350 “His Girl Friday” (Howard Hawks, USA,
1940) tit. it.
“La signora del venerdì” * con Cary Grant, Rosalind Russell, Ralph
Bellamy * IMDb 8,0 RT 98%
Si tratta né più né meno di un adattamento della famosa commedia di
Ben Hecht "The Front Page" (1928) già adattata a film nel 1931 e
successivamente nel 1974 (con Jack Lemmon, Walter Matthau, Susan
Sarandon diretti da Billy Wilder) e infine nel 1988 con titolo
“Switching Channels“.
In questo caso è una reporter donna che vorrebbe abbandonare il
lavoro ma l’ex-marito (suo editore) farà il possibile per
ostacolarla. Visto pochi anni fa, sono stato “convinto” a guardarlo
di nuovo attratto dallo schermo grande e dalla
presentazione-dibattito organizzata dalla Cineteca Nacional Mexico.
Classica commedia americana dell’epoca con un Cary Grant in gran
forma, meno convincente Rosalind Russell.
Nella presentazione è stato svelato che Howard Hawks pretese
dialoghi velocissimi, portando la frequenza di parole per minuto da
100 (che era la media) a oltre 200. Ciò comportò anche un gran
lavoro per il posizionamento dei microfoni visto che nel bailamme
della sala stampa le voci provenivano da tutte le parti.
Senz’altro un buon lavoro, ma come commedia di quel periodo continuo
a preferire “Arsenico e vecchi merletti” anche se lì Cary Grant
recita un po’ sopra le righe.
349 “The River Fuefuki” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1954) tit. or.
“Fuefukigawa” * con Hideko Takamine, Takahiro Tamura, Kôshirô
Matsumoto * IMDb 7,1
Ambiente rurale, ma ancora una volta la vita è condizionata dalle
guerre, stavolta quelle intestine del XVI escolo, in quanto molti
sono costretti ad arruolarsi e tanti di essi non torneranno più. Si
seguono le vicende di varie generazioni di una stessa famiglia i cui
componenti, per un motivo o per l’altro, non si perdono una
battaglia. Al di là del soggetto, trama e personaggi simili a tanti
altri già visti, questo film è molto particolare per un altri verso
... strettamente tecnico. Fu girato in bianco e nero ma, in fase di
montaggio sono stati aggiunti alcuni colori, in modo senz’altro
originale. Nella maggior parte dei casi si tratta di “pennellate” di
uno o più colori vivi (vedi foto) sovrapposte ai fotogrammi mentre
ad altre sequenze hanno una loro tonalità, come si fa con le luci
teatrali con la semplice sovrapposizione di una “gelatina”.
Sia per come è girato e interpretato, sia per la suddetta creazione
tecnica, risulta essere un film più che interessante.
348 “Harmonia” (Ori Sivan, Isr, 2016) * con Alon Aboutboul, Tali
Sharon, Ali Suliman *
IMDb 7,3
Versione modernissima della parte dell'antico testamento che si
occupa di Abramo, Sara, Agar e i loro figli... i nomi sono
esattamente gli stessi, la storia riproposta in un ambiente di
musicisti professionisti (classica). L’idea di questo adattamento è
interessante, l’inserimento dei versetti originali relativi ai vari
avvenimenti è puntuale e appropriata, la musica (sia quella di
sottofondo che quella interpretata dai protagonisti) è pregevole,
poteva essere un ottimo film ma così non è stato.
Purtroppo, il regista Ori Sivan non è riuscito a mettere in scena
ciò che aveva creato come sceneggiatore (unico), si è basato troppo
su una serie infinita di sguardi (fissi, indagatori, preoccupati,
...) che già di per sé sarebbero stati eccessivi, ma qual che è
peggio non aveva un cast all’altezza della situazione. Altro punto
secondo me debole, è quello della doppia personalità di Abraham,
direttore d’orchestra dominatore e quasi dittatoriale, assolutamente
assente come padre che non contrasta minimamente i capricci del
figlio ribelle (anche questo esagerato come personaggio).
Risolleva parzialmente il film il finale a sorpresa, che conta anche
con un quasi travolgente pezzo musicale, stavolta ben diverso da
quelli ascoltati in precedenza.
Peccato per l’occasione persa, si può comunque guardare apprezzando
le parti buone e sorvolando su quelle scadenti.
347 “A Japanese Tragedy” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1953) tit. or.
“Nihon no higeki” * con Yûko Mochizuki, Yôko Katsuragi, Masami Taura
*
IMDb 7,6
Una vera e propria tragedia familiare, che si svolge sostanzialmente
con gli stessi protagonisti in due periodi ben distinti (1946 e
1953), ma non parlerei di flashback anche se scene sono intercalate
fra loro. Ai già difficili rapporti fra una vedova e i suoi due
figli, una ragazza e un ragazzo, si aggiungono le interferenze di
altri personaggi “ di disturbo” come i parenti con i quali convivono
e l'insegnate d'inglese della ragazza con l'insopportabile moglie.
Ancora una volta quindi Kinoshita affronta il problema del
dopoguerra, con famiglie smembrate, difficile sopravvivenza che
spesso spinge a praticare attività illecite o ad altre tragiche
conseguenze.
Classico dramma guapponese, visto con l’occhio della nuova
generazione ... Kinoshita con Masaki Kobayashi (che iniziò come suo
assistente), Akira Kurosawa e Kon Ichikawa formarono il cosiddetto
“Club dei 4” che aveva come proposito quello di realizzare film per
un pubblico giovane.
346 “Memorias del subdesarrollo” (Tomás Gutiérrez Alea, Cuba, 1968)
* con Sergio Corrieri, Daisy Granados, Eslinda Núñez *
IMDb 7,8 RT 93%
Basato su un romanzo di Edmundo Desnoes, mostra alcuni aspetti dei
radicai cambi avvenuti a Cuba, ed in particolare all’Avana, fra il
1961 e il 1962. Il regine del dittatore Bautista era già stato
rovesciato da un paio di anni, la ricca società della capitale si
stava lentamente adeguando, gli americani rientravano in patria,
seguiti da tanti cubani (per lo più benestanti). La “Parigi del
Caribe" stava scomparendo.
Il protagonista Sergio, fra ricordi della vita di società, di amici
e moglie (tutti andati via), vive una movimentata storia con una
giovane ragazza e, oltre a questa parte di fiction, mette al
corrente gli spettatori di fatti reali in merito ai drastici
cambiamenti. Per questa parte, mentre si ascolta la sua voce, si
vedono immagini di repertorio di assembramenti, carrarmati, tavole
rotonde (una moderata dal giornalista italiano Gianni Toti),
batterie di missili, nonché Fidel Castro in uno dei suoi famosi
discorsi mentre quello del 22 ottobre 62 di J. F. Kennedy viene
inserito solo come audio.
Ci sono anche considerazioni “filosofiche” generali come quella che
fornisce lo spunto per il titolo (“l'inconsistenza è causa del
sottosviluppo”) e quella della differenza fra giustizia e potere,
tirata in ballo sia nel corso del processo sia per i ricordi
scolastici di Sergio che afferma "el cura tenìa siempre razon” (il
sacerdote aveva sempre ragione).
Checché se ne possa pensare, il film non è di pura propaganda, né
sfacciatamente di parte. Vale senz’altro un’attenta visione,
specialmente per chi ha interessi storici e politici.
“Memorias del subdesarrollo” si trova al primo posto della già
citata classifica dei migliori 100 film ibero-americani
Segnalo anche questo
interessante articolo di Walter Salles, tradotto e pubblicato da "Il
Cinema Ritrovato".
345 “Virus tropical” (Santiago Caicedo, Col/Ecu, 2017) * animazione
- disegni e storia originale di PowerPaola *
IMDb 7,0 RT 93% - Nomination Orso di Cristallo a Berlino
Dopo aver guardato qualche giorno fa l'insolito (per il pubblico
europeo-nordamericano) "Vampiros en La Havana" (Juan Padrón, 1985),
arguto e divertente nonostante i limiti tecnici della grafica
dell'epoca, eccomi ad un altro film d'animazione latino, stavolta
recente e derivato da una graphic novel. Anche il soggetto è
insolito in quanto è in buona parte un'autobiografia della
disegnatrice PowerPaola (pseudonimo di Paola Andrea Gaviria Silguero)
nata a Quito (Ecuador), cresciuta in Colombia dove ha studiato e
infine formatasi artisticamente fra Sydney, Parigi, San Salvador,
Bogota e ora vive a Buenos Aires.
Ci narra con grande sarcasmo e ironia della sua singolare famiglia e
della sua vita dal concepimento (nel vero senso della parola ... si
vede lo spermatozoo che sulla carta non aveva nessuna chance di
arrivare dove invece arrivò) all’infanzia in una famiglia di donne
(madre veggente, 2 sorelle e governante tuttofare, il padre
ex-sacerdote poco presente), alle rivalità con le sorelle, ai
problemi scolastici, ai primi innamoramenti, al cambio di paese e
ambiente (dall’Ecuador alla Colombia), e infine al sesso e
all’indipendenza non ancora maggiorenne.
Chiaramente è tutto narrato da un punto di vista molto femminile,
con ricordi e percezioni di una bambina-ragazzina-adolescente nel
corso della crescita. Certo, se i personaggi reali sono
effettivamente simili a quelli mostrati, non saranno stati tutti
felicissimi di conoscere l'opinione che la ragazza ha di loro e dei
ricordi che conserva, in particolare la nonna materna.
Divertente la descrizione del passaggio (a 13 anni) dalla
tradizionalista scuola di Quito a quella più spregiudicata di Cali,
molto poco (e mal) regolamentata, con conseguente cambio di
linguaggio, vocabolario e accento, nonché la quasi indifferenza con
la quale inizia a convivere con spaccio, alcool e sparatorie.
In conclusione, un altro film d'animazione per adulti e non certo
per bambini.
Non eccezionale per i disegni (molto graphic e poco animati) ma
certamente di grande intelligenza, sincerità e ironia, con tante
situazioni che tanti hanno vissuto o comunque visto, certamente
tutte plausibili, descritte senza peli sulla lingua.
Da non perdere.
344 “As boas maneiras” (Marco Dutra e Juliana Rojas, Bra, 2017) tit.
int. “Good Manners“ * con Isabél Zuaa, Marjorie Estiano, Miguel Lobo
*
IMDb 7,0 RT 93%
Horror (del genere licantropia) ambientato nel moderno Brasile. Ci
sono numerose idee abbastanza originali che ho trovato interessanti
pur essendo ovviamente varianti dei temi classici (luna piena
trasformazione in licantropo, luna piena, folla inferocita con torce
e ogni tipo di arma), ma considerate che non sono né un esperto né
un appassionato del settore specifico.
