200 * “Notorious” (Alfred Hitchcock, USA,
1946) tit. it.
“L'amante perduta” * con Cary Grant, Ingrid Bergman, Claude Rains
Come mio 200° film del 2017 non ho
voluto rischiare delusioni e sono andato sul sicuro scegliendo
questo gran bel film di Hitchcock, uno dei suoi più famosi e
senz’altro fra i migliori. In particolare l’ultima mezz’ora è senza
dubbio sensazionale con il ricevimento, la grande suspense delle
bottiglie di champagne che diminuiscono rapidamente e poi le scene
della chiave - cantina - bacio, le pericolose conseguenze e l’idea
geniale del finale. Tuttavia, pur apprezzandola, quest’ultima mi
sembra sia stata un po’ bistrattata da Hitchcock, che si dilunga
nella parte in camera e si affretta per le scale e all’uscita (a
buon intenditor, poche parole). Forse quello che mancava per la
perfezione.
Ottimo trio di protagonisti al quale
si affianca Leopoldine Konstantin (volto pressoché sconosciuto sullo
schermo, ma già stimata attrice teatrale) nei panni della terribile
Mme. Sebastian.
Un film che ho ri-guardato con
piacere dopo vari anni, cosa che consiglio di fare a chiunque, dando
per assodato che tutti lo abbiano visto almeno una volta.
IMDb 8,0 RT 97% *
Nomination Oscar per Claude Rains
(non protagonista) e per la sceneggiatura.
199 * “Operation petticoat” (Blake Edwards, USA, 1959) tit. it.
“Operazione sottoveste” * con Cary Grant, Tony Curtis, Joan O'Brien
Prima del sottomarino giallo (Yellow
Submarine) dei Beatles c’era il sottomarino rosa di Blake Edwards
...
Una delle tante famose classiche
commedie americane per tutti degli anni ‘50-’60, con una coppia di
protagonisti d’eccezione Cary Grant - Tony Curtis.
Nel suo genere più che buona,
insolita e abbastanza divertente.
Una buona scelta per passare quasi
un paio d’ore in modo spensierato.
IMDb 7,3 RT 84%
198 * “Mad Dog Time” (aka “Trigger Happy”) (Larry Bishop, USA, 1996)
tit. it.
“Il tempo dei cani pazzi” * con Ellen Barkin, Gabriel Byrne, Richard
Dreyfuss
Questo è uno di quei film che mi
sono ritrovato fra le mani acquistando in blocco e, pur non
promettendo niente di buono, mi sono immolato egualmente e l’ho
guardato. Se lo si vede come una “goliardata” realizzata fra amici,
riesce anche a strappare qualche sorriso, altrimenti è veramente da
dimenticare.
Sceneggiatura inconsistente e
dialoghi di bassissimo livello, recitazione scarsa, scene
ripetitive. Si salva la bella musica da night anni ’50 e qualche
rara trovata originale. Solo Richard Dreyfuss riesce in parte a
“galleggiare”, Ellen Barkin e Gabriel Byrne rimangono vittime dei
loro personaggi, al loro lato vari ruderi semi-imbalsamati come Burt
Reynolds, Henry Silva e Paul Anka (!), oltre ad attori più giovani
di loro che hanno partecipato ad un paio di film noti per poi quasi
scomparire dalla scena come Gregory Hines, Michael J. Pollard, Kyle
MacLachlan e includerei anche Jeff Goldblum, incredibilmente pessimo
in questo film.
Da evitare.
IMDb 5,5 RT 17%
197 * “Gertrud” (Carl Theodor Dreyer, Dan, 1964) * con Nina Pens
Rode, Bendt Rothe, Ebbe Rode
Ultimo film di Dreyer, all’epoca
75enne, non certo fra i vari memorabili del grande regista danese.
Si parla soprattutto e tanto di
amore, idealizzato da tutti i protagonisti, eppure i rapporti di
Gertrud con i suoi uomini appaiono tutti fallimentari.
Troppe scene sono del tutto
teatrali, statiche e con entrambe i soggetti di fronte alla macchina
da presa, raramente si guardano negli occhi (vedi foto). Un film che
si potrebbe quasi solo ascoltare e, come se ciò non bastasse, Dreyer
ha aggiunto anche vari e relativamente lunghi cartelli esplicativi,
con pensieri pressoché "filosofici".
Nel complesso un film fra il triste
e il deprimente, con una donna insoddisfatta del suo passato e
presente e che continua a illudersi di aver trovato il “grande
amore”.
A mio modesto parere, niente a che
vedere con i film precedenti, non che fossero brillanti o allegri,
ma certo erano molto più Cinema che Teatro e gli attori di
tutt'altro livello, così come la fotografia.
Comunque, questo “flop” di Dreyer
non cambia di una virgola la mia opinione su lui. Continuo a
giudicarlo il miglior regista scandinavo e certo “Gertrud” non mi fa
dimenticare “Prästänkan” (1920), “La passion de Jeanne d'Arc”
(1928), “Vampyr” (1932), “Dies Irae” (1943), “Ordet“ (1955).
Cominciate a guardare i suddetti
film e poi, se proprio volete, guardate anche questo.
IMDb 7,6 RT 79%
196 * “Tora! Tora! Tora!” (Richard Fleischer, USA, 1970) * con
Martin Balsam, Sô Yamamura, Jason Robards
Dopo "Rommel" ho scelto un altro
famoso film relativo alla stessa guerra, che però non è incentrato
su un uomo, ma su un evento fondamentale per lo sviluppo del
conflitto: l'attacco a Pearl Harbour. I primi tre quarti della
storia mostrano tanti personaggi, politici, diplomatici, alti gradi
militari e finanche la bassa forza, connessi con la vicenda, sia fra
i giapponesi che fra gli americani. Questa parte è senz'altro
interessante, coinvolgente e a tratti affascinante, con un crescendo
di ipotesi, timori e preoccupazioni, fra le quali si inseriscono,
con conseguenze vitali, interpretazioni di messaggi cifrati e
marchiane sottovalutazioni.
Purtroppo, l'ultima mezz'ora (il
bombardamento vero e proprio e immediate conseguenze) è reso
abbastanza male, con tante scene inutili, ripetitive e, soprattutto,
poco credibili.
IMDb 7,5 RT 57%
195 * “The Desert Fox: The Story of Rommel” (Henry Hathaway, USA,
1951) tit. it.
“Rommel, la volpe del deserto” * con James Mason, Cedric Hardwicke,
Jessica Tandy
Interessante, seppur sommaria,
ricostruzione del ruolo di Rommel nella II Guerra Mondiale, ed è
singolare la sua rivalutazione ad opera degli americani appena 6
anni dopo la fine del conflitto.
Un buon James Mason interpreta "la
Volpe del deserto".
Avvincente per chi si interessa di
storia moderna e ce sa di cosa si parli, evitabile per tutti gli
altri avendo uno stile quasi documentaristico.
IMDb 7,0 RT 71%
194 * “The Singer Not the Song” (Roy Ward Baker, UK, 1961) tit. it.
“Il coraggio e la sfida” * con Dirk Bogarde, John Mills, Mylène
Demongeot
Questa produzione inglese viene
spacciata per un western ambientato in Messico in un’epoca moderna
molto vaga (fra i primi anni ’40 e fine anni ’50). Se l’americano è
plausibile in quelli di oltreoceano, il forte accento inglese stride
in questo film come non mai e gli conferisce un senso di irrealtà,
“condito” dalla presenza della “bianchissima” e bionda giovincella
protagonista (la francese Mylène Demongeot, all’epoca quasi un sex
symbol) che veste come un’europea di degli anni ’50, gira in auto
nel paesino nel quale le facce “messicane” non esistono quasi e,
come ciliegina sulla torta, il cattivo di turno che veste sempre
attillati pantaloni di pelle nera lucidissima (oggi si penserebbe al
fetish) interpretato da un giovane Dirk Bogarde che, con il suo
occhio un po’ sbilenco fa quasi il verso a Henry Fonda, al quale
veramente somigliava molto.
Trama più da psicodramma che da
western che, in effetti, si sarebbe potuta adattare in quasi
qualunque paese contrapponendo un bandito ateo ad un religioso, con
una giovane ragazza fra i piedi.
Molti dettagli restano vaghi e anche
il finale (nella versione che ho guardato io, pare che ce ne sia
un’altra) è “misterioso” e lascia spazio ad innumerevoli illazioni.
Il triangolo prete - bandito - ragazza continua a presentarsi sotto
diversa luce lungo tutto l’arco del film e non è chiaro chi è
infatuato di chi ... e questo è il pregio del film. Per il resto è
da dimenticare, fra “buchi” nella sceneggiatura, varie
interpretazioni ridicole, ricostruzioni di ambienti molto
approssimative e non congruenti con l’epoca.
Il dubbio che sembra attanagliare
quasi tutti è la possibile omosessualità del bandito Anacleto (Dirk
Bogarde, effettivamente gay) sia per il modo di vestire e di
comportarsi, sia per l’interesse per la ragazza (dichiarato, ma
quasi nullo all’atto pratico), sia per il suo strano rapporto con il
sacerdote (anche lui non si sa che “panni vesta” ... sotto la
tonaca).
Chi si è incuriosito, si potrà
divertire a leggere le recensioni molto contrastanti, alcune feroci,
altre di persone che confessano di aver capito ben poco, rare quelle
veramente positive.
“The Singer Not the Song” vale
certamente una visione proprio per questa confusione generata da un
ottimo soggetto che ben combina sesso, legge e religione, purtroppo
trasformato in una scadente sceneggiatura e una peggiore
realizzazione.
IMDb 6,4
NB: il titolo è un modo di dire che
evidenzia l’interesse per la persona e non per ciò che dice (o
predica). Essendo difficile da tradurre, sono andati a nozze i
titolisti fantasiosi e così in Italia è diventato “Il coraggio e la
sfida” e in Spagna “El demonio, la carne y el perdón” (sic!)
193 * “Far from Heaven” (Todd Haynes, USA, 2002) tit. it.
