351 * “Irma la Douce” (di Billy Wilder,
USA, 1963) tit. it. “Irma la dolce” * con Jack Lemmon, Shirley
MacLaine, Lou Jacobi
Classica commedia americana degli
anni '60, seppur ambientata a Parigi. A Jack Lemmon e Shirley
MacLaine si affianca un ottimo Lou Jacobi nei panni di Moustache, il
barista dal passato dei mille mestieri, nei 5 continenti.
Come purtroppo spesso accade in
questo tipo di commedie, a trovate originali e geniali sono
intercalate scene abbastanza insulse, banali e inutilmente tirate
per le lunghe.
Nel complesso un buon prodotto,
diretto da un gran regista capace di passare con apparente facilità
da un genere all'altro, dai noir al genere bellico, dai drammi alle
commedie (per le quali i più lo ricordano). Questo non è certo uno
dei suoi migliori film.
Curiosità: in questo film esordì (uncredited)
James Caan, che interpreta un soldato americano che entra nell’Hotel
Casanova ascoltando una radio a transistor
IMDb 7,4 RT 86% 1
Oscar
e 2 Nomination
352 “En el ulltimo trago” (di Jack Zagha Kababie, Mex, 2014) aka
“Cinque tequila” * con José Carlos Ruiz, Luis Bayardo, E. Manzano
Post necessariamente più lungo del
solito, vi invito a leggerlo egualmente senza farvi scoraggiare dal
pessimo, fuorviante poster.
Per apprezzare “En el ultimo trago”,
o quanto meno comprenderne il senso, è importante conoscere un po’
l’ambiente messicano ed in particolare la musica tradizionale del
secolo scorso. I protagonisti sono degli ottuagenari (si definiscono
un’anomalia in quanto hanno superato l’aspettativa media di vita)
che per rispettare l’ultimo desiderio di un amico partono da Città
del Messico alla volta di Dolores Hidalgo, Guanajuato, per
consegnare la bozza originale di una canzone scritta di proprio
pugno e autografata con dedica da José Alfredo Jimenez.
A questo punto urge spendere qualche
parola non-cinematografica a proposito di questo indiscusso
compositore messicano di musica ranchera, il migliore di tutti i
tempi, senz’altro il più prolifico (con oltre 1.000 canzoni,
principalmente rancheras, huapangos e corridos) ed ancora oggi il
più interpretato. Nella sua cittadina natale (l’incredibile nome
completo e ufficiale è: Dolores Hidalgo, Cuna de la Independencia
Nacional) si trova non solo il suo monumento e la sua tomba, ma
anche la sua casa-museo e nell’anniversario della sua morte si tiene
un importante e seguitissimo festival che comprende concorsi
musicali, cinematografici, pittorici, sfilate, mariachi in giro per
le cantine e tanta gastronomia. Il punto d’incontro del festival è
denominato “Sigo siendo el Rey” (da “El Rey”, trad. “sono sempre il
Re”), ma i famosi versi tratti dalla stessa canzone “No hay que
llegar primero, pero hay que saber llegar” (“non importa arrivare
primi, ma si deve saper arrivare”) è ripetuto più volte nel film in
quanto attinente alla loro volontà di giungere alla meta, in un modo
o nell’altro, e assolvere al loro compito.
Per i gli amici del defunto il
tovagliolo sul quale José Alfredo Jimenez (da loro chiamato
amichevolmente José Alfredo o “El Maestro”) aveva abbozzato il testo
di una canzone con tanto di dedica personale al loro amico era
quindi una reliquia e il viaggio di poche centinaia di km, che
pensavano di poter concludere in una giornata ma che si rivelerà più
complicato e pieno di imprevisti di quanto immaginassero, quasi un
pellegrinaggio.
Ci sono innumerevoli riferimenti
alle canzoni e quasi in ogni discorso sono inserite citazioni di
famosi versi, estrapolati soprattutto da rancheras, che in Messico
sono diffusi modi di dire, quasi proverbi. Lo stesso titolo è
ripreso dalla famosissima canzone omonima e oltre alle citazioni da
“El Rey”, “Camino de Guanajuato” (“La vida no vale nada”) e da varie
altre canzoni che conosco, chissà quante mi sono sfuggite. Non a
caso in apertura del film è stato aggiunto “Omaggio a José Alfredo
Jimenez” a mo’ di sottotitolo.
In conclusione, è una classica
comedia negra tendente al road movie, con anziani incontinenti
vicini alla fine dei loro giorni, ma svegli e combattivi, che
affronteranno con decisione situazioni inaspettate, si troveranno di
fronte personaggi bizzarri ma assolutamente plausibili (e che fanno
pensare), dalla bruja (strega) al “catalan de Cataluña” che va in
giro a manifestare contro le corride, e metteranno in evidenza
situazioni tristemente note quali la distanza fra figli e genitori
anziani, traffico, case di riposo, assistenza, ecc.
Tanta carne a cuocere, temi seri
trattati con ironia, sorprese e un po’ di buona musica, fanno di “En
el ulltimo trago” un film per tutti e non solo per “anziani”. Non è
certo la migliore commedia di sempre, ma di sicuro di gran lunga
migliore e più intelligente di quelle che normalmente invadono le
sale.
Da IMDb apprendo che è giunto in
Italia solo a giugno di quest’anno con il titolo “Cinque tequila”,
ma dal trailer ho purtroppo notato che anche in questo caso il
doppiaggio è indegno, pessimo, e la traduzione non aiuta. La
versione originale in spagnolo messicano è disponibile su YouTube a
480p.
IMDb 6,7
353 * “All About Eve” (di Joseph L. Mankiewicz, USA, 1950) tit. it.
“Eva contro Eva” * con Bette Davis, Anne Baxter, George Sanders,
Celeste Holmes
Questo era uno dei numerosi classici
che non avevo mai visto per intero, solo qualche spezzone in tv ...
di passaggio. Per mia fortuna la biblioteca di Puerto de la Cruz è
molto ben fornita e prevedo di colmare anche altre mie lacune come
La contessa scalza (Mankiewicz, 1954), Orizzonte perduto (Capra,
1937, restaurato), Questa terra è mia (Renoir, 1943), Cielo giallo (Wellman,
1946), ....
Di “All About Eve” ho apprezzato
particolarmente la sceneggiatura, con dialoghi pressoché perfetti,
graffianti, e per l’ottima caratterizzazione dei personaggi che, per
un motivo o per l’altro, sono quasi tutti da biasimare, quasi
spregevoli. Viene mostrato allo spettatore uno spaccato del mondo
del teatro di alto livello a New York, negli anni ’50, nel quale
dominano falsità, ipocrisia, presunzione e arrivismo, ambiente
superato in termini negativi forse solo da quello Hollywoodiano.
Ottime le prove degli attori nei
ruoli principali. Fra quelli che appaiono solo brevemente c’è da
notare la presenza di Marilyn Monroe, ancora all’inizio della sua
travagliata e movimentata carriera cinematografica (era già apparsa
in una decina di film ma in ruoli secondari o addirittura uncredited).
Un film che ogni appassionato di
cinema dovrebbe vedere, in particolare quelli che apprezzano le
sceneggiature solide, bilanciate e con un buon numero di
protagonisti. Questa curata dallo stesso Mankiewicz (Oscar sia per
la regia che per la sceneggiatura) dovrebbe far arrossire di
vergogna molti degli sceneggiatori moderni che pur vanno per la
maggiore e vincono Oscar ... ma è colpa di chi li osanna
ingiustamente, della mancanza di concorrenza o della
spettacolarizzazione delle storie a discapito di essenza e dialoghi?
6 Oscar (Miglior film, regia,
sceneggiatura, attore non-protagonista (Sanders), costumi, sonoro) e
altre 8 Nomination
al 112° posto nella classifica IMDb
dei migliori film di tutti i tempi
IMDb 8,3 RT 100%
354 * “Fantastic Beasts and Where to Find Them” (di David Yates,
USA, 2016) * con Eddie Redmayne, Katherine Waterston, Colin Farrell,
Alison Sudol
Molto al di sotto delle aspettative,
che oltretutto non erano proprio entusiasmanti. Peggiore dei vari
Harry Potter che ho visto, trama fiacca, attori poco incisivi (ma
bisogna onestamente dire che i personaggi non erano un gran che).
Infine gli animali (“bestie” nel titolo originale), tutt'altro che
fantastici, molti già visti e altri troppo simili a "parenti" reali.
Lo stesso Redmayne si è dimostrato
non all'altezza della sua fama. Personalmente lo avevo apprezzato
moltissimo per la sua prova in "La teoria del tutto", nel quale
interpretava lo scienziato Hawking, sopratutto per la gestione del
corpo ... uno studio e un risultato eccellenti. Mi aveva poi deluso
in "The Danish Girl" per la ripetitività delle poche espressioni
facciali e la stessa critica vale per quest'ultimo film. Sembra
schiavo del suo aspetto gentile, di bravo ragazzo, e non riesce a
fare altro che sgranare gli occhi, abbassarli timidamente e
sorridere in modo quasi ebete. Forse esagero, ma penso serva per
dare l'idea di ciò che penso. Prima di andare a guardare uno dei
prossimi 4 già annunciati ci penserò su due volte, oltretutto
l’apparizione di Johnny Depp (altro attore secondo me assolutamente
sopravvalutato) nel finale di questo primo capitolo non lascia ben
sperare ...
Film solo per i fan, chi non è
addentro alla “materia” lo troverà noioso e per chi vuole effetti
speciali con un po’ di trama che abbia un minimo di senso c’é Doctor
Strange.
IMDb 8,0 RT 71%
355 * “The Barefoot Contessa” (di Joseph L. Mankiewicz, Ita-USA,
1954) “La contessa scalza” * con Humphrey Bogart, Ava Gardner,
Edmond O'Brien, Rossano Brazzi, Warren Stevens
Dopo aver visto l'ottimo “All about
Eve”, diretto e sceneggiato da Mankiewicz alla pari di “The Barefoot
Contessa” e di ambientazione vagamente simile (cinema invece che
teatro), mi aspettavo un po' di più. Certamente si tratta di un buon
film, ma la storia è abbastanza forzata e talvolta lenta, i dialoghi
non tanto incisivi come l'altro e, oggettivamente, c’è troppa voce
fuori campo.
“The Barefoot Contessa” fu
interamente girato in Italia, con numerose scene in Riviera Ligure,
con una produzione italo-americana e per questo motivo ci sono molti
italiani. Oltre a Rossano Brazzi nelle vesti del conte
Torlato-Favrini appaiono Valentina Cortese, Franco Interlenghi,
Alberto Rabagliati e tanti altri in ruoli molto minori. Tuttavia,
gli interpreti principali erano tutti americani a cominciare dalla
coppia di protagonisti (Gardner più di Bogart) e dall’ottimo
caratterista Edmond O'Brien che si guadagnò il suo Oscar quale
attore non protagonista.co-protagonista.
Interessante, abbastanza scorrevole,
ma non certo uno dei migliori dilm dell’epoca.
IMDb 7,1 RT 100% 1 Oscar (Edmond O'Brien) e 1 Nomination (Mankiewicz)
356 * “Lost horizon” (di Frank Capra, USA, 1937) tit. it.
“Orizzonte perduto” * con Ronald Colman, Jane Wyatt, Edward Everett
Horton
Attenzione a non confonderlo con il
remake del 73, si tratta dell'originale del 1937 diretto da Capra.
Pellicola originale brillantemente restaurata, quindi una ventina di
minuti più lunga della versione che è stata in giro per tanti anni e
che qualcuno di voi forse ha visto.
(leggi altro in merito al restauro
in questo post
http://discettazionierranti.blogspot.com.es/2016/11/ottimo-fortunato-e-creativo-restauro-di.html
Storia molto singolare, con temi
quasi filosofici, tratta dall'omonimo romanzo di James Hilton dal
quale tuttavia si discosta in più punti. Grande sforzo produttivo
della Columbia che contava sulla bravura (e fama) di Frank Capra e
sulle spettacolari scenografie degne di un kolossal progettate da
Stephen Goosson che si guadagnò così un Oscar.
Cinque persone che scappano dalla
Cina sopravvivono ad un atterraggio di fortuna e si trovano in un
mondo quasi irreale, praticamente “fuori dal mondo”. Dialoghi
interessanti si alternano a suspense, azione, commedia e a qualche
momento romantico.
Ottime anche le interpretazioni
degli attori che ricoprono i ruoli principali, oltre al protagonista
Ronald Colman, di particolare rilievo sono quelle dei due
caratteristi Edward Everett Horton e Thomas Mitchell
Se comprate o noleggiate il dvd,
accertatevi che si tratti della versione restaurata lunga oltre 2
ore, quella in mio possesso è di 128 minuti.
IMDb 7,8 RT 100% 2
Oscar
e 5 Nomination
357 * “Lawrence of Arabia” (di David Lean, UK-USA, 1962) * con Peter
O'Toole, Omar Sharif, Alec Guinness, Anthony Quinn
Dopo oltre 40 anni torno a guardare
per intero questo film storico, sia per il soggetto sia per essere
un kolossal spettacolare, pietra miliare della storia del cinema,
secondo me migliore di Ben Hur e simili.