I rapporti fra i protagonisti sono singolari sia per come iniziano,
sia per come si sviluppano e consolidano. Qualche personaggio di
contorno ben ideato e varie sorprese completano il quadro di questo
film di buon ritmo. Tuttavia, pur volendo sorvolare sugli scadenti
effetti relativi alle trasformazioni umano-licantropo, la grave
pecca resta il controsenso della "(s)conclusione", con quello che mi
è apparso un sostanziale errore proprio nell'ultima scena, almeno
non sono riuscito a trovare nessuna giustificazione plausibile,
neanche nella logica horror trattandosi di un fatto pratico ...
meccanico.
Se non siete troppo schizzinosi, può risultare divertente e con un
po' di suspense.
343 “Monica e il desiderio” (Ingmar Bergman, Sve, 1953) tit. or.
“Sommeren med Monika“ * con Harriet Andersson, Lars Ekborg, Dagmar
Ebbesen *
IMDb 7,6 RT 100%
Il più insulso film di Bergman che abbia mai visto ... così avevo
iniziato, di getto, queste poche righe; dopo averci pensato un po'
su e dopo aver cercato fra le recensioni qualche solido elemento che
mi facesse cambiare opinione, la mia affermazione resta più o meno
in essere. Pur volendo considerare l'epoca e le diversità culturali,
i due protagonisti mi sembrano al limite del credibile, non tanto
presi singolarmente quanto per la loro relazione di coppia.
Del classico Bergman dell’immaginario collettivo ho potuto
apprezzare soprattutto le riprese esterne e la cura per le
inquadrature , ma in quanto alla gestione della storia appare
confusionario lasciando argomenti sospesi, non fornendo una buona
percezione dello scorrere del tempo, proponendo scene d'azione
assolutamente poco credibili nei modi e nelle motivazioni, non
delineando a dovere personaggi che, pur apparendo in poche scene,
hanno un ruolo importante nello sviluppo della trama. Si deve però
dire che, al contrario di tanti altri suoi film, in questo caso la
sceneggiatura non è sua, anche se pare vi abbia collaborato “uncredited”.
All’epoca fecero scalpore le scene di nudo della giovane Harriet
Andersson (che sarebbe diventata una delle muse di Bergman) e ciò
contribuì senz’altro a dare notorietà al film. Ho visto che alcuni
esaltano questo film vedendolo quasi in stile Nouvelle Vague, altri
lo apprezzano ma non lo inseriscono fra i migliori lavori del
regista svedese, solo pochi dicono chiaramente che non è un granché
... io sono uno di questi ultimi.
Spesso penso che davanti a mostri sacri come Bergman, molti si
convincono a priori della bontà dei loro film, senza concedere che
anche i più grandi, per un qualunque motivo, possano sbagliare ...
ma non è detto che questo sia uno di tali casi.
Pessimo il titolo italiano, la traduzione letterale è: “L’estate con
Monica”.
342 “Terra estrangeira” (Walter Salles e Daniela Thomas, Bra/Por,
1995) tit. int. “Foreign Land” * con Fernanda Torres, Fernando Alves
Pinto, Alexandre Borges *
IMDb 7,6 RT 89%p
Insolito noir con qualche richiamo alla Nouvelle Vague, coproduzione
brasiliana-portoghese che si svolge fra Sao Paulo e Lisbona, con
attori di entrambe i paesi.
Ingegnoso intreccio di personaggi e situazioni fra emigrazione (non
solo dal Brasile ma anche dall’Angola), contrabbando di pietre
preziose e spaccio di droga, differenze culturali e relativi
pregiudizi, musica. Il ritmo è sostenuto, i protagonisti si
incontrano e si ritrovano in modi più o meno fortuiti in un
vorticoso susseguirsi di eventi. Più che buona la sceneggiatura, non
tutti convincenti gli attori.
Singolare la scelta del bianco e nero che tuttavia esalta i
particolari ambienti portoghesi, dalle ruas de Alfama allo
spettacolare Cabo Espichel con l’enorme Santuário de Nossa Senhora
de Pedra Mua, che si erge in mezzo al nulla (la foto a colori è mia,
come si intravede, dietro la chiesa ci sono pochi metri di terra
desolata, la falesia e poi l'oceano).
Il film successivo di Walter Salles fu “Central do Brasil” (1998, 2
Nomination Oscar) e nel 2004 diresse “Diarios de motocicleta” (1
Oscar e 1 Nomination).
Ennesimo film poco conosciuto che vale senz’altro un’attenta
visione.
341 “Morning for Osone Family” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1946) tit.
or.
“Ôsone-ke no ashita“ * con Haruko Sugimura, Toshinosuke Nagao, Shin
Tokudaiji *
IMDb 7,0
Inutile ripetere per l'ennesima volta che Keisuke Kinoshita (maestro
dei piani sequenza per quanto riguarda il cinema giapponese) fu
regista di qualità pur non avendo (chissà perché) raggiunto la fama
internazionale di Ozu, Mizoguchi o Kurosawa tanto per citare
qualcuno dei suoi colleghi e compatrioti.
Questo è un altro suo ottimo film, seppur quasi di propaganda.
Infatti, nel complesso è esplicitamente antibellico e fortemente
critico nei confronti dei militari nazionalisti giapponesi che
portarono il paese alla rovina.
Consigliato.
340 “La noche de 12 años” (Álvaro Brechner, Uru/Arg, 2018) * con
Antonio de la Torre, Chino Darín, Alfonso Tort *
IMDb 7,8 RT 100% * 2 Premi a Berlino, Nomination a
Venezia e San Sebastian
Film storico/biografico incentrato sulla detenzione di un gruppo di
tupamaros (guerriglieri uruguayani degli anni ’70) fra i quali c’era
anche José (Pepe) Mujica, che sarebbe poi stato Presidente
dell’Uruguay dal 2010 al 2015.
Della dozzina di prigionieri politici sottoposti all'esperimento di
mantenerli quanto più possibile in isolamento con l'obiettivo di
farli impazzire, si seguono le vicende (il calvario) di tre di loro
nel corso dei 12 anni di detenzione - da cui il titolo del film -
prima della liberazione con il ritorno della democrazia: Eleuterio
Fernández Huidobro, Ministro della Difesa durante la presidenza di
José Mujica e anche dopo, fino alla morte (2016), Mauricio Rosencof,
oggi drammaturgo, romanziere, poeta e giornalista, ministro della
difesa, e il succitato Mujica, Ministro dell’Agricoltura (2005-08),
presidente della Repubblica dell'Uruguay (2010-15) e oggi senatore
dopo esserlo già stato dal 2000 al 2005.
Da ammirare, oltre alla fede nei loro ideali, la tempra di questi
uomini ed in particolare quella di Pepe Mujica (oggi 83enne),
sopravvissuto a diverse ferite da arma da fuoco, torture, oltre 15
anni di carcere complessivi, dei quali una dozzina in isolamento.
Penso sia importante precisare il motivo per il quale i capi
tupamaros che "beneficiarono" di questo regime speciale non furono
eliminati del tutto, o fatti sparire come tanti desaparecidos.
Ufficialmente furono "ostaggi" nel senso che sarebbero stati tenuti
in vita (e ogni tanto resi presentabili per incontri di propaganda)
ma sarebbero stati uccisi nel momento in cui fosse ripresa
l'attività di guerriglia.
Film ben costruito e ovviamente più che drammatico, rilevante per
mostrare avvenimenti storici che è importante conoscere, almeno per
sommi capi.
339 “Pororoca” (Constantin Popescu, Rom/Fra, 2017) tit. Am. lat. “La
desaparición” * Bogdan Dumitrache, Iulia Lumânare, Constantin
Dogioiu
IMDb 7,1 RT 100%
Buon thriller che a tratti ricorda due film di Farhadi, per alcuni
versi "About Elly"(sparizione) per altri "The Salesman" persecuzione
di un sospetto.
In questo caso si tratta dlla sparizione di una bambina di 5 anni da
un parco pubblico, sfuggita per un attimo all’attenzione del padre.
Ossessione, rabbia, frustrazione, voglia di giustizia/vendetta,
disperazione, rimpianti, rivendicazioni, montano di scena in scena
fino all’esplosiva conclusione. Purtroppo, questa escalation è
descritta in troppi dettagli che in più punti diventano ripetitivi e
(inutilmente, secondo me) portano la durata a oltre 2 ore e mezza.
Bravi i protagonisti, buona la regia che alterna totali fissi a
camera a spalla, quasi soggettive a primi piani, ma, ripeto, peccato
per l'eccessiva lunghezza.
338 “Incredibles 2” (Brad Bird, USA, 2018) * animazione *
IMDb 8,0 RT 94%
Molto in breve, pur essendo annunciato da tanti all'altezza
dell'ottimo originale, questo primo sequel (sospetto che ne
seguiranno altri) mi ha abbastanza deluso. La pletora di nuovi
supereroi (in ruoli pressoché marginali) non avvincono, le
"mutazioni" del pur simpaticissimo bebè della famiglia Jack-Jack
dopo poco risultano ripetitive.
Sequel inutile, se non per far soldi.
337 “American Animals” (Bart Layton, USA, 2018) * Spencer Reinhard,
Warren Lipka, Eric Borsuk *
IMDb IMDb 7,1 RT 88% - Nomination Grand Jury Sundance Festival
Storia vera di 4 giovani studenti di famiglie borghesi, secondo loro
geniali (ma abbastanza incapaci nel campo criminale) che pianificano
e mettono in atto quello che dovrebbe essere il solo colpo
(perfetto) della loro vita.
In effetti il film è ben girato, con inquadrature e riprese
singolari, e con un'alternanza opportunamente cadenzata fra
interviste ai veri protagonisti e alle loro famiglie e scene
risalenti all'epoca dei fatti (2004) ricostruite con attori.
Citazione esplicita di “Reservoir Dogs” (Quentin Tarantino, 1992)
con i componenti della banda individuati per colori.
Si fa guardare per essere girato in modo originale e si stenta a
credere che sia basato su avvenimenti incredibilmente veri.
336 “Leave No Trace” (Debra Granik, USA, 2018) * Thomasin McKenzie,
Ben Foster, Jeffery Rifflard
Quelle che seguono sono considerazioni preliminari più che la solita
mircorecensione, da prendere molto con le pinze in quanto non sono
riuscito a guardare l'ultimo quarto d'ora del film per blocco
insuperabile del file. Riproverò sul volo di ritorno ... aereo
diverso, posto diverso, speriamo bene.
