotto delle aspettative. Si è parlato molto di questo film la cui sceneggiatura è adattata dal romanzo “Midaq Alley” (1947) dell’egiziano Naguib Mahfouz, premio Nobel per la letteratura 1988.
La storia, anzi le storie che sono più o meno intrecciate fra loro, sono portate negli anni ’90 e “Il vicolo del mortaio” del Cairo diventa “El Callejón de los Milagros” (letteralmente Il vicolo dei miracoli) di Città del Messico. A quanto ho letto, molti dei personaggi mantengono le proprie peculiarità e rapporti sociali, tuttavia è impensabile che nella trasposizione si sia potuta mantenere l’essenza della mentalità e stile di vita egiziano (arabo) riscrivendo la storia per la cultura messicana (latina) di fine secolo scorso. Tutti i protagonisti appartengono ad una stessa comunità di persone non povere, ma certamente spesso in difficoltà economiche, si conoscono da sempre e conoscono vita morte e miracoli di ciascuno dei loro vicini; alcuni di loro sono piccoli imprenditori e hanno una certa cultura,
Nel montaggio, varie scene sono ripetute da punti di vista diversi ... operazione non certo originale che in vari casi risulta essere ripetitiva e un po’ stucchevole. Nel complesso penso che ci sia stata molta presunzione da parte degli autori e produttori di questa commedia drammatica.
Restano comunque buoni spunti, tipici personaggi ben interpretati sia da attori famosi che da caratteristi, comunque bravi.

 

186 “The Razor's Edge” (Edmund Goulding, USA, 1946) tit. it. “Il filo del rasoio” * con Tyrone Power, Gene Tierney, John Payne, Anne Baxter, Clifton Webb
IMDb 7,5 RT 83% - 1 Oscar e 3 Nomination

Come si notano le buone sceneggiature basate su romanzi di veri scrittori, dai cui lavori si possono trarre ottimi film non solo grazie alla meticolosa caratterizzazione dei personaggi ma anche, e forse soprattutto, per i dialoghi mai banali. Somerset Maugham è uno dei miei autori preferiti, insieme con Graham Greene, anche lui autore di eccellenti romanzi ambientati in ogni parte del mondo e di scritti pensati direttamente come sceneggiatura, (The Third Man, Fallen Idol, Our Man in Havana, The Comedians, The Honorary Consul, The End of the affair, ...).
Come già accaduto in altri film come Quartet, Trio, Encore, sembra che l’autore inglese si diverta ad inserirsi nei film, ma in questo caso non in prima persona ma con come personaggio, interpretato da Herbert Marshall.
Quanto detto per “Colonel Blimp” (pressoché sconosciuto ma ottimo) vale anche per questo film nel quale si apprezza un Tyrone Power che non si limita a fare il “bello” della situazione ma offre una prova più che convincente, attorniato da altri buoni attori e attrici in ottima vena, fra i quali Anne Baxter (Oscar non protagonista), Clifton Webb (Nomination non protagonista), Gene Tierney, John Payne e il già citato Herbert Marshall.
“The Razor's Edge” ottenne anche altre due Nomination, come miglior film e per la scenografia. Ne è stato prodotto un remake nel 1984,diretto da John Byrum, con Bill Murray ... con scarsi risultati.
Molto del merito deve comunque essere attribuito alla penna di Somerset Maugham, come al solito molto caustico nel descrivere i lati peggiori dell’alta società americana e internazionale.
L’originale è più che consigliato! Se deciderete di recuperarlo, accertatevi che sia la versione giusta ...

 

185 “The Life and Death of Colonel Blimp” (Michael Powell e Emeric Pressburger, UK, 1943) tit. it. “Duello a Berlino” * con Roger Livesey, Deborah Kerr, Anton Walbrook
In questo pregevole film non si seguono le vicende del colonello Blimp (come sarebbe lecito pensare) bensì quelle di Clive Candy, militare di carriera, protagonista di varie guerre nell’arco di una quarantina di anni. Il “Blimp” del titolo era il nome di un personaggio di una famosa striscia satirica pubblicata sui quotidiani inglesi dell’epoca.
La storia è narrata mediante un unico lungo flash-back che termina ritornando alle scene iniziali del film. Si parla soprattutto della guerra in sud-Africa (ma la trama ci porta a Berlino dove si svolge il duello che dà il titolo alla versione italiana), alla fine della prima Guerra Mondiale e alla contemporanea (all’uscita del film ) seconda Guerra Mondiale. In tutti e tre i casi i militari inglesi si confrontano con quelli tedeschi (o austroungarici) con mentalità e codici diversi.
Si tratta di una commedia drammatico-satirica, abbastanza critica nei confronti dei militari più che della guerre in sé per sé, ma soprattutto si auto-ironizza sull’essere inglesi. In più punti si sottolinea l’irrazionalità dei militari, i problemi derivanti da preconcetti e propaganda tendenziosa, il gioco sporco dei tedeschi e la correttezza degli inglesi (ma ricordate che il film è inglese),
Giunto nelle sale in piena guerra non fu ben visto dai poteri politi e militari e, ovviamente, non fu distribuito nei paesi nemici o occupati da nemici ...in Italia giunse solo nel 1950.
Piacevole, spesso divertente, arguto, caricaturale, drammatico nella giusta misura ... e non mancano vari strali nei confronti dei “barbari alleati” americani, con i quali gli inglesi non si capiscono ...
Personalmente non l’avevo mai sentito nominare e quindi è stato una piacevolissima scoperta. Viene quasi sempre inserito fra i migliori film inglesi di tutti i tempi.
IMDb 8,2 RT 96%
PS - Deborah Kerr interpreta 3 diversi personaggi, in epoche diverse, tutti con identiche sembianze. In quanto agli altri protagonisti, un ottico trucco li fa invecchiare di 40 anni. Notevole, per l'epoca, il trattamento del colore

 

184 “A Touch of Zen” (King Hu, HongKong, 1971) tit. or. “Xia nü” tit. it.” La fanciulla cavaliere errante” * con Feng Hsu, Chun Shih, Ying Bai
Pare che questo sia stato il film che ha dato la stura alla serie moderna di wuxia, con i suoi incredibili salti e voli. La trama è degna di un western di Leone o di un thriller, ben congegnata e piena di sorprese e personaggi enigmatici che spesso non sono quelli che dicono di essere. Tuttavia, c’è da dire che “A Touch of Zen”, oltre a soffrire di una eccessiva lunghezza (3h20’ originali, ridotta a 3 ore per la versione dvd, nei cinema venne spesso proposto in due parti) è molto poco bilanciato. Gli appassionati di arti marziali possono lamentarsi del fatto che per vedere il primo combattimento devono aspettare quasi un’ora, mentre chi è rimasto coinvolto dagli intrighi e suspense di tale prima parte rimane deluso della “inutile“ (per loro) lungaggine dei soliti combattimenti pieni di rovesciamenti di situazione prima di giungere alla scontata conclusione.
Col senno di poi anche i “voli”, che all’epoca sembrarono straordinari, sono ben poca cosa rispetto a realizzazioni più moderne come quelle spettacolari di “House of Flying Daggers” (1994, diretto da Yimou Zhang, or. “Shi mian mai fu”, it. “La foresta dei pugnali volanti”), che riprende quasi come una citazione gli scontri nella foresta di bambù.
Le ambientazioni in genere sono di ottimo livello, da quelle del forte in rovina a quelle del monastero buddista immerso nella foresta, al lato di un torrente pieno di enormi massi levigati, per finire con l’affascinante paesaggio semidesertico delle scene conclusive.
IMDb 7,6 RT 96%  - Gran Premio per la tecnica e Nomination alla Palma d’Oro a Cannes1975