La pellicola ci porta a vagare nei
deserti arabi per oltre tre ore, seguendo le gesta di T.E. Lawrence,
spregiudicato, audace e intraprendente ufficiale inglese realmente
protagonista della guerra contro le truppe turche.
Gli scenari naturali, già di per sé
grandiosi, sono ripresi in modo eccellente e spesso arricchiti dalla
presenza di innumerevoli cammelli e cavalli.
Il cast è assolutamente all’altezza
del film con Peter O'Toole in una delle sue migliori
interpretazioni, Omar Sharif già famoso in Egitto ma all’esordio in
una produzione internazionale (ottenne la Nomination all’Oscar e il
ruolo di protagonista nel successivo film di Lean: Doctor Zivago),
Anthony Quinn, Alec Guiness, Arthur Kennedy, Anthony Quayle, Claude
Rains, ...
Film certamente lungo con le sue
oltre tre ore e mezza, ma certamente molto più “digeribile” di tanti
altri mediocri di metà durata.
Chi se lo é perso, cerchi di
guardarlo usufruendo di una sorgente di buona qualità e,
possibilmente, su schermo grande (il formato originale è 70mm, ratio
2,20:1) ... non se ne pentirà di certo.
all’84° posto nella classifica IMDb
dei migliori film di tutti i tempi
IMDb 8,4 RT 97% 7 Oscar e 3
Nomination
358 * “The African Queen” (di John Huston, USA, 1951) tit. it.
“La regina d’Africa” * con Humphrey Bogart, Katharine Hepburn,
Robert Morley
L'ho preso in prestito dalla
biblioteca per curiosità e per continuare a colmare alcune delle mie
lacune anche se, nonostante i buoni rating e l'Oscar a Bogart
(l'unico) non mi convinceva ... e non mi sbagliavo.
Si è rivelata una commedia
abbastanza insulsa e piena di avvenimenti a dir poco non plausibili.
Ciò vale sia per i rapporti fra i due protagonisti (praticamente gli
unici due personaggi), sia per la natura (con animali che appaiono
lungo la riva del fiume a mo' di zoosafari), sia per l'imbarcazione
(gestione motore e caldaia e attraversamento delle rapide) e quel
poco che resta non è certo migliore.
Questo sembra essere uno di quei
misteri che portano film secondo me (ma anche secondo tanti altri)
scadenti ad essere quasi osannati. Attribuisco il fatto alla vecchia
piaga della "sudditanza psicologica" di un certo tipo di pubblico e
di alcuni critici condizionati dai nomi del regista (John Huston) e
degli interpreti, tali Humphrey Bogart e Katherine Hepburn.
Mi viene anche da pensare che
l’Oscar a Bogart fu dato per la carriera e per non attribuire una
ulteriore statuetta a “Un tram chiamato desiderio” (4 Oscar e 8
nomination fra le quali quella a Marlon Brando) o a “Un posto al
sole” (6 Oscar e 3 nomination fra le quali quella a Montgomery Clift)
in quanto sia Brando che Clift fornirono prove molto superiori alla
sua.
Evitabile senza rimpianti ... a meno
che non vogliate veramente rendervi conto di quanto ho appena
affermato.
1 Oscar (Bogart) e 3 Nomination
(Hepburn e 2 a Huston per regia e sceneggiatura)
IMDb 7,9 RT 100%
359 * “Du rififi chez les hommes” (di Jules Dassin, Fra, 1955) tit.
it.
“Rififi “ * con Jean Servais, Carl Möhner, Magali Noel, Robert
Manuel
Dopo la delusione di “The Africa
Queen” con due star come protagonisti (Bogart e Hepburn), ecco
invece un ottimo FILM senza grandi nomi, un solido e classico noir
francese, ma con regia dell’americano (di origini russe) Dassin, già
autore di una pietra miliare del genere: “The naked City” (USA,
1948).
Tony torna a Parigi dopo aver
scontato 5 anni di prigione e subito si rimette in contatto con gli
amici e insieme pianificano un audace colpo. Si segue quindi la
preparazione, la realizzazione e infine il dopo-colpo con le sue
varie (in parte prevedibili) complicazioni, fra risentimenti
personali, locali notturni, ballerine, gioco, droga, ricettatori e
bande rivali.
Pur senza grande azione, il film si
sviluppa senza un attimo di tregua, con tempi perfetti e
inquadrature sempre precise e significative in un eccellente bianco
e nero.
Ripeto, vero CINEMA senza bisogno di
grandi nomi, effetti speciali, inutili inseguimenti e via
discorrendo. Fra gli interpreti principali si deve sottolineare la
più che buona prova dello stesso regista Dassin nei panni di "Cesar
le Milanais" (Cesrae "il milanese") scassinatore provetto.
Suggerisco di guardarlo e con
attenzione ... non ve ne pentirete
IMDb 8,2 RT 94%
360 * “Il Gattopardo” (di Luchino Visconti, Ita-Fra, 1963) * con
Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale
Un altro kolossal che mi mancava,
stavolta nostrano, era "Il gattopardo" e ho provveduto a colmare
anche questalacuna. Film imponente, che molti di voi conoscono,
ambientato nella Sicilia degli aristocratici latifondisti durante
gli anni dell'unificazione d'Italia. Non sono proprio convinto che
quelli proposti da Visconti fossero i sentimenti comuni dell'epoca
né che il film rappresenti una verità storica precisa.
Al di là di ciò le scene delle
campagna siciliana, dei paesini dominati da enormi palazzi nobiliari
e gli interni degli stessi sono di per sé uno spettacolo. A ciò
aggiungete lo sfarzo degli arredi e dei costumi (che fecero ottenere
la nomination all'Oscar che però andò a “Cleopatra”, in un’altra
edizione avrebbe probabilmente vinto) e una moltitudine di attori,
bravi, meno bravi, alle prime armi.
Si vedono l’allora giovanissima
esordiente Ottavia Piccolo e i giovanotti Giuliano Gemma e Mario
Girotti (che poi si sarebbe affermato come Terence Hill) e i più
maturi, e certamente molto più bravi, Paolo Stoppa, Romolo Valli,
Rina Morelli, Serge Reggiani.
Nel complesso un buon film, ma più
spettacolare che altro, la parte peggiore è quella degli scontri di
Palermo fra garibaldini e soldati borbonici, che poteva essere
tranquillamente saltata o certamente ridotta.
Confesso di non amare troppo
Visconti il cui miglior film fra quelli che ho visto resta per me il
suo secondo, “La terra trema”, anch'esso ambientato in Sicilia, ma
in tutt'altro contesto sociale ... più cinema, meno spettacolo.
IMDb 8,1 RT 100% 1 Nomination per i
costumi
361 * “Bar Bahar” (Maysaloun Hamoud, Israele, 2016) * con Mouna Hawa,
Sana Jammelieh, Shaden Kanboura
Tre giovani donne
palestino-israeliane evolute si scontrano con gli effimeri e spesso
falsi venti di libertà e progresso. In “Bar Bahar” la giovane
regista Maysaloun Hamoud offre agli spettatori uno spaccato della
vita di alcune donne palestinesi dei nostri giorni, molto diverso da
luoghi comuni e stereotipi. ...
Recensione completa su Discettazioni Erranti
362 * “The Man who shot Liberty Valance” (John Ford, USA, 1962) tit.
it.
“L'uomo che uccise Liberty Valance” * con James Stewart, John Wayne,
Vera Miles, Lee Marvin, Lee Van Cleef, Edmond O'Brien, John
Carradine
Un western anomalo questo di Ford,
che pure in passato ne aveva diretto di classici come “Stagecoach”
(Ombre rosse), e potrei dire che fa il paio con “The big Country”
(Il grande paese) in quanto si comincia a descrivere un west diverso
da quello popolato esclusivamente da pistoleri, cowboy e ubriaconi.
I villaggi sono diventati piccole cittadine, sono quasi del tutto
spariti i pellerossa, i primi pionieri sono diventati vecchi, la
guerra civile è terminata e gli Stati Uniti si sono costituiti ed è
iniziata la lenta transizione dalla legge del più forte e della
pistola più veloce verso quella scritta, accompagnata da elezioni e
dalla esistenza dei giornali che ne danno notizia.
In questo contesto si svolge “L'uomo
che uccise Liberty Valance” che vede come protagonisti l'avvocato
idealista (Stewart), il pistolero buono (Wayne) e il cattivo (un
cattivissimo Lee Marvin in una delle sue migliori interpretazioni).
Purtroppo, in varie fasi il film tende a scadere nella commedia con
avvenimenti improbabili ma più che prevedibili.
Gran cast, tutti più che bravi, fra
essi si distinguono Edmond O'Brien (il giornalista alcoolizzato),
John Carradine con il suo pomposissimo discorso elettorare, e Woody
Strode aiutante di colore di John Wayne. C’è anche il solitamente
perfido Lee van Cleef nei panni di uno dei due scagnozzi di Liberty
Valance (Lee Marvin) ma al suo lato sembra quasi “buono”.
Cercando foto da allegare ho trovato
una simpatica foto del cast riunito attorno ad un tavolo per una
pausa tè, con i costumi di scena. Ho aggiunto i nomi degli attori,
Ford è di spalle. Questo è il primo film nel quale Stewart and Wayne
compaiono insieme.
IMDb 8,13 RT 93% 1 Nomination Oscar
363 * “Yellow Sky” (William A. Wellman, USA, 1948) tit. it.
“Cielo giallo” * con Gregory Peck 191, Anne Baxter 162, Richard
Widmark
Altro western "anomalo", con attori
famosi, poco conosciuto eppure con buon rating, ma non mi è piaciuto
per niente ... rasenta l'idiozia. Personaggi e situazioni pressoché
ridicoli, lento e ripetitivo, ognuno sembra comportarsi come nessuna
persona con un minimo di buon senso si comporterebbe.
Veramente insulso e deludente, lo
sconsiglio ... mi sembra una perdita di tempo.
IMDb 7,6 RT 100%
364 * “Arrival” (Denis Villeneuve, USA, 2016) * con Amy Adams,
Jeremy Renner, Forest Whitaker
Prima di scegliere i film da
guardare, do una scorsa a rating e, sommariamente, a recensioni. Fra
quelli attualmente in sala ho subito scelto “Arrival”, certamente il
più promettente, ma devo dire che mi ha anche particolarmente
invogliato una recensione quasi negativa (3 su 5) nella quale il
"critico" di turno muoveva ad un appunto strano: "troppo
filosofico".
Tralasciando i commenti su questa
risibile affermazione, penso che i film di vera fantascienza e non
semplicemente del genere fantastico DEBBANO far pensare, inculcare
il seme del dubbio, a cominciare da quello più classico: siamo i
soli esseri viventi nell’universo?
In “Arrival” non ci sono armi
letali, né schiere di mutanti, né scontri fisici, né vengono
mostrati interni avveniristici di navi spaziali e il lato
spettacolare è quasi del tutto trascurato. Si (intra)vedono solo due
“eptapodi” al di là di una parete trasparente e l’interno
dell’oggetto misterioso (quello che si vede nel poster) è un
semplice tunnel diritto, a sezione rettangolare ma con una
sorprendente rotazione del campo gravitazionale.
L’essenza avvincente e affascinante
del film risiede nel fatto che ci pone di fronte ad una sequela di
interrogativi ai quali fornisce poche risposte certe lasciando allo
spettatore (con cervello) il piacere di analizzare quanto proposto.
Non mi meraviglia che a qualcuno
possa apparire piatto e con poca azione, infatti è tutto concentrato
sul tentativo di instaurare una comunicazione con entità sconosciute
per cercare di capire i motivi del loro arrivo. Non conoscendone il
linguaggio, il background e il luogo di provenienza la cosa non è
per niente semplice. Ufficialmente il lavoro è affidato agli
scienziati che però devono combattere con i soliti ottusi militari,
politici e strateghi (ma queste sono storie note e già viste). A ciò
si aggiunge un modo di proporre la storia con numerosi salti
temporali, spesso quasi flash, ma sono flashback, flashforward o ...
sono contemporanei?
Penso che sia un film che necessita
una seconda visione, ma non a breve distanza di tempo. Si deve prima
metabolizzare la quantità di input forniti, esaminare i possibili
sviluppi e le cause degli eventi e poi andare a ri-guardarlo per
probabilmente scoprire che qualcosa non quadra e quindi potremo
ricominciare tutto daccapo.
Non sono un appassionato di
fantascienza, ma senz’altro apprezzo quella ben proposta e,
nell’ambito delle mie limitate conoscenze, concettualmente metterei
“Arrival” a pari livello con “2001: Odissea nello spazio” (Stanley
Kubrick, 1968) e “Solaris” (Andrei Tarkovsky, 1972) in merito ai
quali ancora si discute cercando di chiarire avvenimenti e
significati. A sostegno di questa mia impressione, vi dico che ben
oltre la metà degli spettatori non si è affrettata ad abbandonare la
sala appena accese le luci, ma si sono formati vari capannelli
mentre altri sono rimasti seduti, tutti a discutere con evidente
partecipazione ed interesse ... non sterili critiche.
