301 * “Full Metal Jacket” (di Stanley
Kubrik, UK-USA, 1987) * con Matthew Modine, R. Lee Ermey, Vincent
D'Onofrio
Penultimo film di Kubrik, terzo e
ultimo di soggetto bellico. Di “Full Metal Jacket” fu regista,
produttore e sceneggiatore, a partire dal romanzo parzialmente
autobiografico di Gustav Hasford “The Short-Timers”, del 1979.
L’autore del libro, ex-marine che aveva anche combattuto in Vietnam,
collaborò all’adattamento cinematografico. Un film ponderato e ben
studiato dal regista newyorkese che è stato uno dei meno prolifici
fra i grandi del cinema eppure uno fra i più apprezzati ... solo 11
film nell’arco di 46 anni (da “Fear and desire”, 1953, a “Eyes wide
shut”, 1999) e 3 corti (a inizio carriera). Quindi fra questo e
l’ultimo trascorsero ben 12 anni, mentre il precedente (“The Shining”,
altro cult) risaliva a 7 anni prima.
Ho scritto “soggetto bellico”, ma di
guerra vera e propria si parla poco, il nocciolo della questione,
come per i due precedenti è l’insensatezza di molti aspetti del
sistema militare e la manipolazione dei soldati ai quali vengono
inculcati a forza, con pressioni psicologiche e talvolta anche
fisiche, alcuni concetti campati in aria, spesso dannosi per i
soldati stessi e chi sta attorno a loro, ma certamente utili a chi
ha il comando.
Dei tre questo è certamente il più
crudo e cruento e ciò è vero sia per la prima parte (addestramento
delle reclute nel “boot camp” dei Marines) che per la seconda,
quando i protagonisti si troveranno a dover agire sul campo, in
prima linea, in Vietnam.
Chiaramente anti-bellico come i
precedenti, comprende anche varie considerazioni sul machismo,
spesso parte integrante dell’addestramento militare.
Oltre all’ottimo sviluppo
dell’argomento, il film è egregiamente diretto e ben interpretato
... da non perdere.
IMDb 8,3 RT 95% *
Nomination Oscar per miglior sceneggiatura * all’87° posto fra i
migliori film di tutti i tempi nella classifica IMDb
302 * “Runaway jury” (di Gary Fleder, USA, 2003) tit. it.
“La giuria” * con John Cusack, Rachel Weisz, Gene Hackman, Dustin
Hoffman
Come quasi tutti i film-thriller del
genere, “Runaway jury” corre sul filo del poco plausibile,
altalenando fra l’incredibile e il quasi impossibile. Di solito i
film esaltano queste pecche, meno evidenti nei relativi romanzi
originali e questo vale ovviamente anche per l’enormemente
sovrastimato Dan Brown, Robert Ludlum e soci.
Come ho anticipato, anche in questo
caso il regista ha esagerato-spettacolarizzato i pochi scontri
fisici, l’inseguimento e le poche scene d’azione. Secondo me,
avrebbe ottenuto un risultato molto migliore se si fosse attenuto di
più alla essenza della trama (ottima) fatta di misteri, ricatti,
sospetti, e trappole. Per l’ennesima volta l’adattamento
cinematografico è molto inferiore al testo originale.
“Runaway jury” è la trasposizione
cinematografica dell’omonimo romanzo scritto nel 1996 da John
Grisham (dai suoi libri sono stati tratti anche “Il socio”, “Il
rapporto Pelican”, “L’uomo della pioggia”, “Il cliente”).
Nel suo genere resta comunque un
buon film, ben interpretato, con Gene Hackman che sovrasta
nettamente gli altri.
IMDb 7,1 RT 72%
303 * “Anna Karenina” (di Julien Duvivier, UK, 1948) * con Vivien
Leigh, Ralph Richardson, Kieron Moore
L’omonimo romanzo di Lev Tolstoj del
1877, è stato proposto in una dozzina di versioni cinematografiche,
la metà dell’epoca del muto, e numerosi adattamenti per la
televisione. Greta Garbo ne è stata l’interprete più famosa e ha
ricoperto il ruolo di Anna Karenina due volte, per l’ultimo muto
(1927) e il primo sonoro (1935) e per molti anni è stata il termine
di paragone per le attrici protagoniste degli adattamenti
successivi. A quanto ho letto, questo di Julien Duvivier è quello
più fedele al testo originale, pur distaccandosene in vari punti.