 

183 “Double Suicide” (Masahiro Shinoda, Jap, 1969) tit. or. “Shinjû: Ten no Amijima” * con Kichiemon Nakamura, Shima Iwashita, Shizue Kawarazaki
Film che rasenta la perfezione (che secondo me non esiste) e quindi è assolutamente eccellente. I motivi sono molteplici; ad una precisa fotografia in bianco e nero, piena di contrasti linee rette e curve, si aggiungo un’ottima recitazione, una interessante storia d’amore/dipendenza, fra dovere e volere, le scenografie spesso teatrali e la originalissima commistione fra la rappresentazione bunraku (grandi marionette, ciascuna manovrata da tre persone, visibili sulla scena) ed il teatro classico.
Masahiro Shinoda non lascia niente al caso ed ogni singola inquadratura è ben studiata, organizzata e filmata. Piani sequenza, composizioni e movimenti di macchina sono congegnati e combinati in modo esemplare.
Questo è uno di quei film nei quali la trama è di secondaria importanza, il suo fascino risiede tutto nella cinematografia: scene, attori, riprese, montaggio compongono uno spettacolo ammaliante per qualsiasi cinefilo.
Tutto ciò in bianco e nero e senza effetti speciali!
Questo è vero cinema!
IMDb 7,8 RT 87%

 

182 “Tales of the Taira Clan” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1955) tit. or. “Shin Heike monogatari” tit. it. “Nuova storia del clan di Taira” * con Narutoshi Hayashi, Raizô Ichikawa, Tatsuya Ishiguro
Penultimo film di Mizoguchi, l’anno successivo (1956, anno della sua morte, a soli 58 anni) avrebbe diretto “La strada della vergogna” (Akasen Chitai), uno dei suoi film più conosciuti, premiato a Venezia.
Le storie alle quali si riferisce il titolosono per lo più relative intrighi e politici e lotte di potere, ma di combattimenti e scontri se ne parla tanto ma si mostra poco ... e questo è per me un pregio. Siamo nel XII secolo, un periodo nel quale si confrontavano (come spesso accadeva e talvolta ancora oggi accade) le forze legate al clero/religione e quelle legate alla nobiltà/potere economico, con i samurai e i loro clan usati più o meno come mercenari, che avrebbero voluto avere voce in capitolo ma non sempre ci riuscivano.
Inutile dire che anche in questo caso, da una trama più o meno banale, fra cortigiane, tradimenti e figli illegittimi, Mizoguchi riesce a dare consistenza ai personaggi e alle situazioni, producendo un film di grande pregio.
IMDb 7,5 RT 87%

 

181 “Carmen torna a casa” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1951) tit. or. “Karumen kokyō ni kaeru” * con Hideko Takamine, Shûji Sano, Chishû Ryû
Questo l’ho scelto per curiosità cinefila, essendo il primo film a colori girato in Giappone. Nulla di eccezionale al di là di essere una piacevole commedia destinata al grande pubblico, interpretata da attori famosi e di notevole livello. I colori non sono niente male e i variopinti vestiti delle protagoniste e le scene all’aperto (teoricamente ... per quanto ben realizzati, è evidenti che si tratti di fondali) aiutano a dare un senso di allegria.
La Carmen del titolo è una ragazza scappata dal villaggio nel quale si svolge il film quando era adolescente e andata in città dove è diventata una famosa artista ... spogliarellista. Il suo ritorno in paese dopo molti anni, accompagnata da una compagna di lavoro altrettanto disinibita e appariscente, crea un prevedibile notevole scompiglio ... bisogna tener presente che siamo negli anni del dopoguerra dell’abbastanza puritano Giappone
Un divertente svago di un’ora e mezza circa.
IMDb 6,7

 

180 “Il compleanno” (Akira Kurosawa, Jap, 1993) tit. or. “Maadadayo” * con Tatsuo Matsumura, Hisashi Igawa, George Tokoro * IMDb 7,5 RT 87%
Ultimo della serie di 5 film diretti da Kurosawa (una trentina di lungometraggi diretti fra il 1943 e il 1993) che non avevo ancora visto e che ho recuperato, ultimo dei suoi 32, uscito 5 anni prima di morire.
Il regista conclude così la sua lunga carriera con un acuto (seppur non perfetto) tornando allo stile classico, con una storia che si svolge per lo più nel durante e immediatamente dopo la guerra e solo la conclusione quasi 20 anni dopo, in un ambiente famigliare degno di Ozu, con una ottima descrizione del personaggio principale, il professor Hyakken Uchida, letteralmente adorato dai suoi vecchi studenti. Notevoli sono le interpretazioni, non solo di Tatsuo Matsumura (il professore) e Hisashi Igawa (la devota moglie), ma anche degli studenti, del dottore di famiglia e del monaco. Il makeup necessario per invecchiare o ringiovanire i protagonisti non è tuttavia un granché.
Nel complesso, un film piacevole, molto ben realizzato, tendente al sentimentale sia per il continuo affetto dimostrato dagli studenti (e dei loro “discendenti”) nei confronti del professore (dalla lacrima facile), per l’affetto di quest’ultimo nei confronti di Nora (il gatto randagio da lui adottato), per il suo ironico rapporto di sfida con la morte che lo fa sembrare quasi un testamento/messaggio di Kurosawa.
A tal proposito, sappiate che il titolo è una contrazione della risposta data agli studenti all’inizio dei convivi per celebrare il compleanno del professore che nell’occasione tracanna un grande rituale bicchiere di birra. Loro chiedono in coro "Mada kai?" ("Sei pronto?") e lui risponde "Mada dayo!" ("Non ancora!"),
Da non perdere, a prescindere dal fatto di conoscere o meno i precedenti lavori di Kurosawa.

 

179 “Dodesukaden” (Akira Kurosawa, Jap, 1970) * con Yoshitaka Zushi, Kin Sugai, Toshiyuki Tonomura
La sceneggiatura (alla quale collaborò lo stesso Kurosawa) è un intreccio di storie tratte da un romanzo di Shûgorô Yamamoto. Si svolgono in un ambiente estremamente degradato e povero ai margini della città, fra macerie e rifiuti. Ho trovato i personaggi descritti in modo non convincente, fra il caricaturale e il surreale ... molto lontano dal realismo con il quale tanti altri hanno “usato” ambienti simili, da Pasolini a Buñuel, da Ghobadi a Walker.
Per me molto deludente, con colori troppo manomessi, storie non convincenti, protagonisti labilmente connessi fra loro.
Dodesukaden appartiene chiaramente alla maturità di Kurosawa (all’epoca 60enne) ed è il secondo di una serie di film che curiosamente il regista diresse (con alterne fortune, in vari casi ben diversi dal suo stile “classico”) ogni 5 anni, non so se per scelta, contratto o per puro caso, dal ’65 al ’90.
Questo fu preceduto da Barbarossa (1965) e seguito da Dersu Uzala (1975), Kagemusha (1980), Ran (1985), Sogni (1990, l’altro flop).
Si deve comunque ricordare che questo film fu incluso fra i 5 candidati all’Oscar 1972 come miglior pellicola non in lingua inglese.
IMDb 7,4 RT 63%

 