Credo che “Arrival” sia fra i più
seri candidati all’Oscar per la migliore sceneggiatura adattata.
Il film arriverà nella sale italiane
solo il 19 gennaio, ma ci sono già molte recensioni online essendo
stato presentato in prima assoluta al Festival di Venezia un paio di
mesi fa.
IMDb 8,4 RT 93%
#cinema
#film
Resto in attesa di "Passengers" di
Morten Tyldum (regista di “The Imitation Game”), con Jennifer
Lawrence e Chris Pratt, che uscirà a fine anno anche se penso che
difficilmente sarà del livello di "Arrival".
365 * “Leviathan” (Andrey Zvyagintsev, Russia, 2014) * con Aleksey
Serebryakov, Elena Lyadova, R. Madyanov
Inno all’autodistruzione. Nikolay
subisce, non combatte realmente per nessun fine o ideale, per
nessuna persona e neanche per sé stesso, continua a sprofondare per
sua libera scelta, assolutamente non frenato dagli “amici”. Sembra
incredibile che sia arrivato fino a quel punto.
Sarà veramente un ritratto della
“vita” in una sperduta cittadina di provincia russa? A me sembra una
storia un po’ troppo estrema. Non fornisce alcuna idea dell’ambiente
umano, non c’è interazione fra le persone se non fra i pochi
protagonisti. Eppure ci sono uffici, auto di grossa cilindrata,
polizia, tribunale, soldi (soprattutto per il sindaco) ... ma allo
spettatore si propongono solo pochi personaggi biasimevoli che
durante almeno la metà del film bevono vodka come se fosse acqua.
Riconosco che riesce a trasmettere
un forte senso di depressione sia attraverso i fatti che attraverso
le immagini e il sonoro (quasi assente in quelle lande), ma
soprattutto per i personaggi. Se questo era il vero scopo di
Zvyagintsev, devo dire che c’è riuscito. Eppure, quasi tutto ciò che
“capita” ai protagonisti è solo frutto della loro stupidità e amore
per l’alcool. Perché giustificarli o compatirli?
Non c’è un vero messaggio sociale,
né politico, né etico, né religioso. Qual è la vera essenza di
questo film?
IMDb 7,6 RT 100%
Nomination miglior film straniero,
Cannes miglior sceneggiatura
Rating, Nomination e premi non mi
trovano d’accordo.
366 * “Cidade de Deus” (Fernando Meirelles, Bra, 2002) tit. int.
“City of God” * con Alexandre Rodrigues, Matheus Nachtergaele,
Leandro Firmino
Per "festeggiare" il raggiungimento
del mio obiettivo dei 366 film nel corso dell'anno (media di uno al
giorno) ho scelto un film "di conseguenza" e fra quelli a mia
disposizione il preferito è stato “Cidade de Deus” . Uno dei pochi
film brasiliani ad essere conosciuto in tutto il mondo e
riconosciuto come ottimo, un capolavoro, tant'è che si trova
addirittura al 21° posto della classifica IMDb di tutti i film di
sempre.
La trama è appassionante anche se a
tratti violenta (ma Meirelles non indulge in queste inquadrature),
il ritmo rapido e talvolta travolgente accompagnato da commento
sonoro adeguato, la voce fuori campo che introduce i vari personaggi
e le loro storie (il più delle volte ascesa e caduta), come se
fossero capitoli, la fotografia raffinata spesso dai colori pastello
(soprattutto i gialli sono affascinanti), le inquadrature che si
alternano continuamente (dal basso, verticali dall’alto, primissimi
piani quasi deformanti, carrellate e zoomate, rotazioni, ...) fanno
si che lo sguardo resti inchiodato alla rapida sequenza di immagini
montate ottimamente ed in modo efficace.
Attori? Non che siano scadenti,
seppur non eccellenti, ma in film di questo genere oserei dire che
sono secondari, come in quasi tutti i capolavori in cui
inquadrature, tempi, angoli di ripresa, montaggio e ritmo sono ciò
che rendono una pellicola CINEMA.
Film indispensabile nella vostra
videoteca virtuale o materiale che sia.
E ancora una volta torno a
chiedermi: perché tanti registi che iniziano con piccoli o grandi
capolavori non riescono più a produrre niente dello stesso livello
nei decenni successivi? Mistero ...
4 Nomination (regia, sceneggiatura,
fotografia, montaggio)
IMDb 8,7 RT 90%
367 * “One-eyed Jacks” (Marlon Brando, USA, 1961) tit. it.
"I due volti della vendetta" * con Marlon Brando, Karl Malden, Katy
Jurado, Ben Johnson, Pina Pellicer, Tim Carey
UNICA REGIA di MARLON BRANDO (per
fortuna). Al mercadillo ho trovato il dvd dell’unico film diretto da
Marlon Brando (One-Eyed Jacks, 1961) nel quale era anche
protagonista. Un western che ricevette critiche contrastanti, con un
preambolo nel deserto di Sonora (Messico settentrionale) e un lungo
seguito a Monterrey, California. Ottenne una Nomination Oscar per la
miglior fotografia e comprendeva nel cast non solo attori di
esperienza come Karl Malden e Ben Johnson, ma anche messicani famosi
come Katy Jurado e Rodolfo Acosta e la quasi esordiente Pina
Pellicer.
"One-Eyed Jacks" nacque sotto una
cattiva stella. Kubrick al quale doveva essere affidata la regia
rinunciò (o fu licenziato) non trovando un accordo sulla scelta gli
interpreti (e andò a dirigere "Spartacus") e quindi gli subentrò
Brando che di regia non aveva alcuna esperienza pratica. Le riprese
durano oltre 2 anni (dal 1958 al 1960) e Brando girò chilometri di
pellicola, il quintuplo della media dell’epoca e la sua idea era
quella di ottenere un film di circa 5 ore, ma la produzione
praticamente lo estromise dal montaggio ed il film uscì con una
durata di 2h20’. Nonostante i tagli risulta lungo e noioso e i più
sono grati a Brando per aver scelto di rinunciare alla carriera di
regista e continuare a fare l’attore concedendo al pubblico grandi
interpretazioni come quelle in “Apocalypse now” e “The Godfather”.
Curiosità varie:
* Karl Malden dichiarò che si
costruì una villa grazie agli “straordinari” guadagnati per questo
film.
* La sella intarsiata d’argento di
Brando fu poi usata da Eli Wallach in “The Magnificent Seven” (1960)
* Il titolo originale (che può
risultare incomprensibile anche a chi conosce l’inglese) si
riferisce alle carte da gioco ed in particolare ai Jack (fanti o
valet) di cuori e di picche che appaiono di profilo e quindi
mostrano un solo occhio (one-eyed). L’appellativo si associa a
persone false, che mostrano solo una parte della loro vera essenza e
non l’altro verso della medaglia che occultano accuratamente.
* si dice che Pina Pellicer fu
“sedotta e abbandonata” da Brando (come nel film) e ciò fu concausa
del suo successivo suicidio.
* sul set Brando “pugnalò” con una
penna il già citato Timothy Carey, reputato dai più quasi folle. Di
lui parlerò diffusamente nel prossimo post su Discettazioni Erranti,
collegandolo a Stanley Kubrick, a Frank Zappa e ai Beatles.
Film di scarso valore se non quello
storico ... solo per cinefili collezionisti.
IMDb 7,2 RT 57% 1 Nomination
(fotografia)
368 * “Mi querida señorita” (Jaime de Armiñán, Spa, 1972) * con José
Luis López Vázquez, Julieta Serrano, Antonio Ferrandis
Nomination Oscar 1973 miglior film
straniero
Soggetto degno di Rafael Azcona, ma
creato ed adattato da de Armiñán in collaborazione con José Luis
Borau (autore e regista dell’ottimo “Furtivos”).
Sarebbe stato certamente molto più
graffiante, con tanto humor nero e certamente con più evidente
anticlericalismo, invece Jaime de Armiñán ha trattato il tema della
sessualità “dubbia” della/del protagonista Adela/Juan con molta più
delicatezza, senza mai scadere nel volgare e senza prestarsi a
facili situazioni ridanciane di basso rango.
Molto del successo del film si deve
certamente alla superba interpretazione del grande e quasi
onnipresente José Luis López Vázquez (oltre 220 film in una
cinquantina di anni), ottimo in entrambe le parti, con la gestualità
giusta, senza esagerazioni e senza mai essere caricaturale.
La señorita in questione è una
stagionata "solterona" (zitella) che, passati da poco i 40 anni,
scopre di essere in realtà un uomo e il cambio è ancor più
complicato se si pensa alla vita di provincia in Spagna, in pieno
regime franchista. Ed in questo ambiente il film fece scalpore per
trattare un tema tanto sensibile che solo negli ultimi anni è stato
“liberalizzato”.
Forse anche per questa “sfida alla
censura” nella Spagna dei primi anni ’70 ottenne la Nomination Oscar
miglior film straniero.
Ottimi anche i comprimari a
cominciare dalla giovane Julieta Serrano fino a colonne del cinema
spagnolo come Chus Lampreave e Antonio Ferrandis.
IMDb 7,3
369 * “This Land Is Mine” (Jean Renoir, USA, 1943) tit. it.
“Questa terra è mia“ * con Charles Laughton, Maureen O'Hara, George
Sanders
Film USA di pura propaganda, in
piena guerra (1943), diretto dal francese Jean Renoir alla sua
seconda prova oltreoceano, ambientato in un non meglio identificato
paese europeo invaso dai nazisti.
Si ripropone l'annoso e
probabilmente irrisolvibile quesito etico-filosofico della
opportunità di attentati e sabotaggi pur sapendo di andare incontro
a rappresaglie. É giusto far pagare altri (innocenti o comunque non
coinvolti)? È l'unico modo di resistere e combattere gli invasori o
ci sono altri metodi?
E in realtà i delatori salvano le
vite dei civili o condannano gli attentatori che sono quelli che
veramente combattono?
Nel film la risposta viene fornita
in modo esplicito e nel lungo e pertinente discorso di Charles
Laughton nell'aula di tribunale ma, ovviamente, ognuno ha il diritto
di restare della propria idea.
Una delle migliori interpretazioni
di Laughton che è il vero mattatore del film, pur essendo ben
coadiuvato da George Sanders, Walter Slezak e Kent Smith (gli altri
personaggi chiave) e da Una O'Connor nella parte di sua ossessiva e
battagliera madre. Maureen O'Hara fa più o meno solo atto di
presenza. Nel complesso un discreto film con alcuni buoni momenti,
ma anche numerose banalità e insulsaggini.
IMDb 7,6 RT 71%
370 * “It's a wonderful life” (Frank Capra, USA, 1946) tit. it.
“La vita è meravigliosa” * con James Stewart, Donna Reed, Lionel
Barrymore
Che delusione! Penso che in passato
ne avevo visto solo poche scene, ma ricordavo solo la più famosa,
quella in cui James Stewart corre nella neve gridando “Merry
Christmas!”. Visto per intero, con calma ed in versione originale,
mi schiero nettamente con quelli che sostengono che il film è
assolutamente sopravvalutato (addirittura al 24° posto nella
classifica di IMDb!).
Pur essendo vero che la guerra si
era appena conclusa e che il pubblico anelava per questo tipo di
messaggi positivi, mi è sembrate una favoletta irreale a base di
buonismo, con troppi eventi abbastanza scontati, e neanche i buoni
attori presenti (che quasi non cambiano aspetto nell’arco dei quasi
20 anni di storia) riescono a risollevare una sceneggiatura
scadente.
Frank Capra ha diretto commedie
molto più sagaci, brillanti e divertenti ... voglio guardare tre
volte di seguito “Arsenico e vecchi merletti” (1944) e non una
seconda volta “La vita è meravigliosa”.
Per me, sotto la sufficienza
IMDb 8,6 RT 94% * al 24° posto fra
i film di tutti i tempi (classifica IMDb) 5 Nomination Oscar
371 * “Gang Smashers” (Leo C. Popkin, USA, 1938) * con Nina Mae
McKinney, Laurence Criner, Monte Hawley
Breve film (57 minuti) di un genere
quasi sconosciuto ai più: “Black Movie” (anche “Black Film” o “Race
Movie” - leggi altro in questo post)
Raro black movie (o “race movie”) -
vedi
post su Discettazioni Erranti
Visto il contesto e la scarsezza di
mezzi, mi sembra più che apprezzabile. Si avvale
dell’interpretazione di una delle più famose attrici “nere”
dell’epoca, vale a dire Nina Mae McKinney che, dopo aver esordito a
17 anni in “Hallelujah” (di King Vidor, 1929 - il primo musical
sonoro con cast completamente afro-americano), lavorò più in Europa
che in America. Ebbe grande successo specialmente in Francia e UK e
per la sua avvenenza si guadagnò il soprannome di “Black Garbo”.
