399 “Girl with a Pearl Earring” (Peter Webber, UK, 2003) tit. it.
“La ragazza con l'orecchino di perla“ * con Scarlett Johansson,
Colin Firth, Tom Wilkinson, Judy Parfitt
Visualmente bello, con un’interessante ricostruzione di ambienti
(sia interni che esterni), bei costumi e quindi trovo che siano
meritate le 3 Nomination Oscar (fotografia, scenografia e costumi).
La storia proposta nel film è tratta dall’omonimo romanzo scritto
nel 1999 dalla statunitense Tracy Chevalier la quale, affascinata
dal dipinto in questione, ha voluto ricamare una storia descrivendo
(inventando) i delicati rapporti fra la modella (più o meno
involontaria) e il pittore, nonché il mecenate, la moglie e la
suocera di quest’ultimo.
Ho qualche minimo appunto da fare per la scelta di fotografare gli
interni sempre molto illuminati ... dimenticando che fuori si mostra
più volte neve e gelo (in inverno in Olanda ci sono poche ore di
luce), che le finestre sono poche e relativamente piccole e che le
poche candele non avrebbero mai potuto diffondere tutta quella luce.
Considerando anche il particolare ambiente esterno (canali, a volte
ghiacciati) mi sarei aspettato un’aria più brumosa e grigia ... ma
sono dettagli.
Nel cast si distinguono due personaggi quasi minori: Tom Wilkinson
nei panni del perfido mecenate e Judy Parfitt nelle vesti della
suocera di Vermeer, l’unica ad avere le idee chiare e quindi colei
che controllava il tutto. Non troppo convincenti Colin Firth e
Scarlett Johansson.
Interessanti le scene della creazione dei colori e affascinanti
quelle dei canali di Delft, città che conoscevo solo per le sue
ceramiche e non per essere una piccolissima Amsterdam.
IMDb 7,0 RT 78%
398 “Chocolat” (Lasse Hallström, UK, 2000) * con Juliette Binoche,
Judi Dench, Alfred Molina, Johnny Depp
Garbata, ma molto insulsa, pseudo commedia buonista che non riesce a
ironizzare seriamente sui tanti difetti umani e sociali tirati in
ballo, né riesce a divertire. Judi Dench è l’unica del cast a
dimostrare il suo valore, Juliette Binoche e Alfred Molina
“galleggiano” interpretando personaggi fra il poco plausibile ed il
ridicolo, e il fondo si tocca con Johnny Depp (per fortuna la sua
parte è breve).
Carino il paesino scelto come location (Flavigny-sur-Ozerain, Côte-d'Or,
Francia), così come i costumi e gli arredi ... tutto il resto è da
dimenticare.
Non capisco le 5 Nomination Oscar (che giustamente non ottennero
niente) se non quella di Judi Dench, sempre brava ma questa volta
nel film sbagliato.
IMDb 7,3 RT 63%
397 “Proof” (John Madden, USA, 2005) tit. it.
“La prova“ ma la traduzione in questo caso sarebbe dovuta essere
“dimostrazione”, essendo riferita a teorie o teoremi matematici *
con Gwyneth Paltrow, Anthony Hopkins, Hope Davis, Jake Gyllenhaal
Avevo comprato il dvd con qualche esitazione, in quanto se da un
lato le recensioni non era molto promettenti e non sopporto Jake
Gyllenhaal, i temi della probabile (logica) follia e della
matematica mi hanno sempre affascinato. Visto il film, devo dire che
è molto migliore di quanto temessi ed anzi ha molte parti le ho
trovate proprio buone. La sceneggiatura è buona, ma un po’ confusa
anche se è funzionale per come Madden ha voluto impostare il
racconto. Come era prevedibile è evidente l’incapacità di Gyllenhaal,
specialmente avendo al lato Hopkins e Gwyneth Paltrow la cui prova
non è per niente disprezzabile.
Pur non essendo un gran film, merita ampiamente la sufficienza e
quindi una visione.
IMDb 6,8 RT 62%
396 “The Man Who Wasn't There” (Ethan e Joel Coen, USA, 2001) tit.
it.
“L'uomo che non c'era “ * con Billy Bob Thornton, Frances McDormand,
Michael Badalucco, Scarlett Johansson
Buon film realizzato con la solita cura dai fratelli Coen, uno dei
meno conosciuti, senz’altro non fra i loro migliori. Filmato in un
bel bianco e nero in stile d’epoca, fra noir degli anni ’40-’50 e un
po’ di espressionismo tedesco degli anni ’20, con fasci di luceche
rompono l’oscurità proiettando lunghissime ombre. Il cast non
include grandi nomi, alcuni forniscono eccellenti interpretazioni
come Billy Bob Thornton, Frances McDormand, Tony Shalhoub, altri
sono un po’ spenti. La più famosa (oggi) è Scarlett Johansson, ma
allora (17enne) era ancora agli inizi della carriera e solo due anni
dopo sarebbe giunta la fama con “Lost in Translation” e“Girl with a
Pearl Earring”.
Ho trovato un po’ “pesante” e quindi eccessiva la narrazione con
voce fuori campo che, pur essendo una modalità molto utilizzata
anche nei noir classici di ottimo livello, mi ha sempre infastidito
un po’.
La sceneggiatura (ovviamente anch’essa curata dai fratelli Coen) è
più che buona e, pur sviluppandosi lentamente, riserva molti
originali colpi di scena.
Consigliato, ma a chi non conosce i Coen, consiglio di cominciare da
qualche altro film, questo non fornisce a pieno l’idea del loro
talento.
IMDb 7,6 RT 81%
395 “Lolo” (Francisco Athié, Mex, 1993) * con Roberto Sosa,
Esperanza Mozo, Damián Alcázar, Lucha Villa
Discreto film del periodo in cui il cinema messicano cominciava a
riprendersi dopo gli “anni bui” (‘60-‘80) che seguirono agli
splendori de la “Epoca de Oro”. Sceneggiatura un po’ frammentata, la
regia apprezzabile, fotografia un po’ troppo buia, la recitazione è
buona, in particolare quella del solito Damián Alcázar.
In sostanza sufficiente, ma niente più.
IMDb 7,1
394 “El rincón de las vírgenes” (Alberto Isaac, Mex, 1972) * con
Emilio Fernández, Alfonso Arau, Rosalba Brambila
Questo titolo mi era passato sotto gli occhi e l'avevo scaricato in
quanto il protagonista è Emilio Fernandez "El Indio" (il generale
Mapache in “The wild Bunch”), all'epoca già 60enne. Il
co-protagonista è Alfonso Arau, che sarebbe diventato anche lui
regista ed esattamente venti anni dopo, nel 1992, avrebbe diretto il
ben più famoso film “Como agua para chocolate”, ma non ha
assolutamente la classe del "Indio".
Anacleto (Fernández) è un "santone", approfittatore ben cosciente di
ciò che fa (come quasi sempre accade), aiutato dall’imbonitore Lucas
(Arau) a circuire gente disperata e credulona.
Commedia "quasi" all'italiana, ma molto più soft, abbastanza
scadente.
IMDb 6,8
393 “Brigsby Bear” (Dave McCary, USA, 2017) *
con Kyle Mooney, Mark Hamill, Jane Adams
Questo, che era la quarta scelta dei film da vedere in volo, pur
essendo una commedia giovanie, si è rivelato il più originale e ben
fatto (per il suo genere) del lotto. Molto succintamente, un
giovanotto di 25 anni si deve reinserire nel mondo reale (e moderno)
dopo essere cresciuto guardando esclusivamente le avventure di "Brigsby
Bear", un orso di peluche che aiutato da un paio di ragazze (in
carne e ossa) combatte contro vari "cattivi”. Tranne qualche
prevedibile banale scena tipica dei film giovanili nei quali il
protagonista è un po' imbranato, il film conta su molte trovate
divertenti e raramente proposte. Volendo andare al di là di una
lettura immediata e superficiale, c'è anche un chiaro e non molto
usuale messaggio: seguire le proprie idee e passioni, a prescindere
dalla morale comune e da ciò che pensano gli altri.
Piacevole passatempo ... e si parla anche di Cinema!!
IMDb 7,5 RT 80%
392 “Lady Macbeth” (William Oldroyd, UK, 2016) * con Florence
Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton
Belle riprese e scene ... niente di più. La storia a mio avviso non
regge, specialmente per l'eccessivo carico di eventi e apparizione
di nuovi personaggi, molti dei quali “inutili”.
Mi erano capitate sotto gli occhi recensioni molto discordanti, ora
mi associo a quelle negative.
Evitabile
IMDb 6,9 RT 89%
391 “Maudie” (Aisling Walsh, Can-Irl, 2016) * con Tom Schilling,
Katharina Schüttler, Justus von Dohnányi
Mi aspettavo di più da questo biopic dell'artista folk canadese Maud
Lewis. Ai suoi problemi fisici (grave artrite reumatoide) si
aggiunsero quelli familiari e poi, quando se ne allontanò dalla zia
con la quale viveva, gli abusi di colui che sarebbe poi diventato il
suo compagno per il resto dei suoi giorni.
Buona ambientazione, storia interessante, ma gli interpreti non sono
troppo convincenti. Mi sembra che Ethan Hawke reciti sempre nella
stessa maniera, indipendentemente dal ruolo, e quindi appare ogni
volta un po' peggiore della precedente.
Senza infamia e senza lode
IMDb 7,7 RT 89%
390 “Oh Boy - A coffe in Berlin” (Jan Ole Gerster, Ger, 2012) * con
Péter Rudolf, Bence Tasnádi, Tamás Szabó Kimmel
Anche di questa commedia nera "sociale" avevo letto per lo più bene,
ma non è un gran ché. Protagonista è un giovane berlinese non tropo
brillante, che per tutta la durata del film si comporta in modo non
proprio intelligente, si accompagna a persone che probabilmente lo
metteranno in qualche situazione strana, forse pericolosa, discute
inutilmente con chi non ha il coltello dalla parte del manico.