178 “The Idiot” (Akira Kurosawa, Jap, 1951) tit. or. “Hakuchi”, tit. it. "L'idiota" * con Setsuko Hara, Masayuki Mori, Toshirô Mifune
Come qualcuno avrà già immaginato, si tratta di uno dei tanti adattamenti di classici europei operato da Kurosawa, che successivamente diverrà famoso soprattutto per trasportare in Giappone vari drammi Shakespeariani.
Chiaramente, l’ambiente completamente diverso non permette una fedele narrazione degli eventi, ma certo non era questo l’intento del regista giapponese. In questo caso il protagonista è Masayuki Mori (Kameda, l’omologo del principe Myškin) e non il solito Toshirô Mifune che invece interpreta il suo amico Akama, mentre l’onnipresente Takashi Shimura (261 film in 47 anni) compare stavolta in un ruolo secondario. Le due prime donne sono interpretate dalla musa di Ozu Setsuko Hara, (Taeko Nasu = Natascia) contrapposta alla giovane, cocciuta e combattiva Yoshiko Kuga (Ayako = Aglaja).
Sapendo di che si tratta, è inutile sottolineare che il film risulta un po’ “pesante e deprimente”, sia per la lunghezza (2h46’) sia per tutti i macchiavellismi e cambiamenti di umore di Taeko Nasu ed Ayako che avrebbero spazientito perfino il più tranquillo degli uomini e solo “l’idiota” Kameda sembra esserne più o meno immune.
Film adatto agli amanti dei classici ed in particolare a chi ha letto il romanzo originale che avrà modo di notare (apprezzandoli o meno) tutti gli adattamenti dei personaggi e degli eventi nel passaggio dalla Russia di metà ‘800 al Giappone contemporaneo del dopoguerra.
IMDb 7,3 RT 86%

 

177 “Scandal” (Akira Kurosawa, Jap, 1950) tit. or. “Shûbun” * con Toshirô Mifune, Takashi Shimura, Shirley Yamaguchi, Yôko Katsuragi
Kurosawa ripropone la coppia Toshirô Mifune, Takashi Shimura in questa commedia drammatica, quanto mai attuale. Come suggerito dal titolo, si tratta di uno scoop (non vero) di una presunta relazione fra una famosa cantante e un noto pittore che, per puro caso, si incontrano in un paesino di montagna e vengono fotografati insieme sul balcone di un alberghetto. I due decideono di far causa all’editore della rivista, ma la cosa si si complica ulterioremente a causa dell’intervento di un “azzeccagarbugli” interpretato da Takashi Shimura.
Ancora una volta, si nota il gran cambiamento dei modi di vita giapponesi, già “corrotti” dagli stili americani. Siamo in periodo natalizio e Toshiro Mifune porta un albero di Natale sulla sua moto mentre nell’aria si diffondono le note di “Silent Night, Holy Night” e “Jingle Bells”.
Film poco noto, ma di ottima fattura.
IMDb 8,0 RT 96%

 

176 “Drunken Angel” (Akira Kurosawa, Jap, 1948) tit. or. “Yoidore tenshi”, tit. it. “L’angelo ubriaco” * con Takashi Shimura, Toshirô Mifune, Reizaburô Yamamoto
Interessante noir drammatico che ruota attorno allo strano rapporto di eterna sfida fra un dottore alcolizzato (Takashi Shimura) ed un gangster malato di tubercolosi (Toshirô Mifune). Al margine degli scontri fra i due ci sono ovviamente donne e vari altri malviventi.
Il film scorre fluido, con numerose svolte e sorprese, e quasi non ha momenti di pausa. Forse, solo la scena nella quale i due gangster si affrontano è tirata un po’ per le lunghe e appare troppo drammatizzata.
Nel complesso, un altro ottimo lavoro di Kurosawa che, oltre ai succitati Shimura e Mifune, dirige alla perfezione anche le varie attrici e i tati caratteristi.
IMDb 7,8 RT 100%

 

175 “Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera” (Kim Ki-duk, Kor, 1996) tit. or. “Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom” * con Ki-duk Kim, Yeong-su Oh, Jong-ho Kim  *  IMDb 8,1 RT 94%
Film senza dubbio girato con eccellente gusto in un ambiente spettacolare, in ogni stagione ..., e ciò vale sia per la casa galleggiante (ma non si pensi ad una houseboat), sia per lo specchio d’acqua sul quale si sposta lentamente mossa dal vento, sia per i boschi e ruscelli dei dintorni. La trama si sviluppa non solo nelle stagioni, ma anche in periodi della vita del protagonista molto differenti, a distanza di almeno una decina di anni l’una dall’altra. Di conseguenza, il protagonista viene proposto e “analizzato” attraverso pochi eventi, temporalmente ben distinti fra loro, e quindi rimane solo un abbozzo.
Sono certo che, sapendo cogliere tutti i particolari inseriti in ciascuna scena da Kim Ki-duk (regista e interprete), si otterrebbe una lettura molto più profonda e completa ma, se non si è esperti di buddismo e di simbologia orientale in genere, inevitabilmente si perdono tanti contenuti. I disegni e gli intagli su legno (per lo più animali) hanno sicuramente un proprio significato, la lunga scritta in ideogrammi che il maestro scrive sulla piattaforma davanti alla casa avrà certo una sua lettura, molte azioni sono parte di un rituale.
Non essendo tutto ciò facilmente comprensibile dalla stragrande maggioranza degli occidentali, penso che le sperticate lodi siano eccessive e non giustificate da una semplicistica lettura dell’essenza dell’isola, delle stagioni astronomiche assimiliate alle stagioni della vita, delle porte non contornate da pareti, dell’acqua che sgorga continuamente su una zattera ...
Anche la continuità lascia molto a desiderare, con la barca mossa in direzioni incongruenti, vento e calma piatta che si alternano in semplici campo e controcampo, i protagonisti che spesso appaiono in modo misterioso, e via discorrendo.
In conclusione, il film è una goduria per gli occhi ma in quanto a logica e comunicazione lascia molto a desiderare.

 

174 “Sling Blade” (Billy Bob Thornton, USA, 1996) tit. or. “Lama tagliente” * con Billy Bob Thornton, Dwight Yoakam, J.T. Walsh
Film tutto di Billy Bob Thornton ... regista, autore del dramma originale e dell’adattamento per il cinema, protagonista. Nel 1997 vinse l’Oscar per la sceneggiatura e ottenne la Nomination come miglior attore protagonista.
La scena di apertura mi è tanto sembrato un omaggio a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (Milos Forman, 1975, 5 Oscar) ma, stranamente, non ho trovato tali riferimenti fra le “Connections” su IMDb ... comunque per me è inequivocabile, non solo per l’ambiente, ma anche per l’aspetto fisico di vari “ospiti” e delle loro capigliature.
Il protagonista, dopo un lungo soggiorno in un “manicomio criminale” (si può chiamare anche in altri modi, ma questa è l’essenza), torna nella sua cittadina di origine nella quale quasi nessuno lo ricorda e, praticamente, non ha legami familiari. Ciononostante, quasi nessuno fa domande e viene accettato nella comunità, cosa molto strana se non incredibile in un paesino dell’Arkansas.
Dopo appena una mezz’ora, la conclusione è già facilmente prevedibile si deve solo avere la pazienza di aspettare un’altra oretta.
I personaggi, per quanto ben interpretati, sono poco plausibili, e l’atteggiamento del protagonista (per quanto limitato dai suoi problemi psichici) è ingiustificatamente troppo monotono durante tutto il film.
Forse anche in questo caso, come in vari altri ultimamente, mi sono fatto prendere troppo dalle sperticate recensioni di molti e ho affrontato il film con aspettative troppo alte, ottenendo una relativa delusione.
Certamente sopra la media, ma di sicuro non è ilcapolavoro descritto da molti.
IMDb 8,0 RT 96%  *  Billy Bob Thornton vinse l’Oscar per la sceneggiatura e ottenne la Nominaton come protagonista

 

173 “Ed Wood” (Tim Burton, USA, 1994) * con Johnny Depp, Martin Landau, Sarah Jessica Parker, Patricia Arquette

IMDb 7,9 RT 92%  *  2 Oscar: a Bela Lugosi come miglior attore non protagonista e per il make-up.