“Lontano dal paradiso” * con Julianne Moore, Dennis Quaid, Dennis
Haysbert
Assolutamente sopravvalutato, sarà
stata la concessione agli "indipendent" film fra le Nomination Oscar
2003. Sceneggiatura insulsa, personaggi ridicoli, rappresentazione
di una cittadina di provincia del nordest (non del profondo sud) del
tutto ridicola, cast apparentemente buono, ma non al livello dei
nomi degli interpreti. Cosa resta? Una più che buona ambientazione,
anche se troppo (e palesemente) edulcorata, con costumi troppo
elaborati e perfezionismo esagerato, che ha lasiato perplessi la
maggior parte di quelli che hanno effettivamente vissuto gli ultimi
anni dei cinquanta.
L'altro grande handicap di questo
film è quello di aver messo troppa carne a cuocere. Todd ha la
presunzione di voler esporre i problemi degli omosessuali, quelli
della gente di colore nel nordest (mollto meno serio che nel sud),
parlare dell'integrazione nella scuola e, come se non bastasse,
della eliminazione delle barriere sociali fra ricchi borghesi e
lavoratori. Non pochi americani gli hanno rimproverato di non sapere
niente della vita sociale di quell’epoca nel nordest degli USA (Todd
è nato in California nel ’61) e che lo stile di vita rappresentato
nel film non è per niente veritiero.
I tre protagonisti, la coppia
Moore-Quaid e il giardiniere Dennis Haysbert , fanno a gara per
comportarsi nel modo più insulso possibile, mostrandosi in
atteggiamenti all'epoca (forse) "riprovevoli" ogni volta che ne
hanno l'occasione per poi "meravigliarsi" delle reazioni delle
persone. Buonsenso = 0.
Mi stupiscono le 4 Nomination,
immotivate fatta salva quella per la fotografia.
Io mi sono fatto ingannare da rating
e Nomination, a voi consiglio di prendere in considerazione altri
titoli.
Todd Haynes è esponente di punta del
New Queer Cinema e appare essere chiaramente di parte. L’unico altro
film che ho visto della sua ridottissima produzione (7 in 16 anni) è
stato “Carol” (2015) che aveva suscitato in me le medesime
perplessità. Con ambientazione simile (ricca borghesia americana
negli anni ’50) appariva curato, ricco di dettagli, con ottima
fotografia, ma privo di mordente e assolutamente poco convincente
... un mondo quasi irreale. Anche in quel caso mi sembrarono
immotivate le ben 6 Nomination Oscar che, giustamente, rimasero tali
senza portare alcuna statuetta.
IMDb 7,4 RT 92% *
4 Nomination Oscar (Julianne Moore
protagonista, sceneggiatura, fotografia e musica originale)
192 * “The Shining” (Stanley Kubrick, USA, 1980) tit. it.
“Shining” * con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd
Chiudo questa mia brevissima
incursione nel mondo di Kubrick con “The Shining”, il suo “terror”
tratto da una storia di Stephen King.
Ambientato in un albergo isolato fra
le Montagne Rocciose, chiuso per la stagione invernale, la storia è
un crescendo di tensione, apparizioni, follia e violenza. Jack
Torrance (Nicholson) accetta l’incarico di fungere da guardiano
della struttura nel periodo invernale, con l’obiettivo di riuscire
ad isolarsi e portare a termine un romanzo e quindi si trasferisce
lì con moglie (Shelley Duvall) e figlio. L’isolamento, i ricordi di
un fatto di sangue avvenuto in quello stesso hotel molti anni prima,
la tensione fra i coniugi si trasformano in una escalation di
terrore, inseguimenti, allucinazioni.
Sono tante le scene memorabili che
tutti quelli che hanno visto il film ricordano (e forse anche quelli
che ne conoscono solo qualche spezzone) come, per esempio, le lunghe
scorrazzate in triciclo del piccolo Danny (Danny Lloyd) lungo i
labirintici corridoi dell’hotel, i fiumi di sangue che sgorgano
dalle fessure delle porte, il bar della sala da ballo e le
espressioni di Jack che si affaccia nel varco appena aperto nella
porta a suon di colpi d’ascia. A proposito di quest’ultima scena,
sappiate che è presa pari pari da “Körkarlen” (Il carretto fantasma,
di Victor Sjöström, 1921, Swe,
rec. 16/374)
E
in merito alla famosa porta scrissi questo post (possibili spoiler)
evidenziando varie incongruenze.
Le scene con la cinepresa che segue
i protagonisti nel groviglio di corridoi e ambienti dell’albergo e
all’esterno nel vero dedalo (non labirinto ... nei dedali si deve
trovare l’uscita o una delle uscite, nei labirinti il percorso, per
quanto contorto e ingrovigliato, è unico), nella neve e limitato da
altissime siepi, sono indimenticabili.
Al contrario degli altri due appena
visti, “The Shining” non ottenne alcuna Nomination Oscar e, al
contrario, ne ricevette due per i Razzie Award (i peggiori) ed
esattamente per la regia di Kubrick (opinabile) e per
l’interpretazione di Shelley Duvall (forse meritato).
Che siate amanti degli horror -
terror e di King o meno, il film merita comunque assolutamente una
visione.
IMDb 8,4 RT 92% *
al 60° posto nella classifica IMDb
dei migliori film di sempre
191 * “Clockwork orange” (Stanley Kubrick, USA, 1971) tit. it.
“Arancia meccanica” * con Malcolm McDowell, Patrick Magee, Michael
Bates
Come quasi ogni altro film di
Kubrick, anche questo fece molto parlare di sé ed è rimasto una
pietra miliare nella storia del cinema. Chi ha vissuto quegli anni,
e se li ricorda, sa perfettamente quale fosse il clima di allora fra
proteste giovanili, trasgressione, sesso libero e diffusione della
droga e quindi è in grado di apprezzare l’impatto dirompente che
storia e immagini di “Arancia meccanica” ebbero sul pubblico, in
particolare quello più adulto. Gli altri possono solo immaginare le
reazioni, tenendo conto della data di uscita ... oltre 45 anni fa!
Immagini per lo più gestite in
maniera eccelsa con un montaggio spesso incalzante, con le scene
migliori ed effettivamente innovative che mostravano l’abiezione
delle brutali violenze assolutamente gratuite, tendenti ad sadismo,
in stridente contrasto con la sublimità delle musiche (Beethoven,
Rossini e la molto più moderna “Singing in the rain”, interpretata
da Gene Kelly).
Trama effettivamente dura, feroce,
con dialoghi stracolmi di neologismi e slang giovanile, ambientata
in luoghi molto diversi, dalle ricche case di artisti, ad aree
degradate abitate da barboni, dalla “clinica riabilitativa” alla
casa piccolo borghese del protagonista, dal teatro abbandonato al
futuristico milk bar.
Se proprio si volesse trovare un
punto debole, io lo vedo nella parte finale nella quale, dopo tante
sorprese a ritmo serrato, il film rallenta ed in più parti diventa
un po’ prevedibile.
Anche “Clockwork orange” ottenne 4
Nomination Oscar, delle quali 3 proprio per Kubrick (miglior film,
regia e sceneggiatura, adattamento dall’omonimo libro di Anthony
Burgess,). La quarta fu per il montaggio ... chissà perché non per
la colonna sonora che, come appena scritto, ha il merito di essere
parte più fondamentale che in tanti altri film, al di là della
qualità dei brani scelti.
IMDb 8,3 RT 89% * all’80°
posto nella classifica IMDb dei migliori film di sempre
190 * “Dr. Strangelove” (Stanley Kubrick, USA, 1964) tit. it.
“Il dottor Stranamore” * con Peter Sellers, George C. Scott,
Sterling Hayden
Primo film del questo mio mini-ciclo
Kubrick che proseguirà con "Clockwork orange" (Arancia meccanica) e
Shining.
Generi completamente diversi e anche
tecnica diversa, ma tutti e tre ottimi e fra i primi 100 nella
classifica dei migliori film di sempre.
Kubrick (come Altman) è stato un
regista che si è divertito a cimentarsi in nei generi più vari anche
se K. ha forse avuto una predilezione per i film di guerra,
mostrando sempre la sua avversione alla stessa. Strangelove,
tuttavia, non è drammatico come gli altri (“Fear and Desire”, “Paths
of Glory”, “Full Metal Jacket”) ma è una feroce parodia
dell'ambiente militare, in particolare quello ai massimi gradi e dei
loro rapporti con la politica nazionale e internazionale.
Più che il sempre bravo Peter
Sellers (che interpreta 3 personaggi diversi), impressiona l'ottima
prova di George C. Scott nei panni di un generale, ovviamente al
limite della follia. Nel cast tanti altri bravi caratteristi che
svolgono alla perfezione le direttive del regista. I dialoghi sono
di una logica stringente ma, partendo da presupposti fasulli o
errati, giungono a conclusioni folli, esilaranti e allo stesso tempo
tragiche.
Il film segue tre storie parallele e
interconnesse che si sviluppano contemporaneamente nell’arco di
poche ore in una base militare americana, su un B-52 che si dirige
in Russia con le bombe atomiche e al Pentagono nella sala del
Consiglio di guerra
Dr. Strangelove fu il primo film a
trattare ampiamente il tema delle armi nucleari e fu aspramente
criticato per il modo caricaturale in cui lo fece, con una
esaltazione dell'illogicità della guerra in generale e delle
minacce, delle rappresaglie e degli ordini irrevocabili in
particolare.
Se ci fosse qualcuno che ancora non
lo ha visto, che rimedi al più presto.
IMDb 8,5 RT 100% * al
53° posto nella classifica IMDb dei migliori film di sempre * 4
Nomination Oscar: miglior film, regia, Sellers protagonista e
sceneggiatura (alla quale Kubrick diede un sostanziale contributo)
189 * “Il delitto Matteotti” (Florestano Vancini, Ita, 1973) * con
Franco Nero, Mario Adorf, Vittorio De Sica, Umberto Ursini, Riccardo
Cucciolla, Gastone Moschin
E subito dopo “Bronte”, ecco “Il
delitto Matteotti”, film ancor più “politico” ma di storia più
recente. Anche in questo caso Vancini ci propone gli avvenimenti in
modo quanto più fedele alla realtà storica, tendendo molto al
documentario. Infatti, per ogni avvenimento sostanziale cita date,
orari, nomi veri dei protagonisti e mostra i titoli dei giornali
dell’epoca, sia di regime che dell’opposizione.