In quanto a carisma, certamente
Vivien Leigh (la Scarlett di “Via col vento) è perfetta per il
ruolo, attirando l’attenzione di tutti, dovunque si trovi. Bravo
Ralph Richardson nelle vesti del marito, abbastanza deludente e
scialbo Kieron Moore che interpreta il conte Vronsky, amante di
Anna.
Le scene ambientate a Mosca e San
Pietroburgo, sono ben ricostruite, così come notevoli sono i costumi
e la cura dei dettagli. Al contrario, le scene legate al treno sono
veramente pessime, degne di un muto di serie B.
Interessante, nonostante sia un po’
deprimente ...
IMDb 6,7
304 * “Salvatore Giuliano” (di Francesco Rosi, Ita, 1962) * con
Salvo Randone, Pietro Cammarata, Federico Zardi, Frank Wolff,
Altro ottimo film-quasi documentario
di Francesco Rosi, stavolta ambientato nella Sicilia del dopoguerra
e avente come protagonista Salvatore Giuliano ... il “bandito
Giuliano”. Pur essendo molto preciso in quanto a date, nomi e
avvenimenti principali, non si deve prendere per oro colato tutto
quanto si vede sia perché è impossibile descrivere dettagliatamente
una storia così ricca che coinvolge tante persone, sia e soprattutto
perché molto della storia di Giuliano non si conosce.
Il film inizia proprio con le scene
di un avvenimento certo - la sua uccisione - che a tutt’oggi non è
stato completamente chiarito ed è stato coperto dal “segreto di
stato” fino a pochi mesi fa, così come la strage di Portella della
Ginestra (1 maggio 1947, con 11 morti e 27 feriti) attribuita alla
banda di Giuliano. Ai flashback che trattano dei suoi ultimi anni di
vita seguono numerose scene del processo tenutosi a Viterbo per il
suddetto massacro, che vedeva sul banco degli imputati il braccio
destro di Giuliano (Gaspare Pisciotta), i suoi luogotenenti e tanti
“picciotti” arruolati quasi per forza.
In questa seconda parte del film
Rosi comincia a mettere in luce la rete di connivenze fra mafia,
politica, polizia e carabinieri che, in un modo o nell’altro,
tentarono di sfruttare la fama e le azioni di Giuliano a proprio
vantaggio. Chiaramente vengono presentate varie ipotesi,
affermazioni poi ritrattate, accuse non dimostrate e, alla fine dei
conti, l’unica verità inconfutabile è quella utilizzata da
giornalista Tommaso Besozzi come titolo della notizia apparsa il
giorno dopo l’uccisione “Di sicuro c’è solo che è morto”.
Il film, molto realistico per essere
stato girato nei veri luoghi degli avvenimenti trattati e per
l’impiego di tanti attori non professionisti scelti fra i residenti
di Montelepre e Castelvetrano, è comunque estremamente utile per
solleticare i curiosi ad approfondire vari argomenti che,
specialmente oggi, pochi conoscono come il movimento indipendentista
siciliano (MIS), il suo braccio armato (ELVIS), i contatti
mafia-truppe alleate, fino al misterioso avvelenamento nel carcere
dell’Ucciardone di Gaspare Pisciotta, dopo che questi aveva
pubblicamente minacciato di svelare i nomi dei veri mandanti della
strage di Portella della Ginestra.
Un pezzo di storia italiana poco
conosciuto, tanti misteri che non verranno mai svelati.
Quasi obbligatorio guardarlo ... e
con attenzione.