Un poco al di sotto delle aspettative ... penso che Johnny Depp nel ruolo del protagonista sia stata una scelta infelice ... non è “La fabbrica di cioccolato” né un film della serie “Pirati dei Caraibi” nei quali può andare avanti fra smorfie e sorrisetti. Al contrario, Martin Landau riesce a dar vita ad un Bela Lugosi eccezionale ottenendo con questa interpretazione l’Oscar come miglior attore non protagonista. Al di là della sua palese bravura, imitando perfino la sua particolare parlata alla perfezione (che ovviamente è possibile notare solo nella versione originale e a patto di aver visto anche vari film di Lugosi in originale) è stato aiutato anche da un ottimo lavoro di makeup (altro Oscar per il film). Anche il mitico Tor Johnson è "replicato" in maniera esemplare da un altro ex-wrestler: George 'The Animal' Steele.
In particolare chi ricorda “Glen or Glenda” e “Bride of the Monster” può riconoscere e apprezzare varie scene di detti film, ricostruite con grande cura e attenzione ai particolari. Quasi come ha fatto James Franco l’anno scorso proponendo con “The Disaster Artist” un personaggio molto simile a quello di Ed Wood, l’attore-autore-produttore-regista Tommy Wiseau, talmente incapace da avere una notevole fama con il suo (per fortuna) unico film “The Room” (2003).
In un film come questo, con molte scene ambientate in uffici di produzione, studios e “ambienti cinefili”, i riferimenti, le citazioni e i poster messi in bella mostra sullo sfondo, non si contano. Una buona conoscenza del cinema d’epoca e la visione preventiva dei film originali diretti da Ed Wood aiutano certamente a cogliere dettagli che ad altri che ad altri sfuggono.
Nel complesso un buon film, anche se un po’ sopravvalutato.

 

172 “The Story of the Last Chrysanthemum” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1939) tit. or. “Zangiku monogatari”, tit. it. “La storia dell'ultimo crisantemo” * con Shôtarô Hanayagi, Kôkichi Takada, Ryôtarô Kawanami
Ho trovato un po’ lunghe le parti teatrali inserite verso la fine, a prescindere dal capirci molto poco. Infatti solo chi ha conoscenza del teatro classico giapponese avrebbe potuto comprendere il senso ed eventuale importanza delle rappresentazioni, soprattutto in mancanza di sottotitoli per le scene sul palcoscenico.
Tutto il resto è un ottimo dramma, adattato dal romanzo di Shôfû Muramatsu, filmato da Mizoguchi con la sua solita maestria e molto ben interpretato. Si tirano in ballo relazioni umane, da quelle gerarchiche familiari alla difesa dell’onore del nome, dalla difesa delle “apparenze” all’amore disinteressato, alle mire di successo professionale.
Tanti sono gli ottimi piani sequenza, quasi un marchio di fabbrica di Mizoguchi, e ad essi si aggiungono le scene interne, nei quali il regista riesce abilmente a creare profondità di campo anche ambienti ridotti, scegliendo opportuni angoli di ripresa e sfruttando la peculiare struttura degli interni delle case giapponesi. Aprendo opportunamente pannelli scorrevoli o inquadrando d'infilata ripide scale riesce a creare inquadrature che rasentano la perfezione. La sua abilità risalta anche nelle riprese teatrali, nelle quali propone scenografie mobili, a profondità successive.
Ennesimo gran bel film di Mizoguchi.
IMDb 7,9 RT 92%

 

171 “Cruel Story of Youth” (Nagisa Oshima, Jap, 1960) tit. or. “Seishun Zankoku Monogatari” tit. it. "Racconto crudele della giovinezza" * con Miyuki Kuwano, Yûsuke Kawazu, Yoshiko Kuga  *  IMDb 7,0
Strano film questo secondo lungometraggio (quasi il primo in quanto il precedente era di appena un’ora) del giapponese Nagisa Oshima, che poi sarebbe diventato uno dei registi più rappresentativi della New Wave nipponica, insieme con like Yoshida, Imamura e Shinoda.
Staccandosi dagli schemi preferiti dai grandi maestri (Ozu, Kurosawa, Mizoguchi) si occupa con stile originale della gioventù ribelle giapponese, di quelli nati o cresciuti nel pieno della guerra e condizionati forse più dalla cultura dei vincitori (americani, all’epoca ancora su suolo nipponico) che dalla loro tradizionale. Sono ribelli, non rispettano quasi niente e nessuno, a cominciare dalla famiglia, e trasgrediscono in ogni modo possibile ... cacciandosi ovviamente nei guai. Non è un film eccezionale, ma comunque più che buono ed interessante se correttamente inquadrato nel momento storico.
Non dimentichiamo che nel ’60 in Europa la Nouvelle Vague francese era pressoché al suo culmine di notorietà

 

170 “Audition” (Takashi Miike, Jap, 1999) tit. or. “Ôdishon” * con Ryo Ishibashi, Eihi Shiina, Tetsu Sawaki  *  IMDb 7,2 RT 81%
Non conoscendo lo stile del regista Miike e non sapendo quasi niente della trama, per me Audition è iniziato come una commedia romantica che ben presto si è orientata verso il mistery, per poi passare al thriller e concludersi come un horror.
Film ben realizzato anche se ho letto che chi conosceva i precedenti lavori del regista si lamenta per non aver visto niente di nuovo, chi si aspettava un horror è rimasto deluso dal fatto di dover aspettare l’ultima mezz’ora per vedere il terrore negli occhi del protagonista.
Non avendo aspettative ed essendo all’oscuro di tutto sembra quindi che ne abbia tratto vantaggio.
Pur apprezzando in gran parte lo stile e la sceneggiatura, devo dire che a partire dal punto di svolta, a due terzi della durata, il film diventa di non facile lettura, piombando in un eccessivo caos spazio-temporale.
Ho letto che Quentin Tarantino lo pone nella top list degli horror e, se si considera che solo l’ultima parte può essere classificata di quel genere, è un gran complimento.
Interessante lavoro, merita una visione
 

169 “Tampopo” (Jûzô Itami, Jap, 1985) * con Ken Watanabe, Tsutomu Yamazaki, Nobuko Miyamoto  *  IMDb 7,9 RT 100%
Cinema e cibo ... ottimamente combinati in una commedia raffinata, con tante brevi storie intercalate alla trama principale, spesso completamente avulse, ma sempre con il comune denominatore del “buon mangiare” ... fino alla geniale scena finale (muta) sulla quale scorrono i titoli di coda. Gli amanti della tavola si potranno fare una cultura in merito ad un piatto base della cucina orientale e prendere spunto per tante possibile varianti adattate agli ingredienti tipici mediterranei.
Buon ritmo, personaggi peculiari ben pensati e ben interpretati, sceneggiatura varia e piena di sorprese, fanno di questo film un gioiellino leggero, un ottimo passatempo di qualità ben diverso dal “solito cinema giapponese” ... almeno dal cliché dell’immaginario collettivo.
Consigliato.