Cast quasi eccezionale, con tanti
dei migliori attori dell’epoca anche se non tutti “di cassetta”. Fra
scelta dei volti e trucco, veramente sembra di essere di fronte ai
veri Gramsci, Amendola e Mussolini (un ottimo Mario Adorf).
In questo caso, più che in “Bronte”,
la regia è notevole, precisa, incalzante.
Le nuove generazioni di cinefili
farebbero bene a guardare con attenzione anche questo film.
IMDb 7,1
188 * “Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non
hanno raccontato” (Florestano Vancini, Ita, 1972) * con Ivo Garrani,
Mariano Rigillo, Ilija Dzuvalekovski
Questo fu uno dei primi film che
propose avvenimenti dell’Unita d’Italia sotto una nuova luce. Le
ricerche furono molto accurate, consultando gli atti ufficiali dei
due processi e tanti altri documenti, relazioni e testi dell’epoca.
Gli attori italiani sono relativamente pochi in quanto si scelse di
girare in Yugoslavia e quindi ci si avvalse di comprimari e comparse
locali. All’uscita “Bronte” suscitò grande scalpore, soprattutto per
come veniva presentato Nino Bixio, e fu ben presto politicizzato con
critiche feroci e elogi spropositati dalla destra e dalla sinistra.
Proprio per questo ebbe in effetti scarsa circolazione e (secondo
Wikipedia) è passato in televisione meno di una decina di volte in
45 anni, per lo più su canali minori e a orari scomodi.
Questa
interessantissima pagina
raccoglie vari articoli relativi al film e agli avvenimenti trattati
da Vancini, fra i quali anche uno a firma di Leonardo Sciascia,
il quale collaborò alla sceneggiatura.
Notevole dal punto di vista storico,
un po’ meno da quello strettamente cinematografico.
IMDb 7,2
187 * “Bodas de oro” (Tito Davison, Mex, 1956) * con Arturo de
Córdova, Libertad Lamarque, Martha Mijares
Questo film in cui si ritrovano Tito
Davison e Arturo de Córdova non prometteva bene come il precedente
“Medianoche” ed in effetti è così, trattandosi di una farsa con
frequenti esibizioni canore/teatrali della protagonista Libertad
Lamarque.
Nel suo genere non è male anche
perché si avvale di tanti ottimi caratteristi che affiancano e
supportano de Córdova e Lamarque.
In occasione delle loro nozze d’oro
in una ricchissima residenza nella capitale messicana, affollata da
figli, nipoti, pronipoti e amici, i due ricordano (più che altro si
rinfacciano) vari episodi dei 50 anni trascorsi più o meno insieme.
Lui libertino, giocatore, avventuriero e perfino contrabbandiere di
armi e lei stella del varietà che sa esattamente come incastrare e
tenere a bada anche tipi come suo marito.
Non malvagio, ma lo definirei
interessante solo per chi si interessa della “Epoca de Oro del cine
mexicano”.
IMDb 6,5
186 * “Medianoche” (Tito Davison, Mex, 1949) tit. it. “Mezzanotte” *
con Arturo de Córdova, Elsa Aguirre, Marga López, Carlos López
Moctezuma e José Elías Moreno
Curioso mix fra un buon noir con
trama più che discreta e una commedia abbastanza stupida. Al film ci
sono arrivato “seguendo” Arturo de Córdova, versatile attore che
stimo molto (è stato protagonista di “El” di Bunuel, all’estero di
“Per chi suona la campana” e altri buoni film oltre che di tanti
noir e commedie del periodo d’oro del cinema messicano) e mi ha
ulteriormente interessato la presenza di due dive dello schermo
dell’epoca: Marga López ed Elsa Aguirre (vedi foto). Infine, anche i
due comprimari Carlos López Moctezuma e José Elías Moreno
garantivano buona qualità complessiva.
Si spazia dalla vita in un ricco e
famoso night di Ciudad de Mexico, al contrabbando internazionale
(diamanti e droga), ad una remota scuola rurale con bambini indios
che non parlano spagnolo, amore, redenzione, vendetta, e una donna
contesa fra il gangster Arturo de Córdova e il suo vecchio compagno
di scuola, oggi poliziotto, José Elías Moreno che lo persegue
dovunque. Ovviamente Carlos López Moctezuma ricopre il ruolo di
cattivo e vile (non ricordo di averlo visto in ruoli differenti da
questo cliché).
Peccato, Davison (anche
co-sceneggiatore) con quel soggetto e quel cast avrebbe potuto fare
molto di più.
IMDb 7,3
185 * “Guess who is coming to dinner” (Stanley Kramer, USA, 1967)
tit. it.
“Indovina chi viene a cena” * con Spencer Tracy, Katharine Hepburn,
Sidney Poitier
Famosissima commedia
pseudo-drammatica sul tema del razzismo e sulle coppie
interrazziali, che affronta l’argomento con molta leggerezza (e
pressappochismo) lasciando molto, troppo, spazio a luoghi comuni e
stereotipi. Tuttavia come pièce teatrale è più che gradevole e,
nonostante per la maggior arte del tempo si svolga in ambiente
domestico, i tempi sono eccellenti e di certo non ci si annoia.
Oltre che agli attori principali (un
Oscar e una Nomination), gran merito va anche ai coprotagonisti e
non solo i due che ottennero la Nomination. Fra i personaggi di
contorno spiccano il saggio anziano monsignore, la criticona
governante di colore e l’intrigante gallerista.
Chi non lo conosce non si aspettasse
un gran film di impegno sociale, si accontenti di godersi una buona
commedia americana con un’ottima sceneggiatura.
IMDb 7,8 RT 68% *
2 Oscar (Katharine Hepburn,
protagonista, e William Rose, sceneggiatura) e altre 8 Nomination
(miglior film, regia, Spencer Tracy protagonista, Cecil Kellaway e
Beah Richards non protagonisti, scenografia, montaggio e colonna
sonora)
184 * “A ciascuno il suo” (Elio Petri, Ita, 1967) * con Gian Maria
Volontè, Irene Papas, Gabriele Ferzetti
A cavallo fra gli anni ’60 e ’70 in
Italia furono realizzati numerosi buoni film storici e/o politici
(seri) e i registi di punta del genere furono Francesco Rosi, Elio
Petri e Florestano Vancini e più volte soggetto e sceneggiatura,
oltre che in questo caso, furono opera del grande scrittore
siciliano che fu Leonardo Sciascia, come per esempio “Il giorno
della civetta” (1968), “Bronte: cronaca di un massacro che i libri
di storia non hanno raccontato” (1970), “Cadaveri eccellenti”
(1972), “Todo modo” (1976). Di due film di Vancini mi occuperò a
breve.
L’intricata trama è parte portante
dell’intero film, piena com’è di tanti sospetti, illazioni, bugie e
sorprese, ma anche le ottime interpretazioni del solito Volontè,
insieme con Ferzetti e la Papas hanno il loro peso. E attorno a loro
tanti altri bravi attori italiani come Salvo Randone, Mario Scaccia,
Leopoldo Trieste, Luigi Pistilli. L’azione si svolge fra la
provincia siciliana e Palermo, fra l’ambiente del piccolo paese e i
giochi di potere del capoluogo, fra politici e prelati.
Lo spettatore dovrà attendere fino
alla fine per chiarirsi le idee ed in merito al finale è
assolutamente appropriato il commento di uno degli attori che
afferma: “Hanno fatto un capolavoro! Un vero capolavoro!”
Anche se secondo me non è allo
stesso livello
(politico)
di vari film di Rosi, merita senz’altro una attenta visione.
IMDb 7,1
183 * “Satyricon” (Federico Fellini, Ita, 1969) * con Martin Potter,
Hiram Keller, Max Born
Davvero non ho capito perché Fellini
si sia imbarcato in questa impresa di tradurre in immagini il
Satyricon, saltellante com’è e con parti mancanti. L’ho trovato
noioso e senza alcuna interpretazione degna di essere ricordata,
solo qualche scenografia particolare e i costumi e i trucchi
estremamente vari e fantasiosi non salvano certo il film.
Mi è pesato guardarlo per tutte le
sue oltre due ore di durata e ho portato a termine “l’impresa” solo
perché non è mia abitudine giudicare un film dal solo primo tempo e
per rispetto nei confronti del regista ... e poi c’è sempre la
speranza di una sorpresa finale.
Certamente uno dei meno memorabili
di Fellini.
IMDb 7,0 RT 75%
182 * “8½” (Federico Fellini, Ita, 1963) * con Marcello Mastroianni,
Anouk Aimée, Claudia Cardinale
Per chi non lo sapesse, 8 e 1/2 si
riferisce al numero di film diretti da Fellini fino a quel momento,
6 lungometraggi e 2 corti più il "mezzo" rappresentato da "Luci del
varietà", co-diretto con Lattuada nel 1951.
Ciò detto, aggiungo che nel
complesso è il mio preferito fra quelli del “maestro” riminese, sia
per la geniale sceneggiatura sospesa fra realtà, sogni e ricordi,
sia per l'eccezionale cura di ogni singola inquadratura, tutte
realizzate con grande creatività e mai banali. Vanta inoltre una
magnifica fotografia (bianco e nero), diretta da Gianni Di Venanzo.
Per la cronaca, su IMDb l'ho
valutato 10 stelle!
Ancora una volta più che convincente
Marcello Mastroianni, anche in questo film attorniato da tante belle
donne, brave attrici, e vari caratteristi come Guido Alberti, Mario
Pisu, Mario Conocchia e altri voti noti dell’entourage di Fellini.
C’è poco altro da aggiungere se non
il consiglio di guardarlo e/o ri-guardarlo con attenzione;
godetevelo e meditate.
IMDb 8,1 RT 98% * al
230° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi
* 2 Oscar (miglior film non in lingua inglese e costumi) e 3
Nomination per regia, sceneggiatura e scenografia (bianco e nero)
181 * “La dolce vita” (Federico Fellini, Ita, 1960) * con Marcello
Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée
Nonostante la fama e le tante
recensioni e valutazioni superlative, devo dire che questo film non
è certo fra quelli di Fellini che mi sono piaciuti di più.