Il tutto si risolve quindi in una serie di eventi abbastanza
scollegati fra loro, alcuni in qualche modo originali e divertenti,
tanti altri banali e già visti seppur con qualche ovvia differenza.
Appena sufficiente.
IMDb 7,4 RT 73%
389 “Mujer de medianoche” (Víctor Urruchúa, Mex, 1952) * con Gloria
Marin, Victor Junco, Ernesto Alonso, Katy Jurado
Molto più interessante di “Celos” è questo quasi noir, nel quale
come spesso accadeva nei film dell'epoca, vengono a contatto e
talvolta si scontrano rappresentanti di tre classi sociali ben
distinte: poveri, ricchissimi e malavitosi.
Non è un capolavoro, ma merita una visione essendo più che buono nel
suo genere.
IMDb 6,0
388 “Celos” (Arcady Boytler, Mex,
1936) * con Fernando Soler, Vilma Vidal, Arturo de Córdova, Emilio
Fernández
Dramma della gelosia, fino alla follia, in un ricco ambiente di
medici nel Messico degli anni '30.
Ottimo cast con Fernando Soler (protagonista) geloso di sua moglie
Vilma Vidal corteggiata da un giovane Arturo de Córdova. C’è anche
Emilio Fernández “El Indio”. Onesto lavoro dell'epoca, dopo poco
sarebbe iniziata l'Epoca de Oro del Cine Mexicano.
IMDb 6,2
387 “1945” (Ferenc Török, Ung, 2017) * con Péter Rudolf, Bence
Tasnádi, Tamás Szabó Kimmel
Che bel film!!!
Che bella storia, che bella fotografia (inquadrature e bianco e
nero), che bel commento sonoro!
Piacevolissima sorpresa l’ultimo film della Muestra Internacional
della Cineteca Mexico che ho potuto guardare prima del rientro. Gli
ungheresi vantano una solida e storica tradizione cinematografica e
sanno produrre bei film, di cinematografia pura, senza dover
ricorrere a grandi nomi né a grandi investimenti. Questo “1945” pare
sia costato meno di 1,5 milioni di euro e conta su un ottimo cast di
veri attori e non un fritto misto di bellocci incapaci e procaci ma
insipide fanciulle.
In questa breve storia che si sviluppa nelle ore diurne di un sol
giorno, si assiste all’arrivo in treno di due misteriosi uomini con
due grandi casse e caricatele su un carretto si avviano verso il
paese, dove tutto è pronto per un matrimonio. A tratti fa pensare a
“El amor brujo” di García Lorca, in altri momenti a “Cronaca di una
morte annunciata” di García Marquez.
Dal momento in cui si sparge la voce dell’arrivo dei due
sconosciuti, nel paese niente va più nel verso giusto. Mentre la
tensione sale, si assiste a scontri violenti negli ambiti familiari,
a ripicche, rimorsi, minacce e pentimenti, per la maggior parte del
tempo con un occhio a sorvegliare i due uomini che seguono a piedi
il carretto con le casse.
Assolutamente consigliato. Mi è piaciuto tutto, angoli di ripresa,
montaggio, fotografia, tempi, costumi, recitazione, scenografia,
storia, commento sonoro e regia.
IMDb 7,7 RT 93%
386 “120 battements par minute” (Robin Campillo, Fra, 2017) tit. it.
“120 battiti al minuto” * con Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois,
Adèle Haenel
Film (molto) drammatico che descrive alcune attività dei primi anni
’90 del movimento Act Up-Paris, che seguiva le orme dell’omologo
statunitense fondato nel 1987. Il film si sviluppa su tre livelli
diversi, aventi molti punti in comune. C’è una storia sentimentale
(omosessuale), si seguono i peggioramenti di alcuni malati terminali
e si assiste a numerose riunioni e azioni dimostrative del gruppo,
il cui fine era quello di sollecitare l’informazione e la
prevenzione della diffusione dell’AIDS. Se i primi due argomenti,
pur se molto ben proposti con grande sensibilità, sono abbastanza
scontati, il terzo è quello che risulta più interessante non tanto
per le azioni dimostrative (alcune delle quali esagerate e
“fuorilegge”) quanto per le aspre discussioni che nascono fra i
membri del collettivo aventi visioni e proposte molto diverse.
Le 2 ore e 20 sono forse un po’ eccessive e, l’avrete già capito,
secondo me potevano essere ridotte le parti personali che in vari
punti rallentano il ritmo con scene troppo lunghe.
Tanta camera a spalla nei momenti più movimentati, un buon commento
sonoro, le più che onorevoli interpretazioni e una meritevole regia
rendono “120 battements par minute” un prodotto senz’altro superiore
alla media, ma non bastano a farne un ottimo film.
IMDb 7,7 RT 100%
* 4 premi “minori” a Cannes 2017 * Candidato francese
all’Oscar per il miglior film in lingua non inglese
385 “I, Olga Hepnarova” (Petr Kazda e Tomás Weinreb, Cze, 2016) *
con Michalina Olszanska, Martin Pechlát, Klára Melísková
Uno dei più deludenti film di queste due settimane, a mio parere mal
realizzato e la storia (vera) di una psicopatica indecisa fra
assassinio e suicidio non lo rende certamente più "digeribile". Mi
sembra uno dei tanti casi in cui regista e produttori pensano che
portare sullo schermo una tragica storia vera basti a far apprezzare
il film ... purtroppo non è assolutamente così.
Girato in bianco e nero, con tante inquadrature fisse, alcune
addirittura lunghe e vuote, e assoluta mancanza di commento sonoro,
il film narra la storia vera di Olga Hepnarova che nel 1973 fittò un
camion e volontariamente investì una ventina di persone in attesa
del bus, uccidendone 8 (sarà stata lei la prima ad applicare questo
metodo ormai troppo spesso usato da terroristi?). Su sua esplicita
richiesta, fu condannata a morte e la sua fu l’ultima esecuzione di
una donna in Cecoslovacchia.
La narrazione è frammentaria, la recitazione non eccezionale, il
ritmo è lento e l’analisi dei personaggi superficiale.
Non lo consiglierei.
IMDb 6,7 RT 73%
384 “La belle noiseuse” (Jacques Rivette, Fra, 1991) tit. it. “La
bella scontrosa“ * con Michel Piccoli, Jane Birkin, Emmanuelle Béart
Ennesima occasione imperdibile proposta non dalla solita Cineteca
Nacional, bensì dal MUNAL, Museo Nacional de Arte,... “La belle
noiseuse” di Jacques Rivette, regista cinematografico e teatrale,
fra i più stimati critici di “Cahiers du cinéma” rivista della quale
fu caporedattore dal ’63 al ’65, punto di riferimento per i suoi
co-fondatori della Nouvelle Vague (Godard, Truffaut, Chabrol, Rohmer
e co.),
E' già abbastanza difficile vedere i film dei suddetti autori al
cinema (su grande schermo e non in salette striminzite per cinefili
incalliti) e questo in particolare è un'autentica rarità visti i
suoi problemi di distribuzione derivanti dalla sua notevole durata
(3h50'!), tanto che nel 1993 ne fu messa in circolazione una
versione ridotta di soli 125 min con titolo “Divertimento”.
Leggendo solo argomento e durata del film, molti si spaventano
giudicandolo lungo e noioso, ma chi lo ha guardato concorderà che le
quasi 4 ore sono necessarie per gli obiettivi di Rivette. Pur non
essendo "movimentato", pur avendo pochissimi personaggi e
svolgendosi quasi esclusivamente in una grande, affascinante e un
po' decadente magione di campagna, i lenti ma progressivi
cambiamenti nei rapporti fra i protagonisti tengono sempre viva
l'attenzione. Tutto è incentrato sul particolare "rapporto a tre"
che si instaura fra l’artista (Piccoli), la modella Marianne (Béart)
e l’opera in evoluzione (La belle noiseuse), chiusi per ore nello
studio, mentre monta la gelosia di Liz (Birkin), moglie del pittore
e sua ex-modella, e di Nicolas, fidanzato di Marianne. La storia è
molto semplice nella sua essenza, molto sottile e complicata nello
sviluppo delle relazioni fra i tre personaggi principali, ai quali
si possono aggiungere anche il mercante d’arte Porbus, Nicolas e,
nel finale, sua sorella Julienne. Dopo oltre 3 ore e mezza si giunge
ad un finale geniale e ben proposto, ma con un velo di mistero.
Ottimo il trio composto dalle due modelle (nel film) Jane Birkin e
Emmanuelle Béart e dal pittore in cerca di ispirazione Michel
Piccoli. Eccellenti dialoghi e regia, così come la sceneggiatura
(adattata dal racconto di Honoré de Balzac “Il capolavoro
sconosciuto”), e anche l’affascinante location contribuisce alla
bellezza del film.
Lo stile di Rivette ben si distingue da quello dei più conosciuti,
ma non per questo migliori, Truffaut e Godard, la camera si muove
più lentamente, la descrizione di ambienti e personaggi molto più
accurata e approfondita. Non sono un fan accanito degli autori della
Nouvelle Vague e sono fra quelli che la vedono ampiamente
sopravvalutata rispetto ai suoi effettivi meriti (che comunque ci
sono) e pertanto se dico che questo film è quasi un capolavoro non è
per piaggeria. Oltretutto il film è del 1991, quindi di oltre 30
successivo all’esplosione della Nouvelle Vague.
IMDb 7,8 RT 100%
* Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 1991
383 “Barbarella” (Roger Vadim, Fra, 1968) * con Jane Fonda, John
Phillip Law, Anita Pallenberg, David Hemmings, Ugo Tognazzi
Questo era inserito nel programma “Classici su schermo grande”, un
recupero di titoli che hanno segnato la storia del cinema, anche se
non capolavori, come in questo caso.