“Gang Smashers” ha una trama
semplice e lineare ma con un paio di colpi di scena ben scelti.
Molte scene si svolgono in un night e quindi fra bombe, minacce e
qualche sparo ci sono anche varie esibizioni di canto e ballo.
Volendolo assimilare ai generi
“ufficiali” lo si potrebbe porre fra il noir e il crime, ma è
senz’altro abbastanza naif, quasi amatoriale, pur non essendo per
niente malvagio.
Considerata anche la breve durata,
vale la pena guardarlo, se non altro per la sua originalità.
IMDb 6,5
372 * “The longest Day” (Ken Annakin, Andrew Marton, USA, 1962) tit.
it. “Il giorno più lungo” * con John Wayne, Robert Ryan, Richard
Burton, Henry Fonda, Robert Mitchum, Robert Ryan, Rod Steiger, Sean
Connery, Bourvil, Paul Anka, ...
Secondo me è un ottimo film di guerra, assolutamente non
spettacolare come i moderni, ma ben bilanciato e “distribuito
orizzontalmente”.
Come è chiaro dal titolo, tratta
degli avvenimenti del 5 e 6 giugno 1944, le ore dell’attesa e poi
quello dell’invasione effettiva della Normandia, dal mare e dal
cielo. Non ci sono protagonisti, ma abilmente ben 4 registi diversi
mostrano i retroscena dei comandi alleati, tedeschi e dei
partigiani, nonché l’arrivo in Francia di soldati, paracadutisti,
guastatori, genieri e via discorrendo e l’appoggio fornito dai
partigiani. Si seguono quindi le vicende di vari gruppi giunti
dietro le linee nemiche in aliante o paracadutati, nonchè gli
sbarchi su diverse spiagge con problematiche ed esiti differenti.
Per questo film sono stati
ingaggiati un numero incredibile di nomi noti di Hollywood e non
solo, ognuno ha la sua piccola ma significativa parte.
“The longest Day” è ovviamente un
po’ autocelebrativo, ma mi sembra anche normale a soli 17 anni dalla
vittoriosa conclusione di una guerra che ha causato milioni di
morti.
Già visto quando ero ragazzo, l’ho
ri-guardato con diverso interesse e non mi sembra assolutamente
datato.
Merita una visione.
2 Oscar (fotografia, effetti) e 3
Nomination (miglior film, scenografia, montaggio)
IMDb 7,8 RT 92%
373 * “Moana” (Ron Clements e Don Hall, USA, 2016) tit. it.
“Oceania” * animazione * Auli'i Cravalho e Dwayne Johnson (voci)
L’ho visto come “Vaiana” (titolo
europeo), ma in italiano il titolo è “Oceania”, pur lasciando il
nome di Vaiana alla protagonista.
Leggi
recensione e tanto altro in questo post
IMDb 8,2 RT 98%
374 * “Körkarlen” (Victor Sjöström, Sve, 1921) tit. it.
“Il carretto fantasma” * con Victor Sjöström
In biblioteca ho trovato il dvd di
“Körkarlen” in una versione restaurata e masterizzata in modo
egregio ed anche il commento sonoro aggiunto era adeguato. Questo
film è una pietra miliare del cinema scandinavo e Sjöström è
l’antesignano dei registi di quell’area. Fu anche un ottimo attore
(una quarantina di film quasi tutti da protagonista, compreso
questo) e suggellò la sua carriera nel 1957 quando Ingmar Bergman lo
volle per interpretare il prof. Isak Borg in “Il posto delle
fragole”.
La sceneggiatura di “Il carretto
fantasma” è adattata dal romanzo omonimo del 1912, a sua volta
basato su una antica leggenda popolare rielaborata da Selma Lagerlöf
(premio Nobel per la letteratura nel 1909).
Drammatico e tendente al tragico
(oserei dire come quasi tutti i film scandinavi) tratta di morte,
alcolizzati e tubercolotici moribondi... me ciò è giustificato dal
fatto che il testo fu commissionato all’autrice proprio da
un’associazione per la prevenzione della tubercolosi, in questo caso
tramite l’informazione.
In quegli anni la cinematografia si
evolveva rapidamente e, come altri registi all’avanguardia (per quei
tempi), Sjöström perfezionò in “Körkarlen” varie tecniche
raggiungendo in particolare ottimi risultati con le tante doppie
esposizioni che distinguono in modo evidente i vivi dai morti.
La trama è esposta in modo preciso e
bilanciato e la gestione è quasi tecnicamente perfetta, eppure
soffre di un'eccessiva lentezza e troppo spesso i cartelli mi sono
sembrati non congruenti con i lunghi discorsi che sembrano fare i
protagonisti.
Senza dubbio è un prodotto notevole
per l'epoca, così come lo è il regista che tuttavia non è
all'altezza del suo quasi contemporaneo "dirimpettaio" (danese) C.
T. Dreyer che resta il mio preferito, di tutta la Scandinavia, di
tutti i tempi.
Molto interessante per i cinefili,
da non perdere, ma non per il tutto il pubblico.
IMDb 8,1 RT 100%
375 * “Hacksaw Ridge” (Mel Gibson, USA, 2016) * con Andrew Garfield,
Sam Worthington, Luke Bracey, Teresa Palmer, Hugo Weaving, Vince
Vaughn
Non ho mai amato Mel Gibson, né come
attore né come regista, ma sono andato a vedere questo suo nuovo
film assolutamente non prevenuto anzi speranzoso di guardare
qualcosa di interessante. Il soggetto è senz’altro buono, ma non mi
ha entusiasmato il modo in cui viene presentata la storia di Desmond
Doss. Ad alcune brevi scene delle sue infanzia, significative per le
sue successive scelte, seguono quelle dell’incontro con Dorothy
(Teresa Palmer) quasi da commedia, per poi passare al boot camp che
somiglia troppo ad una brutta copia di “Full Metal Jacket” (Stanley
Kubrick, 1987) con tanto di istruttore che urla in faccia alle
reclute e affibbia loro soprannomi vari, con un “palla di lardo”
finale che dovrebbe essere una semplice citazione.
Finalmente, per modo di dire, si va
in guerra e qui fra sangue a fiumi, sventramenti e sbrandellamenti
si va avanti per un bel po’. Non sono mai stato in guerra e potrei
anche sbagliarmi ... ma tante cose sembrano troppo esagerate, poco
credibili, alcune illogiche. A proposito di queste ultime, mi ha
lasciato interdetto la questione della rete di corda utilizzata per
superare la parete rocciosa a picco. Certo si dovrebbe domandare a
chi è del mestiere, ma mi chiedo non solo come abbiano fatto a
sistemare un'attrezzatura così pesante in quella posizione, ma come
mai i giapponesi glielo abbiano consentito essendo in posizione di
assoluto vantaggio e infine, dopo averli fatti ritornare alla base
della parete, come mai a nessuno è venuta l’idea di tagliare,
bruciare o tirare su la rete invece di aspettare che gli americani
la usassero di nuovo per l’assalto finale?
Tutte le varie fasi del
combattimento sono assolutamente spettacolari, ma per niente
convincenti.
Inoltre ho letto che Gibson ha
travisato abbastanza la storia reale di Desmond Doss, cambiando
date, luoghi, momenti del ferimento ecc., in pratica ha preso un
eroe (vero) e lo ha fatto diventare uno spettacolo quasi irreale, a
suo uso e consumo.
Film visivamente impattante e duro,
con tante scene oltremodo cruente giustificate dalla guerra, un po’
addolcite dalla parte sentimentale e vari momenti di commozione fra
commilitoni.
Appena sufficiente, neanche
lontanamente paragonabile ad altri film di guerra (uno per tutti
“Apocalypse now”) pur realizzati con molta meno tecnologia a
disposizione.
Non capisco i quasi 10 minuti di
applausi a Venezia ... spero fossero all’indirizzo di Desmond Doss e
non di Mel Gibson.
IMDb 8,6 RT 93% (ora 8,1 con 2
Oscar e 4 Nomination)
376 * “Spartacus” (Stanley Kubrick, USA, 1960) * con Kirk Douglas,
Laurence Olivier, Jean Simmons, Charles Laughton, Peter Ustinov,
Tony Curtis
L'avevo visto nella notte dei tempi
per intero e poi mi era capitato di vederne qualche breve spezzone
di tanto in tanto. Ieri ho guardato con calma la versione originale
restaurata nel 1990, nella quale sono stati aggiunti 5 minuti
precedentemente eliminati in quelle proiettata per 30 anni.
Buon film, ma certamente non fra i
migliori di Kubrick. Grava su questo mio giudizio la parte
dell'incredibile viaggio che si svolge in ambienti strani, fondali
poco realistici, in tempi poco congruenti con le distanze, in
stagioni non coerenti.
La prima metà, invece, l'ho trovata
eccezionale e, nell'arco dell'intero film, la parte "politica" è
altrettanto incisiva e appassionante grazie anche e soprattutto alle
superbe interpretazioni di Laurence Olivier (che riesce a far odiare
veramente il viscido e malvagio Crasso), di Charles Laughton (il
saggio, quasi filosofico Gracco) e di Peter Ustinov nei panni del
"mercenario" Batiatus che, per danaro è disposto a fare qualunque
cosa.
Come in quasi tutti i kolossal
americani basati su eventi reali, la sceneggiatura travisa parecchi
eventi a favore dello spettacolo.
Ripeto, “Spartacus” è più che buono
ma secondo me non paragonabile, per esempio, a Paths of Glory in
quanto ad intensità o a Barry Lindon per la spettacolarità.
Si deve sottolineare che con la
sceneggiatura di questo film, grazie soprattutto all’impegno di Kirk
Douglas, Dalton Trumbo ricominciò a lavorare ufficialmente senza più
doversi nascondere dietro pseudonimi.
4 Oscar (Peter Ustinov
non-protagonista, fotografia, scenografia, costumi) e 2 Nomination
(montaggio, commento sonoro)
IMDb 7,9 RT 96%
377 * “Rebel Without a Cause” (Nicholas Ray, USA, 1955) tit. it.
“Gioventù bruciata” * con James Dean, Natalie Wood, Sal Mineo
Secondo dei tre soli film
interpretati da James Dean come protagonista, dopo “East of Eden”
(Elia Kazan, 1955, it. “La valle dell'Eden”) e prima di “Giant”
(George Stevens, 1956, it. “Il gigante”).
Prima di parlare del film, tuttavia,
vorrei spendere qualche parola per Nicholas Ray che non capisco come
mai non abbia avuto maggior successo, notorietà e riconoscimenti.
Iniziò la sua carriera di regista nel 1948 con “They Live by Night”
(La donna del bandito), continuò a girare vari noir ottenendo ottime
critiche soprattutto con “In a Lonely Place” (1950, “Il diritto di
uccidere”, con Bogart) e “On Dangerous Ground” (1951, “Neve rossa”,
sic!), poi passò per il genere western - al femminile - con il
famoso “Johnny Guitar” (1954) e nel 1958 aveva già girato 21 dei
suoi 27 film.
Il suo declino iniziò quando gli
affidarono il primo kolossal (“Il Re dei Re”, 1961), che a dire il
vero non fu del tutto negativo, e subito dopo “55 giorni a Pechino”
(1962) che invece fu un vero disastro commerciale e, di fatto, segnò
la fine della sua carriera hollywoodiana.
Tranne che per pochi film (come
questo) Ray è stato quasi dimenticato ed è rimasto oggetto di
interesse quasi esclusivamente per cinefili. Fra questi ce ne sono
di illustri come Truffaut e Godard (che ne fecero quasi un idolo) e
fra i tedeschi Wim Wenders che con lui sviluppò alcuni progetti e lo
volle come attore in "L'amico americano" (1977) nel quale si trovò a
recitare con Dennis Hopper, che con lui aveva esordito proprio in
“Gioventù bruciata” nei panni di Goon.
Venendo al film, è opportuno
segnalare a chi non lo conosce o ha visto solo la famosa scena della
“chickie run”, che non si tratta di uno dei tanti film di bullismo
scolastico, scherzi di cattivo gusto e stupide gare, ma l’ottima
sceneggiatura scritta dalla stesso Ray entra di prepotenza nei
rapporti familiari e nel baratro che all’epoca si stava aprendo fra
generazioni diverse. Altro elemento di rottura attribuito a questo
film è il personaggio di Plato (Sal Mineo) considerato dai più il
primo ruolo di ragazzo gay.
“Rebel without a cause” è un ottimo
film per lo spaccato che ci offre di un certo tipo di società
borghese e della nuova generazione con ideali diversi da quelli dei
genitori e di conseguenza aveva spesso atteggiamenti di vera sfida
... l’incomprensione regna sovrana e luoghi comuni e cliché di certo
non hanno mai aiutano a superarle.