Estremamente lungo (quasi 3 ore) per ciò che ha da raccontare e
oltretutto con relativa poca continuità. Potrebbe essere quasi visto
come un film ad episodi, intercalati dalle snervanti telefonate e
discussioni fra Marcello ed Emma (Yvonne Furneaux).
Si passa con estrema disinvoltura
dalla famosa “quasi avventura” con Anita Ekberg (di presenza, ma
pessima attrice), alla serata con la prostituta e a quella con il
padre, dalla notte al castello alla serata “colta” a casa di Steiner
(Alain Cuny), dall’innocente tentativo di “evasione” nella trattoria
sul litorale alla “quasi orgia” conclusiva.
In tutte le differenti storie il
giornalista interpretato da Marcello Mastroianni è spettatore o
attivo protagonista.
Ovviamente, la sceneggiatura dell’affiatatissimo
trio Fellini - Flaiano - Pinelli (pare ci sia stato anche un
contributo non ufficiale di Pasolini) si presta ad innumerevoli
analisi e approfondimenti con i suoi tanti simbolismi e la presenza
di personaggi degli ambienti più disparati e di tutto il mondo.
In film da guardare con attenzione
ma, ripeto, penso che Fellini abbia prodotto di meglio, sia come
solo sceneggiatore già da una quindicina di anni (fra gli altri
collaborò a “Roma città aperta”, 1945, “Paisà”, 1946) che come
sceneggiatore - regista.
IMDb 8,1 RT 97% *
Oscar per i costumi (bianco e nero),
Nomination per regia, sceneggiatura e scenografia (bianco e nero)
180 * “Miracolo a Milano” (Vittorio De Sica, Ita, 1951) * con Emma
Gramatica, Francesco Golisano, Paolo Stoppa
Prima di continuare con Fellini, mi
sono concesso quest’altra “divagazione”, nel cinema italiano degli
’50. Anche questo lavoro di De Sica non l’avevo mai visto prima al
cinema, quando uscì non ero ancora nato e, per quanto relativamente
famoso, “Miracolo a Milano” non è film che viene riproposto di
frequente.
Per i miei gusti l’ho trovato troppo
“favoletta buonista” (e irreale), con pochi buoni spunti e
situazioni più o meno ripetitive e scontate.
Ambientato nei difficili anni del
dopoguerra in una desolata baraccopoli della periferia milanese, non
è riuscito a coinvolgermi o interessarmi in alcun modo, né per la
trama, né per la regia, né per le interpretazioni ... ma,
ovviamente, sono valutazioni strettamente personali, mie
impressioni.
IMDb 7,8 RT 100%
179 * “Il bidone” (Federico Fellini, Ita, 1955) * con Broderick
Crawford, Richard Basehart, Giulietta Masina, Franco Fabrizi
Dopo la “divagazione” Erich von
Stroheim, ho rimesso mano con il cinema italiano di mezzo secolo fa
e fra i 4 scelti della filmografia di Fellini ho cominciato con “Il
bidone”, che non avevo mai visto. Pur essendo uno dei meno
conosciuti, mi è piaciuto e non poco e concordo con quelli che lo
indicano come una “perla dimenticata” o, quanto meno, trascurata.
Come anticipato dal titolo, è una
storia di truffatori, ma a differenza di tanti altri di genere
simile è molto più film drammatico che commedia, nello stile del
neorealismo, con accenni di noir.
Ottimo il cast internazionale, con
Broderick Crawford (Oscar come protagonista di “Tutti gli uomini de
re", 1949) il quale sostituì Bogart che, già malato, dovette
rinunciare alla parte, e Richard Basehart che l’anno precedente
aveva già lavorato con Fellini in “La strada” interpretando “il
Matto”, co-protagonista con Anthony Quinn e Giulietta Masina.
Penso che meriti senz’altro una
visione ...
IMDb 7,6 RT 100%
178 * “Genius, a tribute to Erich von Stroheim” (Robert Hicks,
documentario su YouTube, 2015)
Il misconosciuto Robert Hicks ha
realizzato questo interessantissimo filmato di circa 2 ore, che in
effetti è un montaggio su base cronologica del documentario “The Man
You Loved to Hate” (Patrick Montgomery, 1979) e di parte di "The
Autocrats" (7° dei 13 episodi della serie televisiva “Hollywood” -
1980 - diretta da Kevin Brownlow) dedicata esclusivamente a von
Stroheim e Cecil B. DeMille.
Si (ri)vedono tante scene tratte dai
suoi film e varie di quelle improvvidamente tagliate, si scoprono
tanti retroscena relativi ai rapporti di von Stroheim con attori e
registi e, infine, si scopre che nella vita privata era
assolutamente l’opposto del “regista despota” e del “villain”
(cattivo, infame) per antonomasia degli ani ’20..
Ricordo a chi non lo sapesse che
raramente i suoi film arrivarono in sala rispettando le sue idee,
alcuni furono pesantemente tagliati e varie volte fu licenziato
prima di portare a compimento le riprese. A tal proposito, in merito
alla versione del suo capolavoro “Greed” (1924) ridotto a circa 2
ore dalle originali quasi 8, disse: “E’ come guardare un cadavere
nel cimitero!” e affermò anche “Chi ha tagliato il mio film non ha
niente in testa se non il cappello!”. Con un po’ di presunzione, ma
i più concordano al 100%, a proposito di The Merry Widow (1925)
disse: “Tutto ciò che c’è di buono l’ho fatto io. Il resto è opera
di altri.” Sul letto di morte (in Francia) disse: “Questo non è il
peggio. Il peggio è che mi hanno rubato 25 anni di vita”.
Come recita il titolo del
filmato YouTube,
Erich von Stroheim fu un vero genio, effettivamente esagerato nelle
sue manie, ma certamente un GENIO. Purtroppo per alcuni, il video
non è sottotitolato e non penso che esistano sottotitoli da
scaricare dalla rete. In ogni caso, qualunque cinefilo in grado di
comprendere decentemente l’inglese dovrebbe assolutamente guardarlo.
177 * “Il Decameron” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1970) * con Franco
Citti, Ninetto Davoli, Jovan Jovanovic, Pier Paolo Pasolini,
Mi sembra superfluo spendere parole
per il testo originale di Boccaccio dal quale furono estrapolate ed
adattate una decina scarsa di novelle.
“Il Decameron” di Paasolini è il
primo della trilogia che continuerà con i suoi omologhi “I racconti
di Canterbury” e “Il fiore di Mille e una Notte”. Il film è recitato
quasi completamente in vernacolo, con predominanza del napoletano
popolare, ma si notano molte alte inflessioni locali e anche molto
più meridionali (siciliano). Si nota chiaramente il doppiaggio
(dialetto-dialetto) soluzione che comunque Pasolini scelse
volutamente, spesso avvalendosi di non professionisti, e pare che
abbia affermato: “Il doppiaggio, deformando la voce, alterando le
corrispondenze che legano il timbro, le intonazioni, le inflessioni
di una voce, a un viso, a un tipo di comportamento, conferisce un
sovrappiù di mistero al film.” Similmente a quanto scrissi pochi
giorni fa in merito ad “Accattone”, una discreta conoscenza dei
dialetti meridionali migliora senz’altro la comprensione del film e
quindi il godimento della pellicola.
Per quanto riguarda il cast,
Pasolini utilizzò pochi attori noti (in parti molto brevi, p.e.
Silvana Mangano, Guido Alberti) e ancora una volta si è
“sbizzarrito” nel coinvolgere un numero spropositato di volti più
che reali e allo stesso tempo incredibili, facendo quasi
concorrenza, e probabilmente superando, Federico Fellini.
Non ne sono certo, ma penso che
questi lavori di Pasolini abbiano dato la stura definitiva al filone
delle commedie all’italiana di serie B (e anche peggiori) di genere
boccaccesco anche se più o meno dotte rivisitazioni erano già
apparse sugli schermi (p. e. “La mandragola” di Macchiavelli -
Lattuada).
IMDb 7,1 RT 83%
176 * “Medea” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1969) * con Maria Callas,
Massimo Girotti, Laurent Terzieff, Giuseppe Gentile
Film difficile, con lunghi pause
prive di dialoghi, si avvale di avvincenti musiche orientali e di
interessantissime inquadrature da angoli di ripresa inusuali.
A creare un’atmosfera magica,
ancorché drammatica, contribuiscono anche i luoghi scelti come
location, a cominciare delle aree desertiche della Cappadocia
(Turchia) con le loro originalissime costruzioni, fino alle molto
più nostrane immagini di Pisa e Grado.
“Medea” di Euripide fa il paio con
“Edipo Re” Sofocle e costituisce l’incursione di Pasolini nel mondo
della tragedia greca. A mio modesto parere, da illetterato attento
più che altro alla costruzione cinematografica, penso che in questo
lavoro Pasolini si sia effettivamente concentrato più del solito
sulle immagini ed inquadrature, forse a discapito della recitazione
e teatralità, ma ha ottenuto ottimi risultati.
Curiosità: fra i protagonisti ci
sono due attori non-professionisti, tuttavia all’epoca ben famosi in
altri campi, alla loro unica apparizione sul grande schermo:
* Maria Callas, soprano eccezionale,
famosissima negli anni ’50, poi sposa dell’armatore Onassis (che poi
sposò Jacqueline Kennedy)
* Giuseppe Gentile, nipote del
celebre filosofo Giovanni Gentile, due volte recordman mondiale per
il salto triplo, ma alla fine solo terzo sul podio delle Olimpiadi
di Città del Messico (1968).
IMDb 7,1 RT 70%
175 * “Edipo Re” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1967) * con Silvana
Mangano, Franco Citti, Alida Valli, Carmelo Bene
Basato sulla tragedia scritta quasi
2.500 anni fa Sofocle, il film di Pasolini mi è sembrato
un'eccellente sintesi esposta per "quadri", intercalati da pochi
cartelli, come nel cinema muto. Significativa la scelta di proporre
la maggior parte della storia in ambiente quasi desertico (nella
fattispecie Marocco) e solo inizio e fine nell'Italia del ‘900, fra
le due guerre. Ovviamente, pur apprezzando l'ottimo adattamento di
Pasolini (oltre alla regia è sua anche la sceneggiatura), gran parte
del merito deve essere riconosciuto al lavoro originale di Sofocle.