Visti i rating (100% su RT, 7,5 su IMDb, 83 metascore) mi aspettavo
di meglio, la prima ora e mezza mi ha abbastanza deluso. Non sono
riuscito a capire il senso delle scelte di vita dei protagonisti
(padre e figlia) né il rifiuto del padre di concedere alcun
miglioramento al loro situazione pur avendone la possibilità e
incontrando persone più che disponibili ad aiutarli. Sembra che il
genitore cerchi a tutti i costi una espiazione, complicandosi la
vita e soffrendo inutilmente, oltretutto coinvolgendo la figlia che
appare del tutto plagiata, soggiogata, pur essendoci un lampante,
profondo legame affettivo fra i due. Al punto in cui si è interrotto
il video il regista deve ancora chiarire agli spettatori (nel poco
tempo rimasto) quali segreti e quali trascorsi hanno ridotto così il
padre (rovinando anche la vita della figlia) e dovrà concludere la
storia con un colpo di scena che potrà essere una separazione
consensuale o forzata non pensando sia plausibile che i due possano
continuare nella loro vita ai margini della società.
In quanto alla credibilità di quanto mostrato della loro vita nel
bosco si possono sollevare parecchi dubbi e per alcune cose non
riesco a trovare spiegazioni valide.
Spero di concludere la visione fra un paio di settimane per capire
di più, per poi plaudire ad un eventuale coup de théâtre o
confermare tutte le mie perplessità, aggiungendone probabilmente
altre.
Bravi comunque gli attori, la maggior parte delle “colpe” le
attribuisco alla sceneggiatura.
335 “The Rider” (Chloé Zhao, USA, 2018) * Brady Jandreau, Mooney,
Tim Jandreau *
IMDb IMDb 7,5 RT 97% Metascore 92
Film a metà strada fra fiction e documentario (vari protagonisti
interpretano sé stessi) ambientato nel ristretto e particolare mondo
dei rodei non professionali e addomesticatori/addestratori di
cavalli selvaggi. Brady Jandreau interpreta Brady Blackburn, una
promettente star dei rodei che a causa di un incidente di gara ha
subito una grave ferita alla testa, con conseguenze molto limitanti
per la sua attività (cosa capitata anche a lui).
“The Rider” approfondisce molto il lato umano mostrando i profondi
legami del protagonista con la sorella autistica e con un giovane
che in conseguenza di una caduta da cavallo è rimasto gravemente
menomato per i danni cerebrali subiti, nonché i più difficili
rapporti con il padre e l’infinito amore per i cavalli.
Secondo film della regista Chloé Zhao, nata in Cina e poi
stabilitasi in USA dopo vari anni di studi a Londra. Anche il suo
film d’esordio (“Songs My Brothers Taught Me”, 2015) era ambientato
nel nord degli Stati Uniti, esattamente nella Pine Ridge Indian
Reservation in South Dakota, e trattava dei rapporti fra fratello e
sorella Lakota (nativi americani).
Entrambi hanno ricevuto notevole successo di critica.
Senz’altro da guardare, ma avrete già capito che a qualcuno potrà
sembrare un po’ deprimente.
334 “¡Vampiros en La Habana!” (Juan Padrón, Cuba, 1985) * animazione
*
IMDb IMDb 7,0 RT 86%p
Insolito, divertente, ironico film d'animazione per adulti, ma non
per essere a luci rosse (anche c’è del sesso quasi esplcito) bensì
argutamente politico, storico, sociale. Si parla di guerre fra
vampiri in senso lato - anche se tutti mostrano i classici lunghi
canini sporgenti - con il gruppo di Chicago diretto da Al Tapone
mentre quello di New York si chiama Capa Nostra, i componenti di
quello tedesco hanno i baffetti alla Hitler, gli italiani la
classica coppola siciliana, ... e così via. Ogni gang ha il suo
accento caratteristico e si accentuano anche le varie parlate
latine, mentre tutti i locali - giustamente . esaltano la
caratteristica cadenza cubana.
Dopo un breve resoconto "storico" che illustra la nascita dei vari
gruppi e delle ricerche di un elisir che consenta ai vampiri di
esporsi alla luce solare senza incenerirsi, l'azione si sposta a
Cuba dove il giovane Pepito, nipote di Dracula ma ignaro della sua
discendenza, si gode la vita con la sua attività di trombettista nei
locali dell'Havana e la rischia come attivista contro il dittatura
del generale Machado.
I disegni pur essendo semplici e datati sono chiari ed efficaci,
l’animazione pur ben lontana da quella disneyana dell’epoca è
fluida, la sceneggiatura sottile e mirata.
Una piacevole sorpresa, da guardare.
333 “La última Cena” (Tomás Gutiérrez Alea, Cuba, 1976) tit. it.
“Ultima cena” * con Nelson Villagra, Silvano Rey, Luis Alberto
García *
IMDb 7,5 RT 78%p
Un film stracolmo di allegorie politiche, storiche e religiose del
più stimato regista cubano (“Memorias del subdesarrollo”, “Fresa y
chocolate”, ...) uno dei pochi conosciuti in tutto il mondo. Prende
spunto da un evento realmente accaduto in una piantagione di canna
da zucchero a Cuba nel XVIII secolo.
Un ricco conte, apparentemente devoto e liberale, si relaziona in
modo singolare con i suoi schiavi di colore, in parte appoggiato dal
sacerdote ma nettamente contrastato dallo spietato mayoral.
La sequenza degli avvenimenti si presta a tante diverse letture e
tanti parallelismi.
Ben fatto come “film d’avventura in costume”, ma vale molto di più
se lo si comprende e si analizza accuratamente.
Interessante, vale la visione.
332 “Crónicas” (Sebastián Cordero, Ecu, 2004) * con Damian Alcazar,
John Leguizamo, Alfred Molina, Leonor Watling *
IMDb 6,9 RT 72%
Nomination Un Certain Regard per Sebastián Cordero a Cannes
Il “nomade” Damian Alcazar (interpreta film in tutto il sudamerica)
è il protagonista di questo gioco del gatto con il topo fra un
giornalista con la sua piccola troupe e un sospetto serial killer
pedofilo.Questa storia violenta e cruenta si svolge in un piccolo
pueblo ecuadoriano nel quali tutti hanno i nervi a fior di pelle per
le sparizioni di decine di ragazzini e successivi più o meno
fortuiti ritrovamenti di cadaveri.
Il film soffre di alti e bassi, alcune fai sono ben narrate, in
altre il regista indugia inutilmente.
Ancora una volta Damian Alcazar si distingue per bravura e quindi
ecletticità.
Sufficiente, da guardare solo se piace il genere.
331 “El lado oscuro del corazón” (Eliseo Subiela, Arg, 1992) * con
Darío Grandinetti, Sandra Ballesteros, Nacha Guevara *
IMDb 7,7 RT 95%p * 4 premi e 9 Nomination agli Award della critica
Argentina
Altro film argentino assolutamente sui generis, colto, geniale,
poetico (nel vero senso della parola), surreale e surrealista.
Oserei dire che Eliseo Subiela è un regista molto “cerebrale”, con
grande fantasia, amante dei sogni e dell’immaginario, oltre che
della letteratura in genere. Nella sceneggiatura di “El lado oscuro
del corazón” ha inserito una ventina di poesie degli argentini
Oliverio Girondo (1891-1967) e Juan Gelman (1930-2014) e
dell’uruguayano Mario Benedetti (1920-2009), facendole declamare
opportunamente dal protagonista Oliverio (pura omonimia, non ci si
riferisce all’omonimo Girondo), poeta squattrinato che baratta
poesie per un pasto per sé e i suoi amici, bohemien come lui. Uno
modella mega-sculture erotiche che espone pubblicamente e
puntualmente lo portano in galera, l’altro è uno scrittore venuto in
Argentina per “vivere” i luoghi di Jorge Luis Borges e Julio
Cortázar, innamorato della “latinità”.
Oliverio (Darío Grandinetti) vaga alla ricerca disperata di una
donna che “sappia volare”, dialoga con sua madre che gli appare
sotto forma di una mucca e discute con la quasi onnipresente morte
sotto le spoglie di una donna vestita di nero. Non mancano elementi
e simboli surrealisti eppure facilmente decifrabili, che dicono
molto di più di tante parole. Pur non essendo amante della poesia
come espressione letteraria (quindi il giudizio non è di parte), ho
trovato i versi declamati estremamente acuti e inseriti al momento
giusto, nella scena giusta. Al di là delle poesie e citazioni i
dialoghi veri e propri sono relativamente pochi.
Meraviglia, ma non tanto conoscendo i distributori, il fatto che
pare non sia giunto nelle sale italiane nonostante la partecipazione
al Festival di Bergamo dove Subiela fu anche premiato per la regia.
“El lado oscuro del corazón” è il quarto dei soli 14 film (in 32
anni) diretti da Subiela (1944-2016), il quale è anche stato autore
di tutte le sceneggiatore.
Grandinetti lo ricorderete per le sue interpretazioni nei recenti
“Relatos salvajes” (Damián Szifron, 2014) e “Julieta” (Pedro
Almodóvar, 2016).
Ovviamente lo consiglio a chi ha interessi letterari e apprezza il
buon cinema. Da guardare possibilmente in lingua originale se la
conoscete abbastanza da apprezzarla ... è noto che i versi sono di
difficile traduzione e i sottotitolisti non sempre prestano
abbastanza attenzione a ciò che scrivono. A chi conosce l’inglese
segnalo che in rete esiste una versione originale (quella che ho
guardato) in più che buona definizione e con sottotitoli in inglese
che non mi sono sembrati malvagi.
PS - gli ultimi due film guardati (questo e "Historias minimas",
entrambe argentini) si trovano rispettivamente al 28° e 29 posto
della classifica delle “100 mejores películas iberoamericanas de la
historia”
330 “Historias mínimas” (Carlos Sorín, Arg, 2002) tit. it.
“Piccole storie” * con Javier Lombardo, Antonio Benedicti, Javiera
Bravo
*
IMDb 7,5 RT 88%
8 premi e 4 Nomination agli Awards dei critici argentini * Ariel
come miglior film iberoamericano * 3 Premi a San Sebastian
In America Latina, senza dubbio la produzione argentina è seconda
solo a quella messicana e non meraviglia quindi un film buono come
questo, quasi un road movie, con pochi attori, ambientato negli
immense semideserte e desolate pianure della Patagonia, con 3
protagonisti le cui strade si lambiscono appena.
Dei 3 interpreti principali, solo Javier Lombardo era attore, gli
altri due (Antonio Benedicti e Javiera Bravo) erano esordienti e
“Historias mínimas” è rimasto il loro solo film, eppure, in
particolare il primo (70enne) si cala perfettamente nel personaggio.
Potrebbe essere l’ennesima dimostrazione del fatto che gli attori di
fama contano solo per il grande pubblico e per il botteghino, ma
buone sceneggiatura e regia possono bastare da sole a tenere in
piedi film girati con pochi mezzi.
