150 * “Amarcord” (Federico Fellini, Ita,
1973) * con Magali Noël, Bruno Zanin, Pupella Maggio
Certo i primi film di Fellini sono più affascinanti ed anche il suo
iniziale lavoro da sceneggiatore (collaborò alla realizzazione di
Paisa’, Roma città aperta, e altri) è memorabile. “Amarcord”
appartiene al secondo periodo della relativamente ridotta produzione
di Fellini (21 film in 40 anni) ed è forse l’ultimo suo film
notevole, pur essendo del tutto anomalo. Infatti si tratta di una
specie di raccolta di ricordi nostalgici di gioventù e goliardia di
provincia, abbastanza slegati fra loro. Una collezione di personaggi
quasi incredibili interpretati da attori e caratteristi scelti con
cura e alla perfezione. Fra essi penso che tutti ricordino il folle
Ciccio Ingrassia (senza il suo inseparabile Franco Franchi) nelle
vesti dello zio folle appollaiato sull’albero, e poi la Gradisca (Magali
Noël), la supermaggiorata tabaccaia, il fisarmonicista cieco, il
motociclista che sfreccia in centro nei momenti più impensati.
Curiosità: fra i vari interpreti, ma non con un ruolo molto meno
importante dei suddetti, si nota Alvaro Vitali il quale esordì al
cinema proprio grazie a Fellini che, come probabilmente saprete,
andava a caccia di volti e personaggi particolari. Lo scelse per
brevi apparizioni (uncredited) in “Satyricon” e “Roma”, per poi
dargli una parte più “importante” proprio in Amarcord. Nel
frattempo, e prima di diventare “star” della peggiore commedia
all’italiana interpretando spesso lo studente come in Amarcord,
Vitali ebbe occasione di lavorare con altri registi di livello come
Roman Polański, Dino Risi, Luigi Magni e Pasquale Festa Campanile,
ma poi sapete come è andata a finire ...
Stranamente questo film fu selezionato per concorrere in due diverse
edizioni degli Oscar, nel 1975 vinse come miglior film in lingua non
inglese e nel ’76 invece si fermò a 2 Nomination per regia e
sceneggiatura (Federico Fellini e Tonino Guerra)
IMDb 8,0 RT 91%
149 * “Cela s'appelle l'aurore” (Luis Buñuel, Fra, 1956) tit. it.
“Amanti di domani” * con Georges Marchal, Lucia Bosé, Julien
Bertheau
Ora mi manca solo “Los ambiciosos” (aka “La fiebre sube al Pao”, it.
“L'isola che scotta”, 1959) per completare la filmografia di Buñuel!
Questo “Cela s'appelle l'aurore” pare che sia quello che, fra tutti,
ha avuto minor circolazione ed è sconosciuto ai più. Segna il
ritorno in Europa del regista spagnolo, dopo il lungo soggiorno
forzato in Messico.
La storia si svolge su un’isola non meglio identificata nel
Mediterraneo (in effetti è la Corsica) ed è tratta da un romanzo di
Emmanuel Roblès, adattata per lo schermo dallo stesso Buñuel. A me è
sembrato proprio un bel film, con una bella fotografia, ben
interpretato.
Pur non lasciando spazio al surrealismo e a simbologia estrema e
indecifrabile, sono evidenti molti elementi Buñueliani classici, gli
immancabili piedi e gambe, il contrasto fra le classi sociali con
alti prelati apertamente schierati con la borghesia e quei
particolari che il regista spagnolo amava inserire a ripetizione nei
suoi film. In questo compaiono più volte dei simpatici gattini
miagolanti (pur non avendo alcun nesso con la storia) e oggetti che
cadono in terra (fazzoletto, guanto, cesta con polli ...).
Le parti “crime” e sociali risultano molto più interessanti della
love story fra il medico Valerio (Marchal) e la bella vedova Clara (Bosé).
Certamente non è paragonabile a “L’angelo sterminatore” o “Viridiana”,
ma è strano che sia così poco conosciuto.
Se ne avrete l’opportunità, guardatelo ... non ve ne pentirete.
IMDb 6,9
148 * “Intermezzo: A Love Story” (Gregory Ratoff, USA, 1939) tit.
it.
“Intermezzo” * con Ingrid Bergman, Leslie Howard, Edna Best
Dvd trovato per caso su una bancarella e preso al volo più per
Leslie Howard (ottimo attore, in qualunque genere) che per Ingrid
Bergman, bella ma mai convincente come attrice. Storia di un colpo
di fulmine fra un famoso violinista che gira per il mondo esibendosi
nei migliori teatri e la maestra di piano di sua figlia.
Film breve (1h08’) con storia e personaggi poco approfonditi,
tuttavia scorrevole.
Sufficiente.
IMDb 6,8 RT 100%
* 2 Nomination Oscar: fotografia e colonna sonora
147 * “The Stranger” (Satyajit Ray, India, 1991) tit. or.
“Agantuk” * con Dipankar Dey, Mamata Shankar, Bikram Bhattacharya
Ultimo film di Ray (sarebbe morto qualche mese dopo la prima al
Festival di Venezia, una decina di giorni prima di compiere 71
anni), in questo caso autore unico anche di soggetto originale e
sceneggiatura.
Lavoro quasi teatrale, copre un lasso di tempo molto breve,
dall’arrivo di una lettera che annuncia l’imminente visita di un
parente del quale non si avevano notizie da 35 anni, fino alla sua
partenza. La famiglia borghese che, volente o nolente, lo ospita si
trova in una situazione imbarazzante in quanto al momento in cui
l’uomo lasciò la casa paterna la nipote (ora sposata e madre di un
ragazzino) aveva solo due anni. La coppia non ha nessun elemento per
stabilire se si tratti realmente dello zio o di un millantatore che
si vuole introdurre in casa loro per chissà quali fini.
Fra dubbi di ogni tipo si sviluppa così quasi un mystery che sarà
risolto solo alla fine, con un’ulteriore ultima sorpresa.
Si procede con dialoghi colti e arguti, fra filosofia, religione,
scienza, tecnologia e senso pratico. Lo stesso misterioso uomo
sembra divertirsi a non chiarire la sua posizione e a far sorgere
dubbi nella coppia.
Una buona chiusura di carriera per colui che è universalmente
riconosciuto non solo come il miglior regista indiano, ma anche fra
i primi al mondo..
IMDb 8,1 RT 100%
146 * “The Home and the World” (Satyajit Ray, India, 1984) tit. or.
“Ghare-Baire” * con Soumitra Chatterjee, Victor Banerjee, Swatilekha
Sengupta
Ray torna ad avvalersi di un romanzo di Rabindranath Tagore (Nobel
per la letteratura) come soggetto e del suo pupillo Soumitra
Chatterjee come protagonista, e i risultati sono evidenti.
Storia molto interessante che si dipana fra politica e amore
(proibito), fra libertà di azione della protagonista (inusitata al
principio del secolo scorso) e amicizia, ospitalità e tradimenti.
Oltre a ciò, il film risulta estremamente interessante dal punto di
vista storico (con riferimenti precisi e veritieri) in quanto è
ambientato nel primo decennio del ‘900, quando gli inglesi decisero
di dividere il Bengala in due, separando Calcutta da Dacca e creando
forti contrasti fra hindu e musulmani (non contenti di questo
fallimento commisero lo stesso errore quando divisero il nord-ovest
dell’India “creando” il Pakistan - sul tema consiglio di guardare
l’ottimo film di Deepa Metha “1947: Earth”).
Come il precedente (The Chess Players) la maggior parte dell’azione
si svolge in un ricco palazzo ma, a differenza di quello, c’è meno
sfarzo, più cultura cosmopolita e, dal punto di vista
cinematografico, la recitazione è di tutt’altro livello.
Suggerisco di non farsi ingannare dal 7,7 di IMDb (più che buono,
tuttavia il più basso di tutto il gruppo) e fidarsi più del 100% di
RottenTomatoes. Personalmente lo consiglio vivamente.
IMDb 7,7 RT 100%
145 * “The Chess Players” (Satyajit Ray, India, 1978) tit. or.
“Shatranj Ke Khiladi” * con Sanjeev Kumar, Saeed Jaffrey, Shabana
Azmi
Si tratta del primo film a colori di Ray il quale, con il passare
degli anni, sembra aver perso un po' della sua verve e creatività,
sia per quanto riguarda le sceneggiature che per la cinematografia
vera e propria, e che abbia dato il meglio di sé nel primo periodo,
una quindicina di anni..
I giocatori di scacchi è quasi una parabola. Due accaniti, ma non
eccelsi, giocatori di scacchi passano il tempo in interminabili
partite, incuranti dei cambiamenti e degli avvenimenti storici che
si susseguono all'esterno, vale a dire la progressiva presa di
potere degli inglesi a metà dell’800.
In questo film mi hanno anche relativamente deluso gli attori,
probabilmente anche condizionati dalla sceneggiatura poco
interessante.
Comunque sono da apprezzare i ricchissimi interni e i costumi.
A quanto ho letto, è l’unico film di Ray in hindi (e parzialmente in
inglese), tutti gli altri sono in bengali.
IMDb 7,8 RT 88%
144 * “The Middleman” (Satyajit Ray, India, 1975) tit. or.