 

167 “Vengeance is Mine” (Shôhei Imamura, Jap, 1979) tit. or. “Fukushû suru wa ware ni ari”, tit. it. “La vendetta è mia” * con Ken Ogata, Rentarô Mikuni, Chôchô Miyako * IMDb 7,9 RT 100%
168 “La Ballata di Narayama” (Shôhei Imamura, Jap, 1983) tit. or. “Narayama bushikô” * con Ken Ogata, Sumiko Sakamoto, Tonpei Hidari* IMDb 7,9 RT 100% * Palma d’Oro a Cannes
Questi due film di Imamura mi hanno lasciato un po’ con l’amaro in bocca, anche se per motivi differenti, considerato che sono fra i suoi più noti e acclamati. Dopo aver guardato in ordine non cronologico Erogotoshi-tachi yori: Jinruigaku nyûmon (The Pornographer, Introduzione all'antropologia, 1966) e Kuroi Ame (Black Rain - Pioggia nera, 1989) e “Pigs and Battleships” (1961), tutti molto apprezzati, mi aspettavo qualcosa di più.
A quasi 20 anni di distanza da “Pigs and Battleships” e 4 anni prima di affermarsi a livello internazionale con “La Ballata di Narayama”, Shôhei Imamura dirige “Vengeance is Mine”, molto vicino ad essere un biopic di un famoso serial killer giapponese degli anni ’60 che fu braccato per quasi tre mesi su tutto il territorio nipponico. Ho scritto “quasi” in quanto della sua infanzia e degli anni precedenti ai suoi crimini sono proposte solo poche scene che, ovviamente, non riescono a caratterizzare a dovere il personaggio e tantomeno a giustificarne le azioni. Ne scaturisce quindi una cronaca precisa, fredda (come l’assassino), certamente ben realizzata ma poco coinvolgente.
In Narayama mi ha invece lasciato perplesso il poco equilibrio del film nel suo complesso. Parti eccellenti (come l’ultima mezz’ora) si alternano ad altre meno interessanti e, tutto sommato, ripetitive. I drammi personali si alternano a quelli sociali nel piccolo villaggio di montagna, nel quale sopravvivere è molto difficile e quindi, per tradizione, si ricorre all’eliminazione fisica dagli anziani che raggiungono i 70 anni.
Ottima la fotografia di Masao Tochizawa che si è cimentato, con successo, in campi molto differenti, vale a dire gli esterni raramente assolati, spesso brumosi, gli interni molto scuri con luce quasi esclusivamente naturale e brevi scene, quasi macro, di animali selvatici, dai serpenti ai roditori, in eterna lotta fra loro, e ai tanti uccelli di caratteristiche e dimensioni molto diverse.
Questo film drammatico è basato sul romanzo omonimo di Shichirô Fukazawa ed è un remake in quanto la stessa storia era già stata portata sullo schermo nel 1958 da Keisuke Kinoshita, anche questo molto ben accolto dalla critica.
Imamura conferma il suo interesse per i personaggi al limite della società “civile”, ben diversi dai medioborghesi protagonisti della maggior parte dei film del suo primo maestro Ozu e in qualche modo mi riporta alla mente il messicano Arturo Ripstein, con i suoi emarginati e/o discriminati.
Scorrendo la filmografia di Imamura, mi è venuta voglia ora di recuperare un altro suo vecchio film, Hateshinaki yokubô (1958, Endless desire - Desiderio inappagato) una black comedy che spero sia dello stesso livello di “Pigs and Battleships” (1961).

 

166 Funeral Parade of Roses (Toshio Matsumoto, Jap, 1969) tit. or. Bara no sôretsu * con Pîtâ, Osamu Ogasawara, Yoshimi Jô  *  IMDb 8,2 RT 86%

Recensione nel post su Discettazioni Erranti

 

165 “Pale Flower” (Masashiro Shinoda, Jap, 1964) tit. or. “Kawaita hana”, tit. it. “Fiore secco” * con Ryô Ikebe, Mariko Kaga, Takashi Fujiki  * IMDb 7,8 RT 86%
Guardando in ordine cronologico i film che non avevo ancora visto (o visti tantissimo tempo fa) dei 30 film consigliati dal sito
mubi.com, sono evidenti i cambiamenti di temi intervenuti nel ventennio fra l’immediato dopoguerra agli anni ‘60 e di stile che man mano cominciava ad adattarsi, o almeno a prendere spunti, dal cinema americano e poi la Nouvelle Vague francese.
Questo noir di (poca) azione e tanto gioco d’azzardo, mistero e storie d’amore (una quasi platonica e l’altra quasi ossessiva) si sviluppa al margine dell’ambiente yakuza in piena competizione fra tre famiglie.
Molto ben filmato, con tante inquadrature precise di volti illuminati in primo piano e altri più scuri sullo sfondo, spesso con pochissimaa profondità di campo, corse in auto sportive lungo strade semideserte, lunghe partite di giochi classici giapponesi di “carte” decorate con bei disegni.
Anche in questo film si sentono in sottofondo le note di “‘O sole mio” o della sua versione americana “Or Now or Never”, resa famosa da Elvis Presley.
Pregevole noir con un bel finale (nel complesso) e ottima scena conclusiva.
Più che consigliato.
 

164 “Pigs and battleships” (Shôhei Imamura, Jap, 1961) tit. or. “Buta to gunkan”, tit. it. “Porci, geishe e marinai” (solita traduzione fantasiosa) * con Hiroyuki Nagato, Jitsuko Yoshimura, Masao Mishima  *  IMDb 7,6
Imamura iniziò la sua carriera cinematografica come assistente di Ozu, ma ben presto si mise in evidenza con il suo personalissimo stile, assolutamente distante da quello del suo maestro ... quasi agli antipodi.
Uscito poco dopo “Good For Nothing” (Yoshishige Yoshida, Jap, 1960, tit. or. “Rokudenashi “) anche in “Buta to gunkan” appare evidente l’influenza della Nouvelle Vague francese.
Questa commedia negra, tragica, a tratti surreale, è apertamente critica sia nei confronti delle forze di occupazione americane sia dei giapponesi che si adeguano alla loro cultura e tentano di trarre profitto dalla situazione. Una miriade di personaggi equivoci si affrontano, si alleano e si tradiscono nei modi classici di quel microcosmo che spesso si viene a creare alla fine delle guerre, dove le attività più lucrative, e quindi più praticate, sono la prostituzione, il furto, il gioco, la truffa, il mercato nero.
La vorticosa storia ruota attorno allo sprovveduto piccolo delinquente Kinta e la sua (più o meno) ragazza Haruko, più intraprendente ma anche più sprovveduta. Chiaramente, fra litigi e piani per il futuro si troveranno più volte nei guai, di vario genere intrecciando le loro storie personali e familiari con marinai in libera uscita, ragazze a caccia di soldi facili, manager del mercato nero e protettori, rappresentanti del governo americano ed esponenti del yakuza. I rapporti fra queste due ultime categorie sembra essere molto simile alla situazione del sud Italia a partire dal 1943, quando le forze americane facevano lauti affari con mafia e camorra che, di conseguenza godevano della quasi assoluta impunità.
Film vivace, a tratti frenetico, con punti di ripresa spesso originali, girato in 2.35 : 1, con aspetti macabri e divertenti senza dubbio creativi, assolutamente contrastante con lo stile classico dei vari Ozu, Kurosawa, Naruse, Mizoguchi.
Questa innovazione non fu molto gradita alla casa di produzione che mise da parte Imamura per 3 anni.
A mio parere è un film da non perdere, icona dei fermenti giapponesi alla fine del periodo di stretto controllo americano che in pochi anni cambiò radicalmente molti aspetti della vita giapponese.
PS - in un paio di scene (vedi ultima foto) i panni stesi sembrano essere un omaggio al suo maestro Ozu ...