IMDb 7,5 RT 100%
305* “Batman begins” (di Christopher Nolan, USA, 2005) * con
Christian Bale, Michael Caine, Ken Watanabe, Morgan Freeman, Gary
Oldman, Tom Wilkinson, Cillian Murphy, Cathy Holmes, Rutger Hauer
L’avevo visto una decina di anni fa
e non mi aveva entusiasmato, l’ho rivisto ieri in versione originale
e il giudizio non è cambiato, al contrario, mi è sembrato ancora
peggiore di quanto mi ricordassi. La storia è traballante, gli
inseguimenti (immancabili nei film d’azione americani) rasentano il
ridicolo, nessun attore è all’altezza dei suoi precedenti film (e
non c’è la scusa del doppiaggio), le scene di scontro fisico sono
troppo veloci e spezzettate e quindi poco coinvolgenti. Con il cast
(vedi sopra) ed il budget a disposizione (150 milioni di dollari)
Nolan avrebbe dovuto fare molto di meglio.
Pur ammettendo che il mio giudizio
possa essere condizionato dal fatto che questo genere di film non
sono i miei preferiti, senz’altro molti saranno d’accordo nel dire
che i successivi due della serie (“The Dark Knight” e “The Dark
Knight rises”), così come “Inception” sono nettamente migliori di
“Batman begins”.
IMDb 8,3 RT 100% * al 110° posto
nella classifica dei film di tutti i tempi IMDb
306* “Schindler's list” (di Steven Spielberg, USA, 1993) * con Liam
Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes
C’è molto poco da aggiungere ai
fiumi di parole già scritti in merito a questa opera maestra di
Spielberg.
Ottime le interpretazioni dei tre
attori principali, come spesso accade per Kingsley e Fiennes, più
sorprendente per Liam Neeson.
Le oltre 3 tre ore scorrono in
fretta, anche se certo non posso dire “piacevolmente” visto il tema.
Ottima la fotografia e la scelta del
bianco e nero, con solo un paio di tocchi di colore (famoso il
cappottino rosso della bambina).
Imperdibile!
IMDb 8,9 RT 100% * 7 Oscar e 5
Nomination * al 6° posto nella classifica dei film di tutti i tempi
IMDb
307* “Shaolin” (di Alan Yuen, Cina, 2011) * con Andy Lau, Nicholas
Tse, Jackie Chan, Bingbing Fan, Wu Jing
Questo è un film che ha i suoi
meriti nel volersi distaccare dai film classici di arti marziali,
aggiungendo un po’ di filosofia/spiritualità, un po’ di commedia con
l’ineffabile Jackie Chan in un ruolo a lui poco comune ma nel quale
riesce bene, e tanto melodramma (forse un po’ troppo). Buoni gli
attori, così come le scenografie.
Tuttavia, proprio per questo voler
mettere tutto insieme, Alan Yuen ha scontentato tutti. Gli amanti
dei combattimenti poco hanno gradito la parte lacrimevole e
religiosa, mentre quelli che hanno apprezzato la parte drammatica
non sono stati certo contenti dei tanti scontri fisici, con bastoni,
con spade e anche con armi da fuoco.
Un film per niente malvagio, ma
consigliato solo a chi riesce a “sopportarne” i vari aspetti,
riassumibili in tre parole: lacrime, sangue e religione.
IMDb 6,9 RT 74%
308 * “Under suspicion” (di Stephen Hopkins, USA, 2000) * con Morgan
Freeman, Gene Hackman, Monica Bellucci, Thomas Jane
Due eccellenti attori con
interpretazioni all’altezza della loro fama e un’avvenente “attrice”
che notoriamente non riesce a recitare nella sua lingua - e in
inglese (non doppiata) è assolutamente inespressiva - in un pessimo
remake americano di un buon film francese del 1981: “Garde à vue”
(di Claude Miller, tit. it. “Guardato a vista”).
La confusione fra remake e titoli
(spesso mal tradotti, come è ben noto) aumenta con il fatto che
esiste un altro “Under suspicion” (film inglese del 1991 con Liam
Neeson) che niente ha a che vedere con gli altri due, invece
entrambe tratti dal romanzo di John Wainwright “Brainwash” (1979)
edito in Italia nel 1981 come “Lavaggio del cervello” (stavolta
traduzione letterale) e riedito nel 2011 come “Stato di fermo”.