Film consigliato, chi non conosce il castigliano dovrebbe poter
trovare anche la versione italiana.
329 “Belle epoque” (Fernando Trueba, Spa, 1992) * con Fernando
Fernán Gómez, Jorge Sanz, Maribel Verdú, Penélope Cruz, Chus
Lampreave, Ariadna Gil, Miriam Díaz-Aroca, Gabino Diego *
IMDb 7,2 RT 94% * Oscar (e anche BAFTA) come miglior film non in
lingua inglese * Nomination Orso d’Oro a Berlino
Arguta commedia nella quale si può distinguere nettamente l’arguta
parte di critica sociale e humor nero (probabilmente tutta opera del
solito Rafael Azcona) e quella più godereccia/sentimentale di minor
livello. Una seppur minima conoscenza della storia spagnoladegli
anni ’30, aiuta a comprendere i riferimenti ai vari eventi e ai
contrasti fra monarchici, repubblicani, anarchici e anticlericali.
Penélope Cruz (all’epoca 18enne) è al suo secondo film dopo “Jamon,
jamon” (Bigas Luna) uscito quasi in contemporanea. La sua è
l’interpretazione più scadente e, a mio modesto parere, non sembra
che negli anni sia migliorata molto. Il resto del cast conta su
attori e caratteristi navigati e di ottimo livello, dai più noti
Fernando Fernán Gómez e Chus Lampreave, alle nuove leve Maribel
Verdú e Jorge Sanz.
Piacevole commedia, come dicevo soprattutto nelle scene di comedia
negra come quella iniziale, quasi surreale.
A tempo perso, merita senz’altro una visione.
328 “El norte” (Gregory Nava, USA, 1983) * con Zaide Silvia
Gutiérrez, David Villalpando, Ernesto Gómez Cruz *
IMDb 7,7 RT 84% * Nomination Oscar sceneggiatura
Può sembrare “strano” che un film come questo ottenga una Nomination
Oscar per la sceneggiatura e non quella per il miglior film non in
lingua inglese, eppure mi sembra perfettamente giusto.
La storia è nettamente divisa in tre parti, la prima si svolge in un
piccolo pueblo fra le montagne del Guatemala e mostra le condizioni
in cui vivono i campesinos che lavorano nelle piantagioni di caffè,
nella seconda si segue l’avventuroso viaggio/fuga di una fratello e
una sorella verso la California affrontando non solo pericoli propri
dei clandestini ma anche quelli dei due passaggi di frontiera,
nell’ultima parte viene mostrato il difficile inserimento nel mondo
del lavoro nero, assolutamente tollerato (sfruttato) dall’Immigration
USA.
La sceneggiatura è quindi “completa”, reale, mostra alti e bassi di
ogni momento e situazione, una continua alternanza di speranze e
delusioni. Purtroppo la regia non è perfetta e, soprattutto, il cast
non è all’altezza della situazione.
Comunque, l’interessante storia può far capire molte cose a chi non
conosca le realtà centroamericane e quindi vale la pena guardarlo.
Seppur datato, può ancora essere considerato attuale visto il corteo
di migranti che da Honduras e Guatemala si sta dirigendo verso gli
USA.
327 “Japón” (Carlos Reygadas, Mex, 2002) * con Alejandro Ferretis,
Magdalena Flores, Yolanda Villa *
IMDb 6,9 RT 80% * Golden Camera Special Mention + Nomination
Golden Camera a Cannes
Film d’esordio di Carlos Reygadas, regista poco prolifico (a
tutt’oggi solo 6 lungometraggi) ma molto apprezzato, soprattutto per
la fotografia (vedi Cannes) e le ambientazioni in grandi spazi
aperti, ma anche per le sceneggiature, tutte nate dalla sua penna.
Avevo già apprezzato “Post Tenebras Lux” (Nomination Palma d’Oro e
Premio miglior regia a Cannes) e dovrei poter guardare a breve il
suo più recente lavoro “Nuestro tiempo” (2018, Nomination Leone
d’Oro a Venezia), anche questo con tanti esterni.
In “Japón” si nota che è ancora un po’ “acerbo”, eppure padrone
delle scene, inquadrature e conduzione degli attori, tutti
assolutamente non professionisti e al loro esordio, unico film del
protagonista Alejandro Ferretis. Una storia ben descritta con
pochissimi dialoghi.
Questo film è giunto in Italia (con titolo originale) nel 2004 e
merita una visione, se non altro per comprendere e apprezzare poi i
suoi successivi lavori.
326 “Tropa de elite” (José Padilha, Bra, 2007) tit. it. “Gli
squadroni della morte” * con Wagner Moura, André Ramiro, Caio
Junqueira *
IMDb 8,1 RT 53% ma 87% per il pubblico * Orso d’Oro a Berlin per
José Padilha
Film molto diverso dagli altri due brasiliani appena guardati, si
torna nel “classico” di favelas, corruzione, droga, sparatorie e
torture, eppure è focalizzato su un’equazione irrisolvibile che ha i
suoi elementi principali nella polizia corrotta “per quieto vivere”
(si derubano perfino fra loro), negli spietati spacciatori e negli
ancor più sanguinari e fanatici membri degli “squadroni della morte”
(BOPE, tropa de elite).
Si tratta di una sceneggiatura basata sulla fusione di ben 3 libri
diversi, di autori differenti, adattata dallo stesso regista José
Padilha insieme con quel Bráulio Mantovani, che nel 2004 aveva
ottenuto la Nomination Oscar per “Cidade de Deus” per la miglior
sceneggiatura non originale, con il quale divide lo stesso ambiente
e molte situazioni simili.
Leggendo a posteriori varie recensioni, non sono riuscito ancora a
comprendere la grande discrepanza fra il basso rating di Rotten
Tomatoes (53%, ma addirittura 33% fra i top critics), quello
oggettivamente alto di IMDb (8,1) e l’Orso d’Oro ottenuto alla
Berlinale 2008 ... all’unanimità.
Pur non essendo un amante del genere, personalmente ho apprezzato
quanto di buono, di umano e di malvagio Padilha e Mantovani hanno
messo insieme, trasversalmente ... dai fricchettoni ai giustizieri
“autorizzati”, dai corrotti a chi tuttavia crede nella giustizia,
dai vendicatori ai vessati.
Se si sopporta la cruda violenza (che purtroppo sembra sia
abbastanza comune nelle favelas di Rio) è un film che senz’altro
vale una visione.
325 “Bye Bye Brasil” (Carlos Diegues, Bra, 1979) * con José Wilker,
Betty Faria, Fábio Jr. *
IMDb 7,5 RT 72%p * Nomination Palma d’Oro a Cannes
Questo è un film molto meno conosciuto di quelli di Salles, ma
seguendo il girovagare di una specie di circo itinerante gli
spettatori possono conoscere vari aspetti del Brasle di fine anni
’70, con cittadine ancora senza corrente elettrica mentre si
costruivano la transamazonica e Brasilia, lo sfruttamento delle
risorse naturali e stragi di indios, la discrepanza fra i nuovi
ricchi del boom economico e la povertà quasi assoluta.
A margine di ciò, c’è anche una storia di amore, sesso e
prostituzione che vede coinvolte le due coppie di protagonisti.
Senz’altro molto originale, vale certamente molto di più per ciò che
mostra dell’enorme e vario Brasile che per le relazioni
interpersonali fra i quattro.
Interessante visione, lo spettatore attento al background vi troverà
tanti spunti di interesse.
324 “Central do Brasil” (Walter Salles, Bra, 1998) tit. int. "Central
Station" * con Fernanda Montenegro, Vinícius de Oliveira, Marília
Pêra *
IMDb 8,0 RT 94% * 2 Nomination Oscar (miglior film non in lingua
inglese, Fernanda Montenegro protagonista) * a Berlino Orso d’Oro e
Premio ecumenico per Walter Salles, Orso d’Argento a Fernanda
Montenegro * Golden Globe miglior film non in lingua inglese,
Nomination per Fernanda Montenegro
Ho iniziato con questo la mia breve incursione brasiliana, un film
pluripremiato del quale conoscevo il titolo ma mi era sempre
sfuggito ... me lo ha riportato in mente il post
Las 100 mejores películas iberoamericanas de la historia.
Film drammatico che si sviluppa sul confronto fra una “zitella”
abbastanza burbera e un ragazzino appena diventato orfano di madre
che le riesce a tenere testa. Partendo dalla stazione centrale di
Rio, i due affronterando un lungo viaggio verso le aree interne e
desolate del nord del Brasile. Uno sguardo diverso su una società
che il più delle volte si conosce solo per i soliti stereotipi di
vita sfrenata, favelas, carnevale, droga, musica e sesso.
Nel 2004 il regista Walter Salles avrebbe poi diretto il più noto "Diarios
de motocicleta".
“Central do Brasil” merita senz’altro una visione.
323 "The Seventh Veil” (Compton Bennett, UK, 1945) tit. it.
“Settimo velo” * con James Mason, Ann Todd, Herbert Lom *
IMDb 7,0 * Oscar miglior sceneggiatura, Nomination Grand Prix a
Cannes
Dopo aver guardato i primi 4 film della rassegna dedicata dalla
Filmoteca Española alla sceneggiatrice (e talvolta regista) Muriel
Box, ero rimasto con la curiosità di vedere anche questo, con il
quale vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Si tratta di un dramma “psicologico” che per vari versi richiama,
seppur vagamente, "The Pit Box" e "Svengali", e si sviluppa per gran
parte attraverso lunghi flashback, dopo il tentativo di suicidio
iniziale della protagonista..
Un medico all'avanguardia, per l'epoca, fra psicoanalisi e narcosi,
dovrà rimuovere "i sette veli" della mente della giovane per
scoprirla del tutto, così come la Salomè di biblica memoria restò
nuda al togliersi il settimo velo (da cui il titolo). Fra
prevaricazioni, possibile ipnosi, sinceri innamoramenti e un po’ di
suspense si giunge alla resa dei conti finale.
Film abbastanza ben realizzato, ma non capisco perché abbiano voluto
affidare alla stessa attrice (Ann Todd, all’epoca Ann Todd 36enne)
sia il ruolo della protagonista 15enne che quello dell’affermata
pianista da adulta ... assolutamente fuori luogo e non bastano gli
atteggiamenti della giovane (fin troppo infantili), nè riprese dal
basso e sedie enormi per rendere credibile la finzione. Per il resto
l’attrice fornisce una buona prova ma è James Mason a distinguersi
con un’interpretazione che molti giudicano la migliore della sua
carriera.
Vale una visione.
322 "Hero” (Zhang Yimou, Cina/HK, 2002) tit. or.