 

163 “Nubi fluttuanti” (Mikio Naruse, Jap, 1955) tit. or. “Ukigumo” * con Hideko Takamine, Masayuki Mori, Mariko Okada  * IMDb 7,8

La vita del fiore è molto breve, con tutto ciò soffre molto
Questa è l’aforisma con il quale si conclude il film e la drammatica storia dei due amanti protagonisti del film che tentano di riorganizzare la propria vita nei duri anni del dopoguerra. Una storia spezzettata, fatta di tanti incontri, abbandoni e soprattutto innumerevoli lampanti bugie da parte di lui. Ciononostante la protagonista Yukiko (interpretata dalla famosa e brava Hideko Takamine, 177 film al suo attivo) finge di credergli, gli dà nuove possibilità, lo tenta in ogni modo.
Drammatico al punto giusto, talvolta un po’ stucchevole per l’apparente incapacità della donna di affrontare la realtà.
Oltre alla regia di Naruse e la fotografia di Masao Tamai, si fa notare l’ottima e varia colonna sonora di Ichiro Saito, in molti casi arabeggiante, in altre mi ha ricordato le melanconiche melodie di Shigeru Umebayashi in “In the Mood for Love” (Kar Wai Wong, 2000).
Giustamente inserito fra i migliori film giapponesi degli anni ’50.

 

162 “The Crucified Lovers” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1954) tit. or. “Chikamatsu monogatari”, tit. it. “Gli amanti crocifissi” * con Kazuo Hasegawa, Kyôko Kagawa, Eitarô Shindô
Storia molto datata, completamente calata nella mentalità giapponese di vari secoli prima, quando gli adulteri - anche se di famiglia ricca o potente - venivano condannati alla pubblica crocifissione. La sceneggiatura è adattata da un dramma di Monzaemon Chikamatsu, dal quale ovviamente eriva il titolo giapponese del film e ciò, probabilmente, ha limitato le scelte di Mizoguchi che, si dice, non fu molto contento del risultato.
Tutto deve essere preso quindi nella giusta considerazione ed è difficile rapportarlo a realtà moderne se non a quelle di alcuni paesi integralisti. Fotografia e regia molto curate, buone interpretazioni, interessanti ambientazioni sia nelle grandi e ricche stanze della residenza di Ishun, sia nella sua stamperia che forniva calendari e altro alla corte dell’Imperatore.
In più parti molto scontato ed in generale meno avvincente di tanti altri film giapponesi dell’epoca, seppur tecnicamente impeccabile.
IMDb 8,1

 

161 “Ikiru” (Akira Kurosawa, Jap, 1952) tit. it. “Vivere” * con Takashi Shimura, Nobuo Kaneko, Shin'ichi Himori  *  IMDb 8,3 RT 100% * Nomination BAFTA per Takashi Shimura, Premio speciale e Nomination Orso d’Oro a Berlino per Kurosawa  *  al 125° posto nella classifica dei migliori film di tutti i tempi su IMDb
Altro gran bel film giapponese, grazie al maestro Kurosawa (in questo caso anche co-sceneggiatore) e ad un ottima interpretazione di Takashi Shimura. Un film estremamente attuale nonostante i suoi oltre 65 anni, che combina temi fondamentali come malattia e morte (prevista) e responsabilità dei lavoratori del settore pubblico. Delicato, tragico e ottimista allo stesso tempo. Nonostante una partenza relativamente lenta, ma forse indispensabile, Kurosawa costruisce un film che rasenta la perfezione, con inquadrature mai casuali, composizioni eccellenti di più volti su piani differenti, tanti primi piani espressivi, lunghe scene che si svolgono nel silenzio quasi assoluto.
Un film estremamente “giapponese”, soprattutto nel senso dei rapporti interpersonali, del rispetto dei ruoli, della classica cerimonialità nipponica.
La perfetta analisi della macchina burocratica, dei suoi limiti, dei suoi malfunzionamenti, delle sue situazioni kafkiane, dell’eterno scaricabarile per evitare qualsiasi responsabilità sembra essere quella che tanti cittadini fanno della situazione odierna, ma in questo caso giunge l’elemento scatenante che farà cambiare profondamente il protagonista Watanabe, funzionario degli Affari Pubblici, interpretato da Takashi Shimura. Questi dovrà suo malgrado rivedere e riconsiderare sia i suoi rapporti affettivi (familiari e non) sia quelli con i suoi colleghi di lavoro e con i suoi superiori, nonché quelli con i cittadini.
NB - Nel caso lo cerchiate, attenti a non confonderlo con “Vivere!” (Yimou Zhang, HK, 1994, tit. or. “Huo zhe”) che, comunque, è di ottima qualità.

 

160 “Stray Dog” (Akira Kurosawa, Jap, 1949) tit. or. “Nora inu”, tit. it. “Cane randagio” * con Toshirô Mifune, Takashi Shimura, Keiko Awaji * IMDb 7,9 RT 95%
Dopo “High and Low” (1963), eccomi ad un altro poliziesco diretto da Kurosawa una dozzina di anni prima, e stavolta dal punto di vista di un detective e non di una vittima. Rigoroso, perfettamente filmato, con un gran uso di doppie esposizioni nel descrivere la città nella quale si aggira Toshirô Mifune, alla ricerca della sua pistola. Con il suo capo (interpretato da Takashi Shimura) il poliziotto Murakami avrà non poche difficoltà nell’individuare chi ne è in possesso e la sta usando per commettere crimini.
Un noir in piena regola, genere molto apprezzato in quegli anni in quasi tutto il mondo (quindi non solo USA, ma anche Francia e Messico per citare le cinematografie che hanno prodotto i migliori lavori), descrittivo al punto giusto dell’ambiente del dopoguerra in Giappone, ma certamente ben lontano dalle tranquille, anche se talvolta drammatiche, scene famigliari di Ozu.
Ottimo film con una esemplare fotografia in bianco e nero, merita senz’altro una attenta visione.