Tratto da un comic all'epoca fece più o meno scalpore, sopratutto
per le mise che la “vogliosa” e abbastanza disponibile Jane Fonda
cambia con grande frequenza. Molte di queste lasciavano molto poco
all’immaginazione e addirittura, mentre scorrono i titoli di testa,
la protagnista si esibisce in uno spogliarello integrale, levandosi
pezzo per pezzo una tuta spaziale, il tutto in assenza di gravità.
Jane Fonda all’epoca era senz’altro attraente, ma certo non è mai
stata una grande attrice (e nemmeno il fratello Peter, entrambe
hanno una notevole la somiglianza con il padre, ma certo non hanno
ereditato la capacità di recitare). Ebbe il ruolo da protagonista
per essere la moglie di Roger Vadim, il regista di "Barbarella". La
trama non ha molto senso e i dialoghi sono risibili così come le
“creazioni” spaziali ... quelle realizzate da Méliès a inizio secolo
erano migliori. Chiare le citazioni de “L’Atalante” (1934) di Jean
Vigo e “Gli uccelli” (1963) di Hitchcock.
Da guardare per curiosità, ma è bene prenderla a ridere poiché di
qualità ce n’è veramente poca.
IMDb 5,9 RT 73%
382 “Antiporno” (Sion Sono, Jap, 2016) tit. or. “Anchi-poruno* con
Ami Tomite, Mariko Tsutsui, Asami
Forse qualcuno ne ricorderà il nome per essere stato presentato al
Torino Film Festival dell’anno, chi l’ha visto certamente non lo ha
dimenticato. Fa parte di un progetto di rilancio del porno softcore
giapponese, il cosiddetto “roman porno”. Sion Sono è un poeta ed
affermato regista noto per le sue opere tendenti a “scandalizzare” e
questo film è certamente più che provocatorio. Pur essendo molto
breve (1h16”) riesce a proporre una quantità di “visioni”,
ribaltamento di ruoli, sogni, flashback, scene ripetuti più volte,
anche con le stesse battute, talvolta con personaggi invertiti. In
alcuni momenti, per la continua ripetizione di alcune scene (ma
sempre con qualche particolare diverso) mi ha ricordato la struttura
di “L’angelo sterminatore” di Luis Buñuel.
La maggior parte delle scene si svolgono in una stanza gialla con
annesso bagno a vista di color rosso intenso. In tutto il film
domina un’esplosione di colori che culmina nel finale con getti di
tinta sulla protagonista. Visivamente avvincente, in alcuni tratti è
accompagnato da musica classica (Beethoven? ma non era citato nei
titoli di coda) che contrasta con l’isteria della protagonista che
nella relativamente lunga prima parte diventa quasi snervante per il
suo acuto e continuo strillare. Dopo i primi 15’ avevo cominciato ad
avere dei dubbi in merito all’opportunità di guardare questo film,
ma dopo poco la situazione è cambiata radicalmente, ciò che sembrava
non avere senso comincia a evidenziarsi come elemento base dei
successivi sviluppi e alla fine sono rimasto più che soddisfatto del
film nel suo complesso, in particolare per la parte visiva.
Visto che risulta difficile descrivere a parole (per lo meno per me)
la qualità e varietà delle immagini, invece di pubblicare il solito
poster accompagnato da poche foto, ho preferito proporre il breve ma
significativo trailer.
IMDb 6,8 RT senza rating per avere
solo 4 recensioni (comunque tutte positive)
381 “La cordillera” (Santiago Mitre, Arg, 2016) * con Walter Andrade,
Ricardo Darín, Dolores Fonzi
Thriller fantapolitico correlato ad un vertice dei maggiori paesi
latini, organizzato allo scopo di costituire un ente comune per la
gestione dei prodotti petroliferi. Il presidente argentino Blanco (Darín)
è quello più recentemente eletto, e quindi meno conosciuto dagli
altri partecipanti e sembra essere l’ago della bilancia per la
votazione conclusiva. Il summit si svolge in un grande hotel
solitario nel bel mezzo della cordigliera (da cui il titolo) della
Ande cilene, ma in questo isolamento giunge un elemento
perturbatore: la figlia di Blanco. A partire da questo momento, il
presidente argentino si dovrà dividere fra le attenzioni alla figlia
(che ha seri problemi), riunioni ufficiali, incontri segreti e
chiacchierate informali ma importanti con alcuni suoi omologhi.
Darín è un ottimo Hernán Blanco, mentre il suo omologo/amico/rivale
messicano è ben rappresentato da Daniel Giménez Cacho, ma il cast è
in generale più che buono. Per seguire bene la parte
politico-economica, ovviamente si deve sapere qualcosa dell’America
Latina, mentre i problemi della famiglia Blanco, oltre a capitare
nel momento sbagliato, portano alla luce storie del passato che
potrebbero rovinare il presidente.
Santiago Mitre, sceneggiatore e regista del buon “El estudiante”
(2011) è stato anche sceneggiatore di vari film (come “Carancho” e
“Elefante blanco”) di Pablo Trapero, il regista di “El Clan”.
Certamente non eccezionale, “La cordillera” si lascia tuttavia
guardare con interesse per la sua buona suspense (umana e politica),
le buone interpretazioni e le affascinanti scene delle Ande
parzialmente innevate.
IMDb 6,3 RT 57%
380 “The Square” (Ruben Östlund, Sve, 2017) * con Claes Bang,
Elisabeth Moss, Dominic West
Originale black comedy, con una (più di una) storia plausibile solo
nei paesi nordici. Ci sono molti spunti arguti dei tanti scenari nei
quali, volente o nolente, si trova coinvolto il protagonista
Christian, direttore di un importante museo di arte moderna. Questa
è forse l'oggetto principale delle punzecchiature di Östlund e di
essa si parla in più occasioni. Parallelamente alle varie
ridicolizzazioni di opere e installazioni e teorie sull’essenza
dell’arte, si sviluppano vari eventi bizzarri e impensabili seppur
plausibili, affrontati in modo più o meno insensato e irrazionale
dal protagonista. Sono tutte più o meno sagaci e originali, ma un
po' tirate per le lunghe e in effetti nessuna di esse viene conclusa
... sono tutte lasciate in sospeso trasferendo allo spettatore
l’onere di scegliere il finale.
Se fosse riuscito ad essere più conciso (2h25' sono tante per una
commedia) e a concluderle, casomai collegandole fra loro seppur in
modo incidentale, sarebbe diventato un film non eccezionale, ma
senz'altro molto più convincente.
Come detto in apertura, molto funziona solo se visto da un punto di
vista di una società apparentemente perfezionista, buonista, massima
correttezza politica e sociale, che invece nasconde tanta
repressione e celato razzismo. In quanto a quest’ultimo non è
casuale la scelta dei collaboratori di Christian (non certo di
sangue scandinavo) e in particolare del personaggio di Anne,
giornalista yankee ..., con la dialettica e le “caratteristiche”
fisime di solito attribuite alle americane. In questo bisogna dare
atto a Östlund (regista, soggettista e sceneggiatore del film) di
aver buon senso di critica ed autoironia.
Bravi tutti gli attori e ottime le scenografie; ottima la regia con
tanti piccoli dettagli e inserimenti di personaggi (non solo
persone) che appaiono solo per pochi istanti, da quello dello
scimpanzé del quale tutti parlano (no spoiler, c’è perfino nel
trailer), allo chef, al cane, agli addetti alla sorveglianza e
pulizia del museo ...
Penso che “The Square” debba essere assolutamente visto anche se,
come già detto, la mancanza di un punto di arrivo unico e comune
lascia un po’ delusi. Östlund aveva una mano di carte fantastiche,
ma ha vinto la partita risicatamente o, con paragone gastronomico,
aveva delle ottime verdure e si è limitato a lessarle.
Ho visto il trailer italiano e, ancora una volta, ho trovato pessimo
il doppiaggio. Se ne aveste l’occasione guardate la versione
originale (in inglese). Oltretutto, da quel poco che ho visto si
perde completamente la caratterizzazione del bambino immigrato (un
plauso speciale al giovane interprete) e l’accento di Anne. Se non
siete convinti di ciò, provate a guardare l’identico trailer
ufficiale e, anche nel caso non conosciate una sola parola di
inglese, la differenza vi apparirà lampante.
IMDb 7,7 RT 80%
* Palma d’Oro a
Cannes 2017
379 “Manifesto” (Julian Rosefeldt, Fra, 2015) * con Cate Blanchett,
Erika Bauer, Ruby Bustamante
Singolare film, derivante da un’installazione nella quale una
dozzina di “manifesti” relativi a varie forme d’arte venivano
declamati contemporaneamente su altrettanti schermi in una stessa
sala. Nel film sono tutti interpretati da Cate Blanchett in diverse
vesti, con diversi aspetti, diverse acconciature e diversi ambienti,
più o meno in sequenza (alcuni sono interrotti per poi riprendere
dopo un paio di “manifesti”).
Singolari le ambientazioni e originali la maggior parte dei scene;
dei testi alcuni sono abbastanza opinabili, altri sorprendenti,
altri ancora appaiono un po’ estremi e certamente non si può essere
d’accordo con tutti in quanto vari propongono visioni dell’arte
quasi opposte. Fra essi ci sono dadaismo, futurismo, situazionismo,
surrealismo, Fluxus, suprematismo e per il cinema Dogma 95 (Lars von
Trier).
Film affascinante, ma non per tutti, in alcuni punti un po’
difficile da seguire considerato che si propongono concetti e punti
di vista inusuali a tratti con linguaggio e vocabolario ben lontani
dal quotidiano.