“Jana Aranya” * con Pradip Mukherjee, Rafiq Ahmed, S. Bagchi
Ancora un film incentrato nel mondo del lavoro a Calcutta, ma questa
volta non si svolge a livello dirigenziale in una grande azienda, né
si insiste troppo nella ricerca del lavoro da parte del protagonista
Somnath, pur avendo concluso i suoi studi in modo più che
soddisfacente. Essendo giovane volenteroso e intraprendente, si
lascia convincere da un vecchio conoscente ad iniziare un’attività
in proprio, da mediatore / rappresentante, proponendo l’acquisto di
qualunque cosa commerciabile, “dalla carta copiativa ad un
elefante”.
Cresciuto in una famiglia della media borghesia, di una certa
cultura e di sani principi morali, scoprirà man mano la poca
affidabilità delle persone, il sistema delle mazzette “innocue” e la
corruzione vera e propria.
Secondo me, “The Middleman” è nettamente il migliore dei film
“cittadini” di Ray, almeno fra quelli fin qui visti.
Ne consiglio la visione, senza ombra di dubbio.
IMDb 8,3 RT 100%
143 * “Company Limited” (Satyajit Ray, India, 1971) tit. or.
“Seemabaddha” * con Sharmila Tagore, Barun Chanda, Paromita
Chowdhury
Giunto al decimo film di Ray, ecco quello che mi è piaciuto di meno,
ancor meno di “The Adversary”, anch’esso ambientato nel mondo
lavorativo di Calcutta. Già avevo notato le prime avvisaglie in “The
Big City” e resto dell’idea che il regista bengalese renda molto di
più nella descrizione di personaggi più “umani” che devono
affrontare problemi di relazioni personali e non di lavoro in
aziende cittadine.
Anche le scene urbane - sempre ben filmate, per carità - avvincono e
coinvolgono lo spettatore quando sono proposte dal punto di vista
dei ceti bassi e molto meno quando ci si addentra nella media o alta
borghesia. Infatti, il realismo di Ray raggiunge le sue massime
vette proprio nella descrizione della “dignitosa povertà” nella
quale vivevano 50 anni fa tantissime famiglie indiane
Da guardare più che altro per completezza ma, pur essendo un film
oltre la media generale, certamente non entusiasma come gli altri.
IMDb 8,0
142 * “Days and Nights in the Forest” (Satyajit Ray, India, 1970)
tit. or.
“Aranyer Din Ratri” * con Sharmila Tagore, Kaberi Bose, Simi Garewal,
Soumitra Chatterjee
E’ noto che Ray nel corso della sua carriera da regista si cimentò
nei generi più diversi. In questo “Giorni e notti nella foresta” ci
offre uno spaccato abbastanza sorprendente e diverso dall’idea che
molti possano avere della piccola borghesia indiana degli anni ’60.
Si seguono i pochi giorni di vacanza di 4 giovani che hanno pre(te)so
in affitto un bungalow in una remota zona rurale, in cerca di un
poco di svago e trasgressione per sentirsi liberi dalle regole e
convenzioni sociali alle quali devono sottostare quando sono a
Calcutta. Talvolta alzano il gomito e sono un po' arroganti con i
locali, ma tornano (più o meno) nei ranghi dopo aver fatto
conoscenza con i componenti di una piccola famiglia in villeggiatura
(soprattutto a causa delle due giovani e avvenenti donne) e passano
il tempo nella natura fra sport, giochi d'azzardo e di società,
picnic, flirt a vari livelli, feste di campagna.
In questa commedia drammatica Ray descrive con il suo solito stile
molto discreto, ma preciso, più personaggi del solito, quindi non
solo i 4 giovanotti, le due giovani donne ed il padre/suocero, ma
anche vari locali come Duli (“Miss India”), il custode dei bungalow
e il temporaneo factotum, tutti in ruoli marginali ma fondamentali
Fra gli interpreti principali spiccano Sharmila Tagore che aveva
esordito proprio con Ray, nel film conclusivo della trilogia di Apu
(Apur Sansar, 1959) nel ruolo della bella sposa abbandonata
sull’altare, e Soumitra Chatterjee che nello stesso film, e anche
lui esordiente, interpretava Apu.
Da non perdere.
IMDb 8,3 RT 100%
141 * “The Adversary” (Satyajit Ray, India, 1970) tit. or.
“Pratidwandi” * con Dhritiman Chatterjee, Asgar Ali, Arabinda
Banerjee
A mio modesto parere, nella storie urbane e incentrate in rapporti
personali Ray non rende al meglio. In questo film manca la bellezza
dei primi piani, degli sguardi che si incrociano, nei dialoghi e
delle loro pause. Anche se gli altri suoi film che ho visto si
svolgono per la maggior parte in interni, qui si nota una carenza di
luci che spesso volgono quasi al tetro. Per di più, a cominciare
dalla sequenza iniziale, Ray mostra vari visioni (quasi
allucinazioni, incubi) dei protagonisti con scene proposte con il
negativo della pellicola rendendo l’atmosfera ancora più cupa.
Infine, i tormenti del giovane Siddhartha alla ricerca di un lavoro
mentre è distratto anche dalla politica, non riescono ad
appassionare.
Ben realizzato, ma certamente non entusiasmante come gli altri.
IMDb 8,2 RT 100%
140 * “The Lonely Wife” (Satyajit Ray, India, 1964) tit. or.
“Charulata” - it. “La moglie sola” * con Soumitra Chatterjee,
Madhabi Mukherjee, Shailen Mukherjee
Di nuovo ambiente urbano e altro dramma familiare, ma molto più
sottile, psicologico. Nella grande e ricca casa vivono
l’editore/direttore di un giornale di impegno politico, la moglie
(trascurata), il fratello di lei con moglie e infine si aggiunge il
fratello del capofamiglia. Ray ci propone una storia di fiducia
tradita e fiducia rispettata, letteratura e politica, sogni e
delusioni, tutto con una serie di scene e inquadrature di rara
raffinatezza.
Ancor più che nei film precedenti, il cineasta indiano combina in
continuazione ed in modo sempre diverso volti e persone in una
stessa inquadratura, su piani diversi e con uno dei due leggermente
fuori fuoco, con un’immagine che va a riempire il “vuoto” lasciato
dall’altra (vedi foto).
Tuttavia, devo dire che l’interpretazione di Madhabi Mukherjee (Charulata)
mi è sembrata non all’altezza del resto del cast e degli attori
impegnati nei film di Ray (di solito molto più bravi e misurati),
basandosi su reazioni ed espressioni troppo enfatizzate e sopra le
righe.
Per il resto il film è quasi perfetto, grazie anche all’ennesima
sagace sceneggiatura adattata con maestria da Satyajit Ray da un
racconto di Rabindranath Tagore (Nobel per la letteratura).
IMDb 8,3 RT 96%
139 * “The Big City” (Satyajit Ray, India, 1963) tit. or.
“Mahanagar” * con Anil Chatterjee, Madhabi Mukherjee, Jaya Bhaduri
L’atmosfera cambia completamente rispetto ai precedenti due (“The
Music Room” e “The Goddess) in quanto, come evidenziato nel titolo,
la scena si sposta in ambiente urbano e i protagonisti, pur non
essendo poveri, non sono ricchi né lo sono mai stati, comunque di
cultura sopra la media.
Stavolta il dramma si sviluppa all’interno di una famiglia,
inizialmente monoreddito, nella quale il capofamiglia bancario,
oltre alla moglie, deve sostenere gli anziani genitori, la sorella
ed il figlio. In teoria tutti sono collaborativi, ma i contrasti
sono inevitabili dati i loro particolari caratteri, soprattutto
quello dell’anziano e malandato ex-maestro che più degli altri si
sente un peso per l’intera famiglia. Dal momento in cui la giovane
madre comincia a lavorare si assiste ad una serie di cambiamenti e
di eventi che porteranno ad un inatteso finale.
Quindi, seppur molto sommariamente, si tratta del problema del
lavoro, del sostentamento degli anziani affidati alle famiglie dei
figli, dell’emancipazione femminile, della modernizzazione delle
città, dei rapporti con gli anglo-indiani, e tanto altro.
Secondo me, pur essendo un buon film, non è all’altezza dei
succitati due appena visti.
IMDb 8,3 RT 90%
138 * “The Goddess” (Satyajit Ray, India, 1960) tit. or.
“Devi” * con Sharmila Tagore, Soumitra Chatterjee, Chhabi Biswas
Questo film, anch’esso ambientato quasi del tutto in un grande
residenza, mi è piaciuto ancor più del precedente “The Music Room” e
pure in questo caso (ma ciò vale per quasi tutti i suoi film) Ray è
sceneggiatore.
La storia è emblematica e verte sui danni che la religione può
causare quando, nella mente di soggetti “deboli” e invasati, si
trasforma in superstizione, credulità, fondamentalismo, venerazione
di persone o oggetti e via discorrendo (ma questa è storia vecchie e
già ampiamente dibattuta).