In quanto alle interpretazioni,
spicca su tutte quella ottima di Franco Citti (sempre più maturo),
con un Carmelo Bene un po’ sottotono e relegato in ruolo secondario
e le due prime donne che non riescono ad incidere più di tanto.
Film da non perdere.
IMDb 7,5 RT 86%
174 * “Il Vangelo secondo Matteo” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1964) *
con Enrique Irazoqui, Margherita Caruso, Susanna Pasolini
La stranezza di questo film, nel
senso che molti non se lo aspettavano, consiste nell’assoluta
fedeltà del testo ad un Vangelo approvato dalla Chiesa.
Molti fra gli “ufficialmente
cattolici” si meraviglieranno di varie affermazioni, alcune delle
quali molto “violente”, e sarebbero ancor più stupiti se leggessero
l’Antico Testamento; da questo punto di vista “Il Vangelo secondo
Matteo” mi ricorda tanto “La via Lattea” (Luis Buñuel, 1969).
Impressionano le scelte delle
location e delle inquadrature che ancora una volta sono esaltate da
Tonino Delli Colli. Bellissime ed interessanti la riprese nei Sassi
di Matera, una decina di anni dopo essere stati ufficialmente
abbandonati (gli abitanti furono “sfollati” a partire dal 1952).
Fantastica anche la colonna sonora
che per lo più si basa su musica classica di Bach, Mozart e
Prokofiev con intrusioni di cori della Missa Luba (titoli di testa e
finale) e un paio di gospel. Fra questi ultimi, non menzionati nei
titoli, ho riconosciuto l’inconfodibile voce di Odetta e mi è stato
facile recuperare lo spezzone di filmato, che quindi vi propongo. Si
tratta di
“Sometimes I Feel Like a Motherless Child” che funge da commento
musicale ad una molto inusuale Adorazione dei Magi, godetevelo!
Enrique Irazoqui, l’italo-spagnolo
che interpreta Gesù, fu doppiato da Enrico Maria Salerno
Film da non perdere, di qualunque
credo voi siate.
IMDb 7,9 RT 94%
173 * “Mamma Roma” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1962) * con Anna
Magnani, Ettore Garofolo, Franco Citti
Pur essendo in assoluto un buon film, comparato con il precedente
“Accattone” colpisce e coinvolge di meno. La presenza di una attrice
affermata come la Magnani a mio parere non giova al “realismo” della
pellicola mentre tutti gli altri (non professionisti, lo stesso
Citti aveva iniziato solo l’anno prima con Accattone) nonostante la
recitazione a tratti carente appaiono molto più “veri”.
Il soggetto appare essere composto di più spezzoni con qualche punto
in comune.
Gli esterni al limite della periferia, fra nuovi insediamenti,
campagna e ruderi di epoca romana non riesce a dare una connotazione
specifica al tutto, a differenza dell’aria di vita di borgata che
traspariva da Accattone.
Concludo con un mio punto di vista di carattere generale per il
quale qualcuno forse mi vedrà come “sacrilego”: al contrario di ciò
che sostengono in tanti, non penso che Anna Magnani sia una grande
attrice ed in particolare in questo film appare troppo teatrale. il
che contrasta con il realismo degli altri interpreti.
Comunque, “Mamma Roma” merita senz’altro una visione
IMDb 7,9 RT 100%
172 * “Accattone” (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1961) * con Franco
Citti, Franca Pasut, Silvana Corsini
Ritorno al cinema italiano di mezzo
secolo fa, già trattato con vari film di Rosi e qualche Fellini,
Pontecorvo, ... e ho scelto 6 titoli di Pasolini visti solo una
quarantina di anni fa e dei quali ho, per lo più, buoni ricordi. Di
questi film non mi azzardo neanche a fare analisi approfondite (non
essendo all’altezza) ma mi limiterò ad esporre le mie impressioni ed
a citare qualche dato secondo me interessante.
Procedendo in ordine cronologico, ho
iniziato ovviamente con il lungometraggio di esordio che fu uno di
quelli che mi colpì di più all’epoca e ieri mi ha entusiasmato di
nuovo. Oltre alla regia, ho trovato eccezionali vari aspetti quali
la scelta del cast (quasi esclusivamente non professionisti), la
sceneggiatura nel complesso, ma soprattutto dialoghi caratterizzati
da quella filosofia spicciola che oggi sembra sopravvive solo nei
piccoli centri. Tutti si conoscono e ognuno ha la battuta adatta per
qualsiasi evenienza e la risposta ancor più pronta e quando si vuol
dire qualcosa lo si fa per lo più attraverso proverbi arguti e
calzanti, modi di dire, parafrasi e similitudini o iperboli talvolta
create al momento.
Pur essendo alla sua prima
esperienza di regia, Pasolini già bazzicava in ambiente
cinematografico avendo collaborato con Fellini , Bolognini, Vancini
e altri. Bernardo Bertolucci fu suo assistente alla regia e l’anno
successivo esordì come regista con “La comare secca” su soggetto e
sceneggiatura di Pasolini e la collaborazione di Sergio Citti
(fratello dell’attore Franco che interpreta il personaggio di
Accattone).
Non da ultimo, si avvalse anche di
uno dei migliori direttori della fotografia italiani, Tonino Delli
Colli, che collaborò con lui anche nei successivi Mamma Roma (1962),
Il vangelo secondo Matteo (1964) e altri per poi giungere
all’affermazione internazionale con “Il buono, il brutto, il
cattivo” (1966) e continuare fino a ”La vita è bella” (1997) il suo
ultimo lavoro.
Se non avete mai visto "Accattone",
provvedete a sanare la lacuna al più presto.
Per apprezzarlo al meglio vi sarà
utile una decente conoscenza del romanesco ...
IMDb 7,9 RT 100%
171 * “Nayakan” (Mani Rathnam, India, 1987) aka “Nayagan”, tit. int.
“The Hero” * con Kamal Hassan, Janagaraj, Karthika
Questo film indiano di 30 anni fa è
spesso posizionato nella parte alta delle varie classifiche (al 4°
posto fra i migliori film indiani di sempre per IMDb) e fu anche
campione d’incassi pur non essendo un prodotto di Bollywood e non
essendo in hindi o bengali, bensì in lingua tamil. Dato il gran
successo fu poi doppiato in telugu (Madras) e appena un anno dopo fu
prodotto un remake in hindi con titolo “Dayavan” (1988).
Si segue la “carriera” di Velu
Naicker che da bambino uccide un poliziotto e fugge in città per poi
diventare un “don” temuto e rispettato, quasi venerato dai più
deboli. Infatti si rende sempre disponibile a sanare torti e anche a
portare a termine efferate vendette, ma non è mai il primo a
colpire. Per vari versi si rifà a “The Godfather” e addirittura
replica il trucco di gettare in mare la merce con i sacchi di sale.
Questo personaggio ha tanto di buono
e generoso e quindi attira le simpatie del pubblico in quanto si
ribella ai soprusi di altri malviventi, così come quelli ancora
peggiori della polizia.
Pare che la sceneggiatura sia anche
vagamente ispirata alla storia vera di un famoso “padrino” di
Bombay: Varadarajan Mudaliar.
Certo non ha niente a che vedere con
i prodotti hollywoodiani della stessa epoca e con simile soggetto,
tuttavia chi si interessa di “World Cinema” dovrebbe senz’altro
guardarlo con attenzione.
IMDb 8,8 RT 100%
* candidato indiano alla selezione Oscar per i film non in lingua
inglese, ma non rientrò nella cinquina finalista.
Può risultare interessante lettura
di questo articolo sul
più importante sito di cinema indiano.
170 * “12 Angry Men” (Sidney Lumet, USA, 1957) tit. it.
“La parola ai giurati” * con Henry Fonda, Lee J. Cobb, Martin Balsam
Non considerando le brevissime scene
iniziali e finali all'esterno del tribunale e in aula con le
raccomandazioni del giudice alla giuria, tutto si svolge nella sala
nella quale 12 uomini devono decidere in merito alla eventuale
colpevolezza di un diciottenne accusato i parricidio e quindi, senza
avere altre possibilità, proscioglierlo o mandarlo alla sedia
elettrica.
Durante l'ora e mezza del film,
grazie ad una sapiente regia, una eccellente sceneggiatura e superbe
interpretazioni, vengono evidenziati i caratteri dei 12 giurati che
quasi come belve in gabbia diventano a turno aggressivi e minacciosi
rasentando più volte lo scontro fisico.
Lo spettatore percepisce l’ambiente
surriscaldato come se fosse in quella stanza, con i protagonisti
condizionati non solo dal gravoso compito morale ma anche dal clima
vero e proprio che, parallelamente ai fatti, inizia come giornata
torrida e afosa successivamente mitigata da un acquazzone e dal
sospirato funzionamento dell’unico ventilatore.
Tutti bravissimi gli interpreti con
Lee J. Cobb che domina tutti, sia per bravura che per il suo
particolare personaggio, sovrastando anche Henry Fonda.
IMDb 8,9 RT 100% *
3 Nomination nelle categorie
oggettivamente più importanti, vale a dire miglior film, regia e
sceneggiatura.
169 * “Sophie’s Choice” (Alan J. Pakula, USA, 1982) tit. it.
“La scelta di Sophie” * con Meryl Streep, Kevin Kline, Peter
MacNicol
Buon film ma non del tutto
convincente, con un trio di interpreti troppo "sbilanciato", con il
quasi inespressivo Peter MacNicol (al suo secondo film, ma anche nel
resto della sua carriera non è mai riuscito a lasciare il segno), il
bravo Kevin Kline che svolge dignitosamente il suo compito e la
sempre ottima Meryl Streep, costretta a recitare con un marcatissimo
accento polacco. A lei fu assegnato l'unico Oscar di questo film, ma
oserei dire che delle sue "solo" 3 statuette forse è la meno
meritata, mentre avrebbe dovuto riceverne di più dalle sue altre 17
Nomination.