“Ying xiong” * con Jet Li, Tony Chiu-Wai Leung, Maggie Cheung, Ziyi
Zhang *
IMDb 7,9 RT 100% * Nomination Oscar come miglior film in
lingua non inglese, Premio a Berlino per la regia di Zhang Yimou e
Nomination Orso d’Oro
Dopo aver guardato il deludente secondo elemento della trilogia
Matrix (conoscevo solo il primo, 1999) ho voluto ri-guardare Hero
che, per quanto riguarda i “combattimenti volanti”, è di gran lunga
superiore non solo per le coreografie, ma anche e soprattutto per
l’eleganza cromatica che Zhang Yimou pone nelle scenografie dei vari
duelli. Non si dimenticano facilmente i lunghi e svolazzanti vestiti
rossi su uno sfondo di fogliame giallo ocra, né il lago
assolutamente immobile, e quindi a specchio, dal quale i contendenti
sollevano solo poche gocce con i loro passi proposto con riprese a
livello, dall’alto e da sott'acqua, né lo spettacolare riprese del
deserto del Gobi (Mongolia). Anche le numerose scene di massa sono
estremamente ben realizzate ed efficaci.
Al di là dell’aspetto puramente visivo, a favore di Hero c’è anche
una storia molto interessante e il modo in cui viene esposta, che
non può fare a meno di far tornare in mente il capolavoro di
Kurosawa “Rashomon” (1950).
Stavolta il coreografo è Siu-Tung Ching, scelto da Zhang Yimou anche
per “La foresta dei pugnali volanti” (2004).
Da non perdere.
321 "The matrix reloaded” (Wachowski bro., USA, 2003) * con Keanu
Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss *
IMDb 7,2 RT 73%
Secondo elemento della trilogia Matrix, creata e diretta dai
fratelli Wachowski (Wachowski bro., quando erano ancora Larry e
Andy) oggi sorelle Wachowski con i nuovi nomi Lana e Lilly.
Tanta azione ed effetti speciali (di buona qualità) a bizeffe,
ancora una volta adattamento hollywoodiano con profonde radici
orientali (genere wuxia)
Certamente un chiaro passo indietro rispetto al primo della
trilogia, che oltre ad essere oggettivamente migliore, aveva il
vantaggio di essere assolutamente innovativo per il mercato
americano.
Yuen Wo Ping è coreografo lo stesso di “The Matrix” (primo della
serie), di “La tigre e il dragone” e dei due “Kill Bill”
Rispetta la norma (quasi una legge evidenziata anche dal botteghino)
che stabilisce che raramente un sequel riesca ad essere di livello
pari all’originale. Sembra che il terzo "The Matrix Revolution” sia
ancora meno interessante, quasi scadente ... eviterò di guardarlo.
Se avete visto il primo ... accontentatevi di quello.
320 "For You I Die” (John Reinhardt, USA, 1947) tit. it.
“Per te io muoio” * con Cathy Downs, Paul Langton, Mischa Auer
* IMDb 6,2
Discreto noir molto poco conosciuto, che ho guardato in quanto
segnalato su un blog specializzato. La presenza dell’ineffabile
Mischa Auer (che ovviamente interpreta un immigrato russo)
garantisce quel pizzico di commedia che non guasta, per il resto è
una solida storia con scambi di persona, molte opportune coincidenze
e tempi ben congegnati.
Più che sufficiente, ma niente di eccezionale.
319 "Le salaire de la peur (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1953) tit.
it. “Vite vendute” * con Yves Montand, Charles Vanel, Peter van Eyck,
Vera Coulzot (all’epoca era moglie del regista), Folco Lulli *
IMDb 8,1 RT 100% * Orso d’oro a Berlino, a Cannes Gran Prix per
Clouzot e Menzione Speciale per Charles Vanel * al 198°
posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi
Pur essendo questo uno dei suoi film più quotati, stavolta Clouzot
mi ha deluso ... se si destreggia benissimo con i noir, crime e
thriller, l’avventura non sembra essere il suo campo. Riconosco che
descrive bene l’ambiente del desolato paesino in America Latina e i
caratteri dei vari personaggi, ma la parte “avventurosa” di questa
storia basata su un romanzo di Georges Arnaud e adattata dallo
stesso Clouzot e Jérôme Géronimi) è platealmente poco plausibile ...
quasi per niente. Probabilmente il grande successo del film fu in
gran parte dovuto alla presenza di bravi e noti attori come i
protagonisti Yves Montand e Charles Vanel, che nel film offrono
ottime interpretazioni, ma proprio non sono d’accordo in merito al
198° posto nella classifica IMDb dei migliori film di sempre, che mi
meraviglia molto.
Guardabile, ma ripeto che per me è di livello molto inferiore a
“L'assassin habite... au 21”, “Le corbeau”, “Quai des Orfevres”,
“Les diaboliques” e “L’enfer” (per quanto si è potuto vedere di
questo incompiuto).
Per fortuna, dopo questo film Clouzot tornò al crime/noir con
l’ottimo “Les diaboliques” (con Simone Signoret e Charles Vanel) che
include scene thriller che nulla hanno da invidiare alle migliori di
Hitchcock.
318 "Quai des Orfèvres" (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1947) tit. it.
“Legittima difesa” * con Suzy Delair, Bernard Blier, Louis Jouvet,
Simone Renant, Charles Dullin *
IMDb 7,7 RT 100% * Premo internazionale per la regia e Nomination
per il Gran Premo internazionale a Venezia
A metà strada fra un dramma della gelosia ossessiva e un noir con
mille risvolti e colpi di scena, "Quai des Orfèvres" è tratto da un
romanzo di Stanislas-André Steeman, con sceneggiatura e dialoghi
(pertinenti e credibili) dello stesso Clouzot. Sono ottime anche
fotografia e interpretazioni, fra le quali spicca quella di un
relativamente giovane Bertrand Blier (30enne), ma sono bravissime
anche le due prime donne Suzy Delair e Simone Renant (che se lo
contendono), l’ispettore di polizia Louis Jouvet e l’inquietante
Charles Dullin.
I noir francesi degli anni 40-50 sono un punto fermo del cinema
francese e influenzarono decisamente i noir d’oltreoceano. Anche se
mi sembra che non siano molto conosciuti in Italia, Henri-Georges
Clouzot (1907–1977) e Jean-Pierre Melville (1917–1973) potrebbero
quasi essere reputati i veri padri del genere.
Film interessantissimo e di ritmo rapido che non consente
distrazioni da parte del pubblico; quasi in ogni scena c’è qualche
elemento che può essere visto come un indizio, una trascuratezza
dell’assassino, un rischio di rivelare una bugia. Tempi e dettagli
sono tutti ben studiati e posizionati alla perfezione nella
scaletta.
Ovviamente non si può dire di più in quanto alla trama, non resta
che guardarlo con attenzione.
317 “La grande illusion“ (Jean Renoir, Fra, 1937) tit. it. “La
grande illusione” * con Jean Gabin, Pierre Fresnay, Eric von
Stroheim, Dita Parlo *
IMDb 8,1 RT 97% * Nomination Oscar come miglior film (assoluto) -
Premio al “Valore artistico” e candidato alla “Coppa Mussolini” a
Venezia nel 1937 (ma solo 10 anni dopo nelle sale italiane)
Ottimo film bellico (relazionato con la guerra, ma nessun
combattimento) tuttavia un po' al di sotto delle aspettative
considerando le eccezionali recensioni che lo precedevano, in
particolare nutro molti dubbi sulla plausibilità di alcune
situazioni. Conta su sceneggiatura e dialoghi dello stesso Jean
Renoir e di Charles Spaak, padre della più famosa Catherine.
Quasi tutto il film si basa sui rapporti di onore (e addirittura di
cortesia) fra tedeschi e francesi nei campi di prigionia per
ufficiali, i primi in comando, i secondi detenuti. Ottimo il cast
fra i quali spiccano Jean Gabin e Eric von Stroheim, ma sono molto
ben coadiuvati da tanti ottimi coprotagonisti, a cominciare da
Pierre Fresnay, da poco apprezzato in “Le corbeau” (Henri-Georges
Clouzot, Fra, 1943) e Julien Carette.
Un film bellico d’altri tempi e soprattutto di guerra di altra
epoca, che resta senz’altro una pietra miliare per la cinematografia
francese e non solo.
316 "Seduced and Abandoned" (James Toback, UK, 1948) tit. it.
“Sedotti e abbandonati“ * con James Toback, Alec Baldwin, Bernardo
Bertolucci, Martin Scorsese, Roman Polanski, F. Ford Coppola, James
Caan, Jessica Chastain, Bérénice Bejo, Diane Kruger, Ryan Gosling
*
IMDb 6,7 RT 90%
Pur avendo letto di cosa si trattava non ero riuscito ad avere una
precisa idea di cosa avrei visto, ma "Sedotti e abbandonati" ha
superato di gran lunga ogni più rosea aspettativa. Nel corso delle
quasi surreali, eppure vere, trattative con produttori di ogni parte
del mondo i due soci in affari James Toback e Alec Baldwin sembra si
siano trovati assolutamente a loro agio riuscendo ad essere
abbastanza convincenti nel richiedere finanziamenti per un
improbabilissimo "Last Tango in Tikrit", storia di sesso estremo con
Alec Baldwin e, ambientata in Iraq durante la guerra iniziata nel
2003.
I due marpioni riescono anche a sottoporre a registi di chiara fama,
quali Scorsese, Coppola, Polanski e Bertolucci, il loro progetto e
nel corso di tali chiacchierate si parla del buon cinema di altri
tempi e vengono fuori gustosi aneddoti relativi sia alla loro vita
privata che ai loro rapporti con personaggi del calibro di Brando o
Pasolini. Parlando con produttori che non capiscono niente di arte
cinematografica (lo ammettono loro stessi) evidenziano che molti di
loro non guardano neanche i film che producono, badando
esclusivamente al marketing. Incredibilmente, ma sempre in via
teorica, quasi tutti i produttori si dichiarano disposti a
finanziare questo film (imponendo qualche cambio nel cast ...
nessuno vuole Neve Campbell come protagonista) ma concordano nel
limitare l'investimento a circa 5 milioni di dollari, sottolineando
l'importanza (economica) dei nomi (e non della bravura) degli attori
principali che spesso, da soli, determinano le sorti di un film a
prescindere dalla qualità tecnica e della trama. Per quanto riguarda
gli attori "negativi" viene fuori che esiste addirittura una lista
di "box office poison actors", cioè quelli che assolutamente non
attirano pubblico. Leggendo fra le righe delle conversazioni con gli
attori James Caan, Bérénice Bejo (The Artist), Diane Kruger, Ryan
Gosling e Jessica Chastain, si percepisce che quanto detto è vero e
si conosce anche qualche punto di vista della categoria.