In breve, l’anziano e devotissimo patriarca Kalikinkar Roy
(interpretato dal “solito” Chhabi Biswas) a seguito di una serie di
eventi e coincidenze si convince che la nuora è la reincarnazione
della dea Kali. Il problema si aggrava nel momento in cui la giovane
donna, nonostante i tentativi del marito di riportarla alla ragione,
comincia a dubitare della sua natura strettamente umana.
Altro dramma psicologico, che affonda la lama nell’essenza delle
religioni dove il limite fra fede e credulità si rivela praticamente
inconsistente.
Come previsto, mi sento di ripetere: “Film che ogni cinefilo,
chiaramente, dovrebbe guardare”.
IMDb 8,0 RT 100%
137 * “The Music Room” (Satyajit Ray, India, 1958) tit. or.
“Jalsaghar” * con Chhabi Biswas, Sardar Akhtar, Gangapada Basu
Ho messo mano alla filmografia di Satyajit Ray e procederò in ordine
cronologico, saltando la trilogia di Apu in quanto vista e
micro-recensita poco più di un anno fa. Mi limiterò alla decina di
film più conosciuti dei quali è facile trovare versioni
sottotitolate.
“The Music Room” è il suo quarto lungometraggio e precede il la
terza parte della trilogia “Apur Sansar” (Il mondo di Apu).
Film affascinante nel quale, come era prevedibile dato il titolo, la
musica gioca un ruolo importante. Narra di una quasi “sfida” fra un
nobile, colto e già potente ed un nuovo vicino, un arricchito. Il
primo, seppur quasi in rovina economica è disposto a continuare a
spendere i suoi averi (veramente agli sgoccioli) organizzando
intrattenimenti musicali nella sua “music room” del fatiscente
enorme palazzo in mezzo ad una landa deserta e sconfinata, nei
pressi di un lago. Bella l’atmosfera creata nelle stanze
semideserte, che beneficia dell’ottima interpretazione di Chhabi
Biswas, attore che finché visse (1962) comparve in molti dei film di
Ray.
Film che ogni cinefilo, chiaramente, dovrebbe guardare ...
probabilmente leggerete questa frase alte volte a chiusura dei miei
brevi commenti.
IMDb 8,1 RT 100%
136 * “Judex” (Georges Franju, Fra, 1963) tit. it.
“L’uomo in nero” * con Channing Pollock, Francine Bergé, Edith Scob
Georges Franju non è tanto importante come regista quanto come
co-fondatore della Cinematheque Française nel 1937, insieme con
Henri Langlois. In particolare questo suo Judex è (come
esplicitamente dichiarato nei titoli di coda) un omaggio a Louis
Feuillade, famoso regista francese dei primi anni del muto,
specializzato in short (oltre 600) spesso realizzati in serie come
gli oltre 50 episodi di Bout-de-Zan (1912-16) prima della decina di
Judex (1916-17) seguiti da altri 12 di “La nouvelle mission de Judex”
(1918).
Judex è, ovviamente, “l’uomo in nero”, giudice, giustiziere,
vendicatore.
La trama è ricchissima di eventi, sorprese, coincidenze, inaspettati
incontri, tutti molto ben distribuiti temporalmente ma, dispiace
dire, talvolta proposti in modo molto ingenuo. Verso la fine appare
anche Sylva Koscina nelle vesti di un’artista di circo che, per puro
caso, ritrova il suo amico investigatore privato Cocantin ed avrà un
ruolo fondamentale per la conclusione dell’avventura.
Interessante visione che, oltretutto, invoglia i cinefili ad andare
a cercare e guardare qualche muto di Feuillade.
IMDb 7,3 RT 90%
135 * “Les Misérables” (Richard Boleslawski, USA, 1935) tit. it.
“Il sergente di ferro” (sic!) * con Fredric March, Charles Laughton,
Cedric Hardwicke
Penso che nessuno che conosca questo romanzo storico scritto nel
1862 da Victor Hugo si possa aspettare di trovare nel film (in
questo come nei tanti altri dallo stesso titolo) una messa in scena
fedele. A quelli che non lo conoscono, ricordo che è costituito da 5
tomi, suddivisi in 48 libri, e di norma le edizioni complete
superano abbondantemente le 1000 pagine. Quanto si può raccontare in
un paio d’ore?
Il merito che si deve riconoscere a Boleslawski è quello di aver
saputo scegliere una serie di eventi collegati fra loro, senza
dilungarsi nelle descrizioni storiche e non facendo proprio apparire
alcuni personaggi. Il risultato è certamente incompleto (chi si
lamenta di ciò può leggere il libro) ma riesce ad essere un film
snello, spesso con scene che durano meno di un minuto, mostrando
soprattutto le parti strettamente connesse al protagonista
principale Jean Valjean, molto ben interpretato da Fredric March.
Nel ruolo del suo antagonista Ispettore Javert (che lo persegue
nell’arco di una ventina di anni) si distingue Charles Laughton,
ottimo attore, forse limitato dal suo volto molto singolare..
A giudicare dai giudizi generali, questa dovrebbe essere una delle
migliori versioni.
IMDb 7,6 RT 100%
134 * “Pygmalion” (Anthony Asquith, Leslie Howard, UK, 1938) tit.
it.
"Pigmalione" * con Leslie Howard, Wendy Hiller, Wilfrid Lawson
Classico inglese (puro) degli anni ’30, basato sulla commedia di
George Bernard Shaw (il quale collaborò anche all’adattamento), ma
il tema originale di Pigmalione e Galatea era stato trattato quasi
2000anni prima da Ovidio.
Molti conosceranno la storia per essere praticamente la stessa del
ben più famoso “My Fair Lady” (George Cukor, USA, 1964, con Audrey
Hepburn e Rex Harrison), pluripremiato con 8 Oscar e 4 Nomination.
L’ineffabile Leslie Howard fu co-regista e primo attore nel ruolo
del professor Higgins e, come in molte opere teatrali, ruba
assolutamente la scena, anche quando si trova a dialogare con Wendy
Hiller (la fioraia Eliza).
Al di là dei meriti del testo di Shaw, il film è molto ben
realizzato e dato l’argomento (il perfezionamento della dizione da
cockney a puro inglese) direi che sia opportuno, se non
indispensabile, guardare e soprattutto ascoltare la versione
originale.
Oscar per la sceneggiatura (G. B. Shaw), 3 Nomination come miglior
film, attore e attrice protagonisti Leslie Howard, Wendy Hiller (al
suo secondo film); quest’ultima vinse poi l’Oscar come non
protagonista nel 1959, per “Tavole separate”.
IMDb 7,9 RT 94%
133 * “The Testament of Dr. Mabuse” (Fritz Lang, Ger, 1933) tit. it.
“Il testamento del Dr. Mabuse” * con Rudolf Klein-Rogge, Otto
Wernicke, Gustav Diess
Sequel del più famoso “Dr. Mabuse, der Spieler” (Fritz Lang, 1922,
montato e distribuito in vari modi, unico o in due parti, di durate
variabili ... all’ultimo restauro del film completo mancano 3 minuti
per raggiungere le 5 ore!).
Questo film conclusivo della storia di Mabuse fu l’ultimo girato da
Lang in Germania, seguirà “Liliom” in Francia e quindi tutto il suo
periodo americano a iniziare dai famosi “Fury” (1936, Furia) e “You
Only Live Once” (1937, Sono innocente).
Dopo 11 anni ritroviamo Mabuse (interpretato dallo stesso attore,
Rudolf Klein-Rogge) ricoverato come infermo di mente, non parla con
nessuno ma scrive quasi incessantemente frasi pressoché
incomprensibili. Poliziesco-crime-thriller ben costruito e ben
interpretato che si avvale anche di buone riprese.
Non vale quanto il primo e originale Mabuse, ma è senz’altro un
ottimo film. Da guardare, meglio se dopo aver visto quello del 1922.
IMDb 7,9 RT 89%
132 * “The Most Dangerous Game” (Irving Pichel, Ernest B. Schoedsack,
USA, 1932) tit. it.
“La pericolosa partita” * con Joel McCrea, Fay Wray, Leslie Banks
Nel corso delle mie peregrinazioni fra i film d’epoca, in questo
caso di quelli dei primi anni del sonoro, mi sono imbattuto in “La
pericolosa partita” che vanta buone recensioni, ma che in effetti mi
ha deluso e non poco.
L’idea di fondo è buona, ma secondo me fu mal sviluppata. La
sceneggiatura non ha molto senso ed anche la realizzazione è
abbastanza insoddisfacente.
Suggerirei di non perdere tempo a guardarlo, non ne vale la pena e
oltretutto ci sono tanti altri titoli migliori a disposizione.
IMDb 7,3 RT 100%
131 * “Dracula” (Tod Browning, USA, 1931) * con Bela Lugosi, Helen
Chandler, David Manners
A quanto mi risulta si tratta del primo “Dracula” sonoro che
inizialmente doveva essere interpretato dal grande trasformista,
specializzato in personaggi horror, Lon Chaney che però morì nel
1930. Gli subentrò così Bela Lugosi (1882-1956, ungherese, ma oggi
sarebbe stato rumeno, quindi un “vampiro originale”) il quale grazie
a questo ruolo divenne famoso nel mondo di Hollywood. In effetti le
sue apparizioni sul grande schermo iniziarono prima degli anni ’20,
ma in Ungheria. Emigrato negli Stati Uniti, fra i tanti lavori
svolti per guadagnarsi da vivere, continuò a partecipare
saltuariamente a film di vario genere, seppur in ruoli minori. Nel
1927 fu protagonista a Broadway del “Dracula” di Deane e Balderston,
lavoro teatrale (non fedelissimo al romanzo di Bram Stoker) che ebbe
grande successo, tanto da restare in cartellone per ben 268 repliche
prima di andare in tour per gli Stati Uniti. Quindi la scelta dei
produttori fu quasi obbligata, essendo la sceneggiatura tratta
proprio dalla suddetta opera teatrale.