IMDb 6,9 RT 83%
378 “Key Largo” (John Huston, USA, 1948) tit. it.
“L’isola di corallo” (sic!) * con Humphrey Bogart, Edward G.
Robinson, Lauren Bacall
Classico noir degli anni ’40 con tanti nomi famosi, tra i quali
ottimi interpreti. Tuttavia, delude una Lauren Bacall molto poco
convincente in un ruolo quasi secondario, nettamente sovrastata
dall'interpretazione di Claire Trevor la quale, non a caso, vinse
l'Oscar 1949 come non protagonista. Nel reparto maschile superba
interpretazione di Edward G. Robinson e i due ottimi caratteristi
Lionel Barrymore e Thomas Gomez non sono da meno. In mezzo a loro il
buon Humphrey quasi sfigura.
Tranne che per pochissimo all'inizio e alcuni minuti finali, tutto
si svolge in un piccolo hotel di Cayo Largo chiuso per la cattiva
stagione, mentre passa velocemente un uragano. La tensione monta fra
i gangster che hanno “occupato” l’hotel, il proprietario
semiparalitico e la figlia, un visitatore, poliziotti alla ricerca
di un paio di evasi ...
Il film è all'altezza della sua fama e certamente merita una
visione.
IMDb 7,9 RT 100%
377 “El recurso del metodo” (Miguel Littin, Fra, 1978) aka "Viva el
Presidente" * con Nelson Villagra, Ernesto Gómez Cruz, Salvador
Sánchez
Avendo visto vari film di Littin, tutti drammatici, documentari o
seriamente politici, sono rimasto stupito da come affrontava il tema
“dittatura” già dalle prime scene di “El recurso del metodo”,
richiamo a "Discurso del metodo" di Cartesio. Non sapevo molto del
film, se non che era un adattamento dell’omonimo romanzo (1974) del
cubano Alejo Carpentier e quindi, visto che tutto il film sembrava
correre al limite fra parodia e comedia negra (politica), mi sono
premurato di andare ad indagare se questa lettura fosse fedele al
testo o scelta di Littin. Così ho scoperto che il romanzo fu
effettivamente scritto in stile picaresco e che viene spesso citato
con “Yo el Supremo” (1974) di Augusto Roa Bastos e “El otoño del
patriarca” (1975) di Gabriel García Márquez quali migliori esempi
del genere “novela del dictador” (romanzo del dittatore) anche se
gli altri due affrontarono l’argomento delle dittatura in modo ben
diverso.
Tornando al film, si è rivelato estremamente piacevole e arguto,
incentrato quasi completamente sul Presidente e non, come spesso
accade, sui suoi oppositori, dipingendone i vizi, le manie, i
controsensi, i repentini cambi di opinione dettati quasi sempre da
necessità immediate e non a lungo termine, i pochi scrupoli, la
passione per l’alcool e le donne. La storia si svolge nell’arco di
molti anni fra Parigi e il paese sudamericano (che non viene mai
nominato ma ha una bandiera con i colori di quelle di Colombia,
Venezuela ed Ecuador: giallo, rosso e blu), fra tentativi di golpe
militari e rivolte degli studenti, fra periodi di crisi e di
benessere economico legato allo scoppio della I Guerra mondiale, fra
ingerenze politiche ed esplicite minacce degli USA.
Buone interpretazioni si inseriscono nei tanti quadri quasi
teatrali, con qualche tocco di surrealismo.
Suggerisco la visione di questo film che si trova gratis online, in
versione originale.
http://www.ccplm.cl/sitio/el-recurso-del-metodo-viva-el-presidente/
Agli ispanofoni suggerisco anche di leggere questa
dotta ed interessante analisi del libro e degli altri due succitati.
IMDb 6,7
376 “Viejo calavera” (Kiro Russo, Bol, 2017) * con Narciso
Choquecallata, Anastasia Daza López, Felix Espejo Espejo
Film molto sui generis, ambientato fra minatori boliviani, persone
apparentemente (ma forse anche realmente) senza speranza, con
aspettativa di vita media di 45 anni, che spendono buona parte di
ciò che guadagnano in alcol e coca (foglie) che probabilmente danno
loro la forza di andare avanti.
Primolungometraggio di Kiro Russo (il cui nome rivela una
discendenza italiana, direi meridionale), boliviano di La Paz,
laureato a Buenos Aires, con alle spalle vari cortometraggi
pluripremiati.
Produzione indipendente realizzata con interpreti non-attori e
riprese dal vero, vale a dire nelle gallerie della miniera, con i
rumori a volte assordanti dei macchinari e illuminazione derivante
quasi esclusivamente dalle luci frontali montante sui caschi.
Nel film non c’è molta azione, il protagonista non attira certo
alcuna simpatia, il parlato è concentrato in pochi dialoghi e manca
commento sonoro.
In questa atmosfera infernale spicca l’eccezionale fotografia che
tratta meravigliosamente gli scuri ... quasi in ogni momento del
film almeno la metà dello schermo è nero o quasi, le poche scene in
esterno sono notturne o dominate da cieli nuvolosi e nebbia. Si deve
dare gran merito a Pablo Paniagua, direttore della fotografia, per
come ha saputo trattare e rendere alla perfezione l’atmosfera cupa e
claustrofobica delle gallerie e la desolazione degli scuri ambienti
esterni.
In conclusione, un film quasi realista con interpretazioni spontanee
di non-attori, con una sceneggiatura un po’ debole (dello stesso
Kiro Russo), ma una cinematografia di altissimo livello.
Sono convinto che sentiremo ancora parlare dell’appena 32enne Pablo
Paniagua (che affianca costantemente Russo dal 2010 tutti i
cortometraggi di Russo) e che dimostra di avere un’ottima gestione
delle luci, in particolare quelle molto scarse.
IMDb 6,9
375 “Oso polar” (Marcelo Tobar, Mex, 2017) * con Luis Alberti,
Humberto Busto, Marcelo Ceron
Piacevole sorpresa, in quanto il tema non mi attirava, il regista
giovane al terzo film con i precedenti appena sufficienti non mi
dava fiducia e gli attori mi erano del tutto sconosciuti. Eppure,
Marcelo Tobar ha realizzato un più che degno prodotto con Iphones
5S, un Iphone 4s e un vecchio Nokia, un troupe di 12 persone e ...
con un budget di 15.000 dollari!
Sembra che Il 40enne regista e sceneggiatore abbia le idea chiare in
quanto al cinema, ma gli mancano gli agganci giusti per ottenere
finanziamenti e quindi si arrangia come può. Al termine della
presentazione del film al Festival Internacional de Cine de Morelia
dichiarò. “Le porte del cinema non mi si sono aperte e i cellulari
si sono trasformati in arieti per abbatterle. Mi sembra che le cose
stiano cambiando per i nuovi cineasti, il cinema non è più elitario
per chi ha rigore cinematografico, interesse e attenzione. Per me
questa è la democratizzazione del cinema. Se sei un cineasta, devi
filmare e, se non ti danno i soldi, trova il modo di farlo.”
Se l’ottimo “Tangerine” (di Sean Baker, 2015) era stato il primo di
questa nuova frontiera del cinema a livello mondiale e con i suoi 23
premi e altre 39 nomination aveva dimostrato che era possibile
realizzare buoni prodotti a costi irrisori, “Oso polar” è stato il
primo film messicano di questo tipo.
Per la verità, produrre film con attrezzature non professionali è
sempre avvenuto e lo dimostrano sia ottimi film di oltre mezzo
secolo fa girati in 16mm (e qualcuno anche in Super8 ...) che non
avevano niente da invidiare ai 35mm, sia film più moderni che hanno
anche realizzato incassi milionari come “El Mariachi” (7.000 dollari
di budget) o a “The Blair Witch Project” in gran parte girato con
videocamere CP-16 e Hi8 (60.000 dollari).
Il film di Marcelo Tobar non è certo perfetto, ha una sceneggiatura
un po’ confusa (ma volutamente), forse ha un po’ troppa carne a
cuocere. In compenso è snello, originale, con buon montaggio e buone
scelte di inquadrature nonostante i limiti dei mezzi.
Il giudizio è senz’altro superiore alla sufficienza e si deve
aggiungere un “bonus” per come è stato realizzato il film.
IMDb 6,8
374 “Acta general de Chile” (Miguel Littin, Cile, 1986) * con
Hortensia Allende, Salvador Allende, Fidel Castro, Gabriel Garcia
Marquez
Uno dei lavori fondamentali di Miguel Littin, il più importante dei
registi cileni del secolo scorso che ottenne anche due Nomination
agli Oscar per “Actas de Marusia” (1975) e “Alsino y el cóndor”
(1982). Esordì come regista nel 1969 con “El Chacal de Nahueltoro”
che lo rese subito apprezzato e famoso tanto che Allende nel ’71 lo
nominò presidente dell’Empresa del Estado Chile Films per la quale
produsse anche vari documentari. Nel ’73, con l’uccisione di Allende
e l’avvento al potere di Pinochet,fu esiliato e rifugiò prima in
Messico e poi in Spagna. Nonostante il divieto assoluto di rientrare
in patria, nell’85 riuscì a tornare sotto mentite spoglie, con falso
passaporto, falsa moglie, falsa occupazione e riuscì a girare 7.000
metri di pellicola con l’aiuto di tre troupe europee e
dell’opposizione cilena. Molte di quelle immagini sono montate in
questo “Acta general de Chile”, documentario nel quale sono inserite
tante testimonianze dei più stretti collaboratori di Allende e
soprattutto di sua moglie Hortensia, che erano rimasero al suo
fianco assediati nel palazzo presidenziale La Moneda fino al
bombardamento conclusivo, interviste a cileni comuni, da
professionisti a coloro che vivevano nelle baraccopoli, ed anche a
personalità importanti come Fidel Castro e Gabriel García Márquez.