In effetti, come specificato dagli autori in apertura, questo “film”
non rientra in nessuna categoria specifica, potrebbe essere un
documentario quasi mockumentary, ma in realtà i due simpatici
marpioni recitano una parte, pur interpretando sé stessi. Attori che
interpretano personaggi non ce ne sono per niente, ciò che si vede
sullo schermo fu girato durante il Festival di Cannes del 2012 che,
come tutte altre edizioni, attirò produttori, registi e attori oltre
che critici, distributori, giornalisti e aficionados. Pertanto, non
furono costruiti set e per gli incontri si utilizzarono i normali
salottini, suite, yacht, ristoranti o bar.
Ho trovato pregevole (e molto gradevole anche se richiede tanta
attenzione) l’idea di Tobak che, per oltre metà del tempo, divide lo
schermo in 2 o più riquadri, mostrando chi parla da un lato e scene
dei film ai quali si riferisce dall'altro/i, il tutto ad un ritmo
spesso quasi frenetico. In considerazione di tutto ciò, ai non
cinefili o non interessati alla settima arte appare senza dubbio un
film troppo parlato, dispersivo e poco interessante. Al contrario,
per tutti quelli che sanno di cinema, ricordano i famosi film citati
e ne riconoscono le scene proposte senza necessità di leggere i
titoli, conoscono almeno buona parte dei tanti nomi e titoli
menzionati, "Seduced and Abandoned" risulta essere un memorabile
assemblaggio di dialoghi, racconti e immagini.
Pertanto, ai primi suggerisco di evitare di guardarlo mentre lo
consiglio calorosamente ai cinefili, specialmente a qualli con
qualche decennio di visioni alle spalle.
315 "The Blind Goddess" (Harold French, UK, 1948) tit. it.
“Accadde a Praga“ * con Eric Portman, Anne Crawford, Hugh Williams *
IMDb 6,4
Stavolta i coniugi Muriel e Sidney Box (produttori e sceneggiatori)
portano sullo schermo un lavoro teatrale di Patrick Hastings,
ambientato fra tribunale e nobili e ricche magioni, con “Sir”
imbroglioni, avvocati e storie d’amore.
Ne risulta un film con molti colpi di scena in tribunale (sulla base
di tante bugie), intrighi, coincidenze (fortunate per alcuni
sfortunate per altri) e passioni. Perfetto il cast nel suo
complesso, dagli avvocati ai litiganti, dal maggiordomo al giudice,
dagli amanti ai giurati.
Piacevole dramma, quasi thriller. Il titolo originale si riferisce
alla Giustiza (cieca), quello italiano (sconsiderato) all’evento di
apertura ... tutto il resto si svolge a Londra.
Piacevole visione, sufficiente per meritare una visione a tempo
perso.
314 "With my Husband Consent " (Yasuzô Masumura, UK, 1964) tit. or.
“Otto ga mita 'Onna no kobako' yori“ * con Ayako Wakao, Jirô Tamiya,
Keizô Kawasaki *
IMDb 7,5
Quarto film di Masumura che ho avuto occasione di vedere, chissà se
e quando avrò occasione di guardare uno dei suoi altri 53. In questa
prima settimana del ciclo che la Filmoteca Española gli sta
dedicando sono stati proposti film di genere molto diverso, eppure
tutti buoni e congruenti con le particolari idee del regista.
Ieri sera tutto ruotava attorno ad un intreccio fra finanza e
passioni, con sorprese e tradimenti in entrambe i campi e
immancabile tragico e cruento finale. Forse, proprio nella gestione
dell'ultima scena il film ha perso un colpo, per il resto conta su
una buon trama, tempi giusti, inquadrature curate, ottimo commento
musicale. Masumura in poco più di un'ora e mezza riesce a mostrare
se non il peggio, almeno tanti aspetti negativi della ipocrita
classe borghese giapponese, con personaggi avidi, arrivisti,
bugiardi, egoisti, vendicativi ... e ciò vale per entrambe i sessi.
Nel programma, in calce alle poche righe di presentazione del film,
era riportata un’altra citazione di Masumura: “Non esiste il
desiderio non represso, una persona che rivela i suoi desideri più
intimi si può solo considerare pazza. Voglio creare un pazzo che
esprima i suoi desideri senza pudore, indipendentemente da ciò che
pensa la gente.”
313 "The Man Within" (Bernard Knowles, UK, 1947) aka “The Smugglers”
(USA), tit. it.
“Contrabbandieri“ * con Richard, Michael Redgrave, Jean Kent, Joan
Greenwood
* IMDb 7,2
Tratto dall’omonimo romanzo di Graham Greene (il suo primo,
pubblicato nel 1929, uno dei pochi che non ho letto), vede come
protagonista l’allora 24enne Richard Attenborough, lo stesso che
l’anno seguente avrebbe interpretato Pinkie in un’altra famosa
trasposizione cinematografica di un romanzo di Greene (Brighton
Rock) e 35 anni dopo avrebbe vinto 2 Oscar come produttore e regista
di “Ghandi”. Il film conta anche sulla presenza di Michael Redgrave,
noto attore dell’epoca, padre di Vanessa.
La costruzione è in flashback e la storia viene raccontata dal
giovane Francis Andrews (Attenborough) che nelle scene di apertura
appare in catene, in procinto di essere torturato. Ciò mi è sembrato
un limite in quanto ha comportato molta voce fuori campo del
protagonista, in stile noir (ma in questo caso si tratta di un film
in costume, ambientato nell’Inghilterra di un paio di secoli fa).
Si può dire che la trama segue già quello che sarà poi lo stile di
Greene con protagonisti/”eroi” sempre un po’ sfortunati, spesso al
limite della legalità, che si devono dare molto da fare per
sopravvivere.
Da un tale buon soggetto, Muriel a Sidney Box avrebbero potuto
trarre una migliore sceneggiatura e Bernard Knowles avrebbe potuto
fare di meglio. Forse sarebbe stato meglio se quest’ultimo avesse
continuato ad essere un buon direttore della fotografia (sua
professione dal 1927 al 1944, con varie collaborazioni con
Hitchcock) invece di passare alla regia nel 1945 (“The Man Within” è
il suo terzo film).
Film quindi senz’altro guardabile, ma soprattutto per
interpretazioni e storia originale.
312 "Where the Wild Things Are" (Spike Jonze, USA/Aus/Ger, 2009)
tit. it.
“Nel paese delle creature selvagge“ * con Max Records, Catherine
Keener, Mark Ruffalo *
IMDb 6,8 RT 72%
E oggi anche un film per ragazzi, del quale non avevo mai sentito
parlare, che tuttavia ha richiamato la mia attenzione per aver
raccolto commenti molto contrastanti non tanto in merito alla
tecnica (comunque molto originale) quanto ai contenuti. Il soggetto
è tratto da una brevissima storia di Maurice Sendak, scritta nel
1963, quasi banditi nei primi anni e poi diventata un bestseller
(quasi 20 milioni di copie vendute). Nel "libro" i mostri non
parlano neanche, i dialoghi del film sono tutti frutto della fervida
immaginazione degli sceneggiatori Dave Eggers e Spike Jonze (anche
regista), con il beneplacito di Sendak.
La prima certezza, e sembra che molti concordino con me, è che non è
un classico film per bambini, forse qualcuno di loro potrà anche
divertirsi per qualche scena ma per il resto è abbastanza
inquietante. Avevo accennato alla tecnica abbastanza singolare, un
misto di pupazzi e CGI, con pochi attori in apertura e chiusura,
oltre al protagonista Max Records, quasi sempre in scena.
Ho avuto l’impressione che ci sia molta psicologia (quasi
psicanalisi) nel proporre “le creature selvagge” che certamente
rappresentano i vari atteggiamenti e limiti del ragazzo, ma questa è
una lettura che richiede molto approfondimento e chissà se e quanto
era nelle intenzioni degli sceneggiatori. I dialoghi sono senz’altro
brillanti e ben rappresentano tante situazioni comuni fra familiari,
amici, amanti.
Non lo consiglierei a nessun bambino, ma senz’altro a molti adulti.
Belle le location australiane.
311 "Beauty Lives in Freedom" (Wang Bing, Cina/Fra, 2018) tit. or.
“Gao Er Tai“ * con Gao Er Tai
E giunse il giorno della "prima mondiale di " Gao Er Tai ", un film
molto speciale non solo per la durata 5 ore, ma anche e soprattutto
per il significato storico-sociale-politico-filosofico in merito a
quanto è successo nel secolo scorso in Cina, periodo del quale in
Occidente ne sappiamo poco o niente.
Gao Er Tai (1936) è un artista, professore e filosofo cinese,
rinchiuso per un paio di anni (fine ’50) nel famigerato campo di
concentramento di Jianbiangou dal quale uscirono vivi meno del 20%
dei reclusi. Successivamente fu trasferito e poi rilasciato e
ri-arrestato più volte per le sue idee (giudicate pericolose per il
regime) e passò molti altri anni privo di libertà anche se in
condizioni molto più decenti del “campo di lavoro e riabilitazione”
ai margini del deserto del Gobi. Finalmente riabilitato, anche
grazie alle sue riconosciute abilità e conoscenze artistiche, tornò
all’insegnamento universitario ma quando entrò a far parte di un
comitato di intellettuali che crearono la rivista “New Enlightment”
fu di nuovo arrestato e perse il lavoro. Insieme ad un altro
perseguitato politico riuscì finalmente a scappare a Hong Kong e
quindi negli USA, dove ora vive.
Gli avvenimenti salienti di quasi 30 anni della sua vita (nel corso
dei quali fu preso di mira in molte delle innumerevoli “campagne”
promosse dal regime come quelle “Anti-Rightist Movement”, “Anti-Spiritual-Pollution”,
"Anti-Bourgeois Liberalization") li racconta al documentarista Wang
Bing (classe 1960) che si occupa soprattutto di emarginati,
perseguitati, desaparecidos, vittime delle varie rivoluzioni ed
epurazioni in Cina, dai tempi di Mao a quelli moderni di progresso,
tecnologia e pseudo-capitalismo.
Se molti suoi lavori si basano su riprese clandestine effettuate in
Cina, e di conseguenza sono banditi, questa “narrazione” (che non
definirei documentario né intervista) consiste nel montaggio di
varie lunghe riprese di Gao Er Tai che racconta con dovizia di
particolari gli episodi salienti della sua vita in patria. Devo dire
che, cinematograficamente parlando, il lavoro è di scarsissima
qualità, però le appassionate “cronache” del filosofo (che più volte
è costretto a interromperle per la commozione) sono di eccezionale
interesse. Spaziano dalle condizioni di lavoro e sopravvivenza nel
campo a saggi filosofici (quello sulla bellezza, ripreso nel titolo
internazionale, fu quello che lo mise per la prima volta nei guai),
dalla difficoltà di trovare lavoro per i suoi trascorsi al modo nel
quale cercava di annotare idee da elaborare successivamente, dalla
sua vita come “custode e studioso” degli affreschi delle grotte di
Mogao alle discussioni di tesi di dottorato, dalla creazione della
rivista all’avventurosa fuga a Hong Kong.