Personalmente preferisco la trama originale ed in particolare quella
proposta in Nosferatu (Murnau, 1922), secondo me il migliore di
tutti quelli con protagonista Dracula, forse eguagliato solo dal suo
remake del 1979 di Werner Herzog, con Klaus Kinski nelle vesti di
Nosferatu.
Comunque, questo di Tod Browning (che l’anno successivo avrebbe
girato il suo capolavoro “Freaks”) è senz’altro meritevole di una
visione .
Prima o poi dovreste guardarlo.
IMDb 7,5 RT 100%
130 * “The Four Horsemen of the Apocalypse” (Rex Ingram, USA, 1921)
tit. it.
“I 4 cavalieri dell’Apocalisse” * con Rudolph Valentino, Alice
Terry, Pomeroy Cannon
Quasi un kolossal, due ore e mezza di vicende famigliari attraverso
varie generazioni, con la prima parte che si svolge in Argentina ma
che poi continua in Francia fra Parigi e le campagne della Marna,
abbracciando gli anni della Grande Guerra. Recitazione molto “da
muto” con enfasi spesso eccessiva dei movimenti delle braccia e
tanti sguardi significativi, ma spesso poco reali. La trama si
dipana fra le beghe fra generi e nipoti di un ricchissimo allevatore
che lascia un’immensa fortuna in parti uguali alle due figlie.
Queste sembrano avere ben poca voce in capitolo mentre i loro mariti
(un francese ed un tedesco) decidono di ritornare in Europa, ognuno
nella sua madre patria.
Il personaggio centrale di tutta la vicenda è ovviamente Valentino,
gran ballerino di tango e donnaiolo, eppure con altre qualità
positive. Il film, di produzione americana, calca la mano sugli
stereotipi delle diverse nazionalismi con i francesi più interessati
all’arte e alla dolce vita, quasi debosciati ma comunque
nazionalisti, opposti ai tedeschi guerrafondai e devoti all’ordine
militare. Verso la fine si vedono anche arrivare le truppe americane
(i buoni) ... quasi come in un film di propaganda, ma non
dimentichiamo che la guerra era finita da appena un paio di anni.
Ottimo muto, di quelli classici.
IMDb 7,9
129 * “L’Atalante” (Jean Vigo, Fra, 1934) * con Dita Parlo, Jean
Dasté, Michel Simon
Unico lungometraggio di Vigo, il quale non riuscì neanche a vedere
la sua opera finita in quanto morì, a soli 29 anni, prima che il
montaggio fosse completato. Penso che tutti conosciate la famosa
scena “subacquea” proposta e riproposta, insieme ad altri spezzoni
correlati, da Ghezzi quasi all’infinito nella sigla di “Fuori
Orario”.
Venuto a mancare Vigo, che avrebbe potuto sostenere le sue ragioni,
i produttori fecero ridurre di molto il film portandolo
dall’originale ora e mezza a poco più di un’ora. In questa versione
solo pochi apprezzarono il film che venne quindi ritirato dalla
circolazione, per riapparire di nuovo solo nel 1940.
Dopo altri 50 anni, nel 1991, anche grazie al ritrovamento di una
pellicola originale quasi mai utilizzata, si riuscì a ri-montare
“L’Atalante” in modo presumibilmente abbastanza fedele a quanto
progettato nel 1934. Per saperne di più suggerisco di
leggere questo ottimo articolo pubblicato
su
ondacinema.it.
Il tenore del film è vario, barcamenandosi fra farsa e dramma,
alternando momenti di passione alla commedia romantica, ma
soprattutto è da guardare per lo stile pressoché unico di Jean Vigo.
Colpiscono in particolare le tantissime inquadrature fisse molte
delle quali con i soggetti che si muovono lateralmente, quasi
l’opposto di una carrellata, punti di ripresa inusuali, montaggio a
volte rapidissimo, in genere pochi movimenti di macchina. Memorabile
l’interpretazione di Michel Simon. Visione “obbligatoria” per tutti
gli amanti del vero cinema.
C’è da chiedersi dove sarebbe arrivato Vigo se fosse rimasto in vita
...
IMDb 7,9 RT 100%
128 * “Zero de conduit: Jeunes diables au collège” (Jean Vigo, Fra,
1933) tit. it.
“Zero in condotta” * con Jean Dasté, Robert le Flon, Louis Lefebvre
Mediometraggio del regista “cult” Jean Vigo, molto discusso,
criticatissimo, censurato e osannato ...
Figlio di un famoso anarchico francese misteriosamente morto in
prigione quando lui era ancora ragazzino (12 anni), Jean si avvicinò
al cinema in modo anomalo realizzando pochissimi filmati, tutti
molto particolari e “rivoluzionari”. Guardato come un film
“normale”, Zero de conduit non dice molto e addirittura può apparire
irritante per la sua superficialità, pressappochismo, incongruenza
... letto in altro modo evidenzia la voglia di cambiare, di non
rispettare alcuna regola, esaltando la rivoluzione e l’anarchia.
Anche se in sé e per sé il film in più occasioni rasenta il
ridicolo, una ulteriore scusante (necessaria considerazione) è la
forzata ridotta durata per motivi di budget. La sceneggiatura stesa
da Vigo prevedeva molte altre scene, ma si dovette limitare ed il
film fu poi anche ulteriormente tagliato e ri-montato dopo essere
stato censurato. Tornò nelle sale francesi solo nel 1946.
IMDb 7,5 RT 93%
127 * “Saturday Night and Sunday Morning” (Karel Reisz, UK, 1960)
tit. it.
“Sabato sera, domenica mattina” * con Albert Finney, Shirley Anne
Field, Rachel Roberts
Primo film da protagonista e secondo in assoluto di Albert Finney
che, vi ricordo, nella sua carriera ha collezionato 5 Nomination
Oscar.
Film essenziale, quasi neorealista, in bianco e nero, abbastanza
movimentato e molto ben interpretato, tant’è che oltre a vincere il
BAFTA come miglior film anche Rachel Roberts vinse quale miglior
attrice e Finney miglior esordiente protagonista oltre ad essere
candidato come miglior attore in assoluto.
L’ambiente è quello di un quartiere di operai ma, come si evince dal
titolo, la trama segue quanto accade nel corso dei weekend, fra
pinte di birra e amori. In particolare il giovane Arthur (Finney) si
divide fra una giovane ragazza e una donna matura e sposata la quale
resta incinta (di lui).
Il film, adattato dall’omonimo romanzo di esordio (1958) di Alan
Sillitoe, ricevette da subito ottime recensioni e all’epoca fu uno
dei maggiori successi al botteghino e tutt’oggi gode di ottime
valutazioni (IMDb 7,7 RT 100%).
Seppur molto datato, merita senz’altro una visione.
IMDb 7,7 RT 100%
126 * “The Hanging Tree” (Delmer Daves, USA, 1959) tit. it.
“L'albero degli impiccati” * con Gary Cooper, Maria Schell, Karl
Malden, George C. Scott
Altro western mai visto e neanche sentito nominare, una delle ultime
interpretazioni di Gary Cooper. Ma è un western non western, vale a
dire che non ci sono i soliti cattivi (allevatori o banditi che
siano), né indiani ... tratta piuttosto della corsa all'oro, quando
i villaggi sorgevano e scomparivano in un batter d'occhio, a seconda
delle illusioni o fortune dei cercatori.
Cooper è un dottore e giocatore dal misterioso passato, che si
stabilisce ai margini di un campo di cercatori. Fra i protagonisti
spicca Karl Malden nel ruolo di un troppo intraprendente cercatore
con pochi scrupoli, mentre in un ruolo minore, ma non secondario,
appare George C. Scott che interpreta un predicatore quasi folle,
invasato e certamente sobillatore. Il già precario equilibro viene
turbato dall’arrivo di una donna, unica sopravvissuta all’assalto
della diligenza sulla quale viaggiava.
Molto interessante e inusuale in quanto è focalizzato più sulla
parte psicologica che su quella “violenta”, che comunque non manca
... del resto siamo nel Far West
Nomination Oscar miglior canzone originale (“The Hanging Tree” di
Jerry Livingston e Mack David)
IMDb 7,2
125 * “Out of Rosenheim” (Percy Adlon, Ger, 1987) tit. int.
“Bagdad Café” * con Marianne Sägebrecht, CCH Pounder, Jack Palance
Quando vidi il dvd di Bagdad Cafè sulla bancarella del mercatino non
ci pensai su due volte e fu mio. Molti probabilmente lo conoscono,
agli altri dico che si tratta di uno dei tanti piccoli
non-capolavori ma semplici film ben realizzati, singolari, prodotti
a basso costo, con pochi mezzi, pochi attori e, praticamente, una
sola location.