A chi può - e vuole - leggerla
segnalo questa
ottima e interessantissima analisi pubblicata su Indiewire
Assolutamente da non perdere o da
rivedere, assicurandosi che il formato sia quello giusto:
Cinemascope 2,55:1
3 Nomination Oscar (Sal Mineo e
Natalie Wood come attori non protagonisti e Nicholas Ray per la
sceneggiatura)
IMDb 7,8 RT 100%
378 * “Good morning Babilonia” (Paolo e Vittorio Taviani, Ita, 1987)
* con Vincent Spano, Joaquim de Almeida, Greta Scacchi
Ne avevo un ricordo migliore ...
rivisto a quasi 30 anni di distanza (e con 30 anni in più) mi ha
abbastanza deluso.
Mi appassionano sempre i film che
includono storie di cinema visto dal di dentro, da “Sunset
Boulevard” a “The Artist” da “Effetto notte” a “Le mépris”, da
“Trumbo” a “Hugo” giusto per citarne qualcuno. Pertanto anche questo
dei Taviani ha per me questo fascino, ma ho trovato la trama troppo
debole con un finale oserei dire non degno dei Taviani e sul film
grava anche una recitazione veramente scadente (con quale criteri
misero insieme quel cast?).
In sostanza ci sono solo pochi
spunti buoni e un paio di scene ottime ... quelle tratte da
“Cabiria” (Giovanni Pastrone, 2014).
IMDb 7,2 RT xx%
379 * “Naufragio” (Jaime Humberto Hermosillo, Mex, 1978) * con José
Alonso, María Rojo, Ana Ofelia Murguía
Film a due velocità ... con una
prima parte lunga oltre la metà della pellicola, con una costante
suspense conseguente all’attesa di una madre che da tre anni non ha
notizie del figlio. Ha una foto poco chiara scattata a Venezia,
combatte contro le voci che lo danno per morto e altre che dicono
che ha cambiato nome ed è espatriato dopo essere fuggito con la
cassa. Riapparirà o no, è morto o e vivo, e se torna sarà lo stesso?
Nell’ultimo quarto d’ora gli eventi
precipitano, succede di tutto e il film si conclude in modo poco
chiaro, con immagini quasi oniriche.
La prima parte l’ho trovata molto
ben presentata, la conclusione quasi pessima.
La sceneggiatura è adattata dalla
short story di Joseph Conrad "To-morrow" (1902).
Buona, come sempre,
l’interpretazione di María Rojo. Al contrario, mi sembra che
Hermosillo, dopo i tre precedenti film “El cumpleaños del perro”
(1975), “La pasión según Berenice” (1976) e “Matinée” (1977), tutti
e tre abbastanza singolari ma interessanti e senz’altro buoni, con
“Naufragio” si sia un po’ perso.
IMDb 7,2
380 * “Smultronstället” (Ingmar Bergman, Sve, 1957) “Il posto delle
fragole” * con Victor Sjöström, Bibi Andersson, Ingrid Thulin
Su questo film di Bergman è stato
già detto di tutto e di più, da persone molto più qualificate di me,
quindi sarò estremamente succinto.
Ogni volta che guardo un buon film
come questo, mi convinco sempre di più che il bianco e nero non ha
niente da invidiare al colore.
In “Smultronstället” ho trovato
estremamente irritanti quasi tutti i personaggi (ma per fortuna gli
svedesi non sono tutti così), specialmente i più giovani
(relativamente) a cominciare dai tre autostoppisti per finire alla
famiglia del professore in gioventù.
I più saggi, “normali” seppur un po’
scorbutici, sono proprio il professore e la sua governante.
Soprassedendo sulle esagitazioni e
al continuo parlare dei più (la coppia dell’incidente era da buttare
fuori dell’auto dopo il primo chilometro, ma neanche i ragazzi erano
facili da sopportare) il film è costruito e diretto magistralmente
con la scena del sogno (muta) che è veramente da manuale e dovrebbe
servire da esempio agli amanti di inutili effetti speciali.
Fra gli attori, tutti bravi, spicca
Victor Sjöström (del quale ho parlato pochi giorni fa a proposito
del suo film "Il carretto fantasma", 1921) nei panni del
protagonista e si nota anche un giovane Max von Sydow nelle vesti di
benzinaio ...
Nomination Oscar a Ingmar Bergman
per la sceneggiatura originale
al 149° posto della classifica di
IMDb dei migliori film di sempre
IMDb 8,2 RT 95%
381 * “Suite Habana” (Fernando Pérez, Cuba, 2003) tit. int. “Havana
Suite“ * con Francisquito Cardet, Francisco Cardet, Norma Pérez
Non vi fate ingannare da chi lo
definsce un “documentario”, non lo è per niente e non basta il fatto
che i protagonisti siano persone reali. In meno di “Suite Habana”
segue le storie di una dozzina di cubani per un giorno, dal momento
in cui si svegliano fin quando vanno di nuovo a dormire, quindi meno
di 24 ore. Non c’è commento (che sarebbe necessario per un
documentario) e i protagonisti non parlano, ci sono solo rumori di
ambiente e qualche voce di “estranei” come la maestra e il
presentatore di uno spettacolo. L’ora e venti scorre fra dettagli,
sguardi, operazioni routinarie, movimenti che riescono a descrivere
perfettamente i personaggi dal punto di vista umano, per il loro
background si dovranno aspettare i titoli di coda. E allora si
scoprirà che fra essi c’è un architetto, una maestra in pensione, un
muratore che sogna di diventare ballerino ed un padre che ha
lasciato la sua professione per assistere suo figlio Francisquito
(10 anni) affetto dalla sindrome di Down. All’altro estremo ci sono
vari ultrasettantenni ed una 95enne, a dir poco 5 generazioni di
habaneros.
Ho trovato il film ben montato e con
delle ottime riprese ed il ritmo è quello giusto per quei luoghi,
lento e pacato ma senza pause.
Lo consiglio a osservatori sensibili
e attenti e, ovviamente, ai viaggiatori (non turisti).
IMDb 7,5 RT 71%
382 * “The Ghost and Mrs. Muir” (Joseph L. Mankiewicz, USA, 1947)
tit. it.
“Il fantasma e la sig.ra Muir” * con Gene Tierney, Rex Harrison,
George Sanders
Film molto conosciuto ed apprezzato
nei paesi anglofoni, nei quali è un classico, ma poco conosciuto
altrove ... io nn l’avevo mai sentito nominare, eppure in questo
caso la il titolo italiano non lasciava spazio a equivoci. Il titolo
mi aveva incuriosito (riportandomi alla mente anche l'ottima comedia
negra messicana "El esqueleto de la señora Morales”), poi ho notato
il cast notevole ed infine mi ha convito il regista: Mankiewicz.
Commedia romantica, leggera e
sarcastica ambientata nell'Inghilterra di inizio '900, ovviamente
fantastica vista la presenza del fantasma (Rex Harrison).
Cast anglo-americano di tutto
rispetto con affermati attori (il trio sui poster) affiancati da
ottimi caratteristi e dalla giovanissima e promettente Natalie Wood
(9 anni all’epoca, già al suo sesto film), che ho citato pochi
giorni fa in merito a “Gioventù bruciata”
Fra la vedova Muir ed il fantasma
del capitano Gregg si instaura un rapporto molto particolare che
passa più volte dalla sfida alla collaborazione
Ottima la fotografia diretta da
Charles Lang che si guadagnò la sua ennesima Nomination, dopo
l’Oscar ottenuto per “Addio alle armi” (1932).
Per mostrare quando sia piaciuto al
pubblico, vale la pena sottolineare che delle 116 recensioni su IMDb
solo 4 sono sotto il 7 (su 10) e comunque si tratta di due 5 e due
6, mentre di solito se ne trovano parecchie con 1 sola stella.
Praticamente nessuno ne ha parlato male!
Tutti conoscerete i due inglesi Rex
Harrison, George Sanders, ma forse qualcuno non ha presente Gene
Tierney ... o la ricordate quale protagonista dell’ottimo noir
“Laura” (tit. it. “Vertigine”, di Otto Preminger, 1944)?
IMDb 7,9 RT 100%
383 * “1898 Los ultimos de Filipinas” (Salvador Calvo, Spa, 2016) *
con Luis Tosar, Javier Gutiérrez, Carlos Hipólito, Karra Elejalde,
Álvaro Cervantes
Luis Tosar (il Malamadre di "Celda
211") è il tenente Martín Cerezo protagonista di “1898 Los ultimos
de Filipinas” (storia assolutamente vera dalla quale deriva il nome
dato agli ultimi a lasciare una festa o una riunione, gli ultimi a
farsi convincere, quelli che in genere resistono ad oltranza ...
(leggi altro qui
http://discettazionierranti.blogspot.com.es/2016/12/los-ultimos-de-filipinas-dalla-storia.html
)
La storia, per quanto rasenti
l’incredibile reale, è ben documentata e fornisce un ottimo soggetto
all’esordiente regista Salvador Calvo. Gli attori, in particolare
quelli che interpretano i 4 ufficiali, sono incisivi e trasmettono
bene i caratteri e le sensazioni di questi militari di carriera
inviati in mezzo ad una foresta, in un’isola all’altro capo del
mondo, senza alcun contatto, senza un vero scopo, in una foresta
quasi vergine.
Bella anche l’ambientazione, tutta
nella chiesa-fortino, l’area circostante con poche capanne e nella
foresta (film girato a Gran Canaria, Canarie).
Non mi aspettavo molto, ma devo dire
che il film è andato oltre le mie aspettative, anche se presenta un
paio di “falle” che potevano essere facilmente evitate e oltretutto
avrebbe limitato il film alle 2 ore.
Non un capolavoro, non imperdibile,
ma fra tutte le baggianate proposte per le feste non è una scelta
peregrina.
IMDb 6,6
384 * “Rogue One: A Star Wars Story” (Gareth Edwards, USA, 2016) *
con Felicity Jones, Diego Luna, Ben Mendelsohn, Forest Whitaker,
Mads Mikkelsen
Più o meno è ciò che era lecito
aspettarsi ... tanti combattimenti, a terra e in volo, buoni contro
cattivi, trama abbastanza scontata, missione quasi compiuta.
Sarò nostalgico, ma non ho visto
grandi novità nonostante i grandi avanzamenti degli effetti speciali
(utilizzati a bizzeffe in questo film) e continuo a preferire il
capostipite “Star Wars” del 1977 che, con meno effetti ma miglior
cast, risultava senz’altro più avvincente anche grazie
all’originalità della trama per quei tempi (sembra ieri ma parliamo
di 40 anni fa!). Sia Felicity Jones che Diego Luna non sono
assolutamente convincenti.
Non vi fate ingannare dal buon
rating di IMDb poiché, come sempre accade in questi casi, i primi
spettatori sono per la maggior parte fan e altri votano “a fiducia”.
Più realistico e appropriato mi sembra il 76% di critiche sopra la
sufficienza sottoscritte dai top critics.
Certamente i giudizi risentono e
risentiranno della maggiore o minore conoscenza degli eventi
rappresentati nei film precedenti in quanto a uscite, ma successivi
per quanto riguarda la storia, e della pletora di personaggi che
compaiono in Rogue One e che si sono già visti negli altri film.
Sufficiente dal mio punto di vista,
ma il giudizio può variare di molto a seconda della competenza di
ciascun nel campo dei film di fantascienza in generale e della “saga
di Star Wars” in particolare.
A chi è all’oscuro di tutto potrà
giovare “prepararsi” prima della visione per seguire meglio varie
situazioni, al contrario gli altri si perdono qualche sorpresa in
quanto già sanno chi sopravvivrà e chi no.
Resto in attesa di andare a vedere i
prossimi film fantastici-fantascientifici: "Assasin's Creed" (23/12)
e "Passengers" (30/12).
IMDb 8,3 RT 76%
385 * “Clerks” (Kevin Smith, USA, 1994) tit. it. “Clerks - Commessi”
* con Brian O'Halloran, Jeff Anderson, Marilyn Ghigliotti
Un’accozzaglia di sketch disgiunti,
labilmente legati da due temi principali: rapporti commesso-cliente
e relazione di coppia-sesso.
Collocabile fra una sit-comedy di
scarso livello (con camera fissa o che si muove rapidamente da un
volto all’altro e tante parole sparate velocemente), spettacolo di
cabaret con gag poco convincenti e la serie dei “tristemente famosi
film di Pierino”
Un paio di situazioni argute non lo
salvano dall’insufficienza, così come non regge la scusante del
limitato budget (230.000 dollari che, nel 1994 valevano abbastanza).
Tanto per fare un esempio e senza
tirare in ballo i soliti “El Mariachi” (7.000 $ nel 1992, ma spesi
in Messico ...) o “Blair Witch Project” (60.000 $ nel 1999) vi
ricordo che appena l’anno scorso Sean Baker ha scritto e diretto
l’ottimo “Tangerine”, girato con 3 iPhone 5S e costato appena
100.000 dollari, che nel 2015 erano quasi una miseria. Cercate
quest’ultimo film perché ne vale la pena e non sono il solo a dirlo
... 23 premi, 35 nomination e il 97% su RottenTomatoes (130
recensioni positive contro 4 negative) parlano da sé.