Nel mese di ottobre a Madrid, per la prima volta, si propone
l'intera produzione di Wang Bing in una sola rassegna, utilizzando
due sedi diverse: tutti i film alla Filmoteca Española, alcuni film
e le installazioni al Museo Reina Sofia (a Madrid secondo solo al
Prado).
In conclusione, pur con le pause silenziose, le lunghe inquadrature
fisse, alcune ripetizioni nella narrazione (assolutamente
comprensibili per un 82enne) e con la quasi totale assenza di
movimenti di macchina e montaggio significativo, "Beauty Lives in
Freedom" avvince e ciò è stato dimostrato dal fatto che, nonostante
le 5 ore di durata (con Gao Er Tai inquadrato certamente per almeno
4 ore mezza) almeno 3/4 del pubblico è rimasto in sala fino al
termine della proiezione.
310 "Seisaku's Wife" (Yasuzô Masumura, Jap, 1965) tit. or.
Seisaku no tsuma“ * con Ayako Wakao, Takahiro Tamura, Nobuo Chiba
*
IMDb 7,8
"Ciò che mi interessa è il conflitto che sorge fra l'espressione dei
nudi desideri che non possono essere controllati dall'ambiente in
cui si vive" (Yasuzo Masumura).
Ancora una volta il regista non salva quasi nessuno, per quanto
buone e sincere possano essere alcune azioni dei protagonisti,
parallelamente mostrano anche i loro lati peggiori per rispettare
prassi, tradizioni, leggi inique, disposizioni. La protagonista
Okane utilizzerà una violenza inaudita per contrastare altra
violenza ... e lo fa “per amore”. Seisaku conclude il film
affermando che le sue “disavventure” l’hanno trasformato da “stupido
soldato nazionalista” in un vero uomo.
Masumura, attraverso questo dramma estremo proporne una visione
critica di tante situazioni legate alla cultura ancestrale
giapponese e calca anche la mano sull’inutilità della guerra (in
questo caso quella del 1904-5 contro la Russia zarista) e sul
“lavaggio del cervello” operato sui giovani giapponesi, in
particolare quelli mandati incontro a morte certa come kamikaze i
quali se tornavano vivi venivano trattati quasi da traditori.
Argomento da lui proposto in modo più specifico in “Hoodlum Soldier”
(dello stesso) del quale Jonathan Rosenbaum ha scritto: “L’unica
violenza della II Guerra Mondiale che vediamo rappresentata è quella
fa i soldati giapponesi fra i quali la diserzione viene vista come
sintomo di lucidità mentale”.
Anche in questo caso Masumura si basa su un famosa opera letteraria
(romanzo di Genjirô Yoshida, già proposto come film nel 1924) e per
l’adattamento si affida ancora una volta a Kaneto Shindô.
309 "A Girl in a Million" (Francis Searle, UK, 1946) * con Hugh
Williams, Joan Greenwood, Basil Radford * IMDb 7,0
Originale commedia romantico-coniugale che si svolge per lo più in
una casa (annessa ad un laboratorio in area militare) che alloggia
tre ricercatori e un anziano tuttofare che li accudisce.
L’equilibrio viene turbato dall’arrivo di una 19enne con la quale,
“loro malgrado”, dovranno convivere.
Al di là di prevedibili ma ben proposte scenette e battute, il film
è costruito su varie situazioni limite che vengono contrastate e
terminate per poi ripresentarsi quasi simili, solo con aspetto
diverso. Piacevole commedia che prende di mira soprattutto il
matrimonio e gli scapoli, con humor molto inglese, senza far mancare
le solite piccole stoccate nei confronti dei "cugini americani".
Film in cartellone per il ciclo "una cineasta a la intemperias",
dedicato alla regista, sceneggiatrice e produttrice inglese Muriel
Box, in questo caso autrice di soggetto e sceneggiatura, oltre ad
essere la produttrice insieme con suo marito Sydney Box.
308 "Woodstock: 3 Days of Peace & Music" (Michael Wadleigh, USA,
1970) tit. it. “Woodstock: tre giorni di pace, amore, e musica” *
con Richie Havens, Joe Cocker, The Who, Jimi Hendrix, Santana,
Canned Heat, Janis Joplin, Joan Baez, Jefferson Airplane Crosby
Stills & Nash, Arlo Guthrie, Ten Years After, Country Joe McDonald,
Sly and the Family Stone, John Sebastian, Country Joe and the Fish *
Martin Scorsese fu assistente regista *
IMDb 8,1 RT 100% * Oscar come miglior documentario e Nomination per
miglior montaggio e miglior sonoro
La versione proiettata ieri sera al Cine Doré (Filmoteca Española) e
quella “director's cut” da 224’ (3h e 44’), 40 minuti più lunga
della commerciale normalmente (raramente) proiettata. Visto che si
trattava di ottima musica di quasi 50 anni fa, non mi ha
meravigliato la presenza di una maggioranza di spettatori con
capelli più o meno bianchi (chi li aveva ...) e nonostante la durata
del film e l’ora (fin quasi a mezzanotte) non ci sono stati
“abbandoni”.
La regia e il montaggio (premiato con l’Oscar) sono di ottimo
livello, per non parlare della musica. Michael Wadleigh è riuscito a
combinare la parte più documentaristica sapientemente, e
piacevolmente, alternando allestimenti, costruzioni, acquazzone e
conseguente fango, folla e perfino svuotamento dei gabinetti
chimici, ecc. con interviste sia a gente comune e abitanti delle
cittadine vicine che a spettatori di tutti i tipi. Utilizzando
partizioni dello schermo (in 2 o 3 parti) spesso è riuscito ad
accomunare riprese degli artisti sul palco con situazioni quasi
comiche e tipi molto originali. Quando poi si è dedicato
esclusivamente alle performance, con lo stesso sistema dei riquadri
(talvolta separati in modo netto, talvolta uniti da doppia
esposizione) ha proposto originali raddoppi e triplicazioni
dell’artista di turno, ripreso da punti di vista e/o distanze
diverse.
In conclusione, al di là dell’ottima musica, si assiste ad un
documentario tanto fluido e ben realizzato (anche con grande ironia
e badando ai contenuti e agli ideali) che le quasi 4 ore non pesano
assolutamente.
Se mi permetto di scrivere qualcosa di cinema, non mi permetto certo
di commentare la musica, in particolare quella di Woodstock, in
quanto non proprio appassionato di rock e dintorni. Bene o male
conoscevo comunque la maggior parte dei pezzi, ma qui elenco (in
ordine di apparizione essendo impossibile stilare classifiche, anche
a causa della varietà dei generi) gli artisti che più mi hanno
entusiasmato, quasi emozionato, con le loro coinvolgenti esibizioni:
Richie Havens, Canned Heat, Joe Cocker, Ten Years After, Santana,
Janis Joplin, Jefferson Airplane, Jimi Hendrix. Divertente ma
assolutamente inconsistente (e molto datata) l’esibizione degli Sha
Na Na.
PS - Da quanto ho avuto modo di leggere, i 40 minuti extra
comprendono i due pezzi Jefferson Airplane, l’unico di Janis Joplin,
ed un pezzo in più ciascuno per Canned Heat e Jimi Hendrix. Fra i
tanti altri artisti presenti al concerto ma che non compaiono in
questo film c’erano anche i Creedence Clearwater Revival, The Band,
Blood, Sweat & Tears e perfino Ravi Shankar.
307 "Spider Woman" (Yasuzô Masumura, Jap, 1966) tit. or.
“Irezumi” * con Ayako Wakao, Akio Hasegawa, Gaku Yamamoto * IMDb 7,2
Preceduto da una interessante introduzione del critico Palacio
(esperto di cinema giapponese), nel corso della quale lo ha indicato
come uno dei migliori film di Masumura, ho visto il secondo film
della rassegna.
Irezumi letteralmente significa tatuaggio e così il titolo è stato
tradotto in Francia “Tatouage” e internazionalmente (in inglese) lo
si trova come “Tattoo”, “Spider Tattoo” o anche “Spider Woman”,
visto che sulle spalle della protagonista viene tatuato appunto un
grande ragno con il volto di donna.
Stile particolare, colori sempre vivi e soggetti ben illuminati,
come sottolineato da Palacio anche in questo film tipicamente
giapponese si possono notare influenze occidentali, derivanti dagli
anni trascorsi da Masumura in Europa.
Il film è a tutti gli effetti un melodramma noir, pur essendo
ambientato all'epoca del Giappone feudale. Il soggetto prende spunto
da un romanzo, ma tutti gli sviluppi successivi sono idee dello
stesso Masumura, sceneggiate da Kaneto Shindô. Come nel film di
ieri, non ci sono buoni e cattivi, ma solo tanti individui che
vivono al di fuori delle regole, ciascuno con le sue repressioni, le
sue manie, i suoi fini più o meno leciti, le sue perversioni, le sue
subdole azioni.
Pur essendo attivo solo durante 25 anni come regista, Masumura
diresse 57 film, dei quali ben 50 nei primi 15, per la maggior parte
commerciali toccando praticamente tutti i generi, dalla commedia al
dramma, dai yakuza agli erotici.
"La passione e l'eccesso, sia estetico che emozionale, sono le
principali caratteristiche di Masumura, un cineasta capace di
conciliare Oriente e Occidente in lavori di una eleganza senza
eguali che, senza dubbio, possono raggiungere le più spinte vette
della follia". (Jesus Palacio)
306 "Dreams" (Akira Kurosawa, Jap, 1990) tit. or.
“Yume”, tit. it “Sogni” * con Akira Terao, Chishû Ryû, Mitsuko
Baishô, Martin Scorsese, Toshie Negishi *
IMDb 7,8 RT 61% * Premo internazonale per la regia e Nomnaton per il
Gran Premo internazonale a Venezia
Terzultimo film di Kurosawa, diretto all'età di 80 anni, ma già è
chiaro il suo atteggiamento nel voler tirare le somme della sua
vita, fra ricordi di guerra, considerazioni sul nucleare, approccio
alla morte.
Questo film è composto tuttavia di 8 episodi ben distinti, tuttavia
concatenati e più che di sogni si dovrebbe parlare di incubi, almeno
per la metà di essi. Kurosawa lavora molto sui colori sia nei sogni
più vivi e “allegri” sia in quelli tragici e deprimenti nei quali
prevalgono i toni scuri e ogni tonalità di rosso.