Le due protagoniste, una turista tedesca e la proprietaria di un
minuscolo bar/motel in mezzo al deserto a qualche centinaio di km da
Las Vegas, sono interpretate dalle ineffabili e assolutamente
diverse Marianne Sägebrecht, CCH Pounder. Fra i personaggi di
contorno spicca Jack Palance che una volta tanto si scrolla di dosso
lo stereotipo del cattivo di turno interpretando un gentilissimo,
sereno, quasi ascetico hippy pittore che vive in una roulotte a poca
distanza dal Cafè.
I colori, i personaggi, l’ottima musica di sottofondo che alterna
Bach alle canzoni di BobTelson (Nomination Oscar), la sceneggiatura
dello stesso Adlon e di sua moglie Eleonore e senz’altro le
interpretazioni delle due prime donne sono i semplici ingredienti
alla base di questo piacevolissimo film.
Tuttavia verso il finale c’è una parte che mi ha lasciato un po’
perplesso e cioè la lungaggine degli “show” al Bagdad Cafè. C’è però
da dire che dalla versione originale tedesca sono stati tagliati ben
13 minuti che, in proporzione all’ora e mezza che si conosce, sono
tanti. Lì si trova il nesso o erano scene ritenute ancor meno
pertinenti?
Senza dubbio consigliato comunque.
IMDb 7,5 RT 88% *
Nomination Oscar per la migliore canzone (Calling you di Bob Telson,
interpretata da Jevetta Steele)
Curiosità: il nome CCH della simpaticissima Pounder sta per Carol
Christine Hilaria
124 * “The tin Star” (Anthony Mann, USA, 1957) tit. it.
“Il segno della legge” * con Henry Fonda, Anthony Perkins, Betsy
Palmer, Lee van Cleef, Neville Brand
Film poco conosciuto e senz’altro sottovalutato nel suo genere, con
un ottimo Henry Fonda affiancato da un giovane Anthony Perkins di
nuovo coprotagonista al fianco di una star dei western (nel
precedente “The Lonely Man” era con Jack Palance), mentre Lee van
Cleef resta relegato in un ruolo secondario nonostante la sua
maggiore esperienza avendo esordito 5 anni prima in High Noon
(Mezzogiorno di fuoco).
La buona e originale storia (Nomination Oscar per la sceneggiatura),
pur comprendendo molti classici personaggi (lo sceriffo inesperto e
l’ex sceriffo dalla mira infallibile diventato bounty killer, la
donna avvenente e single, il classico villain sbruffone e codardo,
...) riesce ad essere diversa dalle altre e propone varie soluzioni
inusuali.
Anthony Mann dirige con mano sicura utilizzando tempi quasi perfetti
e riesce a fornire un ottimo western senza inutili spettacolarismi,
o eccessive sparatorie, o scontri fisici poco credibili e mantenendo
l’inevitabile parte quasi romantica al minimo indispensabile.
Consigliato.
IMDb 7,4 RT 80%
123 * “Belle” (Amma Asante, UK, 2014) tit. it. “La ragazza del
dipinto” * con Gugu Mbatha-Raw, Tom Wilkinson, Matthew Goode, Emily
Watson
Il solito bravo Tom Wilkinson, Gugu Mbatha-Raw e altri vari buoni
attori, i bei costumi e gli interni in originali ambienti d’epoca
sostengono il film rendendolo abbastanza piacevole, ma la
sceneggiatura, seppur ispirata a fatti reali, non aiuta per niente
in quanto veramente debole, a tratti quasi una soap opera.
Si narra delle vicende di Dido Elizabeth Belle, una delle prime
donne di colore (mulatta) ad essere accettata, seppur con non poche
difficoltà, negli ambienti aristocratici inglesi di fine ‘700. Ebbe
un ruolo importante nel caso della nave negriera (la Zong, dalla
quale furono gettati in mare numerosi schiavi in catene) che finì in
tribunale per un contenzioso assicurativo. Il verdetto finale
divenne la base delle successive azioni giudiziarie che portarono
alla messa al bando del traffico di schiavi in Inghilterra.
Guardabile, ma certo non indispensabile.
IMDb 7,8 RT 78%
122 * “Tiempo de morir” (Jorge Alí Triana, Col, 1985) * Gustavo
Angarita, Sebastián Ospina, Jorge Emilio Salazar
Ennesimo dramma centroamericano ambientato in un piccolo pueblo, con
sceneggiatura di Gabriel García Márquez e Carlos Fuentes. Ne
esistono varie altre versioni, delle quali la migliore sembra essere
quella messicana di Arturo Ripstein, prodotta del 1965.
Come struttura somiglia un poco a Cronaca di una morte annunciata.
Anche in questo caso nel corso di tutto il film si parla di una
morte prevista e anticipata che viene accettata come ineluttabile,
tuttavia solo pochi fanno timidi tentativi per evitarla. Il motivo
in questo caso non è il disonore di una donna (e della sua
famiglia), ma una vendetta nuda e cruda, per di più a freddo e
ingiustificata.
L'ambiente è il solito, un piccolo paesino con strade polverose, con
un opprimente caldo umido che acuisce i malesseri e certo non aiuta
a ragionare, il sottofondo musicale delle immancabili rancheras
messicane (in questo caso “Lucio Vasquez”, che narra proprio di un
assassinio a tradimento) mentre al cinema si intravede una scena del
classico "Maria Candelaria" di Emilio Fernandez "El Indio", con
Dolores Del Rio e Pedro Armendariz.
Buone le interpretazioni, in particolare quella di Angarita che
forse qualcuno conosce per averlo visto in “La estrategia del
caracol” (La strategia della chiocciola).
IMDb 6,9
121 * “Hail, Caesar!” (Ethan e Joel Coen,, USA, 2016) * con Josh
Brolin, George Clooney, Alden Ehrenreich, Ralph Fiennes, Scarlett
Johansson, Tilda Swinton, Frances McDormand,
Mi chiedo perché mai i fratelli Coen abbiano creato (regia,
sceneggiatura e produzione) questo quasi ignobile minestrone!
Considerato il cast che comprende tanti bravi e ottimi attori, molti
dei quali dell’entourage dei Coen e che di solito ricoprono ruoli da
protagonista, l’unica spiegazione che posso trovare è che abbiano
voluto produrre un film sul mondo del cinema degli anni ’50 per loro
esclusivo divertimento.
Penso che tutti conosciate la storia, il film e gli attori e che
concordiate in merito al fatto che “Hail, Caesar!” sia uno dei film
più scadenti dei fratelli che ci hanno regalato pellicole di ben
altro livello.
IMDb 6,3 RT 78%
* Nomination Oscar per Clooney
120 * “Vanishing Time: A Boy Who Returned” (Tae-hwa Eom, Kor, 2016)
* con Dong-won Gang, Lee Hyo-Je, Hee-won Kim
La storia è senz'altro originale, ma procede a sprazzi. Di tre
ragazzi scomparsi in un bosco ne torna solo uno, dopo pochi giorni
ma invecchiato di una quindicina di anni, Chiaramente sarà difficile
accettare e far accettare che si tratti proprio di lui.
Il film è talvolta affascinante, con alcune scene nel bosco e nella
capanna ben realizzate, ma purtroppo spesso i personaggi si
comportano in modo contrario a qualunque logica, eventi e dettagli
non fondamentali si ripetono troppo spesso con la conseguenza di
rallentare il ritmo e farlo durare - inutilmente - oltre 2 ore.
IMDb 7,6
119 * “Hepta: The Last Lecture” (Hadi El Bagoury, Egitto, 2016) *
con Amr Youssef, Ahmed Malek, Ahmed Dawood
Questo film ha rappresentato la vera sorpresa del mio lunghissimo
viaggio di rientro (ma mi sono limitato a soli 7 film), non tanto
per essere egiziano - cinematografia a me assolutamente sconosciuta
- ma soprattutto per essere più che apprezzabile ... addirittura
qualcuno lo a definito il miglior film arabo di sempre. Sui voli
intercontinentali si trovano le pellicole più incredibili!
Sceneggiatura eccezionale, basata sul bestseller di Mohamed Sadeq
“The Last Lecture “ (vi invito a leggere qualcosa su di lui e sulla
sua opera).
Dottissima e ben costruita disquisizione sull'amore, esposta da un
professore universitario dal palco di un teatro di fronte a
un'attentissima e qualificata platea. Il professore (interpretato da
un ottimo Maged El Kedwany) illustra i sette stadi dell'amore
avvalendosi di quattro storie raccontate in contemporanea, con l
vicende dei protagonisti che si lambiscono ma non si intersecano, si
sovrappongono, si ripetono e alcuni nomi ricompaiono ... qual è il
vero nesso fra loro?
Storie ben raccontate, profonde, e commentate filosoficamente dal
relatore.
Bravi gli attori e più che buona la regia.
Ci saranno altri film egiziani di questo livello che non ci è dato
di conoscere? Immagino di sì perché un film e un cast del genere non
possono essere un caso isolato e quindi spero di imbattermi in altre
perle simili.
Datevi da fare per trovarlo e non ve lo fate scappare.