IMDb 7,8 RT 88%
386 * “Solas” (Benito Zambrano, Spa, 1999) * con María Galiana, Ana
Fernández, Carlos Álvarez-Nóvoa
Scavando fra i dvd della biblioteca
ho trovato un altro paio di titoli poco conosciuti, non distribuiti
in Italia, ma molto interessanti: “Solas” e “Seraphine”.
Questo del quale tratto per primo è
il film d’esordio di Benito Zambrano, regista di “La voz dormida” e
, un autore (cura anche la sceneggiature) che ha fornito solo altri
2 film dopo questo: “Habana Blues” (2006) e “La voz dormida” (2011).
Questo era quello che mi mancava e mi è sembrato il migliore, ma
solo per essere molto buono, non per demerito dei successivi.
Zambrano ha iniziato con il teatro,
ha continuato con la tv ed è approdato al cinema dopo un lungo
soggiorno di studio a Cuba, presso la famosa EICTV (Escuela
Internacional de Cine y TV). Tornato in Spagna gli ci vollero quasi
2 anni per trovare un produttore per questo progetto che poi si è
rivelato vincente nel vero senso della parola in quanto ha
collezionato ben 41 premi (fra i quali 3 a Berlino e 2 a Tokio) e
altre 16 nomination.
“Solas” ha valicato i confini
spagnoli (ma ovviamente non le Alpi) e anche l'oceano e vanta un
lusinghiero 90% di recensioni positive su rottentomatoes. Ci
presenta con estrema sensibilità vari personaggi dalla vita
travagliata, da un'anziana (la bravissima María Galiana) che viene
in città per assistere in ospedale il marito (machista, ubriacone e
violento) , soggiornando a casa della figlia anche lei quasi
alcolizzata, al momento incinta e in dubbio se abortire o proseguire
con la gravidanza. Completano il quadro un anziano solo loro vicino
di casa, più altri personaggi di contorno come il compagno della
ragazza (che la scarica) e il gestore del bar che aiuta, seppur con
malcelate speranze ...
Zambrano ha l'abilità di non cadere
nel lacrimevole, né nell'esagerazione, né nella violenza,
presentando situazioni plausibili, credibili e che sollevano quesiti
seri e di non facile soluzione. Il cast al completo fornisce prove
più che convincenti, oltre la già citata María Galiana (8 premi come
migliore attrice per questo film) spiccano le prove di Ana Fernández
(la figlia) e Carlos Álvarez-Nóvoa (l’anziano vicino).
Se ne avete l’occasione, non ve lo
perdete.
IMDb 7,7 RT 90% 41 premi + 16 nom
387 * “Séraphine” (Martin Provost, Fra, 2008) NO. it. * con Yolande
Moreau, Ulrich Tukur, Anne Bennent
Come accennato nella
micro-recensione precedente anche questo film franco-belga sembra
non essere mai giunto nelle sale italiane.
Si tratta della storia della
“scoperta” della pittrice naif Seraphine Louis (meglio conosciuta
come Seraphine de Senlis) da parte del famoso critico d’arte tedesco
Wilhelm Uhde, colui che sostenne e fece conoscere artisti come
Picasso, Braque, Rousseau e la stessa Seraphine e fu fra i
principali promotori della prima esposizione di Arte naïf a Parigi
nel 1928.
Il film comincia mostrando
l’artista, già quasi 50enne, impegnata nel suo quotidiano lavoro di
domestica e lavandaia. Per puro caso Uhde è ospite della casa in cui
lavora Seraphine e ne riconosce subito le grandi doti espressive.
Quindi si seguono i primi passi da artista di questa “primitiva
moderna”, il sopraggiungere della fama (e danaro) e infine la
follia.
Ottima Yolande Moreau nel difficile
ruolo della pittrice, bella l’ambientazione con gran cura dei
particolari, specialmente negli interni.
Film senz’altro interessante e ben
realizzato, vale la pena guardarlo.
IMDb 7,4 RT 89%
388 * “Offret” (Andrei Tarkovsky, Sve, 1986) tit. it.
“Sacrificio” * con Erland Josephson, Susan Fleetwood, Allan Edwall
“Offret” è l'ultimo film del famoso
e tanto discusso regista russo Tarkovsky (1932-1986) nel quale,
ancora una volta, dimostra la grande padronanza del linguaggio
filmico ma a tratti resta troppo criptico o quantomeno difficile da
decifrare.
Il film fu girato in Svezia con cast
svedese, “capitanato” da Erland Josephson, attore di estrazione
teatrale, grande amico di Bergman nei cui film ricoprì spesso il
ruolo principale. Tuttavia la recitazione, non solo la sua ma anche
degli altri, mi sembra a tratti troppo enfatizzata, soprattutto
nella gestualità tipica da palcoscenico. Ciò diventa un po’ un peso
per l’opera di Tarkovsky che invece, con tutta la sua lentezza,
riesce a catturare l’attenzione e lo sguardo con le lunghe
carrellate seguite da improvvisi quadri fissi per poi tornare
indietro (la scena del pranzo in giardino con Josephson che appare e
scompare dietro la casa è magistrale), l’uso di luci e dei colori, i
riflessi e i tanti specchi che restituiscono di volta in volta
immagini nitide o sfocate. Tutto ciò spesso fa parte di piani
sequenza pregevoli, sempre con ogni particolare che si trova al
posto giusto e la sua posizione non è casuale.
Volendo sottilizzare, trovo che non
sempre la parte teatrale (spesso gravata anche da lunghe discussioni
quasi filosofiche) si interlacci a dovere con la superba espressione
filmica e che quindi a tratti non ci sia una giusta miscela, ma
un’alterna predominanza di voci e immagini.
Tolto questo particolare, tutto il
resto è perfetto.
Chiaramente non è di cassetta né un
film per tutti, ma altrettanto certamente non era questo l'obiettivo
di Tarkovsky che nell’arco di 24 anni (1962-1986) ha diretto solo 7
lungometraggi e questo è da molti considerato una summa del suo
lavoro.
IMDb 8,2 RT 83% * 4 premi a Cannes
389 * “Donnie Darko” (Richard Kelly, USA, 2001) * con Jake
Gyllenhaal, Jena Malone, Mary McDonnell
Dopo tanto tempo, sono riuscito a
guardare questo film per intero, senza interruzioni ed in versione
originale ...
Godibile, mai banale, divertente,
arguto e infine lascia tante porte aperte per l’interpretazione
(come del resto quasi tutti i film con viaggi nel tempo e/o vita
parallele).
Personaggi un po’ caricaturali ma
ben scelti e ben assortiti che Richard Kelly (autore anche della
sceneggiatura) riesce a tenere a distanza dai tipici cliché visti e
rivisti in tanti film ambientati in una high school americana.
Donnie Darko e Graham Greene
(scrittore)
Vi sottopongo un riferimento che non ho trovato citato da nessuna
parte, del quale sono tuttavia convinto ... giudicate voi. Nel corso
della lezione di letteratura inglese si fa riferimento a Graham
Greene ed in particolare alla short story “The Destructors” nella
quale sono descritte azioni che poi vengono messe in pratica nel
seguito del film. Fra le tante argute short story di Greene una che
conosco quasi a memoria (si trova in rete, lettura caldamente
raccomandata) è "A Shocking Accident" nella quale si narra di un
uomo che muore perché mentre passeggia in un vicolo di Napoli (!)
... “gli cade in testa un maiale” ... un evento tanto assurdo e
improbabile come quello del motore di aereo che precipita nella
stanza di Donnie.
Visto che siamo in tema
cinematografico, vi ricordo che molti dei romanzi di Greene (il mio
scrittore di lingua inglese preferito, ho letto praticamente tutte
le sue opere) sono stati trasformati in film come per esempio “Il
terzo uomo” (di Carol Reed, con Orson Welles, al 121° posto fra i
migliori film di sempre).
In tutto oltre 30 soggetti per il grande schermo e 40 per la TV fra
i quali “The Quiet American”, “The Fallen Idol”, “Our Man in
Havana”, “The Comedians”, “The Honorary Consul”, “The Heart of the
Matter”, “Ministry of Fear”, “This Gun for Hire”, “Brighton Rock”,
...
“Donnie Darko” non fu un gran successo al botteghino né ebbe
entusiastiche recensioni, ma ben presto diventò quasi un cult.
IMDb 8,1 RT 86%
390 * “Charade” (Stanley Donen, USA, 1963) tit. it. “Sciarada” * con
Cary Grant, Audrey Hepburn, Walter Matthau
Onesta commedia americana del genere
romantico-thriller, con un cast variopinto costituito da attori di
provata esperienza, fra i beniamini del grande pubblico. La coppia
protagonista (Grant - Hepburn) è affiancata infatti da Walter
Matthau, James Coburn e il cattivissimo (in questo film) George
Kennedy.
Fra mille dubbi di lei e cambi
d’identità di lui, bugie a non finire, colpi di scena si arriva alla
soluzione finale, lasciando vari morti sul campo (per lo più in
pigiama) uccisi in modi diversi e abbastanza originali. Il tutto
ambientato a Parigi, tranne la breve introduzione sulle piste alpine
innevate.
Classico prodotto dell’epoca dal
quale non ci si aspetta altro che un paio d’ore di piacevole svago e
che non lascia assolutamente delusi gli spettatori.
IMDb 8,0 RT 92% Nomination Oscar per
la musica
Ottimo teatro (Lorca) in un buon film
391 * “La casa de Bernarda Alba”
(Mario Camus, Spa, 1987) * con Irene Gutiérrez Caba, Ana Belén,
Florinda Chico
Tratto dall’omonimo dramma di
Federico García Lorca, questo film è una ottima trasposizione
cinematografica che ha il pregio/difetto di rimanere molto teatrale.
Pregio in quanto rispetta i tempi del palcoscenico e si avvale di
solide interpretazioni evidenziate dai tanti primi piani (che
ovviamente si perdono al teatro). Difetto, molto relativo, è quello
di restare chiuso fra le mura domestiche, seppur in una
caratteristica enorme casa a due piani con patio centrale, con
effetto quasi claustrofobico, ma d’altro canto è proprio quello
l’ambiente scelto da Lorca per quest’opera.
Inizia con il funerale del secondo
marito della dispotica Bernarda la quale, come conseguenza,
stabilisce che le 5 figlie dovranno osservare i canonici 8 anni di
lutto restando in casa tranne la maggiore, figlia di primo letto,
prossima alle nozze. Il dramma si sviluppa quindi tutto nella “casa”
del titolo dove, oltre alle sei suddette donne, vivono la quasi
demente madre di Bernarda e due domestiche, la più anziana delle
quali (Poncia, nome che allude a Ponzio Pilato) conta vari decenni
di servizio in quella casa ed è di volta di volta consigliera,
critica, spia, coscienza o alleata della “tiranna”. In poco meno di
due ore si scoprono collaborazioni, invidie, gelosie e i caratteri
delle donne alcune delle quali sono “bollate” dai significativi nomi
attribuiti loro da Lorca (p.e. Martirio, Angustias, Magdalena,
Prudencia, ...).
Camus svolge un buon lavoro alla
pari delle attrici (non ci sono uomini nel cast), ma gran merito
deve essere attribuito senza dubbio alla penna di Federico García
Lorca ... e in quanto a questo non scopriamo niente di nuovo.
IMDb 6,8
392 * “Sabrina” (Billy Wilder, USA, 1954) * con Humphrey Bogart,
Audrey Hepburn, William Holden
Dopo “Charade”, ecco un’altra
commedia ancor più classica e di qualche anno precedente, affidata
alla direzione del maestro del genere Billy Wilder.
Cast d’eccezione, tuttavia sprecato
per questa trama veramente molto poco consistente.
Prodotto estremamente datato, ma non
dobbiamo dimenticare che sono passati appena 9 anni dalla fine della
guerra, siamo in pieno boom, all’inseguimento del sogno americano
... o della luna come dicono più volte i prtagonisti.
IMDb 7,7 RT 100%
Oscar costumi più 5 Nomination
393 * “Bananas” (Woody Allen, USA, 1971) tit. it. “Il dittatore
dello stato libero di Bananas” * con Woody Allen, Louise Lasser,
Carlos Montalbán
Terzo film di Allen dopo l'esordio
con il quasi dimenticato “What's Up, Tiger Lily?” e “Prendi i soldi
e scappa” che lo portò al successo.
Non è certo fra i suoi migliori film
e, rivisto a distanza di decenni, mi è sembrato ancora più scadente
di quanto ricordassi.
Si tratta di un guazzabuglio di
battute non troppo divertenti, esibizione della sua logorrea e della
sua ossessione per il sesso, ammiccamenti ai fratelli Marx (di
tutt’altro livello), note battute da caserma (p.e. succhiare il
sangue dalla ferita del morso di serpente), pessima scene nelle
quali cose e persone cambiano di posto, gli immancabili riferimenti
agli ebrei, praticamente non si è fatto mancare niente riuscendo a
inserire anche la carrozzina della “Corazzata Potyomkin”.