Quest’ultimo propose a Littin di scrivere la storia di come naque
questo documentario e il libro, pubblicato con il titolo “Las
aventuras de Miguel Littín clandestino en Chile”, divenne
rapidamente un bestseller.
Documentario estremamente interessante e molto ben realizzato.
Merita senz’altro la visione.
IMDb 7,8
373 “Bajo la metralla” (Felipe Cazals, Mex, 1983) * con Humberto
Zurita, María Rojo, José Carlos Ruiz
Felipe Cazals è uno dei più rispettati registi contemporanei
messicani, molto attivo negli anni ’70 e ’80, quando diresse i suoi
film di maggior successo come “Canoa” (Orso d’Argento e Nominaton
Orso d’Oro a Berlino 1976), “El apando” e “Las poquianchis”. Come
questi la maggior parte delle sue pellicole raccontano fatti reali e
tragici, con grandi implicazioni politiche e sociali. Nella
fattispecie “Bajo la metralla” tratta di un gruppo di terroristi
nascosti in una grande casa dopo un attentato andato male.
Purtroppo, l’ottimo soggetto “Les Justes” (1950, I giusti), lavoro
teatrale di Albert Camus Premio Nobel per la letteratura nel 1957,
non riesce a salvare il film realizzato in modo veramente scadente.
I rapporti fra i membri della relativamente numerosa cellula
terroristica (alcuni sono morti nell’attentano ed un altro è
gravemente ferito) si fanno sempre più tesi fra rivendicazioni,
accuse, contrasti sul comando e sull’ideologia in generale. Le
visite di un collaboratore esterno e la presenza di un ostaggio non
facilitano le cose fornendo, al contrario, ulteriori motivi di
attrito.
Tutta la parte psicologica è estremamente interessante e ben pensata
ma, come già detto, non troppo ben proposta. I bagni di sangue
iniziai e finali sono degni di un brutto C-movie.
Peccato, occasione persa, ma mi ha fatto venir voglia di leggere il
testo originale di Camus.
IMDb 6,9
372 “Mr. Klein” (Joseph Losey, Fra, 1976) * con Alain Delon, Jeanne
Moreau, Francine Bergé
Losey è stato uno di quei registi apprezzati da quasi tutti, ma che
non ha avuto successo e fama pari alle lodi. I suoi film sono quasi
dimenticati, poco proiettati e questo addirittura ha sole tre
recensioni su RottenTomatoes e quindi non ha rating.
Per la verità, parte dei meriti di questo film dovrebbero essere
condivisi con Alain Delon (che offre una delle sue migliori
interpretazioni) e lo sceneggiatore italiano Franco Solinas, spesso
impegnato in sceneggiature basate su storie vere e/o politiche come
“Salvatore Giuliano” (Francesco Rosi, 1962) e “La battaglia di
Algeri” (Gillo Pontecorvo, 1966).
“Mr. Klein” si sviluppa come un thriller (quasi) psicologico, con
una caccia ad un probabile omonimo che sta per mettere a rischio la
vita agiata del protagonista nella ricca borghesia parigina del
1942. Bei costumi e ambienti accurati, di tipi molto contrastanti
fra loro, contribuiscono a dare al film la giusta forza e Losey fa
il resto.
Consigliato ... a me ha fatto anche venire la voglia di ri-guardare
un altro suo ottimo flm “The Servant” (“Il servo”, 1963, con Dirk
Bogarde)
IMDb 7,8 *
Nomination Palma d’Oro a Cannes 1976
371 “El brujo de Apizaco” (Rodrigo Lebrija, Mex, 2017) *
bio-documentario su Rodolfo Rodríguez “el Pana” (1952-2016, torero
dal 1979 al 2016)
Dopo aver temuto di essermelo perso, oggi ho guardato questo
documentario su un personaggio che definire “INCREDIBLE” sarebbe
riduttivo.
Sarò molto breve in quanto penso di scrivere più a lungo fra qualche
giorno essendo impossibile essere concisi parlando di “el Pana”,
famoso non per essere un gran torero ma per la sua genialità, la
doppia personalità, l’insofferenza per le regole dentro e fuori
dell’arena.
Rodrigo Lebrija ha messo abilmente insieme immagini di repertorio di
corride di “el Pana” (fra successi e incornate), interviste a
familiari, amici e colleghi, scene nelle quali si nota nettamente la
separazione fra le due identità: il tranquillo e romantico Rodolfo
Rodríguez e il geniale torero “el Pana” che toreava fumando un puro
(sigaro), l'alcolizzato frequentatore di postriboli e il visionario
al quale appariva Dio.
370 “L'ordine divino” (Petra
Biondina Volpe, Mex, 2017) tit.or. “Die göttliche Ordnung” * con
Marie Leuenberger, Maximilian Simonischek, Rachel Braunschweig
Nell’ambito della Muestra Internacional de MUJERES en el CINE y la
TV, dopo “Era o Hotel Cambridge” e “Etiqueta no rigurosa”, ecco un
film vero e proprio, selezionato per rappresentare la Svizzera
all’Oscar 2018. Si rifà ad avvenimenti veri, ma è fiction e, pur se
vedo che molti lo pongono nel genere “drammatico”, mi sembra che ci
sia buona parte di commedia sia nella vita familiare delle
protagoniste ma specialmente nella scoperta della sessualità,
spiegata da una “insegnante” svedese. Il fatto incredibile, eppure
reale fatto storico, è che le donne svizzere abbiano dovuto
attendere fino al 1971 per ottenere il diritto di voto (che va di
pari passo con tanti altri diritti) mentre tante altre nazioni
l’avevano ottenuto decenni prima. In Europa solo il Portogallo l’ha
concesso dopo la Svizzera, ma bisogna ricordare che c’era Salazar.
I personaggi femminili non sembrano molto capaci (niente a che
vedere con quelli di “Suffragette”) e quelli maschili (molto poco
approfonditi) certamente poco credibili. Non meraviglia che anche in
questo caso i rappresentanti del clero si dimostrano i più
retrogradi e i meno liberali, esattamente come visto anche in
"Etiqueta no rigurosa" per altri motivi e come purtroppo
continueremo certamente a vedere per ancora vari anni.
L’aver sottolineato questa storia è quasi l’unico merito del film
per il resto molto poco convincente.
Sono convinto che la Svizzera non avrà un suo film fra quelli che si
contenderanno l’Oscar 2018 per il miglior film di lingua non
inglese.
Evitabile.
IMDb 6,9 RT 87%
369 “Etiqueta no rigurosa” (Cristina Herrera Borquez, Mex, 2017)
tit. int. “No Dress Code Required” * documentario
La regista messicana Cristina Herrera Borquez è riuscita a portare
“rigorosamente” sullo schermo la storia di Víctor y Fernando, due
stilisti di successo a Ciudad de Mexico, coppia gay da vari anni.
Nel 2015 decisero di sposarsi e di farlo in Baja California, uno
degli Estados Unidos de Mexico, dove non era stato mai celebrato un
matrimonio del genere pur essendo permesso dalla una legge,
applicata in molti altri stati. Sapendo a cosa andavano incontro,
accompagnati da un avvocato e da una piccola troupe hanno
documentato ogni passo della loro trafila a dir poco kafkiana.
Infatti sia i rappresentati dello stato come l’alcalde di Mexicali,
sia gli impiegati hanno creato tanti cavilli da riuscire a rimandare
innumerevoli volte il matrimonio, anche dopo aver fissato data e ora
e perfino dopo un ordine della Corte Suprema che imponeva la
celebrazione dell’atto. Ad ogni rinvio ed ad ogni tentativo di
trovare una soluzione cresceva il numero di giornalisti e troupe
televisive presenti e infine si aggiunsero le manifestazioni di
piazza, pro e contro.
Il merito della regista è stato quello di non scadere mai in
discorsi di banali o peggio di bassa lega e facile impatto, puntando
invece sul mostrare l’arroganza dell’amministrazione in genere, la
mancanza di alcuna vergogna o dignità dei singoli personaggi che
sono responsabili di uffici sensibili, e l‘omofobia di tanta gente
comune che segue i “predicatori” di turno.
Si esce dalla sala con la (penso giusta) sensazione che la regista
sia riuscita a inviare un messaggio di più ampia portata e assoluto,
evidenziando lo stupido, irrazionale e soprattutto illegale
ostruzionismo che alcune amministrazioni perpetrano ai danni di
cittadini che hanno la “sfortuna” di avere colore della pelle,
religione, etnia o, nel caso, preferenze sessuali diverse dalle
loro.
IMDb 7,1
368 “Era o Hotel Cambridge” (Eliane Caffé, Bra, 2017) * con Isam
Ahmad Issa, Paulo Américo, Juliane Arguello
Ho assistito alla interessante presentazione del film nella quale la
regista Eliane Caffé ha chiarito molti punti del suo lavoro, la
maggior parte dei quali non percepibili attraverso un sommario
sguardo da spettatore. Si tratta di un “progetto” relativo al
concetto “casa per tutti” o “diritto alla casa” e non di un vero e
proprio film o documentario con riprese effettuate quasi
completamente in un alto edificio di Sao Paulo (Brasile), realmente
occupato “abusivamente”, utilizzando solo tre attori professionisti,
tutti gli altri sono veri migranti, rifugiati o squatter locali.
Partito con budget quasi nullo, solo a lavoro avanzato ha ricevuto
contributi da Olanda, Spagna e Francia, ma si è avvalso della
collaborazione di una scuola di architettura e di un gran numero di
associazioni (è incredibile quante ce ne siano ma ce ne si può
rendere conto dalle bandiere con le relative sigle che sono
orgogliosamente esposte alle finestre e balconi dei palazzi
occupati). Oltre a ciò la regista ha ottenuto di poter utilizzare
qualche spezzone di documentari di simili argomenti e riprese di
repertorio di “guerriglia urbana” con polizia in assetto
anti-sommossa.