I primi due, legati alla sua infanzia, sono una gioia per gli occhi,
ricchi di colori e maschere delle tradizioni giapponesi, geniale il
quinto nel quale l suo alter ego si muove fra e nei coloratissimi
dipinti di Van Gogh (interpretato da Martin Scorsese) e
assolutamente bucolico e rilassante l’ottavo e ultimo con l’iconico
Chishû Ryû, protagonista di tanti dei migliori film giapponesi di
metà secolo (240 interpretazioni).
Gli altri 4 episodi (che definirei incubi) Kurosawa comincia con la
forza distruttiva della natura per poi passare a minacce ben più
gravi per il genere umano, causate dagli uomini stessi ... vedi
guerre e contaminazione nucleare.
Un film quindi pieno di contrasti, così come del resto la vita che
procede fra alti e bassi, dall’infanzia alla morte.
Certo non il solito Kurosawa, che stavolta ha anche ecceduto in più
punti in lentezza e ripetitività. Nella seconda ora di visione ho
notato varie defezioni ... spettatori che, complice l’ora (quasi
mezzanotte), non hanno resistito fino ai titoli di coda.
Consigliato, ma che siate ben svegli e ben disposti.
305 "Warm Current" (Yasuzô Masumura, Jap, 1957) tit. or.
“Danryu” * con Jun Negami, Sachiko Hidari, Hitomi Nozoe *
IMDb 7,6
Questo è il primo dei film di Masumura presentato alla Filmoteca
Española di Madrid, che a lui ha dedicato un ciclo di 6 dei suoi
migliori film, tutti tratti da opere letterarie giapponesi. Laureato
in filosofia con una tesi su Kirkegaard, Masumura poco dopo vinse
una borsa di studio del centro di cinematografia di Roma dove ebbe
fra i suoi docenti Antonioni, Fellini e Visconti. Quindi fu
assistente di Carmine Gallone per la coproduzione italo-nipponica di
“Madama Butterfly” (1954), per poi tornare in patria ed essere
assistente di Mizoguchi per "Princess Yang Kwei Fei" (1955) e
"Street of Shame" (1956) e alla morte del regista, diventare
assistente di Kon Ichikawa. Non si può dire che non abbia avuto
buoni maestri e con abbia fatto ottima gavetta.
A giusto titolo Masumura è considerato esponente di rilievo della
cosiddetta New Wave giapponese (alla quale mi sono già interessato
mesi fa) che ha preceduto di alcuni anni la senz'altro più famosa
omologa francese,.
Ai cinefili che abbiano dimestichezza con l'inglese e di mentalità
aperta (quelli che non disdegnano i prodotti non commerciali, né
film d'epoca e di cinematografie poco conosciute)
consiglio vivamente di leggere questo illuminante articolo su
Masumura, con riferimenti a Hawks.
Masumura sosteneva che "i sentimenti nei film giapponesi sono
contenzione, armonia, rassegnazione, tristezza, fuga e sconfitta, e
non vitalità dinamica, lotta, piacere, vittoria e ricerca. Io
preferisco l'emozione semplice e cruda, perché credo che noi
giapponesi reprimiamo i nostri desideri tanto da perdere di vista il
nostro vero pensiero."
Attenendosi a tale visione, già in questo primo film della rassegna
(il suo terzo lungometraggio, ma “contemporaneo” ai primi due, tutti
del ’57) propone tanti personaggi e situazioni certamente ben
distanti da quelli ai quali ci avevano abituati i registi giapponesi
dell'epoca. Quasi tutti sono arrivisti, spesso subdoli, senz'altro
egoisti. Il protagonista è un giovane manager (non medico) che deve
riorganizzare un ospedale che, in particolar modo per quanto
riguarda dottori e infermiere, non è un modello di perfezione. Fra
amori, proposte di matrimoni, un suicidio, gelosie, ricatti,
diffamazioni e aggressioni il film procede decisamente a buon ritmo
con vari colpi di scena.
Interessante spaccato poco convenzionale del Giappone del
dopoguerra.
304 “La vérité" (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1960) tit. it.
“Odio mortale” * con Brigitte Bardot, Paul Meurisse, Charles Vanel
IMDb 7,6 RT 89% * Nomination Oscar miglior film non in lingua
inglese
Ultimo film in ordine cronologico (ma anticipato per motivi di
tempo) di questa breve serie di Clouzot, più moderno e molto più
commerciale di ”Le corbeau”, logico considerato il cast che include
Brigitte Bardot (all’epoca già indiscussa sex symbol internazionale)
e attori famosi come Charles Vanel e Paul Meurisse.
Si tratta di un court movie, nel quale si alternano con regolarità
scene del processo e flashback.
Si ricostruisce la storia della dissoluta e sbandata vita della
giovane Dominique Marceau (BB), giunta a Parigi senza arte né parte
al seguito della sorella (violinista).
Il suo atteggiamento molto bohémien la mette costantemente nei
pasticci, in un'escalation che si conclude con vari colpi d pistola
seguiti dalla prigione e quindi dal processo. Ma quanto è veramente
colpevole Dominique?
Clouzot non delude, BB mette spesso in mostra le sue beltà, gli
avvocati di parte e il pubblico accusatore sono ben proposti e
ottimamente interpretati, l'ambiente dei giovani del Quartier Latin
del 1960 sommariamente descritto, ma sono i due protagonisti che
indispongono per essere fuori controllo, dispettosi, irrazionali, e
per di più lui (Gilbert, un insipido Sami Frey) è possessivo e
geloso.
A causa di questa ultima ripetitiva situazione il film diventa un
po’ “pesante” e Clouzot avrebbe potuto senz’altro ridurne la durata
(2 ore) ma probabilmente i produttori la pensavano diversamente.
Resta un buon film per i vari suddetti meriti, non fra quelli
memorabili diretti da Clouzot, ho molti dubbi su quanto abbia
meritato la Nomination Oscar.
303 "Le corbeau" (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1943) tit. it.
“Il corvo” * con Pierre Fresnay, Ginette Leclerc, Micheline Francey
*
IMDb 7,7 RT 89%
Tornando al cinema francese di metà secolo scorso, ho recuperato 4
ottimi film (almeno sulla carta) di Clouzot che non avevo ancora
visto (due 100% e due 89% su Rotten Tomatoes) e già questo primo ha
ampiamente superato le aspettative.
Si tratta di un mystery drammatico basato sulla ricerca di un
misterioso “corvo” che con le sue tante lettere anonime riesce ad
avvelenare i rapporti in un'intera cittadina di provincia creando
scompiglio nelle famiglie e fra amanti, facendo sorgere sospetti in
tutti, causando un suicidio, infinite gelosie e tentativi di
aggressioni. Fino all'ultima scena, nonostante in vari momenti possa
sembrare che tutti gli indizi puntino in una chiara direzione, il
corvo riuscirà a non farsi scoprire.
Ottima regia da classico noir francese, supportata da un ampio e
variegato cast, con tanti attori poco noti che tuttavia interpretano
perfettamente i rispettivi ruoli. Una menzione particolare la merita
anche il direttore della fotografia Nicolas Hayer .
Da non perdere!
302 "La noche avanza" (Roberto Gavaldón, Mex, 1952) tit. int.
“Night Falls”, tit. it. “Odio mortale” (!?)
* con Pedro Armendáriz, José María Linares-Rivas, Anita Blanch,
Rebeca Iturbide *
IMDb
7,4 RT 93%
Un film noir messicano della Epoca de Oro che ho voluto ri-guardare
per il particolare ambiente al quale è legato. Un ambiente
estremamente colorito che ho più volte frequentato a Napoli, finché
è stato in piedi lo Sferisterio (messo fuori uso dal terremoto del
1980) e a Città del Messico prima che il Frontón México (location
del film) facesse la stessa fine per il terremoto del 1984. Non per
niente vi dedicai due post (Jai
Alai al Fronton Mexico e
Sferisterio di Napoli) che vi invito a leggere per rendervi
conto un po’ meglio di questo strano mondo che comprende non solo
atleti e semplici appassionati, ma anche scommettitori e tipi loschi
con conseguenti saltuarie combine, favorite anche dal fatto che le
scommesse sono consentite fino all'ultimo punto, con quote variabili
strillate da bookmaker vestiti di bianco con basco rosso, che
incassano le puntate e consegnano le ricevute inserite in palline da
tennis.
In "La noche avanza" il protagonista Marcos (Pedro Armendáriz) è il
più famoso giocatore di jai alai (pelota basca) del momento,
donnaiolo, infedele, bugiardo, arrogante, insomma u bel "tipino".
Dopo aver vinto 26 incontri di seguito e appena prima di trasferirsi
all'estero si trova fra tre storie amorose a dir poco complicate e
viene ricattato per perdere un incontro in modo da poter
approfittare con le scommesse. Riusciranno i ricattatori (che hanno
conti di vario genere in sospeso con Marcos, e anche fra di loro) a
portare a termine i loro diabolici piani? Scagnozzi infedeli e
amanti disperate e vendicative complicano ulteriormente gli
avvenimenti della seconda metà della storia, fino alle varie
sorprese finali.
Più che onesto noir messicano diretto da Gavaldón, con solide
interpretazioni di Pedro Armendáriz e José María Linares-Rivas, ma
anche il resto del cast svolge un buon lavoro.
Consigliato, in particolare a chi gradisce storie in poco conosciuti
ambienti di nicchia.
301 "The Dead" (John Huston, UK, 1987) tit. it.
“Gente di Dublino” * con Anjelica Huston, Donal McCann, Helena
Carroll *
IMDb 7,4 RT 93% * Nomination Oscar per sceneggiatura e costumi
Ultima regia dell’allora 81enne John Houston, il film fu proiettato
in prima mondiale al Festval dii Venezia, appena una settimana dopo
la sua morte. Era stato preceduto da “Prizzi's Honor” (1985) e
“Under the Volcano” (1984), colpi di coda più che buon ma non
eccellenti di una brillante carriera costellata di alti e bassi,
marcata anche da oltre 40 apparizioni come attore.
Sceneggiatura basata su una short story di James Joyce, l’ultima
della raccolta “Dubliners” (1914), nota per aver avuto una
gestazione molto travagliata. Film quasi corale che si svolge in
pochi ambienti e nello spazio di poche ore, nel quale spiccano le
interpretazioni delle eccezionali 3 non più giovanissime e non
troppo famose Helena Carroll (’28), Cathleen Delany (’09) e Marie
Kean (’18).
Molto teatrale, molto irlandese, ben diretto ed interpretato, un
film da guardare (e ascoltare) con attenzione. |