Ovviamente non è tutto da buttare e
ci sono varie idee meritevoli a cominciare dalla sequenza iniziale.
Curiosità: uno dei due delinquenti
della metropolitana è Sylvester Stallone (uncredited), non dice una
parola ma resta relativamente a lungo in scena.
IMDb 7,1 RT 88%
394 * “Assassin's Creed” (Justin Kurzel, UF/Fra, 2016) * con Michael
Fassbender, Marion Cotillard, Ariane Labed Jeremy Irons
Certe volte non capisco proprio i
giudizi dei “critici”. Dopo aver visto le “americanate” fantasy di
quest’anno (niente di notevole) sono andato a guardare anche
“Assassin's Creed” che ha un ridicolo 20% di recensioni positive
raccolte da RottenTomatoes rispetto ai suoi “concorrenti” con oltre
80% e appena un 7,0 su IMDb contro i tanti 8 e oltre degli altri.
Qual è il problema? Sono stati impiegati troppi umani? Non ci sono
abbastanza CGI? Forse disturbano i set troppo realistici? O è solo
gelosia nei confronti di una produzione a maggioranza europea e con
un cast senza nessun americano? Si trovano spiazzati per non sapere
dove e quando è ambientata la storia?
Preciso che non conosco il gioco
(nessun videogioco ... sono rimasto ai giochi di strada e ai flipper
elettromeccanici) e quindi non farò paragoni e riferimenti ad esso,
eppure, con un minimo di cultura alle spalle il film è
comprensibilissimo anche perché le posizioni e gli obiettivi dei due
“schieramenti” (Templari e Assassins, sta a voi scegliere chi sono
ii buoni e chi i cattivi ...) vengono chiariti all’inizio del film e
sono filosoficamente interessanti. Come dicevo, aiuta sapere
qualcosa della presenza dei Mori in Spagna, del Califfato di
Granada, dell’Ordine dei Templari e del terribile Gran Inquisitore
Tomás de Torquemada.
Ci sono i soliti, tanti, troppi
scontri, combattimenti ed inseguimenti, ma almeno in questo film
beneficiano di bei costumi e splendide scenografie solo parzialmente
ricostruite. A questo proposito sappiate che per la maggior parte è
stato girato a Malta e tutti gli altri esterni in Andalusia fra le
province di Sevilla e Almeria. In quest’ultima si trova
l’affascinante Desierto de Tabernas dove ha luogo l’inseguimento con
carri e cavalli e dove qualche decina di anni fa si giravano quasi
tutti i western europei (qualcuno parla di oltre 500) fra i quali
anche “Il buono, il brutto, il cattivo” (Sergio Leone, 1966).
Fassbender si dimostra all’altezza
della sua fama avendo un ruolo principale ed intenso, mentre gli
altri pur bravi coprotagonisti (Irons, Cotillard, Labed, Rampling,
Gleeson) si devono limitare a svolgere semplicemente bene il loro
compito non avendo spazio né possibilità di fare di più.
Tornando agli interrogativi
iniziali, penso sia interessante sapere che Fassbender e Ariane
Labed sono stati sostituiti da controfigure in meno del 20% delle
scene d'azione e dei combattimenti, che si è fatto uso intensivo di
riprese da droni ma pochissimi CGI e che nel film è stato anche
stabilito il record di caduta libera da parte di uno stuntman (35m),
tutto ciò perché la volontà di tutti era quella di ottenere un
prodotto quanto più reale possibile. Addirittura, per conferire
ancora maggior credibilità, nella versione originale tutta la parte
che si svolge nel 1492 è recitata in spagnolo e quella moderna in
inglese,
Qualcuno si è chiesto come mai un
attore del livello di Fassbender sia finito in un film come questo e
vari hanno banalmente risposto “Per soldi”. Eppure non è così in
quanto l’attore tedesco ha creduto fin dall’inizio in “Assassin's
Creed”, è stato lui a volere Justin Kurzel come regista e Marion
Cotillard come coprotagonista (aveva lavorato con entrambi in
“Macbeth” l’anno scorso), è intervenuto sulla sceneggiatura ed è
co-produttore ... quindi i soldi li ha spesi e non presi (almeno per
ora ...).
In conclusione, nonostante le
preoccupazioni sorte dai rating bassi, confermo che mi è piaciuto
più o meno quanto “Doctor Strange”, probabilmente più di “Rogue One”
e certamente di “Fantastic Beasts”... peccato per il finale, certo
non all’altezza del resto.
Todo es una ilusión, nada es verdad,
todo está permitido
IMDb 7,0 RT 20%
395 * “Dogville” (Lars von Trier, Dan, 2003) * con Nicole Kidman,
Paul Bettany, Lauren Bacall, Ben Gazzara, James Caan
Interessante non-film, ottima messa
in scena teatrale
Dopo aver letto pareri molto
contrastanti in merito a questo film del quale sapevo molto poco, mi
sono deciso a guardarlo ed il mio giudizio complessivo è
sintetizzato nella riga di apertura.
L’idea di far svolgere tutta
l’azione in un minuscolo villaggio con case praticamente senza
pareti e la cima del campanile sospesa in aria, visioni d’insieme
dall’alto e con ulteriori dettagli disegnati al suolo a mo’ di mappa
è senz’altro geniale e ben realizzata. Il cast è ottimo è ognuno
interpreta più che bene il suo ruolo. Quello che secondo me manca
per farlo diventare un vero film è la descrizione degli ambienti che
può (e dovrebbe) dire tanto, in particolare per ciò che riguarda gli
interni; è come un libro composto quasi esclusivamente da dialoghi
senza alcuna descrizione di stanze, pareti, oggetti, edifici.
Pur dovendo riconoscere che Lars von
Trier realizza bene il suo solito lavoro con la cinepresa a spalla
nello stile minimalista che è alla base del suo “dogma”, trovo che
tutto ciò sia complessivamente limitante. Nel corso di oltre 30 anni
di carriera le sue idee ed i suoi lavori sono stati analizzati,
sezionati, esaltati e molto criticati e quindi rimando chi fosse
interessato ad approfondire la conoscenza con il controverso regista
danese alla lettura di pagine scritte (presumibilmente) da persone
più preparate di me, che hanno visto la quasi totalità delle sue
opere (io solo 3).
Curiosità: alla fine del film la
protagonista del film Grace/Nicole Kidman viene accusata di essere
“arrogante” per comportarsi in modo troppo accondiscendente, subendo
qualunque angheria da parte di altri e perdonandoli. In una simile
interpretazione dell’arroganza diversa da quella alla quale siamo
abituati (“trattare gli altri con insolente asprezza e con
presunzione”, Treccani), mi ero imbattuto proprio pochi giorni fa
guardando l’ultimo film di Tarkovsky (“Offret”, 1986,
tit.it.
“Sacrificio”). Ho pensato ad una citazione ma, effettuata una rapida
ricerca, ho scoperto che è una visione filosofico-religiosa che vede
il perdono come una dimostrazione di grande superiorità e quindi è
pura arroganza.
Von Trier ha affermato di essere
riuscito a scrivere la sceneggiatura di Dogville in soli 12 giorni,
sotto l’effetto di alcool e droga, mentre in stato normale ha avuto
bisogno di un anno e mezzo per “Nymphomaniac”.
IMDb 8,1 RT 70%
396 * “Lemon Tree” (Eran Riklis, Isr, 2008) tit. it. “Il giardino di
limoni” * con Hiam Abbass, Rona Lipaz-Michael, Ali Suliman
Ci tengo a premettere che
concomitanza della visione di questo film e della risoluzione ONU
relativa ai nuovi insediamenti israeliani è un puro caso avendo
preso in prestito il dvd giovedì scorso dopo una lunga permanenza
nella mia lista d’attesa. In ogni caso non sarei entrato
nell’argomento politico e quindi procedo a parlare direttamente
della pellicola.
Come spesso accade, e l’ho già
sottolineato varie volte, ci sono dei film che hanno una certa
risonanza e talvolta ricevono anche premi importanti solo per aver
toccato un tema scottante, ma di artistico o tecnicamente valido
hanno poco o niente. Questo è uno di quei casi, con una storia molto
edulcorata nella sua drammaticità, pochi dialoghi e tanti silenzi, e
quando qualcuno parla la sceneggiatura non l’aiuta di certo.
Presenta spesso situazioni difficili
di vario tipo, ma non mostra mai come si risolvono fornendo solo il
risultato finale. Per evitare spoiler mi limito a citare i vari
scavalcamenti (oggettivamente non semplicissimi) in un verso e
nell’altro della recinzione del limoneto, da parte delle due donne,
non certo atletiche ragazze, mentre il soldato di guardia sulla
torretta (sempre lo stesso) studia con le cuffie sulle orecchie e
guardie del corpo e dei servizi segreti dormono. Non si vede come si
superano i posti di blocco e meraviglia un tribunale supremo
praticamente deserto e senza sicurezza. Anche gli attori sono poco
convincenti, forse si salva qualche figura di contorno. Completano
il quadro personaggi poco realistici e abbastanza mal interpretati e
rapporti personali molto poco credibili.
Eran Riklis è stato ben attento a
trattarel’argomento evitando accuratamente di prendere apertamente
posizioni che avrebbero poi probabilmente impedito la circolazione
del film. Per non scontentare nessuno i palestinesi sono quasi tutti
“perfettini” e gli israeliani che vogliono radere al suolo il
limoneto non sono così cattivi e di conseguenza la conclusione non
poteva essere che “salomonica” considerato dove si svolge l’azione.
Sono rimasto molto deluso ...
IMDb 7,4 RT 95%
397 * “The Matrix” (Wachowski Bros, USA, 1999) * con Keanu Reeves,
Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving
Dopo il disappunto di ieri per “Etz
Lemon”, ho deciso di andare sul sicuro per i prossimi film per
concludere bene l’anno e raggiungere i 400 film visti senza
ulteriori delusioni.
Così ho cominciato con “The Matrix”
che avevo visto solo una volta, poco dopo l’uscita. Certamente
adesso gli effetti speciali colpiscono di meno visto che sono
diventati quasi di norma e non solo nei filmi di fantascienza, ma
nel 1999 lasciarono tutti a bocca aperta. Le “reincarnazioni” degli
agenti sono tutt’oggi notevoli e la loro voce (quella originale)
quasi meccanica, che scandisce le parole rimane impressa, in
particolare quella dell’’implacabile e indistruttibile “agente
Smith” (Hugo Weaving).
La storia non è di quelle proprio
banali, i salti fra realtà virtuale e realtà effettiva (ma siamo
sicuri che sia proprio così?) sono ben congegnati, gli immancabili
inseguimenti (che non sopporto tanto) in questo caso almeno sono ben
realizzati con ritmo incalzante e tante “apparizioni” degli agenti
nei luoghi e momenti più impensati.
Con tutto che nel 2016 “The Matrix”
a qualcuno può apparire datato, mi sento di affermare che regge
benissimo il confronto con molti dei prodotti moderni realizzati con
tecnologie estremamente più avanzate.
4 Oscar (montaggio, sonoro, effetti
speciali, editing effetti sonori)
al 18° posto fra i migliori film di
sempre (classifica IMDb)
IMDb 8,7 RT 87
398 * “Driving Miss Daisy” (Bruce Beresford, USA, 1989) tit. it.
“A spasso con Daisy” * con Morgan Freeman, Jessica Tandy, Dan
Aykroyd
Un altro dei film che mi ero perso
durante il mio periodo di quasi stasi cinefila ... buono, ma con
qualche riserva.
Niente da eccepire sui due
protagonisti (probabilmente anche Morgan Freeman avrebbe ottenuto
l’Oscar se non avesse trovato sulla sua strada Daniel Day-Lewis) e
sulla sceneggiatura ma trovo che Dan Aykroyd è più o meno
improponibile come attore e deve la sua notorietà solo al fatto di
essere apparso in ottime commedie con grandi co-protagonisti.
Sarò noioso, ma anche questo è uno
di quei film da guardare con l’audio originale. Considerato
l’ambiente e l’accostamento di due classi sociali oltretutto di
origini ben distinte, sono fondamentali non solo i dialoghi e quindi
il vocabolario, ma anche il contrasto fra gli accenti completamente
diversi (non ho idea di come li abbiano potuti rendere nei
doppiaggi).
Forse le vicende dello spigoloso
rapporto fra Miss Daisy ed il suo autista Hoke copre un lasso di
tempo troppo esteso, creando qualche problema non solo ai truccatori
anche alla storia stessa e agli spettatori che non colgono gli
indizi dei cambi di epoca.
In conclusione, reputo “Driving Miss
Daisy” un ben realizzato, ma un po’ sopravvalutato.
Per inciso, l’Oscar ottenuto come
miglior film nel 1990 resta nell’opinione generale (critici e
pubblico) come uno dei più immeritati della storia degli Awards.
4 Oscar (miglior film, attrice
protagonista, sceneggiatura, trucco) più 5 Nomination (Freeman,
Aykroyd, costumi, scenografia e montaggio)
IMDb 7,4 RT 100%
399 * “The Bridges of Madison County” (Clint Eastwood, USA, 1995)
tit. it.