Fra le tante persone che si accalcano all’interno dell’edificio nel
corso delle assemblee o che si muovono lungo scale infinite (ad
occhio direi almeno 20 piani) Eliane Caffé presenta alcuni
personaggi con cultura e storie completamente diverse (un
palestinese, vari congolesi, un’anziana brasiliana ex artista di
circo, un siriano appena giunto, vari latini fuggiti da aree a dir
poco “problematiche”, ...) e lo fa sia attraverso i contatti diretti
sia mostrando le conversazioni via Skype con i familiari ancora in
patria.
Si deve dare il merito alla regista di non aver calcato la mano su
argomenti di forte impatto e facile presa sul pubblico come violenza
esagerata, melodrammi, morti, malattie, ecc. lasciando lo spettatore
perplesso in merito all’interrogativo: “finzione o realtà”? “film o
documentario”?
Per concludere, l’ho trovato molto ben realizzato (specialmente
considerate le condizioni nelle quali è stato girato), molto
coinvolgente, forse un po’ troppo ottimista e (sarebbe bello
sbagliarsi) edulcorato.
IMDb 7,9
367 “La habitación” (Lee Unkrich, Mex, 2017) tit. int.”Tales of
Mexco” * con Irène Jacob, Kaori Momoi, Eugenia Tempesta
Ennesimo interessante esperimento di film a più mani. Otto registi
dirigono altrettanti episodi che hanno un elemento comune che non è
un personaggio né un argomento, bensì una stanza (poi divenuta
appartamento e infine ulteriormente divisa) nella quale si svolgono
eventi nell'arco di circa un secolo. Ogni storia si sviluppa in
poche ore ed è contemporanea ad un particolare avvenimento
facilmente identificabile e ben conosciuto, almeno dai messicani. Si
va da rivoluzioni a omicidi politici, dalla strage di studenti prima
delle Olimpiadi al terremoto dell'85 e fino ai giorni nostri. Di
pari passo si assiste anche ad un cambio sostanziale della classe
sociale degli occupanti, si parte con una ricca e potente famiglia
che occupava tutto il palazzo, con servitù e carrozze, per finire a
immigrati cinesi molto poco ben accolti, storie di prostituzione e
droga e infine squatters.
Ovviamente non c'è uniformità negli episodi e non solo per gli
argomenti, ma anche per la regia e le interpretazioni. La
sceneggiatura, anche se prodotta dalla sola penna di Maria Diego
Hernandez, soffre quindi di vari alti e bassi. Molto buone le
transizioni da una storia all’altra pur senza mai menzionare alcuna
data. Solo nei primi episodi ci sono personaggi che ritornano e che
menzionano persone o avvenimenti descritti in precedenza, per il
resto è tutto slegato.
Buona l’impostazione generale, così come le scenografie iniziali,
poche le interpretazioni sufficienti.
Restano le buone intenzioni di un film girato in uno stesso limitato
interno (pochissime sono le viste esterne), con storie quasi
completamente distinte nell’arco di un secolo, ma poco di più di un
esercizio di livello sufficiente.
IMDb 6,9 RT 87%
366 “Los ambiciosos” (Luis Buñuel, Mex-Fra, 1959) * con Gérard
Philipe, María Félix, Jean Servais
Questo film del periodo del ritorno di Luis Buñuel in Europa, fra
qualche tentativo di riavvicinamento con la madre patria e vari film
co-prodotti, è conosciuto anche come “La fievre sube a El Pao” (Spa
e Fra) mentre in Italia divenne “L’isola che scotta”. Si tratta di
uno dei meno conosciuti, meno proiettati, meno buñueliani, poco
amato dallo stesso regista e quindi “raro” e proprio per questo era
l’unico dei suoi 32 lungometraggi che non avessi mai visto. L’ho
trovato fra le migliaia di titoli alla Cineteca Nacional Mexico dove
- ovviamente - ci sono tutti.
“Los ambiciosos”, tratto da un romanzo di Henri Castillou, è il più
esplicitamente politico film di Buñuel e rappresenta una realtà
molto comune nell'America Latina degli anni '50 (ma in effetti anche
di molti anni successivi). Direttore della fotografia è il maestro
Gabriel Figueroa, lo stesso che ho citato spesso per le sue
collaborazioni con Emilio Fernández “El Indio”. Da notare che
all’adattamento della sceneggiatura, al fianco dello stesso Buñuel,
lavorò Alcoriza, regista messicano che divenne noto per il suo
interesse alle problematiche delle minoranze e degli indigenas e per
questo autore di film come “Tarahumara - Cada Vez Más Lejos” (1960),
“Tiburones” (1962), “Tlayucan “ (1962) nei quali comparivano tanti
“interpreti originali”.
Questa coproduzione franco-messicana ambientata su un’isola dei
Caraibi, a migliaia di chilometri dalla costa fu in effetti girata
in Messico e il cast include nomi di richiamo come i francesi Gérard
Philippe e Jean Servais che si contendono l'icona messicana Maria
Felix (ovviamente saranno sue le gambe che Buñuel ci mostrerà) anche
se la posta in gioco è ben maggiore e i capovolgimenti di fronte
sono numerosi.
Nonostante tutti i noti professionisti di ottimo livello coinvolti
(regista, attori, direttore della fotografia, sceneggiatori) il film
non va molto oltre la
sufficienza, e quindi non è di solito annoverato fra i migliori di
Buñuel.
IMDb 6,8
365 “Coco” (Lee Unkrich, e Adrian Molina, USA, 2017) * animazione
Mi sono dilungato sul film e i suoi contenuti in questi due post che
possono aiutare a comprenderne alcuni dettagli:
http://discettazionierranti.blogspot.mx/2017/11/qualche-utile-anticipazione-su-coco-il.html
http://discettazionierranti.blogspot.mx/2017/10/el-dia-de-muertos-giorno-dei-morti.html
Consigliatissimo!!!
IMDb 9,2 RT 95%
364 “Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza” (Roy
Andersson, Sve, 2014) tit. or. “En duva satt på en gren och
funderade på tillvaron” * con Holger Andersson, Nils Westblom,
Viktor Gyllenberg
Alcune idee sono quasi geniali, ma nel complesso sembra una
collezione (mal riuscita) di scadenti sketch, ben lontani dalla
media dei Monty Python.
Si può apprezzare l'idea di avere alcuni o tutti i personaggi in
campo quasi immobili in un quadro fisso e ad accentuare la staticità
come ha fatto Andersson appiattendo le scene rendendole quasi
monocromatiche, con colori che variano dal beige, all'ocra e al
marrone. A ciò si aggiunge la recitazione con tono monotono e spesso
un po' lamentoso... e la poco piacevole sonorità della lingua
svedese aggrava la situazione.
C'è chi ha voluto leggere significati strani (talvolta opposti,
quindi qualcuno certamente sbaglia) in alcune scene che, comunque,
lasciano un po' perplessi. Per esempio quelle con soldati d’altri
tempi (anche con un cavallo) nel bar, quella della scimmia e quella
con gli schiavi in quanto (almeno apparentemente) si allontanano più
delle altre dal debole e difficilmente individuabile filo logico o
conduttore, comunque al limite del surreale.
Direi un film non-film, un esercizio cinematografico con qualche
pregio e qualche citazione che lo distinguono dalla massa, ma a mio
parere non lo elevano a prodotto notevole se non per la sua
singolarità.
Sufficiente.
IMDb 6,9 RT 87% * Leone d’oro a Venezia 2014
363 “Sage femme” (Martin Provost, Fra, 2017) tit. it.
“Quello che so di lei” * con Catherine Deneuve, Catherine Frot,
Olivier Gourmet
Buon film drammatico con due ottime interpreti, due Catherine, la
Denevue brava come sempre e in splendida forma (corre quasi come una
ragazzina a oltre 70 anni di età) e la Frot, suppongo poco
conosciuta in Italia ma certo non sfigura al lato dell’illustre
collega.
Per usare uno stereotipo, direi classico prodotto francese, lento,
privo di grandi avvenimenti, poca azione, ma tanta descrizione dei
personaggi seguiti nella loro vita routinaria e nei loro rapporti.
Molti, tanti argomenti tirati in ballo (assistenza sanitaria,
tumori, separazioni, madri single, amanti, gioco d'azzardo, e chi
più ne ha più e metta). Ci sono vari alti e bassi, alcune situazioni
al limite del credibile, ma le due attrici riescono a mettere una
pezza a quasi ogni mancanza.
Certo, visto immediatamente dopo l'eccellente "The Party" non mi
poteva colpire più di tanto, ma senz’altro è un film più che valido,
piacevole da guardare (se piace il genere) e soprattutto molto ben
interpretato.
IMDb 6,9 RT 87%
362 “The Party” (Sally Potter, UK, 2017) * con Patricia Clarkson,
Bruno Ganz, Cherry Jones, Emily Mortimer, Cillian Murphy, Kristin
Scott Thomas, Timothy Spall
Degli 8 film visti in questo mio ennesimo lungo trasferimento è
senza alcun dubbio quello che mi ha più colpito e certamente e
quello che ho preferito.
Un meraviglioso pezzo quasi teatrale (in qualche modo ricorda
Carnage, anche per quello che i protagonisti si rinfacciano) tutto
racchiuso fra ingresso, cucina e soggiorno che dà su un piccolo
giardino, con 8 personaggi uno dei quali non apparirà mai, non
essendoci comparse sono quindi solo 4 attrici e 3 attori, propone un
inusuale connubio di bianco e nero e formato 2.35:1 e una durata
limitata a 71 minuti, solo 1h05' se si escludono i titoli, originali
riprese grandangolari con camera in basso, si svolge in tempo reale
cioè quanto dura in effetti la storia, con una fantastica colonna
sonora diegetica (lp di vinile suonati in casa), 7 ottimi attori di
provenienza ed età abbastanza eterogenea e se i solo nomi non vi
bastano (in apertura ho elencato l’intero cast), potete vedere i
loro volti nell’ultima foto, tratta dal poster.