Le spropositate lodi che raccolse
all’uscita probabilmente furono influenzate (come spesso accade) dal
politically correct e quindi dal tema: l’olocausto. Nel corso del
tempo è stato rivalutato al ribasso, per quello che è: un buon film
meritevole di una visione, ma certamente non un memorabile
capolavoro.
Oscar a Meryl Streep quale
protagonista, Nomination per sceneggiatura, fotografia, costumi e
musica originale.
IMDb 7,7 RT 79%
168 * “The Shootist” (Don Siegel, USA, 1976) tit. it. “Il pistolero”
* con John Wayne, Lauren Bacall, Ron Howard, James Stewart
“Quasi western” veramente
particolare, ultimo film interpretato da John Wayne.
Don Siegel lo omaggia aprendo con una serie delle sue sparatorie più
famose tratte da Red River (1948), Hondo (1953), Rio Bravo (1959),
El Dorado (1967) e attribuendole al personaggio che interpreta: J.B.
Books. Questi è un “pistolero” a fine carriera (e vita) che va a
trovare il suo medico di fiducia dr. Hostetler, interpretato da
James Stewart. La coppia di mostri sacri di Hollywood si erano già
“esibiti” insieme in un altro famoso western: “L’uomo che uccise
Liberty Valance”.
Ci sono anche altri nomi conosciuti
e volti ben noti, da Lauren Bacall a John Carradine, e anche Ron
Howard prima che diventasse famoso con “Happy Days” per poi passare
alla regia e vincere anche l’Oscar con “A Beautiful Mind”.
Come western non è un gran che, sia
per struttura che per epoca (primi anni del ‘900), ma ci sono tutti
gli elementi classici, dall’avvenente vedova che fa colpo sul
protagonista, lo sceriffo poco di buono, il ragazzo troppo
intraprendente, qualche tocco di commedia e via discorrendo fino
alla sparatoria finale nel saloon con il giocatore professionista e
un paio di ceffi che avevano conti in sospeso con Books e con
l’ovvia presenza del barista armato di doppietta.
Qualcuno vede nel finale di “Gran
Torino” di Eastwood una citazione di “The Shootist” ... e forse non
si sbaglia.
Nomination Oscar per la scenografia
IMDb 7,7 RT 93%
167 * “Memoirs of a geisha” (Rob Marshall, USA, 2005) tit. it.
“Memorie di una geisha” * con Ziyi Zhang, Ken Watanabe, Michelle
Yeoh, Gong Li
All’uscita divise la critica e
scatenò infinite polemiche, tuttora resta singolare l’assoluta
diversità di rating fra il buon 7,4 di IMDb e il misero 35% di
RottenTomatoes. I giapponesi criticarono pesantemente sia il libro
da cui è tratto (di Arthur Golden) che il film per la scarsa
veridicità e per aver utilizzato troppi interpreti cinesi, anche nei
ruoli principali. Da parte loro, i cinesi percepirono come offensiva
la descrizione delle loro donne costrette non solo a diventare
geishe contro la loro volontà ma anche a prostituirsi e addirittura
a divenire schiave sessuali per i soldati nipponici (guerra
sino-giapponese 1937-45), tanto che il film fu censurato e quindi
bandito in Cina. Altri hanno criticato la storia molto poco
probabile e realistica, tuttavia quasi tutto concordano sulla
bellezza visuale e sulla riproduzione di un ambiente esotico e pieno
di misteri seppur, a detta degli esperti, fasullo.
IMDb 7,4 RT 35% * 3 Oscar
(fotografia, scenografia, costumi) e 3 Nomination (sonoro,montaggio
sonoro e colonna sonora)
166 * “Howards end” (James Ivory, UK, 1992) tit. it.
“Casa Howard” * con Anthony Hopkins, Emma Thompson, Vanessa
Redgrave, Helena Bonham Carter
Contando su due interpreti come Emma
Thompson ed Anthony Hopkins già si preannunciava come un buon film,
dopo averlo visto direi che è un ottimo film. Si distingue anche
Vanessa Redgrave (Nomination Oscar) seppur nel suo ruolo molto
limitato, l’elemento di “disturbo” è Helena Bonham Carter, secondo
me generalmente sopravvalutata.
L’intricata e interessante
sceneggiatura (tratta dall’omonimo romanzo di E.M. Forster) è
sostenuta da un’ottima ricostruzione di ambienti, costumi e, non da
ultima, la fotografia.
Si potrebbe definire un “dramma
sociale” nel quale i membri di tre famiglie di livello sociale
diverso si incontrano, si uniscono, si scontrano.
Merita senz’altro una visione,
possibilmente in edizione originale per godere al meglio delle
interpretazioni della Thompson e di Hopkins.
IMDb 7,5 RT 93% *
3 Oscar (Emma Thompson protagonista,
sceneggiatura, scenografia) e 6 Nomination (miglior film, regia,
Vanessa Redgrave non protagonista, fotografia, costumi, musica
originale)
165 * “The Lion in Winter” (Anthony Harvey, UK, 1968) tit. it.
“Il leone d’inverno” * con Peter O'Toole, Katharine Hepburn, Anthony
Hopkins
Questo film vale soprattutto per le
ottime interpretazioni dei protagonisti e del resto, scorrendo i
nomi del cast, non ci si poteva aspettare altro. Tuttavia nel
complesso soffre troppo della sceneggiatura teatrale (tratta dal
dramma storico di James Goldman, del 1966, e adattata dallo stesso
autore) ed inoltre penso che per apprezzarlo si dovrebbe conoscere
(o ricordare) un po’ di storia medioevale e forse quella insegnata a
scuola in Italia non è sufficiente.
Vinse 3 Oscar (Katharine Hepburn
quale protagonista, sceneggiatura e colonna sonora) e ottenne altre
Nomination (miglior film, regia, Peter O’Toole protagonista e
costumi)
Se non si gradisce la recitazione
teatrale e non si riescono a seguire i giochi di potere esposti o
prospettati dal re Henry II, sua moglie e i suoi tre figli, (con
brevi interventi del re di Francia Filippo) e a cogliere i
riferimenti a Thomas Becket e all’Aquitania, “Il leone d’inverno”
può risultare estremamente noioso ... e dura oltre 2 ore.
IMDb 8,1 RT 91%
164 * “A Farewell to Arms” (Frank Borzage, USA, 1932) tit. it.
“Addio alle armi” * con Gary Cooper, Helen Hayes, Adolphe Menjou
“Drammone romantico” tratto
dall’omonimo romanzo di Hemingway, dal quale furono tratte
successivamente altre versioni cinematografiche la più conosciuta
delle quali è quella del 1957, diretta da Charles Vidor e
interpretata da Rock Hudson e Jennifer Jones, ma pare che non sia
per niente migliore.
A chi non conoscesse la trama posso
dire che si tratta della appassionata storia d’amore fra un
ufficiale americano arruolato nell’esercito italiano ed una
infermiera inglese durante gli ultimi mesi della Grande Guerra.
Inizia nel nord-est italiano e termina (ovviamente in modo tragico)
in Svizzera.
Bravi i tre attori principali e
ottima la regia con una eccezionale sequenza descrittiva della
guerra in generale, lunga vari minuti duranti i quali non appare
alcuno dei protagonisti e con un montaggio rapidissimo di grande
effetto.
Vinse 2 Oscar: per la fotografia a
Charles Lang (il suo unico, nonostante le 17 Nomination fra le quali
quelle per “i maglifici 7”, “Sabrina”, “A qualcuno piace caldo”, “La
conquista del west”, ...) e per il sonoro.
IMDb 6,6 RT 92%
163 * “The Big Sky” (Howard Hawks, USA, 1952) tit. it.
“Il grande cielo” * con Kirk Douglas, Dewey Martin, Elizabeth
Threatt
Altro classico western di Hawks,
anche se non lo si potrebbe definire così. Infatti, si tratta di
pionieri commercianti di pelli della prima metà dell’800 e tutto si
svolge lungo il Mississippi e poi il Missouri durante un viaggio in
barca di avventurieri indipendenti che dovranno vedersela con i
grandi commercianti. Ci sono anche i pellerossa, ma in un ruolo
marginale se non per i due che viaggiano sull’imbarcazione con
equipaggio quasi tutto francese. Penso che questa succintissima
descrizione basti a dimostrare che “Il grande cielo” si distingue
dai tanti altri western dell’epoca.
Piacevole, interessante, buona
storia, bella scenografia naturale.
Seppur datato e non un capolavoro,
merita una visione
IMDb 7,1 RT 100% * Nomination
Oscar: Arthur Hunnicutt non protagonista e Russell Harlan per la
fotografia in b/n (all’epoca erano presti due Oscar separati, uno
per il colore e uno per il b/n)
162 * “Le quattro verità” (Berlanga, Clair, Blasetti, Fra-Ita-Spa,
1964) * con Sylva Koscina, Monica Vitti, Rossano Brazzi, Leslie
Caron, Charles Aznavour, Raymond Bussières
Film di quelli cosiddetti “ad
episodi”, ma che in effetti consiste di quattro corti diretti da
quattro registi diversi: Luis Garcia, Berlanga René Clair, Hervé
Bromberger, Alessandro Blasetti (in ordine di montaggio).
Le storie sono ambientate in Spagna,
Francia e Italia e sono assolutamente indipendenti e slegate fra
loro, con il solo punto in comune di essere liberamente ispirati ad
altrettante favole di La Fontaine: La morte e il carnefice, I due
piccioni, Il corvo e la volpe, La lepre e la tartaruga. Il primo è
quasi una “comedia negra” (da Berlanga non ci si poteva aspettare
niente di diverso) e il terzo è quasi boccaccesco, ma entrambi
mancano di vitalità, tranne che per un paio di spunti nel primo.
Molto più interessanti invece gli
altri due, commedie sofisticate, che contano anche su
interpretazioni migliori: Leslie Caron e Charles Aznavour nel
“duetto” fra sconosciuti bloccati in un appartamento per un paio di
giorni, e Monica Vitti, Sylva Koscina e Rossano Brazzi in un
inusuale triangolo.