IMDb 7,9
118 * “El ciudadano ilustre” (Gastón Duprat e Mariano Cohn, Arg,
2016) tit. it. “Il cittadino illustre” (è una traduzione letterale,
il significato è “cittadino onorario) * con Oscar Martínez, Dady
Brieva, Andrea Frigerio
Più che buona pellicola argentina (cinematografia sottovalutata da
molti eppure prodiga di film, registi e attori di tutto rispetto).
Ne avevo letto le lodi e quindi, una volta trovata, non me la sono
fatta sfuggire.
In breve, è la storia di uno scrittore di gran successo, vincitore
del Nobel per la letteratura, che dopo molti anni di assenza torna
nella sua città natale pensando di essere osannato, riverito e
ricevuto nel migliore dei modi e invece ...
Ottimo, realistico, graffiante, parte lentamente con tocchi di
commedia per diventare sempre più cattivo, ... in una escalation che
sfocia nella violenza fisica. Mostra tutto il peggio che c'è
(spesso) nei gruppi sociali ristretti e proprio per questo lì si
acuiscono acrimonia, invidia, speculazione, rivendicazioni, gelosie
e altro. Non manca di mettere in ridicolo il provincialismo di
manifestazioni organizzate come manifestazioni pubbliche ma
utilizzate a soli scopi commerciali o per proprio tornaconto.
Nei discorsi dello scrittore (interpretato dal bravo Oscar Martínez)
sono descritte e criticate tantissimi atteggiamenti comuni nella
società modernna, così come visioni “filosofiche” sulla scrittura e
l’arrte in generale.
Da non perdere.
IMDb 7,5 RT 100% *
Nomination Leone d’Oro
a Venezia 2016, Premi ai registi e al protagonista (Oscar Martínez),
117 * “Desiderable Lady” (Donald Brodie, USA, 1944) aka "Fig leaf
for Eve" * Jan Wiley, Phil Warren, Eddie Dunn
Classica B-comedy degli anni '40, di ritmo discreto, non troppo
scontata, con varie sorprese, ma certo non memorabile.
I personaggi principali sono: una ballerina di varietà abbastanza
incapace ma testarda, il suo agente altrettanto incapace e
inaffidabile ma in fondo onesto, un'ereditiera scomparsa, un Bail
bondsman (chi garantisce per le cauzini) intraprendente, una
ricchissima famiglia composta da una coppia, la figlia ed una
sorella di lui, tutti di carattere diverso.
Miscelate il tutto in una trama di poco più di un'ora che comprende
anche un paio di pezzi musicali e capirete che non ci si può
annoiare.
Esattamente ciò che era lecito aspettarsi.
IMDb 5,9
116 * “T2: Trainspotting” (Danny Boyle, UK, 2017) * Ewan McGregor,
Ewen Bremner, Jonny Lee Miller
Il primo, l’originale, fu una sorpresa, piacevole per la maggior
parte degli spettatori. Dopo una ventina di anni Danny Boyle
ripropone gli stessi personaggi, ovviamente più maturi (ma solo
all’anagrafe) e sempre folli. Come tutti i sequel, anche questo è
soggetto a paragoni con il precedente ma, al contrario di molti “2”,
regge bene il confronto. Se da un lato la storia si sviluppa in modo
meno esplosivo e ovviamente le azioni dei 4 amici/nemici sorprendono
di meno, trovo che la regia di Boyle sia nettamente superiore, lui
sì che è diventato più maturo. Il film è pieno di inquadrature
particolari, punti di osservazione inusuali, colori contrastanti ben
collocati sullo schermo, e i brevissimi flashback (veri flash) che
includono varie immagini del primo Traispotting sono perfettamente
intercalati fra le riprese moderne.
Per questi aspetti T2 mi è piaciuto più del primo, trovo che Boyle
ed il suo direttore della fotografia abbiano svolto un eccellente
lavoro, certamente migliore di quello dello sceneggiatore che,
oltretutto, pare che abbia troppo rimaneggiato il romanzo di Irvine
Welsh.
IMDb 7,8 RT 78%
115 * “I, Claude Monet” (Phil Grabsky, UK, 2017) * Henry Goodman
Documentario d’arte insolito, secondo me molto ben realizzato
seguendo uno schema diverso dai soliti. Henry Goodman, unico attore,
ma solo in voce, legge un gran numero di lettere di Claude Monet
indirizzate a persone diverse (amici, parenti, colleghi) e
attraverso questi suoi rapporti epistolari si riesce a seguire il
suo percorso artistico dalla gioventù fino alla morte. Tutto è
proposto in rigoroso ordine cronologico, ogni lettura inizia con la
data precisa, ogni immagine (tutte perfette) reca l’anno di
realizzazione. Ai tanti dipinti si alternano foto d’epoca e
soprattutto immagini dei paesaggi ritratti da Monet, che in
dissolvenza diventano quadri o viceversa.
Con queste scelte Grabsky non include alcuna critica o giudizio
esterno ma propone solo le impressioni, le delusioni e le
insoddisfazioni che l’artista confidava ad altri.
Certo, si deve essere interessati alla pittura per apprezzare a
dovere questo documentario, senz’altro molto ben realizzato.
IMDb 7,2
114 * Ixcanul (Jayro Bustamante, Gua, 2015) tit. it. “Vulcano” *
María Mercedes Coroy, María Telón, Manuel Antún
Interessante storia drammatica che vede come protagonisti una
famiglia di Kaqchikel (etnia Maia) che vive alle falde del vulcano
Ixcanul.
Alla loro insipienza (nel senso di credere ciecamente in pratiche al
limite della superstizione) si aggiunge la sfortuna e di conseguenza
andranno incontro ad una serie di disavventure. Apparentemente ha
vari punti in comune con “Tanna” come per esempio il vulcano,
l’appartenenza ad un’etnia che continua a vivere secondo tradizioni
e stili antiquati, il rifiuto di apprendere la lingua ufficiale del
paese il che li rende ancor più isolati e quindi vulnerabili, un
matrimonio combinato, un giovane amante, una gravidanza inattesa.
Eppure, Ixcanul è tutt’altra cosa, in quanto il dramma è familiare e
non condiziona un intero villaggio, il legame più profondo è quello
madre-figlia con la prima che funge da vero capofamiglia
preoccupandosi di quasi tutto e lasciando al marito il solo compito
di lavorare nei campi per portare a casa un po' di danaro.
Singolare il modo in cui l'esordiente regista Jayro Bustamante
descrive la vita familiare di Maria e i rapporti fra i raccoglitori
di caffè, tutti dipendenti da uno stesso padrone. Il regista
guatemalteco mostra in modo molto crudo il modo nel quale questi
ultimi gruppi etnici sono destinati a soccombere, soprattutto per
puro autolesionismo, in particolare per l’abuso di alcool (problema
comune a tante altre comunità sparse in tutto il mondo) e per non
riuscire a comunicare con le istituzioni per mancanza di lingua
comune, divenendo così facili prede per ogni tipo malfattori (per
non dire altro).
IMDb 7,2 RT 100% * Premio
Alfred Bauer (nuove prospettive) alla Berlinale 2015, oltre a
Nomination Orso d’Oro e miglior esordiente
113 * “El Jeremías” (Anwar Safa, Mex, 2015) * Martín Castro, Karem
Momo Ruiz, Paulo Galindo, Daniel Giménez Cacho
Altra commedia messicana, molto più arguta, vivace e graffiante di
“Paraiso” appena recensito. Jeremías è un piccolo genio (QI 160) che
vive in una cittadina di provincia insieme con i genitori (di basso
livello culturale e per quanto riguarda il padre anche
intellettivo), la nonna bigotta, la bisnonna quasi muta, uno zio un
po’ sbandato. Con acume si prende gioco dei vari personaggi, ognuno
dei quali è vittima di falsi miti, quasi ossessionato dai propri
pregiudizi o dalle proprie aspirazioni, e il “povero” ragazzino deve
sopportare le loro idiozie oltre a vedersela con gli ovvi pericoli
esterni.
Storia certamente poco credibile ma molto ben presentata che, al di
là di questa parte di pura commedia, evidenzia la solitudine dei
piccoli geni (ma anche di quelli un poco più intelligenti della
media di chi li circonda) per carenza di rapporti con i coetanei con
i quali non ha quasi punti in comune e, soprattutto, il tentativo di
manipolazione da parte di adulti che vogliono sfruttare le loro
grandi potenzialità per i propri fini. Significativa la frase con la
quale Jeremías (un bravissimo Martín Castro, considerata l’età)
risolve il suo personale dilemma “Cosa voglio diventare da grande?”.
Girato in stile quasi televisivo dall’esordiente Anwar Safa (ma con
un passato di aiuto regista di cine e soprattutto TV) e supportato
da una buona sceneggiatura infarcita di taglienti battute ma anche
di tante dotte citazioni filosofiche, il film offre tanti spunti di
riflessione a chi sa leggere fra le righe.
In un ruolo di contorno, ma determinante per la conclusione del
film, compare lo spagnolo Daniel Giménez Cacho, che ricordo in tanti
ottimi film di entrambe le sponde dell’Atlantico, fra i quali El
Callejón de los Milagros (Jorge Fons, 1995), Profundo carmesì
(Arturo Ripstein, 1996), La mala educación (Pedro Almodóvar, 2004),
Blancanieves (Pablo Berger, 2012).