Le sorprese arrivano a ritmo serrato, per lo più con annunci (a
volte veri e propri coming out) degli stessi protagonisti che
seminano il panico fra i presenti provocando perfino reazioni
violente, inaspettate visto che sono o sono stati tutti
professionisti di alto livello, fino alla sorpresa coup de teatre
dell'ultima battuta.
Prendendo spunto dai loro background, professioni, convinzioni
politiche, religiose e filosofiche, nonché dalle relazioni
interpersonali, in quel poco tempo si toccano un miriade di
argomenti politica, sistema sanitario, fedeltà coniugale, coppie
omosessuali, fecondazione artificiale, potere economico,
superstizioni, voodoo, medicina alternativa, gelosia, vendetta, ...
Spero che arrivi in Italia e che tutti i cinefili lo possano
apprezzare.
IMDb 7,2 RT 92% * Berlinale 2017:
Nomination Orso d’Oro + Guild Film Prize a Sally Potter
361 “After the storm” (Hirokazu Koreeda, Jap, 2016) tit. or.
“Umi yori mo mada fukaku” * con Hiroshi Abe, Yôko Maki, Satomi
Kobayashi
Film drammatico che si sviluppa in ambiente familiare. Protagonisti
una nonna, una figlia sposata e nipoti, un figlio divorziato che
vorrebbe riallacciare i rapporti con la ex-moglie e il loro figlio.
Bel film, ottimamente interpretato, su tutti si distingue Kirin Kiki
(nel ruolo della nonna) che qualcuno ricorderà per averla apprezzata
in “An” (tit. it. Le ricette della signora Toku)
Ricordate però che si tratta di un film giapponese, che tratta di
una classica famiglia giapponese dei giorni nostri ... le loro
problematiche e tradizioni, nonché lo stile di vita possono sembrare
distanti dai nostri ma in fondo sono sempre gli stessi e ciò è
sottolineato in varie affermazioni di valore pressoché "universale"
in merito a famiglia, rapporti genitori/figli, abbandoni.
Molto buono, merita una visione
IMDb 7,5 RT 96%
360 “Baby Driver” (Edgar Wright, USA, 2015) * con Ansel Elgort, Jon
Bernthal, Jon Hamm, Kevin Spacey
Avendo letto in passato vari commenti entusiasti, in verità mi
aspettavo molto di più.
Ho trovato tanti elementi visti e rivisti, con i soliti cattivi, la
mente, quello in fondo buono, il supercattivo indistruttibile ...
quasi immortale.
Soliti inseguimenti e soliti poliziotti che non centrano un tiro ...
Di positivo posso annotare solo la colonna sonora "a palla" e il
montaggio spesso dal ritmo quasi travolgente.
Da guardare se piace il genere, altrimenti se ne può fare a meno
IMDb 7,8 RT 95%
359 “Before Sunrise” (Richard Linklater, USA, 1995) * con Ethan
Hawke, Julie Delpy, Andrea Eckert
Buon film ma secondo me é generalmente sovrastimato. A beneficio di
chi non lo sapesse, o non lo ricordasse, è il primo dell’acclamata
trilogia di Linklater che prosegue con “Before Sunset” (2004, RT
95%) e “Before Midnight” (2013, RT 98%), tutti interpretati da Ethan
Hawke e Julie Delpy che continuano ad incontrarsi. Per la cronaca,
Hawke ha poi interpretato anche "Boyhood" dello stesso Linklater (1
Oscar e altre 5 Nomimation nel 2015).
Ciò che secondo me manca al film per essere ottimo è un miglior
bilanciamento fra la parte recitata (i pur buoni dialoghi sono
assolutamente preponderanti) e la tecnica cinematografica in sé e
per sé, che non va al di là della risicata sufficienza.
Considerate le nazionalità dei protagonisti - lui è americano e lei
francese - che si incontrano su un treno per Vienna e poi passano
alcune ore nella capitale austriaca era inevitabile cadere nei
cliché nazionalisti, ma gli sceneggiatori argutamente hanno inserito
tanta autoironia e quindi sono gli stessi protagonisti che si
prendono in giro da soli.
Penso quindi che le ottime recensioni che il film ha ricevuto, siano
più dovute all’originalità e alla qualità della sceneggiatura che
alle qualità prettamente cinematografiche, ma si deve riconoscere
che gli interpreti ed in particolare dialoghi sono più che buoni.
Da guardare.
IMDb 8,1 RT 100° * al 214° posto della classifica IMDb dei film di
tutti i tempi
358 “La delgada linea amarilla” (Celso R. García, Mex, 2015) * con
Damián Alcázar, Joaquín Cosio, Silverio Palacios Gustavo Sánchez
Parra, Américo Hollander
Ottimo cast per questo film che può essere visto come un vero road
movie pur differenziandosi dagli altri per il fatto che i 217km di
strada fra San Jacinto e San Carlos sono percorsi a piedi, in un
paio di settimane.
Una squadra composta da cinque operai occasionali agli ordini di
Toño (Damián Alcázar) sono incaricati di tracciare la linea
spartitraffico della suddetta strada poco trafficata e quasi senza
case nelle vicinanze ... e ciò spiega il titolo.
I 5, molto mal assortiti sia per età che carattere e background,
lungo il percorso riusciranno a migliorare i loro rapporti fra
furti, discussioni, allontanamenti, confidenze e atti di
solidarietà.
Singolare e di piacevole visione
IMDb 7,5 RT 88%
357 “Quebranto” (Roberto Fiesco, Mex, 2013) trad. lett. “Rottura” *
con Fernando García Ortega, Lilia Ortega, Jorge Fons
Documentario sulla vita di Coral Bonelli, nata Fernando García
Ortega il quale quando diventò una piccola star del cinema messicano
(9 film fra il 74 e il 77) era noto con il nome di Pinolillo (o
Pinolito). Sua madre era Lilia Ortega, anche lei attrice ma mai
famosa, quasi sempre poco più che una comparsa.
Dopo i suoi anni d’oro Fernando rimase nel mondo dello spettacolo
ballando e cantando e per un certo tempo si esibì a Cuba. Nel film
confessa di aver sempre avuto un animo femminile e già da piccolo
usava (di nascosto) i vestiti di sua madre.
Toccante il racconto del giorno in cui Fernando, avendo deciso di
uscire definitivamente allo scoperto, annunciò a Lilia Ortega che da
quel momento si sarebbe chiamata Coral Bonelli e si sarebbe vestita
con abiti femminili. Dopo altri 4 film negli anni ’80 apparve solo
altri due il primo dei quali è il pluripremiato “El callejon de los
milagros” (1994) nei cui titoli compariva ancora come Fernando
García 'Pinolito' e “El Mago” (2004) nel quale era già Coral
Bonelli.
Documentario interessante ma a tratti troppo parlato, oltretutto con
un paio di lunghi monologhi e vari dialoghi, quasi battibecchi, fra
madre e figlia, simili quelli di qualunque altra famiglia. Per il
resto, invece, cattura l’attenzione con tanti riferimenti a film,
attori e registi famosi accompagnati da foto e video di repertorio.
Sono altrettanto interessanti, ma dal punto di vista più umano che
artistico, i racconti di della sua vita nei cabaret, sale da ballo o
per strada, fra impresari, ballerini, prostitute, travestiti e via
discorrendo.
Conoscere i nomi delle persone citate e i volti di quelli che
appaiono nei film e nelle foto aiuta molto ad apprezzare il
documentario.
356 “Después de Lucía” (Michel Franco, Mex, 2012) * con Tessa Ia,
Hernán Mendoza, Gonzalo Vega Jr.
Questo film abbastanza ben realizzato è uno di quelli che secondo me
ricevono buone critiche più l’argomento trattato che per i suoi
reali meriti. Partendo dalla perdita della moglie/madre, seguiamo
padre e figlia che si trasferiscono da Puerto Vallarta a Città del
Messico, lui (chef) va a dirigere la cucina in un buon ristorante
del centro, lei va in una scuola superiore frequentata da rampolli
della medio-alta borghesia. Dopo un inizio promettente la vita della
ragazza si trasforma in un inferno ... e non di dirò di più. Mi
sembra che l’attualissimo problema del bullismo scolastico sia stato
trattato abbastanza seriamente. Tuttavia, o perché sono troppi gli
anni passati da quando ho lasciato la scuola o perché non conosco
abbastanza i modi di vita delle nuove generazioni, gli atteggiamenti
di tutti (dalla ragazza alle compagne e compagni, dai professori al
preside) mi sembrano nel complesso poco credibili ... è possibile
che fra tutti i suddetti non ci sia un anello debole che rompa il
muro di silenzio e omertà?
Non lo boccio, ma ho molte riserve in merito alla sceneggiatura
della quale Michel Franco è responsabile unico.
Potrebbe essere interessante guardare qualche altro suo lavoro.