 

159 “The Night of the Iguana” (John Huston, USA, 1964) tit. it. “La notte dell’iguana”* con Richard Burton, Ava Gardner, Deborah Kerr, Sue Lyon, Grayson Hall

IMDb 7,8 RT 71% * Oscar costumi, Nomination Oscar a Grayson Hall non protagonista, fotografia Gabriel Figueroa, scenografia
Ufficialmente classificato come film drammatico, contiene anche tanta commedia anche se i protagonisti erano, purtroppo, personaggi abbastanza reali. La sceneggiatura è un adattamento dell‘omonimo lavoro teatrale (1961) di Tennessee Williams, adattato dalla sua stessa short story del 1948. Come dicevo, personaggi al limite del credibile ma reali, al margine del bigottismo e della perversione, fra adolescenti troppo precoci, religiosi vittime delle tentazioni, donne libere e spregiudicate simbolo dei tempi che cambia(va)no, il tutto in un ambiente mitico (per gli americani) come il Messico.
Un ottimo cast impersona questo piccolo gruppo di persone molto peculiari che si scontrano e si alleano a seconda del momento. Burton e le tre signore Gardner, Kerr e Hall offrono performance di gran livello, con la giovane e inesperta (e per questo giustificatamente un gradino più in basso) Sue Lyon che resta troppo legata al personaggio che le diede fama al suo esordio nel mondo del cinema ... la Lolita di Stanley Kubrick (1962).
Un film secondo me un po’ sottovalutato, che regge perfettamente grazie alla combinazione fra un regista di esperienza come Huston, un’ottima sceneggiatura di un genio come Williams, il suddetto cast che fa faville e, non da ultima, la fotografia in bianco e nero affidata al grande Gabriel Figueroa, apprezzatissimo cineasta messicano che fra i suoi oltre 200 lavori annovera tanti film diretti da Luis Buñuel (p.e. “Los Olvidados”, “El ángel exterminador”, “Nazarin”) e da Emilio Fernández “el Indio”.
Da goderselo con calma e attenzione ... quasi indispensabile la versione originale.

 

158 “Ultimo tango a Parigi” (Bernardo Bertolucci, Ita, 1972) * con Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud  *  IMDb 7,1 RT 80%
L’ho sempre reputato molto sopravvalutato e anche dopo questa ulteriore visione, a quasi 50 anni dalla prima uscita, resto dell’opinione che grandissima parte del suo successo derivi dallo “scandalo” che suscitò nei primi anni di diffusione, con censure, sequestri, tagli, processi, condanna al rogo ...
Le stesse due Nomination Oscar (Bertolucci per la regia e Brando protagonista) arrivarono solo nel 1974, dopo il “gran polverone”.
Il film servì soprattutto a Bertolucci per affermarsi definitivamente all’estero, dopo la Nomination ottenuta per la sceneggiatura (adattamento del romanzo di Moravia) de “Il conformista”, 1970, del quale fu anche regista. Il protagonista era Jean-Louis Trintignant, il quale collaborò poi ai dialoghi di “Ultimo tango ...” insieme con la regista belga Agnès Varda anche se la maggior parte della sceneggiatura fu scritta di proprio pugno da Bertolucci.
Ed è proprio la sceneggiatura, secondo me molto pretestuosa, la palla al piede del film che, d’altro canto, ha i suoi pregi nell’ottima fotografia del solito Vittorio Storaro, nel commento musicale di Gato Barbieri ed in molte riprese esterne nelle quali Bertolucci si “diverte” a comporre inquadrature a più livelli sfruttando ponti, passaggi pedonali e stazioni della metro parigina.
Oltre alla poca plausibilità della storia nel complesso (almeno per come viene proposta) e dei dialoghi senza senso, anche se in più occasioni vorrebbero apparire “profondi”, i personaggi e relative situazioni di contorno non contribuiscono a migliorare il quadro generale (p.e. la portiera e l’aspirante regista).
A tutto ciò si aggiunga il cambiato “senso del pudore” che quindi non fa più vedere questo film come “merce rara” e provocativa.
Da guardare per “curiosità” cercando di inquadrarlo negli anni ’70, cosa che forse molti hanno già fatto o faranno a seguito del recente ennesimo re-relaese della versione (in 4k) restaurata dalla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, che all’epoca del “rogo” ebbe in custodia alcune copie come “corpo del reato”!

 

157 “The Departed” (Martin Scorsese, USA, 2006) tit. it. “Il bene e il male” * con Leonardo DiCaprio, Matt Damon, Jack Nicholson
4 Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio), Nomination per Mark Wahlberg (non protagonista)
Di ben diverso livello rispetto all’altro film con DiCaprio visto ieri (“J. Edgar”, di Clint Eastwood, USA, 2011) è questo thriller difficile da definire per situarsi fra il classico poliziesco, il mafioso (in senso lato) e il dramma psicologico. Seguendo gli avvenimenti gli spettatori, e in parte i protagonisti, si trovano a dover dubitare di tutto e di tutti, fra tanti colpi di scena e rivelazioni, tensione alle stelle, morti violente e messaggi in codice.
Il cast è di tutto rispetto, non solo per i tre protagonisti principali, ma anche per i tanti altri attori “di contorno” fra i quali si distinguono Mark Wahlberg (Nomination Oscar), Martin Sheen e Alec Baldwin.
La trama si dipana velocemente e non lascia un attimo di respiro, mostrando vite parallele e “incroci” molto pericolosi.
La sceneggiatura, ottima ma con qualche superficialità poco credibile nell’ambiente poliziesco/mafioso, è in effetti un adattamento di quella di “Mou gaan dou” (di Wai-Keung Lau e Alan Mak, con Andy Lau, Hong Kong, 2002).
Un film da guardare e ri-guardare; pur essendo un thriller, il fatto di conoscerne l’epilogo non disturba più di tanto ... forse è addirittura un vantaggio per gli spettatori attenti che sapranno cogliere dettagli e indizi che forse gli sono precedentemente sfuggiti.
RT 93% IMDb 8,5 * Per la cronaca, e per quanto possa valere, attualmente “The Departed” si trova al 42° posto nella classifica dei migliori film di tutti i tempi su IMDb e al 248° c’è “Mou gaan dou” (tit. internazionale ed italiano “Infernal Affairs” (non è un refuso, è proprio “InFernal”).

 

156 “J. Edgar” (Clint Eastwood, USA, 2011) * con Leonardo DiCaprio, Armie Hammer, Naomi Watts, Judi Dench  *  RT 50% IMDb 6,6

Uno dei film meno riusciti, sicuramente fra i meno apprezzati, di Eastwood che, pur presentando la “carriera” lunga quasi mezzo secolo di uno degli uomini più potenti e temuti degli Stati Uniti in un paio d’ore, mette in luce vari aspetti storicamente interessanti della società americana.
Da molti è considerato il vero fondatore dell’FBI che, seppur già esistente dal 1908, fu da lui profondamente trasformata nella struttura, metodi e fini nel suo primo decennio di direzione (1924-1935) assumendo l’essenza moderna.
Nel film ciò che funziona male è la miscela fra vita privata (anche molto privata) e politica e la lotta di contrasto sia al crimine comune che alle ideologie.
Coprendo un cinquantennio con gli stessi interpreti, ovviamente c’è stato un notevole ricorso al trucco che, strano a dirsi considerato il livello della produzione, è veramente scadente. Chi si salva parzialmente è DiCaprio, anche per la sua bravura, mentre il pessimo make-up fornito ad Armie Hammer riesce solo ad esaltare ulteriormente la sua pressoché totale incapacità.
Clint Eastwood ha fatto molto di meglio in tanti suoi film, anche nel proporci altre “storie vere”, di questo resta quasi esclusivamente l’interesse per quell’ambiguo personaggio che fu J. Edgar Hoover.