Se vi capitasse l'occasione, non vi fate sfuggire questo film che,
nonostante abbia un giovanissimo protagonista, .non è assolutamente
un film per bambini ma si rivolge agli adulti. Lo apprezzeranno in
particolare quelli di una certa cultura e quelli che sanno essere
auto-ironici.
IMDb 7,3
112 * “Paraiso” (Mariana Chenillo, Mex, 2013) * Andrés Almeida,
Daniela Rincón, Camila Selser
Commedia quasi romantica, vicissitudini di una coppia messicana
causate da trasferimento dalla periferia al centro di Ciudad de
Mexico. Ma oltre al cambio di ambiente i due, felici e sovrappeso,
cominceranno a vivere in modo diverso la loro “taglia forte”.
Niente di eccezionale, ma piacevole, lineare e ben interpretata dai
protagonisti Daniela Rincón e Andrés Almeida.
Dato l’argomento, chiaramente non mancano stilettate al modo delle
diete più o meno miracolose e alle manie a loro correlate in
qualsiasi modo.
IMDb 6,4
111 * “Suspicion” (Alfred Hitchcock, USA, 1941) tit. it.
“Il sospetto” * Cary Grant, Joan Fontaine, Cedric Hardwicke
Uno dei pochi Hitchcock che non avevo ancora visto ... continuo la
ricerca degli ultimi 4 lungometraggi che mi mancano (su 54).
Non è certo dei suoi migliori e forse per questo non se ne parla
tanto.
Quasi assolutamente insulso per tutta la prima metà, si riprende
verso l’ora e da quel punto in poi gli attimi di tensione e indizi
fuorvianti cominciano ad essere sempre più frequenti. Quindi un film
a doppia velocità, prima lento e tendente alla commedia romantica e
poi thriller vero e proprio che induce la protagonista Lina a vedere
bugie dovunque,a immaginare cose terribili, convincersi di eventi
non avvenuti e a prevederne altri che non accadranno ... SOSPETTI.
Il “preambolo” è certamente importante per la presentazione dei
personaggi e dell’ambiente (inglese, pur essendo il film americano)
ma trovo la sua durata sproporzionata rispetto alla parte nella
quale Hitchcock mostra tutto il suo talento, quello che la maggior
parte degli spettatori ama.
Oscar a Joan Fontaine come migliore attrice protagonista
IMDb 7,4 RT 100%
110 * “Under Sandet” (Martin Zandvliet, Dan-Ger, 2015) tit. it.
“Sotto la sabbia” * Roland Møller, Louis Hofmann, Joel Basman
Si potrebbe definire un film di “dopo-guerra”, con significato un
po’ diverso dal “dopoguerra” (parola unica) di uso comune. Alla fine
della II Guerra Mondiale sono trattenuti in Danimarca numerosi
soldati tedeschi e fra loro un gruppo di giovani reclute al quale
viene assegnato il compito di ripulire le spiagge danesi dalle
migliaia di mine fatte sistemare sotto la sabbia dal loro esercito
quale difesa contro un possibile sbarco delle forze alleate.
Qui cominciano i primi problemi “morali” ... dal punto di vista
danese, i tedeschi le hanno messe e i tedeschi le devono togliere,
ma d’altro canto non mi sembra che sia lecito mettere ufficialmente
a lavorare (e specialmente in questo campo) prigionieri di guerra,
in particolar modo a guerra finita.
Lo stesso sergente Rasmussen (interpretato dal bravo Roland Møller)
comincia in modo violento e pieno di odio per poi cambiare
atteggiamento nei confronti dei giovani mandati allo sbaraglio (come
è successo in quasi tutte le guerre, specialmente verso il loro
termine) comprendendo che sono anche loro vittime e tentano solo di
tornare in patria vivi ... e interi.
Land of Mine (questo il titolo internazionale) fa conoscere questo
ennesimo risvolto tragico della guerra del quale, penso, quasi
nessuno aveva mai sentito parlare. Basato soprattutto sulle diverse
reazioni dei giovani tedeschi e sul cambiamento di atteggiamento del
sergente, il film si avvale di una bella fotografia e si nota la
quasi totale assenza di sottofondo musicale.
Duro, con qualche scena forte (ma niente in confronto a Hacksaw
Ridge) non è per tutti ma certamente merita una visione.
IMDb 7,8 RT 90% * candidato
all’Oscar come miglior film di lingua non inglese
109 * “The Syrian Bride” (Eran Riklis, Fra-Isr, 2004) tit. it.
“La sposa siriana” * Hiam Abbass, Makram Khoury, Clara Khoury
A differenza di quello di ieri, questo film mi ha deluso. Avevo già
visto il successivo film di Riklis: “Etz limon” (Il giardino di
limoni, 2008) e mi era piaciuto, ma questo sembra non avere né capo
né, soprattutto, coda.
Classificato come commedia drammatica non riesce ad essere, neanche
parzialmente, né l’una né l’altra.
Riklis mette troppa carne a cuocere e lascia tante storie / rapporti
in sospeso e addirittura non c’è finale ... (almeno secondo me).
Una famiglia numerosa sparpagliata per il mondo si ritrova per dare
l’addio alla sposa che, lasciando le alture del Golan (occupate
dagli israeliani) per sposarsi in Siria non potrà più tornare a
casa.
Molti rapporti sono tesi se non addirittura ostili, il capofamiglia
(noto pro-siriani agli arresti domiciliari) ha attriti con gli
anziani ma non si sa come va a finire, con il capo della polizia
locale ma non si sa come va a finire, la sposa non si sa che fine fa
... e situazioni simili si verificano fra la vera protagonista Hiam
Abbass (sorella della sposa) e il marito, fra questi e la figlia e
via discorrendo.
Non c’è niente che sia portato a termine. Potrebbe essere una
precisa scelta del regista, ma secondo me non paga.
IMDb 7,5 RT 92%
108 * “Miss Sloane” (John Madden, Fra, 2016) * con Jessica Chastain,
Mark Strong, Gugu Mbatha-Raw, John Lithgow, Alison Pill, Michael
Stuhlbarg, Sam Waterson
Niente male ... al di sopra delle attese. Interessante sceneggiatura
originale partorita dalla sola mente di Jonathan Perera, oltretutto
alla sua prima esperienza cinematografica.
La protagonista Jessica Chastain (ottima la sua interpretazione) è
circondata e coadiuvata da uno stuolo di buoni caratteristi e attori
“di secondo piano”, ma tutti navigati, a da promettenti giovani
attori di ambo i sessi.
Fra i primi si distinguono Mark Strong, John Lithgow, Michael
Stuhlbarg mentre Sam Waterson si è ormai fossilizzato nel ruolo di
McCoy (Law and Order, 368 episodi da protagonista) e non riesce ad
andare oltre le sue tre espressioni che lo caratterizzano. Fra gli
emergenti primeggia Gugu Mbatha-Raw la quale, leggo, appare anche in
Beauty and the Beast (attualmente in sala) nel ruolo di Plumette.
Il film, pur superando le due ore di durata, non pesa assolutamente
essendo pieno di sorprese, colpi di scena, capovolgimenti di
situazioni ... fino all’ultima scena.
Il film (produzione francese) è permeato di una forte connotazione
politica schierandosi apertamente contro le lobby, i lobbisti e le
loro manovre che non rispettano alcuna morale.
I due temi principali trattati da Miss Sloane nel film sono entrambi
molto attuali, si comincia con l’olio di palma (legato alla
Nutella), che ritornerà in ballo verso la fine del film, e si
prosegue con un altro tema estremamente attuale: la libera
circolazione delle armi.
Non è il miglior film dell’anno ma ne consiglio senz’altro la
visione ... pare che debba arrivare in Italia all’inizio di maggio.
IMDb 7,1 RT 71% * Nomination
Golden Globe per Jessica Chastain
107 *
"Tanna" (Martin Butler, Bentley Dean, Aus, 2015) con Kapan Cook, Mungau
Dain, Charlie Kahla
recensione inclusa nel post
da "Tanna" a "Nosferatu", dai mari del sud alla Transilvania
IMDb 6,9 RT 88% * Nomination
Oscar quale miglior film in lingua non inglese
Film
insoliti girati in luoghi sconosciuti ai più. portano (un po' di)
benessere o solo turismo che sarà gestito soprattutto da non locali
e che farà scomparire le poche tradizioni che ancora sopravvivono?
106 * “A second chance” (Susanne Bier, Dan-Swe, 2014) tit. or.
“En chance til” * con Nikolaj Coster-Waldau, Nikolaj Lie Kaas,Thomas
Bo Larsen
Soggetto molto interessante e originale trattato molto male nella
sceneggiatura, gli avvenimenti (pur essendo spesso irrazionali) si
prevedono abbastanza facilmente facendo mancare sorprese e colpi di
scena veri e propri.
Purtroppo Susanne Bier (che nel 2010 diresse “Hævnen”, aka “In a
better world” - “In un mondo migliore”, premio Oscar 2011 Miglior
film in lingua non inglese) non riesce a rendere plausibile nessuno
dei personaggi e neanche gli avvenimenti sono sufficientemente
credibili. Manca la continuità e la recitazione non è delle
migliori.