Premio “Un Certain Regard” a Cannes 2012
IMDb 7,2 RT 83%
355 “Post tenebras lux” (Carlos Reygadas, Mex, 2012) * con Adolfo
Jiménez Castro, Nathalia Acevedo, Rut Reygadas, Eleazar Reygadas
Flm a dir poco affascinante, soprattutto per l’originale bellezza
visuale ma anche per la costruzione, che lascia spazio a
innumerevoli interpretazioni. Ci sono salti temporali e scene girate
in tutt’altro luogo e ambiente come quelle del rugby scolastico che
continua a far scervellare molti spettatori. Le lunghe e silenziose
scene di colline, boschi e prati (quasi pantani) mi hanno ricordato
l’Herzog di “Aguirre” e “Cuore di vetro”. La quasi totale assenza di
colonna sonora, le tante riprese con tutte le parti marginali del
quadro (4:3) sfocate e rifrante due o anche tre volte, l’apparizione
di un rosso diavolo (?) fluorescente che si muove lentamente e
silenziosamente nella casa buia portando con se quella che sembra
essere una cassetta per attrezzi, qualche scena chiaramente surreale
e altri dettagli fanno di “Post tenebras lux” un vero rompicapo che,
sembra, nessuno è ancora riuscito a chiarire in tutti i suoi
aspetti.
Indagando in merito ai precedenti lavori di Reygadas ho appreso che
i suoi soli 5 lungometraggi hanno tutti ottenuto ottime critiche ai
Festival ottenendo ben 44 premi e altre 20 nomination (fra cui 3
vittorie e 4 Nomination a Cannes). La nota comune è che tutti, anche
i suoi denigratori, gli riconoscono una maestria nella composizione
delle inquadrature, nei colori e nei ritmi, anche se lenti, ma
d’altro canto è netta la separazione fra quelli che lo esaltano per
la poca chiarezza e quelli che per lo stesso motivo lo bocciano
senza appello.
Certo c’è da pensare per cercare di mettere insieme tutti i pezzi,
per trovare i possibili legami fra gli uni e gli altri, per
comprendere il significato di ogni scena (ma siamo sicuri che ci
sia?).
Film da metabolizzare con calma ed eventualmente guardare di nuovo
... quantomeno per le immagini.
Nomination Palma d’Oro a Cannes 2012 dove Carlos Reygadas fu
premiato come miglior regista
IMDb 6,6 RT 61%
354 “Sin nombre” (Cary Fukunaga, Mex-USA, 2009) * con Paulina
Gaitan, Marco Antonio Aguirre, Leonardo Alonso
Questo film drammatico è l’opera prima di Cary Fukunaga, il cui
quarto e più recente lavoro è stato l’apprezzatissimo “Beasts of No
Nation” di un paio di anni fa.
Lo si potrebbe definire un “railroad movie” in quanto tratta di un
lunghissimo viaggio di clandestini dall’Honduras alla frontiera
degli Stati Uniti, per la maggior parte del tempo sul tetto di un
treno. Inizia con due storie diverse in due ambienti assolutamente
distinti che tuttavia confluiranno in un’unica tragica fuga.
Fukunaga già dimostra di avere le idee chiare in quanto a regia e
l’unico appunto che mi sento di fargli è quello di aver descritto
(essendo sue anche storia e sceneggiatura) le due giovani
protagoniste troppo imprudenti e, soprattutto, ingenue. Nel
complesso riesce a dare agli spettatori una visione di ambienti
molto contrastanti pur trovandosi negli stessi luoghi e in parte con
simili problemi. Di pari passo ci mostra la vita nell'ambito di una
gang violenta soggetta a regole a dir poco feroci e quella delle
centinaia, migliaia di persone solidali fra loro che tentano di
fuggire dalla miseria verso il miraggio dell’America.
I protagonisti, nel complesso tutti bravi, sono accompagnati da una
bella fotografia in 2.35:1 e da un’ottima e pertinente colonna
sonora.
Ricordandovi che il film è drammatico e alcune scene potrebbero dar
fastidio ai più sensibili, ne consiglio senz’altro la visione.
IMDb 7,6 RT 89% * 2 premi al Sundance Film Festival
353 “Amar te duele” (Fernando Sariñana, Mex, 2005) * con Luis
Fernando Peña, Martha Higareda, Ximena Sariñana
A parte l’insulsaggine della sceneggiatura il film è diretto
veramente male! Per oltre la metà sembra di guardare una serie di
videoclip di musica commerciale moderna di basso livello. Sariñana,
che avevo apprezzato per “Todo el poder”, mischia (male) bianco e
nero, immagini sgranate, timelapse, grandangoli spinti e riprese con
cinepresa in posizione fissa rispetto al protagonista che si sposta,
mentre tutto il resto si muove normalmente ... una cosa orripilante!
Il tragico finale è ridicolo e girato in modo pietoso ... Sariñana
in 5 anni si è bevuto il cervello!
La breve love story fra la “ricca” e il “povero” e una storia vista
e rivista e questa è una delle peggiori versioni.
Andando a dare un’occhiata alle valutazioni si nota un netta
separazione fra quelli che lo elogiano (sarei curioso di conoscerli
...) e chi, come me, lo stronca senza alcuna pietà. Il suo relativo
successo deve essere quindi legato all’accoglienza di particolare
settori giovanili, oserei dire con poco cervello.
Dovrebbe essere chiaro che lo sconsiglio ...
IMDb 6,5
352 “Matando cabos” (Alejandro Lozano, Mex, 2004) * con Tony Dalton,
Ana Claudia Talancón, Pedro Armendáriz Jr.
Ed eccoci di nuovo ad uno dei miei generi preferiti, vale a dire la
dark o black comedy, in questo caso comedia negra categoria nella
quale spagnoli e latini sono maestri (“Relatos salvajes” aka “Storie
pazzesche”, Nomination Oscar 2015, ne è un ottimo recente esempio).
Una ventina di personaggi, alcuni (apparentemente) normali altri a
dir poco stravaganti o molto particolari, intrecciano le loro strade
e le loro vite più volte nel corso di una mezza giornata. Alcuni
sono strettamente legati fra loro per vincoli di sangue, di lavoro,
amorosi o solo occasionali, altri piombano nella storia in modo del
tutto casuale ma sono quelli che causano ulteriori svolte improvvise
alla già contorta storia. Questa inizia con il tentativo di
mascherare un incidente e poi si dipana fra rapimenti, ricatti,
vendette, sostituzioni di persona, sparatorie, inseguimenti, dita
mozzate, fino ad un geniale finale nel quale il cerchio si chiude
(non vi dico certo come ed è impossibile immaginarlo).
A tal proposito, vale la pena sottolineare che se il titolo
racchiude un gioco di parole poiché se così com'è significa
“uccidendo Cabos” (Cabos è il magnate interpretato da Armendáriz)
l’assonante "atando cabos" significa congiungere le estremità, cosa
che succede regolarmente nel film con tante piccole storie
circolari, ciascuna importante e indissolubilmente legata al già
citato cerchio. Proprio nella presentazione del film viene
esplicitato che Jaque e Mudo (quelli che danno inizio a tutto)
“scopriranno che le coincidenze hanno conseguenze”. Per finire, se
lo guarderete, attendete il termine dei titoli di coda ... ricompare
il cuoco cinese protagonista dell’inizio.
Ottimo il cast molto ben assortito, ai due protagonisti principali
Tony Dalton e Kristoff (Jaque e Mudo ) va riconosciuto l’ulteriore
merito di aver scritto l’originale sceneggiatura insieme con il
regista Alejandro Lozano, al suo primo lungometraggio. Assolutamente
notevoli Raúl Méndez (il César Gaviria di “Narcos”) e Joaquin Cosio
nelle vesti del wrestler Mascarita, ma in realtà sono tutti bravi,
anche quelli con ruoli moto marginali.
Anche chi appena sopporta il genere non se lo dovrebbe perdere, un
must per gl aficionados ... ovviamente c’è il solito problema
linguistico in quanto sembra che non sia stato distribuito in
Italia.
IMDb 7,6 - presentato al Sundance Film Festival 2005
351 “Perfume de violetas” (Marisa Sistach , Mex, 2001) * con Ximena
Ayala, Nancy Gutiérrez, Arcelia Ramírez
Argomento all'epoca particoarmente scottante quello delle molestie e
perfino violenza sulle giovani studentesse messicane, associato
anche al bullismo che da sempre è un grosso problema ... pressoché
dovunque. Tuttavia il film, senz'altro drammatico, perde forza in
quanto la protagonista è troppo particolare, fa il possibile per
mettersi nei guai (riuscendoci molto bene), tradisce la sua migliore
amica (unica), ruba, litiga con tutti e soprattutto non parla con
nessuno di quelli che vorrebbero, potrebbero, dovrebbero aiutarla.
Al titolo viene spesso aggiunto "Nadie te oye", ma è fuorviante in
quanto nessuno può ascoltare chi si rifiuta di parlare. Buono,
significativo e ben realizzato il drammatico finale.
Secondo me realizzare il film proponendo una situazione più comune
(non dico normale ...) invece che quella di due non-famiglie, una
delle quali al limite della povertà e con violenza domestica,
avrebbe potuto avere un maggiore impatto ed evitare i commenti come
"è un caso limite" o "se l'è cercata" ...
Insomma, nonostante le meritevoli intenzioni, le buone
interpretazioni e la discreta regia, resta il problema della
sceneggiatura debole, un po' pasticciata e abbastanza inconcludente.
Direi un'occasione persa.
IMDb 7,2
350 “Por la libre” (Juan Carlos de Llaca, Mex, 2000) * con Osvaldo
Benavides, Rodrigo Cachero, Ana de la Reguera
Commedia di basso livello, mal diretta, attori (sia i giovani che i
più navigati) poco incisivi, storia in gran parte prevedibile con
tante situazioni viste e riviste e non bastano un paio di trovate a
risollevarla. Francamente non vedo meriti e non capisco le lodi,
seppur moderate, che il film ha ricevuto.
A tratti e per alcuni elementi (in parte road movie, il mare, i due
giovani, ...) può richiamare alla mente il ben più noto (e molto
migliore) film di Alfonso Cuarón “Y tu mamá también” uscito l’anno
seguente, ma la differenza è abissale.
Più che evitabile, in giro c’è tanto di meglio, anche nel campo
delle commedie “leggere”.
IMDb 7,0
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