 

155 “High and Low” (Akira Kurosawa, Jap, 1963) tit. or. “Tengoku to jigoku”, tit. it. “Anatomia di un rapimento” * con Toshirô Mifune, Yutaka Sada, Tatsuya Nakadai *   IMDb 8,4 RT 94%  *  Nomination Golden Globe come miglior film in lingua non inglese e Nomination Leone d’Oro a Venezia per la regia di Akira Kurosawa
Ottimo poliziesco moderno diretto da Kurosawa con la sua solita maestria, pur essendo un ambiente e un periodo meno usuale per lui, interpretato dal sempre bravo Toshirô Mifune che stavolta, ovviamente, non è un samurai, ma un imprenditore, vittima di un ricatto milionario.
Il coprotagonista (ispettore capo) è interpretato da Tatsuya Nakadai un altro ottimo attore che esordì (uncredited) proprio con Kurosawa in “I 7 Samurai” e prime di questo “High and Low” si era già distinto in “La condizione umana” (Kobayashi, 1959/1961), “Yojimbo” (Kurosawa, 1961), “Sanjuro” (Kurosawa, 1962), “Harakiri” (Kobayashi, 1962). Ha continuato a lavorare, spesso in ruoli principali, con i migliori registi giapponesi fra i quali, oltre ai suddetti, anche Ichikawa e Naruse; molti lo ricorderanno quale protagonista nei più recenti Kagemusha (1980) e Ran (1985), ancora diretto da Kurosawa.
La trama è abbastanza intrecciata e non banale e si dipana fra affari forse onesti ma certamente oltre il limite della deontologia, scambi di persona, indagini accuratissime che vedono impegnate decine di detective. Le 2 ore e venti passano velocemente fra colpi di scena, furbizie dei kidnapper/ricattatori, suspense e pedinamenti. Anche la scelta del sottofondo musicale è singolare e verso la fine si passa da un rumoroso locale da ballo con ritmi moderni ad un’azione di polizia con il sottofondo della musica emessa da una radio a transistor che per circa due minuti (tanto ...) diffonde le inconfondibili note di una versione strumentale di ‘”O sole mio”, interrotta solo da un paio di battute.
Film mai sentito nominare ma fidandomi del regista, del cast e degli ottimi rating, l’ho recuperato e sono rimasto estremamente soddisfatto.

 

154 “When a Woman Ascends the Stairs” (Mikio Naruse, Jap, 1960) tit. or. “Onna ga kaidan wo agaru toki”* con Hideko Takamine, Tatsuya Nakadai, Masayuki Mori * IMDb 8,2 RT 100%
Ottimo film drammatico, ma non certo una tragedia, che sembra non sia mai giunto in Italia, nonostante sia stato giudicato di eccellente fattura quasi unanimemente. La donna del titolo dirige un “bar” di Ginza, una zona di Tokio dove, almeno all’epoca, “non si dormiva mai” ma non era certo un vero quartiere a luci rosse. Infatti molti locali erano veramente solo bar, ristoranti, casa da tè o night dove borghesi più o meno ricchi andavano a passare qualche ora, conversando e bevendo con gentili donzelle in costosi kimono ... senza dopocena che, in ogni caso, non poteva essere esplicitamente menzionato.
Seguendo le vicissitudini economiche, familiari, sociali e sentimentali della protagonista Keiko (Hideko Takamine) si percepisce chiaramente l’essenza di questo tipico ambiente giapponese, sempre molto formale e, quindi, in sostanza un po’ ipocrita. Ogni ragazza che lavora in un bar sogna di averne uno proprio, ovviamente con l’aiuto di uno o più dei ricchi clienti.
Per alcuni versi ricorda molto “Akasen chitai” (“La strada della vergogna”, 1956, di Kenji Mizoguchi) che descriveva un ambiente in parte simile attraverso la storia di 5 donne che, tuttavia, si “concedevano” seppur per diversi motivi ... nobili e meno nobili, all’epoca della presentazione di una proposta di legge che avrebbe bandito la prostituzione.
Anche questo film, sostenuto da regia, sceneggiatura e interpretazioni di ottimo livello, merita senza dubbio un’attenta visione da parte dei veri cinefili.

 

153 - L’arpa birmana (Kon Ichikawa, Jap, 1956) tit. or. “Biruma no tategoto” * con Rentarô Mikuni, Shôji Yasui, Tatsuya Mihashi  *  IMDb  8,1  RT 91%  *  Nomination Oscar film non in lingua inglese, 3 Premi speciali e Nomination Leone d’Oro a Venezia

Recensione nel post su Discettazioni Erranti

 

152 “Slumdog Millionaire” (Danny Boyle, USA, 2008) tit. it. “The millionaire” * con Dev Patel, Freida Pinto, S. Shukla
RT 95% IMDb 8,0  *  8 Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio, montaggio sonoro, musica originale, canzone) e altre 2 Nomination

Alla sua uscita fu acclamato e probabilmente ha meritato molti dei suoi 8 Oscar, ma quell’anno non aveva grandi concorrenti se non “Dark Knight” che, al contrario, fu praticamente snobbato dalla giuria e dei due Oscar uno lo ottenne (postumo) Heath Ledger e l’altro per in montaggio sonoro. Per la cronaca, “Il cavaliere oscuro” è al momento al quarto posto nella classifica di tutti i tempi di IMDb con un eccezionale 9.0.
Nella sua - a tratti - violenza e crudezza, “The millionaire” resta sempre un po’ troppo “ruffiano”, pur alternando gli inevitabili momenti di suspense legati al ricco gioco a quiz a quelli dell’interrogatorio (quasi come quelli dell’inquisizione) e alla parte romantica. “Slumdog Millionaire” è senza dubbio ben realizzato, specialmente nelle parti con i bambini e nelle scene più rapide, spesso “galoppanti” e molto colorate ma, come dicevo, Boyle focalizza la sua attenzione, e quindi quella dello spettatore, solo su determinati stereotipi della vita degli ormai quasi 20 milioni di abitanti di Mumbai (Bombay). Se i bambini riescono ad essere abbastanza credibili, il cast adulto lo è molto meno, a cominciare da Dev Patel che durante e dopo quella sua prima apparizione sul grande schermo, in 10 anni raramente ha cambiato espressione.
Nel complesso, molto piacevole e ben realizzato; merita una visione da chi se lo fosse perso all’uscita.
 

151 “Great Guy” (John G. Blystone, USA, 1936) tit. it. “Pugno di ferro” * con James Cagney, Mae Clarke, James Burke  *  IMDb 6,3
In questo film poco conosciuto James Cagney, già divo di Hollywood e sulla cresta dell’onda, non interpreta il suo solito personaggio di gangster-cattivo-malvivente bensì, passando dall’altro lato, un incorruttibile ispettore antifrode. Breve film d’azione (66 minuti, sullo standard dell’epoca) ben fatto, snello e pieno di colpi di scena, seppur in parte prevedibili.
Affiancano l’ineffabile e sempre bravo Cagney vari caratteristi noti, dai nomi sconosciuti.
Un onesto passatempo, ma certamente non un film memorabile.

Per informazioni generiche, tecniche e recensioni  dei film consiglio di consultare i seguenti siti:

IMDb (Internet Movie Database) : il più completo, la Bibbia del Cinema, con archivio di 3.5mln di titoli e quasi 7mln di nomi (in inglese)

Rotten Tomatoes : meno dati di IMDb, raccoglie soprattutto recensioni in rete, quindi carente su film datati (in inglese, con numerose recensioni in spagnolo)

Film Affinity/es : trovo che sia il più completo per quanto riguarda film spagnoli e dell'AmericaLatina (in spagnolo)

Allo Ciné : sopratutto cinema francese, ma non solo (in francese)

 Upperstall.com  : specializzato in cinema indiano. uno dei più frequentati al mondo fra i siti che si occupano di cinema  (in inglese)

per ricevere o fornire informazioni cinematograiche potete scrivermi a giovis@giovis.com

     

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