“I ponti di Madison County” * con Meryl Streep, Clint Eastwood,
Annie Corley
Un film a due ... in effetti ci sono
varie apparizioni più o meno fugaci di altri personaggi ma non
aggiungono molto alla qualità del film, in particolare Victor Slezak
(nei panni del figlio di Francesca / Streep) è veramente indecente.
Per fortuna ci sono i nostri Meryl e
Clint, che di mestiere ne hanno in abbondanza, i quali si caricano
sulle spalle il non facile compito di tenere viva l’attenzione degli
spettatori in un film apparentemente privo di eventi. Nella
sceneggiatura questi sono infatti abilmente soppiantati da
riflessioni, sguardi, racconti e talvolta scontri verbali.
Chi volesse guardare al di là della
semplice e breve avventura romantica, potrà farlo molto facilmente
prestando attenzione ai dialoghi nei quali ci sono tanti spunti per
infinite e serie discussioni esistenziali-filosofiche (che in quanto
tali non potranno mai giungere ad un punto fermo) sulle proprie
radici, famiglia, volersi sentire indispensabile più che amato dal
partner, viaggiare o fermarsi, realizzarsi tramite il proprio lavoro
o occupandosi dei figli, e tanto altro.
Giusta Nomination Oscar per Meryl
Streep, forse anche Eastwood avrebbe meritato qualcosa ...
IMDb 7,5 RT 95%
400 * “Jules et Jim” (François Truffaut, Fra, 1962) * con Jeanne
Moreau, Oskar Werner, Henri Serre
Per celebrare degnamente la mia 400^
visione del 2016 ho scelto il terzo film di Truffaut, dopo il suo
famoso esordio con “I 400 colpi” e il meno conosciuto “Tirate sul
pianista”, ma fra i due non si deve dimenticare la sua
collaborazione alla sceneggiatura di “À bout de souffle” (Fino
all’ultimo respiro, Godard, 1960), altra pietra miliare della
Nouvelle Vague.
La storia si sviluppa nell’arco di
una ventina d’anni e descrive l’evoluzione e i radicali cambiamenti
dei rapporti sentimentali fra Jules, Jim e Catherine (Jeanne Moreau)
che tuttavia non intaccano la radicata amicizia.
Con un ritmo incalzante, con
continui cambiamenti dei punti di ripresa, con il solito minimalismo
classico del genere, si passa da Parigi alla campagna e di nuovo in
città per poi finire in un vecchio mulino. Oltre la piccola Sabine,
il cast include anche altri tre personaggi (Thérèse, Gilberte e
Albert) che appaiono relativamente poco ma sono fondamentali nelle
relazioni all’interno del triangolo.
Pregevole la fotografia in bianco e
nero.
Volendo muovere una critica (del
tutto personale) trovo che Truffaut abbia esagerato nell’utilizzo
della voce fuori campo, a volte necessaria ma in molti altri casi i
contenuti potevano essere mostrati con poche scene (in particolare
da uno come lui) lasciando il film di una lunghezza assolutamente
nella norma (così com’è dura 1h44’).
Visione indispensabile per chi
voglia avere un quadro dell’evoluzione dell’arte cinematografica.
IMDb 7,9 RT 100%
401 * “Hell or High Water” (David Mackenzie, USA, 2016) * con Ben
Foster, Chris Pine, Jeff Bridges, Gil Birmingham
Dello scozzese Mackenzie un paio di
anni fa avevo visto “Perfect Sense”, originale film con un buon
soggetto purtroppo molto mal-trattato ma la regia non era male.
Attratto dalle recensioni e dalla presenza di Jeff Bridges (attore
ampiamente sottovalutato) sono andato a guardare “Hell or High
Water” e non me ne sono assolutamente pentito, al contrario l’ho
trovato uno dei più soddisfacenti film visti in sala di recente. Non
per niente ha tre Nomination pei i Golden Globes, oltre ad aver già
vinto 28 premi ed avere oltre 100 nominations parte delle quali
potrebbero trasformarsi in vittorie. Il sito Indiwire lo inserisce
fra i film che probabilmente saranno in lizza per aggiudicarsi
l’Oscar 2017. Riuscirà questo film quasi indipendente a far breccia
fra le grandi produzioni e i superfavoriti?
C’è chi lo ha definito un western
moderno, chi un crime-thriller e chi lo ha accostato a “Non è un
paese per vecchi”, ma io penso che è un film a sé e che non lo può
né deve inserire a forza in un genere specifico.
Entra subito nel vivo dell’azione,
senza inutile preamboli, e termina al punto giusto al contrario di
tanti film che si “autodistruggono” negli ultimi due o tre minuti
con finali pressoché assurdi. A tratti a qualcuno potrà sembrare
quasi una commedia, ma la quasi totalità di personaggi che
interagiscono con i fratelli Howard e con i due Rangers sono
assolutamente credibili. I dialoghi sono “taglienti”, a volte quasi
cattivi, ma purtroppo abbastanza veritieri. Ottimo anche il
dialogo-sfida-duello finale.
Qualche pecca fra inseguimenti e
sparatorie senz’altro c’è ma non rovina certamente il film e quale
pur grande western o poliziesco non ci mostrato tiratori infallibili
e/o protagonisti che passano fra raffiche di mitraglia senza un
graffio?
La fotografia non è memorabile, ma
gli scenari e il fascino dei paesaggi sconfinati sopperiscono
ampiamente.
Curiosità-precisazione: il nome
originale della sceneggiatura (già pronta dal 2012) era Comancheria
e questo titolo è stato usato durante la lavorazione e così è uscito
sia in Spagna che in Francia. Ho letto qualche interpretazione
fantasiosa del termine, ma forse può interessare sapere che quello
era in nome del vasto territorio dei Comanches a cavallo fra il
Texas settentrionale e la metà occidentale dell’ Oklahoma, con
estensioni in Kansas, Colorado e New Mexico (vedi mappa fra le
foto). Proprio in quest’area è ambientato tutto il film, con tutte
le rapine in Texas e il “riciclaggio” del danaro in Oklahoma,
proprio nei casinò gestiti dai “pellerossa” (ma questa è un’altra
lunghissima storia). “Hell or High Water” è invece un modo di dire
che significa “accada quel che accada” “ad ogni costo” o, quasi
letteralmente, “che si scateni l’inferno o con un’inondazione ...
farò ..., devi venire ..., andremo ...”.
Inoltre, i riferimenti ai Comanche
sono numerosi e di solito “politicamente scorretti” visto che il
Ranger Jeff Bridges ne dice di cotte e di crude al suo secondo nelle
cui vene scorre sangue Comanche misto a messicano (e quest’altra
discendenza non lo aiuta di certo, se non a ricevere ulteriori
insulti, seppur in tono parzialmente bonario).
Infine nel casinò Tanner, giocando a
poker, ha un diverbio-quasi-scontro con tale Bear che gli dice:
“Sono un Comanche. Sai che significa? Significa 'Nemico di tutti'.”
e Tanner risponde “Sai cosa? questo fa di me un Comanche.”
Presentato a Roma, da novembre è
anche disponibile in Internet ma sembra che non sia uscito nelle
sale italiane.
Direi che “Hell or High Water”
dovrebbe essere ai primi posti nelle vostre liste di film da andare
a vedere in sala (se uscisse) o da guardare dalla rete in mancanza
di meglio, ma sono sicuro che se otterrà la Nomination come migliore
film - o Jeff Bridges come non protagonista o Taylor Sheridan (già
apprezzato per “Sicario”) per la sceneggiatura - lo troverete ben
presto al cinema.
Suggerirei di non perderlo!
IMDb 7,8 RT 98%
402 * “Yanco” (Servando González, Mex, 1961) * con Ricardo Ancona,
Jesús Medina, María Bustamante
Esperimento estremamente
interessante ... da studiare
Il giovane protagonista Juanito è
molto sensibile ai suoni, ma quasi allergico ai rumori. Così si
potrebbe riassumere il tema centrale del primo lungometraggio del
regista Servando González del quale parlai un paio di mesi fa per
"The Fool Killer" (con Anthony Perkins, 1965)
https://plus.google.com/+GiovanniVisetti1/posts/HSyVPgq9Mxu
Semisconosciuto all’estero, ma ben
noto in patria in quanto fu incaricato di riprendere gli scontri fra
studenti e polizia a Città del Messico poco prima delle Olimpiadi
del 1968 e già direttore dei laboratori degli Estudios Churubusco
(quasi un monopolio all’epoca), scrisse la sceneggiatura e diresse
il quasi sperimentale "Yanco". Con un budget di soli 35.000 Pesos e
montando anche negativi inutilizzati di altri film, girò il film nel
piccolo pueblo di San Andrés Mixquic alla periferia di Cd de Mexico,
nei pressi di Xochimilco, oggi attrazione turistica essendo l’unica
area dove ancora sopravvivono sorgenti e canali navigabili che una
volta circondavano Tenochtitlán, capitale dell'impero azteco.
Tornando al film, questo colpisce
sia per il contenuto ingenuo, toccante e poetico, quasi una favola
di grande sensibilità, sia per essere sonoro e tuttavia quasi muto
... le parole sono pochissime, per lo più in nahuatl (il principale
idioma degli indigeni messicani) e quindi incomprensibili e
oltretutto non dirette al protagonista Juanito il quale, nel corso
dell’intero film, proferisce la sua unica battuta (una sola parola)
dopo quasi un'ora.
Film costruito con mano sapiente,
lascia intendere volutamente cose non reali sviando ad arte lo
spettatore, comunica attraverso dettagli e soprattutto con la
fondamentale colonna sonora composta da musica, rumori, versi di
animali e suoni della natura.
Film delicato, girato con attori non
professionisti, un vero esercizio di stile che un paio di mesi fa è
stato riproposto dalla Cineteca Nacional in occasione dell’ottavo
anniversario della morte di Servando González con la presenza di
Ricardo Ancona, il ragazzino che 55 anni fa fu protagonista di "Yanco”.
Nell'occasione è stato ricordato che
all’uscita restò 22 settimane di fila in sala, rappresentò con
successo il Messico in molti festival internazionali ottenendo 27
premi, segnò il debutto cinematografico del direttore di fotografia
Alex Philips Jr. (che poi si trasferì in USA e lavorò con registi
del calibro di Sam Peckinpah - Voglio la testa di Garcia, 1974) ed
infine è stato acquisito nella collezione del Museo Guggenheim di
New York.
Il film è disponibile in rete a
bassa definizione e in versione originale, ma in questo caso, come
già sottolineato, le parole non contano ...
Suggerisco di leggere anche
le
uniche 5 recensioni presenti su IMDb, tutte concordemente ottime
come è facile intendere, visti i titoli:
* An artistic marvel from Mexico
* A Film to be Remembered
* Gorgeous magical film!
* Yanco! How great thou art IMDb!
* Hard to believe it's a children's
film!
IMDb 7,4
403 * “You Only Live Once” (Fritz Lang, USA, 1937) tit. it.
“Sono innocente” * con Henry Fonda, Sylvia Sidney, Barton MacLane
Non è certo fra i migliori film di
Lang, ma al regista austriaco si devono concedere varie scusanti.
“Sono innocente” ( letteralmente
doveva essere “Si vive solo una volta”, nel 1967 parafrasato in un
titolo della serie di James Bond) fu il suo secondo film
hollywoodiano e lui non si era ancora adattato allo stile americano,
né ai metodi, né ai tempi di lavorazione il che non è poca cosa. Ma
c'è di più, Lang non aveva tenuto conto della "censura" della PCA
(Production Code Administration) che aveva regole molto limitanti
per uno come lui che si trovava a suo agio in storie ambientate fra
criminali di vario tipo e livello, poliziotti e fuggiaschi sia nel
periodo europeo (Mabuse, Metropolis, M) nel quale si espresse al
meglio in particolare nei muti, sia nel periodo americano con i
tanti noir (Scarlet Street, The Big Heat, The Blue Gardenia, Hangmen
Also Die, Beyond a Reasonable Doubt, giusto per citarne alcuni).
“You Only Live Once” presentato da
Lang alla PCA aveva durata di 100 minuti, però dopo i pesanti tagli
agli spettatori fu propinata una versione di soli 82 minuti in
quanto il film non poteva includere:
- primi piani di persone agonizzanti
- donne giacenti su un marciapiede
- poliziotti in evidente pena
giacenti per strada
- veicoli che investono poliziotti
- terribili grida di dolore
- cadaveri sparsi in giro
Capirete bene che se in un film
poliziesco drammatico (seppur con risvolti sentimentali) si
impedisce al regista di descrivere rapine, uccisioni, sparatorie e
inseguimenti come lui le aveva ideate il risultato non può che
essere scadente.
Penso che a questo punto sia chiaro
che questo film è un po' insipido, senza vigore, privo di suspense e
di pathos, nonostante la presenza, e la buona interpretazione, di
due ottimi attori come Henry Fonda e Sylvia Sidney.
IMDb 7,4 RT 100%
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