Film visto per pura curiosità in
quanto il corto di Blasetti è in gran parte ambientato a Sorrento, a
pochi km da casa mia.
Se aveste l’occasione di trovarli
staccati uno dall’altro, consiglio di limitarvi a guardare solo il
lavoro di Clair e Blasetti.
IMDb 6,5
161 * “Kika” (Pedro Almodóvar , Spa, 1993) tit. it.
“Un corpo in prestito” * con Peter Coyote, Verónica Forqué, Victoria
Abril
Questo mi ha convinto di meno di “La
ley del deseo”, la storia è un po’ troppa contorta e nel confronto
fra il quasi noir al quasi thriller, il secondo è evidentemente
inferiore. La pur brava Victoria Abril con il suo onnipresente
archetipo di “Go Pro” montata su un casco non è molto convincente
(anche se l'idea in sé è geniale).
Sono anche certo che Verónica Forqué
abbia ben messo in pratica tutte le idee di Almodóvar, ma il
personaggio di Kika appare quasi surreale.
Alcuni passaggi sono troppo
prevedibili e altri “stiracchiati” rendendo il ritmo generale molto
più lento rispetto all’esuberanza e alla vera “passione” di “La
legge del desiderio” che, oltretutto si avvaleva di un cast di gran
lunga superiore.
A meno che non siate “allergici” ad
Almodóvar, è da vedere comunque.
IMDb 6,5 RT 62%
160 * “La ley del deseo” (Pedro Almodóvar , Spa, 1987) tit. it. “La
legge del desiderio” * con Eusebio Poncela, Carmen Maura, Antonio
Banderas
Almodóvar double bill. Ho finalmente
colmato un paio di lacune nelle prima parte della filmografia del
regista manchego. Questo film di 30 anni fa (ma non li dimostra
proprio) mi è piaciuto veramente molto. Storia intricata, a tratti
con toni da commedia ma più che altro tendente al noir e,
ovviamente, con protagonisti di ogni genere di “preferenza
sessuale”, omosessuali, lesbiche, transessuali senza dimenticare gli
omofobi.
Al di là di tutto ciò, penso che in
questo film Almodóvar abbia inserito una serie impressionante di
inquadrature memorabili, dettagli quasi macro, colori sgargianti con
il solito rosso che spicca su tutti. Giusto per citarne un paio, il
brevissimo primo piano ripreso dall’interno della macchia per
scrivere, attraverso i tasti, e il famoso arco di acqua.
Tutti bravissimi gli attori, molti
dei quali in ruoli per niente facili ... e ricordate che stiamo
parlando della fine degli anni ’80 e di alcune scene esplicite che
ancora oggi sono reputate “osé”. Inoltre, all’epoca Almodóvar non
era ancora diventato tanto famoso da poter proporre qualunque cosa e
quindi questo film era veramente provocatorio.
Uno dei migliori film di Pedro
Almodóvar, da non perdere.
IMDb 7,2 RT 94%
159 * “Foxcatcher” (Bennet Miller, USA, 2014) * con Steve Carell,
Channing Tatum, Mark Ruffalo
Non è male, ma mi aspettavo di
meglio, perfino Ruffalo (che di solito apprezzo) mi è sembrato
sottotono. Anche se l’essenza racconta di una storia purtroppo vera,
in più punti questa viene presentata in modo poco credibile.
In sostanza non riesce a
coinvolgere, visione non indispensabile, nonostante le 5 Nomination
Oscar (Steve Carell, protagonista, Mark Ruffalo, non protagonista,
regia, sceneggiatura, make-up).
IMDb 7,0 RT 88%
158 * “Abhijaan” (Satyajit Ray, India, 1962) tit. int. “The
Expedition” * con Waheeda Rehman, Soumitra Chatterjee, Ruma Guha
Thakurta
Per sua stessa ammissione, Martin Scorsese fu molto influenzato dal
tassista indiano “di campagna” protagonista di questo film per
costruire il personaggio il Travis Bickle (Robert De Niro) di “Taxi
Driver”. La trama in effetti si sviluppa in modo abbastanza diverso
non solo per epoca e luoghi, ma anche per la situazione. Tuttavia in
entrambe i casi il tassista subisce il fascino di una giovane
prostituta e ciò gli cambia la vita.
Anche in questo caso affascinano i
vari modi in cui Ray compone persone e volti nel fotogramma, in
particolare è apprezzabile l’apertura con inquadratura fissa per
quasi 3 minuti nella quale, utilizzando l’immagine riflessa in un
vetro rotto, appaiono i volti (non i profili) di due persone che in
effetti dialogano faccia a faccia (vedi prima foto dopo la
locandina, nella seconda altro esempio simile).
Ancora una volta, oltre che di buone
interpretazioni (con il solito Soumitra Chatterjee in testa) il film
si avvantaggia anche del supporto di un ottimo commento sonoro che
più volte, nei momenti chiave, improvvisamente si interrompe creando
ancor più tensione.
Pur essendo meno conosciuto di tanti
altri titoli del regista bengalese, e più che altro noto per la sua
relazione con “Taxi Driver”, non mi è sembrato che “Abhijaan” sia di
qualità tanto inferiore ai migliori e merita senza dubbio una
attenta visione.
IMDb 8,0 *
Inserito nel 2001 nella “The Masters of Cinema Series” dell’Academy
Film Archive.
157 * “Paloma herida” (Emilio Fernández, Mex-Gua, 1963) trad. lett.
“Colomba ferita” * con Patricia Conde, Emilio Fernández, Andrés
Soler, Columba Domínguez
Ennesimo buon film di
Emilio Fernández “El Indio”, prolifico e ottimo regista messicano,
anche attore (come in questo caso) nonché modello per la statuetta
degli Oscar!.
Ancora una volta la storia si svolge
in nell’ambito di una piccolissima comunità di indigeni. In questo
caso gli indios vivono in riva ad un lago sopravvivendo con piccola
pesca e agricoltura. Dal lago (in effetti l’Atitlán, Guatemala)
giunge il malvagio Danilo (Fernández) con il suo carico di banditi e
prostitute e si “impossessa” del pueblo. Il film inizia con la sua
uccisione e continua con il lungo flashback degli eventi che
spiegano l’assassinio a sangue freddo.
Come in tanti casi, la fotografia in
bianco e nero è straordinaria pur non avvalendosi del maestro
Gabriel Figueroa (Nomination Oscar e direttore della fotografia di
quasi tutti i film messicani di Buñuel), ma del meno noto Raúl
Martínez Solares (quasi 300 film, utilizzato da Buñuel in
alternativa a Figueroa). Date uno sguardo all’allegata raccolta di
foto.
“Paloma herida” merita senz’altro
una visione, non solo per come è diretto e per le immagini, ma anche
per l’ottima interpretazione dell’attore-regista Emilio Fernández.
IMDb 7,2
156 * “Al-mummia” (Chadi Abdel Salam, Egitto, 1969) tit. it. “La
mummia”, tit. int. “The Night of Counting the Years” * con Ahmed
Marei, Ahmad Hegazi, Zouzou Hamdy El-Hakim
Questo “La mummia” (niente a che
vedere con tutti i suoi omonimi horror, avventura, sci-fi e
compagnia cantante) è un altro dei pochi film egiziani conosciuti a
livello internazionale e reputato di ottima qualità. Abdel Salam
lavorò come scenografo e costumista per Roberto Rossellini (in
Egitto per girare una puntata di “La lotta dell'uomo per la sua
sopravvivenza”) e gli sottopose la sceneggiatura ottenendo la sua
approvazione, consigli ed incoraggiamento.
Prende spunto da un fatto di cronaca
del 1881, quando furono recuperati 40 sarcofagi (pieni) nell’area
archeologica di Tebe a seguito della presa di coscienza del figlio
di uno dei capi della tribù che per anni, ma con molta attenzione e
parsimonia, avevano venduto un pezzo alla volta a ricettatori. Il
film si svolge quasi interamente in un paesaggio desertico fra
rovine, muri ricoperti da geroglifici, stretti passaggi e camere
sotterranee, a poca distanza dal Nilo. I dialoghi sono pochissimi e
l’espressività dei volti è volutamente limitata, mentre le riprese
calano lo spettatore in un clima quasi surreale di sabbia e pietre
che trasudano storia e cultura.
Film fatto restaurare da Martin
Scorsese una decina di anni fa presso i laboratori “L’immagine
ritrovata” di Bologna.
Un altro importante granello di
sabbia (paragone quanto mai calzante) nel panorama del Cinema
internazionale.
IMDb 7,9
155 * “Al-massir” (Youssef Chahine, Egitto, 1997) tit. it. “Il
destino” * con Nour El-Sherif, Hani Salama, Laila Eloui
“Le idee (il pensiero) hanno ali.
Nessuno può impedire il loro volo.”
Con questa frase (attribuita ad
Averroè) si conclude il film mentre si vede il grande rogo dei libri
del filosofo arabo (1126-1198) che rappresenta il personaggio chiave
nei contrasti fra fazioni di “mori” che all’epoca governavano a
Granada (Al-Andalus, poi Andalusia). Pur seguendo una trama
“materiale” (con amori, tradimenti, attentati, canti e danze) questo
lavoro di Chahine potrebbe definirsi filosofico visto che si tirano
in ballo molti dei suoi convincimenti che, ovviamente, davano molto
fastidio a tanti, soprattutto agli integralisti. Si parla tanto di
libri, filosofia, religioni, leggi e libera circolazione delle idee.
Per chiarire, ecco alcune delle
citazioni attribuite ad Averroè, alcune delle quali estremamente
attuali
“L’ignoranza conduce alla paura, la
paura all’odio, e l’odio conduce alla violenza. Questa è
l’equazione.”
“Le donne dovrebbero essere trattate
come esseri umani, non come animali domestici.”
“Il mondo è diviso fra uomini che
hanno saggezza e non religione e uomini che hanno religione e non
saggezza.
“La religione cristiana è la
religione delle cose impossibili; la giudaica, è religione da
fanciulli; la maomettana, da porci.”