Più guardo film scandinavi e (almeno a giudicare dai personaggi
proposti) più mi sembra che in quei paesi abbiano seri problemi di
relazioni sociali ed un modo di affrontare le situazioni difficili
quantomeno peculiare. Se andate a ritroso nelle vostre visioni e
comparate gli atteggiamenti dei protagonisti, da quelli dei
capolavori d’epoca a quelli più moderni, penso che noterete anche
voi un clima generalmente cupo, dark, triste e rassegnato, e di
solito religione e/o alcool peggiorano il quadro della situazione.
Non per niente i tassi di suicidio di questi paesi (nei quali si
dice che si viva bene) sono da sempre ai primi posti fra gli stati
europei: Finlandia 16 per 100.000 abitanti, Norvegia, Svezia e
Danimarca fra 11 e 12 ... Italia 6,7.
A prescindere da questa divagazione statistica, e pur con il
beneficio del dubbio, il film mi è sembrato abbastanza assurdo e
oltretutto mal realizzato.
IMDb 6,8 RT 50%
105 * “Carancho” (Pablo Trapero, Arg, 2010) trad. lett. “Avvoltoio”
* con Ricardo Darín, Martina Gusman, Carlos Weber
Per essere precisi, il Carancho (Caracara sp.) è un rapace della
famiglia Falconidae, ma di quelli che si comportano come gli
avvoltoi, nutrendosi principalmente di carogne. Nel titolo è
utilizzato in questo senso.
Pablo Trapero, con Carancho entrò nel lotto dei 9 film dai quali fu
poi scelta la cinquina di candidati all’Oscar, ma non riuscì a
restare in corsa.
In verità il regista argentino mi è sembrato ancora “grezzo” non
all’altezza dei successivi “Elefante blanco” (2012) e El Clan (2015,
Leone d’argento a Venezia). Ricardo Darín è una garanzia e non
delude, brava anche, Martina Gusman.
Gli “avvoltoi” (potemmo anche definirli “sciacalli”) del film sono
dei loschi figuri che traggono profitto dalle liquidazioni delle
vittime di incidenti d’auto, reali o fasulli che siano, d’accordo
con medici e infermieri dell’ospedale e anche con i poliziotti.
Ciò che mi lascia perplesso è la storia, troppo estrema, troppo
improbabile ... è possibile che in questo ambientino nessuno, dico
nessuno, riesca a prevedere le conseguenze ineluttabili delle
proprie azoni?
IMDb 6,9 RT 100%
* Nomination “Un Certain Regard Award” Cannes 2010
104 * “The sense of an ending” (Ritesh Batra, UK, 2017) tit. it.
“Il senso di una fine” * con Jim Broadbent, Charlotte Rampling,
Harriet Walter
Il film non è male, ma onestamente" è retto dall'ennesima ottima
interpretazione di Jim Broadbent, stavolta protagonista assoluto,
mentre mi è sembrata sottotono Charlotte Rampling, oltretutto
relegata in una parte secondaria. I giovani si difendono, ma nulla
da ricordare in particolar modo.
L’interessante trama è tratta dall’omonimo romanzo di successo di
Julian Barnes e mi ha ricordato per alcuni versi "45 Years" nel
quale la Rampling era protagonista e fu fra le candidate all'Oscar
2016. In entrambe i casi riemergono dall'oblio fatti di gioventù,
assolutamente non terribili, ma che tuttavia danno origine ad una
serie di ricordi, recriminazioni e rivalutazioni di scelte che
ovviamente cambiano in modo drastico i rapporti interpersonali fra
protagonisti.
Onesto prodotto britannico che si avvale anche di una bella
fotografia e messa in scena per ciò che riguarda i flashback.
Merita una visione, ma certamente non è imperdibile.
IMDb 6,7 RT 82%
103 * “Heart of a Lion” (Dome Karukoski, Fin-Swe, 2013) tit. or.
“Leijonasydän” * con Peter Franzén, Laura Birn, Jasper Pääkkönen
Strano film che mostra una faccia poco conosciuta (una delle tante)
della Finlandia ... il razzismo. E non si tratta di un semplice
singolo razzista, ma di un gruppo di skinheads-neonazisti.
Assalgono, minacciano, provocano, aggrediscono violentemente,
distruggono scegliendo i loro obiettivi a caso fra i non Finlandesi.
Il loro grido di battaglia e motto è “White Finland!” (Finlandia
bianca). Ma ad un certo punto il loro leader inizia una relazione
con una donna che solo a letto scopre le sue idee nel vedere i suoi
tatuaggi, fra i quali spiccano il “Leone Finlandese” e la svastica.
Il problema si rivela essere ancor maggiore della semplice diversità
di opinioni in quanto lei ha un figlio adolescente ... mulatto.
Non sto a dirvi le ulteriori complicazioni che sorgeranno, le
interferenze del quasi folle fratello minore di lui, i problemi
scolastici del ragazzo con coinvolgimento di altri razzisti pronti a
menare le mani (non naziskin ma forse addirittura peggiori per
mascherarsi dietro un aspetto di perone perbene, civili), una
forzata convivenza del ragazzo con i 2 fratelli naziskin mentre la
madre è in ospedale ...
Non è certo un capolavoro, ma nella sua essenzialità è ben
realizzato, ha i suoi giusti momenti di tensione, non indulge sulle
scene violente e ha il merito di far conoscere alcuni aspetti della
“follia umana” ... e mi riferisco anche alle scelte della donna.
IMDb 7,0
102 * “Jackie ” (Pablo Larrain, Cile, 2016) * con Natalie Portman,
Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup
Finalmente ho guardato anche Jackie e posso dire che la visione ha
confermato la mia impressione che Larrain sia generalmente
sopravvalutato. Pur realizzando discrete pellicole mi sembra che in
esse manchi sempre qualcosa per poter essere giudicate film
veramente buoni. La lentezza, è assodato, è una sua caratteristica,
ma ciò non è un difetto di per sé e infatti molti con essa riescono
a dire tante cose non descrivibili con un passo più rapido.
Larrain si crogiola nella lentezza, fra inquadrature fisse e tanti
primi piani, casomai zoomati ma tutti assolutamente centrati nello
schermo, tuttavia raramente riesce ad avvincere veramente, anche per
i molti salti temporali. In particolare in Jackie, alla lentezza
aggiunge in più momenti una musica angosciante (Nomination Oscar) e
una tendenza al documentarismo che non giovano certo al film, pur
comprendendo che non voleva assolutamente essere un film leggero.
Veniamo agli interpreti ... tutti di ottimo livello, ma certamente
si deve spendere qualche parola in più per Natalie Portman che ha
svolto un eccellente lavoro, che chi ha visto l’edizione doppiata
avrà potuto ovviamente apprezzare solo in parte. Il suo accento mi
ha colpito non essendo per niente americano classico, ma neanche
britannico, e più passava il tempo e più non riuscivo ad associare
la sua dizione ad un’area geografica. Oltretutto era talmente
“strana” che certamente non poteva essere attribuita ad una
pronuncia sbagliata di un’attrice del livello della Portman. Se
leggete l’inglese, “googlate” “natalie portman accent jackie kennedy”
e troverete dozzine di autorevoli articoli che vi spiegheranno
l’arcano e quindi apprezzerete ancor di più l’interpretazione della
brava Natalie che penso sia stata letteralmente defraudata da chi ha
assegnato l’Oscar a Emma Stone. In vari di essi è stato inserito
anche il filmato originale (ripreso nel film di Larrain) nel quale
Jackie mostra gli interni della Casa Bianca.
Se volete andare direttamente al filmato, ecco il link
https://www.youtube.com/watch?v=CbFt4h3Dkkw
In sostanza, film
interessante con tanti buoni attori, ma tutti gli apprezzamenti che
ha avuto sono attribuibili quasi internamente alla straordinaria
interpretazione di Natalie Portman.
IMDb 6,9 RT 89%
* 3 Nomination Oscar (Natalie Portman come attrice
protagonista, costumi, musica)
101 * “Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull” (Steven
Spielberg, USA, 2008) tit. it.
“Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo” * con Harrison
Ford, Cate Blanchett, Shia LaBeouf, Karen Allen
Quarto e ultimo (per ora) film della serie Indiana Jones ... si
ritorna nella pochezza con tante scene inutilmente stiracchiate,
oltretutto con prevedibili conclusioni, stupidi infiniti
inseguimenti, trama poco convincente, meravigliose “macchine di
roccia” che si muovo come i migliori ingranaggi perfettamente
lubrificati, i soliti “templi sotterranei” che alla fine si
autodistruggono, parte finale assolutamente ridicola.
In conclusione, ho trovato buoni, divertenti, di buon ritmo e
abbastanza originali il primo e il terzo (secondo me il migliore),
gli altri due sono molto distanti in quanto a qualità.
Se dovesse continuare questa alternanza, il prossimo Indiana Jones 5
(titolo provvisorio, ancora con Harrison Ford e per la regia di
Spielberg) previsto per il 2019 dovrebbe essere buono ... sarà così?
IMDb 6,2 RT 77% |