“Una è la verità in filosofia, altra
in religione: la prima è per i filosofi soltanto; la seconda,
invece, è per tutti.”
“Chi pensa è immortale, chi non
pensa muore.”
Ancora una volta Chahine non si
limita a raccontare pedantemente una storia per immagini ma, oltre a
rappresentarla bene e con interessanti movimenti di macchina,
fornisce lo spunto agli spettatori attenti e “avidi di sapere” per
informarsi o approfondire le loro conoscenze in merito all’Epoca
d’Oro islamica, durante la quale il mondo arabo fu indiscusso centro
intellettuale mondiale di scienze, filosofia, matematica, medicina,
astrologia, alchimia e non da ultimo le arti.
Ho trovato questo
interessante articolo apparso sul Guardian in occasione della morte
di Chahine (2008) nel quale viene ben descritta la “filosofia”
del regista egiziano e può servire a chi non lo conosce come
introduzione ai suoi film, spesso in difesa di diritti e libertà,
contro ogni tipo di barriera.
IMDb
7,3 Nomination Palma d’Oro a Cannes
Curiosità: Omar Sharif fu scoperto e
lanciato da Youssef Chahine che nel 1954 lo diresse nelle sue due
prime apparizioni sul grande schermo: “Shaytan al-Sahra” (Devil of
the Sahara) e “Siraa Fil-Wadi” (Struggle in the Valley, in questo fu
già protagonista)
154 * “Bab el hadid” (Youssef Chahine, Egitto, 1958) tit. int.
“Cairo Station” * con Farid Shawqi, Hend Rostom, Youssef Chahine
Subito prima di Jamila, nello stesso
anno, Youssef Chahine diresse e interpretò quello che a tutt’oggi è
il suo film più famoso “Bab el hadid” (trad. lett. “Il cancello di
ferro”). Drammatico, un po’ di commedia, abbastanza osé per l’epoca,
noir e infine thriller (molti vedono nel finale un’anticipazione
delle scene conclusive di Psycho (Hitchcock, 1960). Fra i tre
protagonisti certamente quelli che colpiscono per ruolo e per
interpretazione sono Hend Rostom (famosissima attrice, all’epoca
sogno proibito di tutti gli egiziani) nelle vesti (che in più
momenti lasciano ben poco all’immaginazione) di Hanuma, una
venditrice abusiva di bibite, e lo stesso Youssef Chahine,
sorprendentemente bravo a impersonare Qinawi un venditore di
giornali zoppicante e ossessionato dalle donne.
Apprezzabile sotto ogni punto di
vista, fu a un passo dall'ottenere l’Orso d’Oro a Berlino, ma per
sua sfortuna si trovò la strada sbarrata da “Il posto delle fragole”
(Igmar Bergman, 1957). Interessante anche lo spaccato che ci
fornisce della società egiziana a fine anni ’50 approfittando
dell’ambiente della stazione nella quale confluiscono le classi
sociali più varie e dove si confrontano quelli che l’ cercano di
guadagnarsi da vivere. I forti contrasti fra passato e modernità si
notano nel modo di vestire, di agire, nella musica e a livello
lavorativo visto che il terzo protagonista Farid Shawqi lotta per
costituire un sindacato fra i lavoratori della stazione.
All’uscita in Egitto “Bab el hadid”
fu molto apprezzato dalla critica ma condannato dal pubblico e dai
“benpensanti” tanto da farlo ritirare dalla circolazione. Le tante
scene con “troppa carne scoperta” (che mi hanno ricordato tanto
Bunuel) sempre accompagnate dagli sguardi esplicitamente libidinosi
di Qinawi hanno di fatto tenuto al bando il film per ben 20 anni.
Forse anche per questo, quando si ricominciò a proporlo a partire
dal 1978 fu acclamato da tutti e consacrò Youssef Chahine come il
genio del cinema egiziano.
IMDb 7,2 RT100% *
Nomination Orso d’Oro a Berlino
153 * “La battaglia di Algeri” (Gillo Pontecorvo, Ita, 1966) * con
Brahim Hadjadj, Jean Martin, Yacef Saadi
Buon film, ma secondo me
sopravvalutato ... assolutamente esagerata la sua 240^ posizione
nella classifica IMDb (cito spesso questi dati per puri motivi
statistici, non perché li ritenga attendibili).
Si avvantaggiò di critiche positive
e riconoscimenti per motivi “politici” e per l’impegno profuso in
questo quasi documentario certamente difficile da realizzare, ma
comparato con Jamila (appena visto, recensione precedente) non
percepisco una tale differenza di merito. Al contrario, il film
egiziano, girato con guerra ancora in corso e con meno mezzi, mi è
sembrato molto più coinvolgente e lo preferisco , nonostante la sua
“ingenuità” in alcuni passaggi.
Su siti e blog internazionali, e su
alcuni italiani, troverete vari accostamenti e paragoni fra i due
film, anche se quello di Pontecorvo copre l’intero periodo di
guerra/rivoluzione mentre quello di Chahine si concentra sulla
storia di Jamila Bouhired e quindi sugli avvenimenti del 1957.
Comunque sia, merita certamente una
visione.
IMDb 8,1 RT 99% *
240° miglior film di sempre secondo
IMDB - 3 Nomination Oscar, per miglior film in lingua non inglese
nel 1967 e per Regia e Sceneggiatura nel 1969 - 3 premi a Venezia
1966
152 * “Djamilah” (Youssef Chahine, Egitto, 1958) aka “Jamila, the
Algerian” * con Magda, Ahmed Mazhar, Salah Zulfakar
Due vie diverse mi hanno portato a
questo film ... cercavo qualche buon film egiziano e più o meno
contemporaneamente dei classici italiani degli anni 60-70. “Djamilah”(aka
“Jamila”) tratta della guerra d’Algeria ed in particolare della
storia di una combattente del fronte di liberazione, veramente
esistita e tuttora vivente: Jamila Bouhired. Il film italiano, come
potrete facilmente immaginare, è “La battaglia di Algeri” (1966) di
Gillo Pontecorvo. La particolarità del lavoro di Chahine (sempre
impegnato in campo politico e sociale) consiste nel fatto che fu
girato appena un anno dopo gli avvenimenti descritti e con la
Bouhired ancora nelle galere francesi. La notizia del processo farsa
a questa “partigiana” davanti ad una corte marziale che non le
riconosceva nessun diritto, neanche la scelta di un avvocato, fece
scalpore e solo grazie a ciò fece ben presto il giro del mondo e
così la condanna a morte fu commutata in ergastolo. Jamila fu
scarcerata a fine guerra, 1962, e l’anno dopo sposò l’avvocato
parigino che “irrompendo” nel tribunale giusto in tempo la difese
per quanto potette e poi raccontò i dettagli della violenze e delle
torture alla stampa internazionale.
La brutalità dei militari francesi e
degli ancor più temibili Legionari viene mostrata chiaramente e
senza mezzi termini e proprio per questo il film fu bandito in
parecchi paesi per vari anni. Anche nel film di Pontecorvo viene
citata, seppur marginalmente, Jamila Bouhired che successivamente
sarebbe stata a capo dell’associazione delle donne algerine e
tutt’oggi (a 81 anni) si batte per i diritti civili.
Pur non essendo memorabile dal punto
di vista strettamente cinematografico in quanto troppo attento a
veicolare un messaggio, il film è ben realizzato se considerai i
mezzi tecnici e i ridotti tempi di realizzazione. Senza dubbio ebbe
il merito di rendere nota la storia di Jamila diventando strumento
di propaganda, prassi del resto comune anche in vari altri “regimi”
del passato. Senz’altro qualche situazione è stata esagerata, ma
sembra che nel complesso Youssef Chahine sia riuscito ad interessare
all’epoca l’opinione pubblica e ancora oggi (come nel mio caso)
essere pungolo per approfondire un po’ di storia di poche decine di
anni fa di una nazione quasi nostra dirimpettaia.
Oltre alla locandina, trovate una
foto della vera Jamila, terza da sinistra.
IMDb 7,2
151 * “Midnight in the Garden of Good and Evil” (Clint Eastwood,
USA, 1997) tit. it.
“Mezzanotte nel giardino del bene e del male” * con John Cusack,
Kevin Spacey, Jack Thompson, Lady Chablis, Jude Law
Inizia come commedia di costume
della ricca borghesia di Savannah, nelle splendide magioni d’epoca,
per poi diventare un court room movie. Una buona varietà di
personaggi con due di essi che rubano la scena ai più famosi
protagonisti vale a dire il pur sempre bravo Spacey e a Cusak che, a
mio parere, tanto bravo non è mai stato. Si tratta di Jack Thompson
che nei panni dell’avvocato difensore ci regala un’ottima
interpretazione e di Lady Chablis nelle vesti di una istrionica ed
imprevedibile drag queen. Stranamente questo è rimasto l’unico film
di Benjamin Edward Knox (il suo vero nome così come registrato
all’anagrafe) nonostante fosse un nome già ben noto avendo vinto
numerosi concorsi ed essendo questa la prima apparizione di un
transgender in un ruolo principale e in un film con regista e attori
di livello internazionale.
Fra i tanti bravi attori e
caratteristi che appaiono in ruoli minori (o brevi) ci sono anche
Jude Law, agli inizi della sua brillante carriera e Alison Eastwood
(figlia di Clint).
In conclusione, l’ho trovato
piacevole e a tratti divertente anche se un po’ troppo lungo (quasi
2h30’), con molti alti e bassi, particolarmente affascinante per la
descrizione del particolare ambiente di Savannah, storica cittadina
del sud-est degli Stati Uniti, almeno per come viene ritratto ma non
penso che sia stato molto distante dalla realtà.
Questo film inusuale di Clint
Eastwood, basato sul romanzo omonimo di John Berendt, è talmente
particolare che non ha ricevuto recensioni consistenti, è stato
osannato da tanti ma ancor più sono quelli che lo hanno stroncato
senza pietà alcuna.
Io ne consiglio comunque la visione,
in particolare a chi apprezza Clint Eastwood e poi ognuno sarà
libero di giudicarlo capolavoro incompreso o peggiore film di
sempre.
IMDb 6,6 RT 48% |