Quindi film omonimi che non hanno
niente in comune, remake con titoli diversi fra loro e diversi dal
romanzo dal quale sono tratti, edito in Italia con titoli differenti
... perché?
Le palle al piede di questo “Under
suspicion” sono la pessima regia e l’inadeguatezza di Monica
Bellucci (ruolo interpretato da Romy Schneider nel 1981) mentre
Freeman e Hackman reggono il confronto con Lino Ventura e Michel
Serrault. L’ambientazione “esotica” a San Juan de Puerto Rico in una
notte di festa non è significativa quanto la notte dell’ultimo
dell’anno a Parigi. La regia e il montaggio con continui e repentini
cambi di scena dalla stazione di polizia ai luoghi dei delitti, con
l’immaginaria incombente presenza dell’ispettore, rasenta il
ridicolo.
In conclusione, è evidente che
neanche Morgan Freeman e Gene Hackman riescono a salvare questo film
molto scadente.
IMDb 6,5 RT 49%
309 * “Amalia - o filme” (di C. Coelho da Silva, Por, 2008) * con
Sandra Barata Belo, Carla Chambel, Ricardo Carriço
Film per niente disprezzabile basato
sulla vita della più famosa fadista di tutti i tempi: Amalia
Rodrigues, nota anche come la "Rainha do Fado" (Regina del Fado).
Inizia e finisce in una stanza
d'albergo di New York, nella quale la cantante, allora 64enne, è in
attesa di un responso medico. A partire da quel punto, con l'ansia
di chi ha già tentato varie volte il suicidio, si ripercorrono
numerosi momenti salienti della sua vita a iniziare da quando,
bambina, cantava per le strade nei dintorni del porto di Lisbona e
dalla separazione (momentanea) dai genitori, per poi passare a
esibirsi nei “retiros”, nei locali di tutto il Portogallo ed infine
nei più famosi teatri del mondo (dal Teatro Real de Madrid, al Radio
City Music Hall di New York, all’Olympia di Parigi). Chiaramente,
nelle quasi due ore del film si ascoltano strofe di quasi tutti i
fado più famosi, ma la musica non diventa mai invadente o
predominante.
La storia è inevitabilmente
spezzettata visto che sviluppa nell’arco di una settantina di anni.
La scelta di far interpretate le sorelle Rodrigues alle stesse
attrici (Sandra Barata Belo/Amalia e Carla Chambel/Celeste) dai 20
agli oltre 70 anni è stata una scelta, forse dettata da un budget
limitato, azzardata in quanto, seppur brave, non sono sostenute da
un trucco adeguato. Celeste, di 3 anni più giovane di Amalia, anche
lei fadista e tuttora in vita (93 anni) ha avuto un ruolo importante
nella vita della sorella e quindi anche nel film.
Imperdibile per chi apprezza il fado
e di conseguenza ammira Amalia Rodrigues, piacevole per il resto del
pubblico
IMDb 6,4
310 * “Rodrigo D: No Futuro” (di Víctor Gaviria, Col, 1990) * con
Ramiro Meneses, Carlos Mario Restrepo, Jackson Idrian Gallego
Film colombiano molto poco
convincente, troppo soft sull’ambiente che vorrebbe descrivere (i
giovani della periferia degradata di Medellin), ben lontano da altri
film di argomento simile come “Los olvidados” (di Luis Buñuel, 1950,
Mex), “Los golfos” (di Carlos Saura, 1960, Spa, tit. it. “I monelli”
traduzione indecente) o il relativamente più recente “Pixote” (di
Hector Babenco, 1981, Bra).
Le intenzioni erano quelle di
produrre un “Cinéma vérité”, utilizzando luoghi reali e attori non
professionisti scelti fra i ragazzi locali (6 dei 9 protagonisti
sono morti ammazzati prima di aver compiuto 20 anni).
Il film è slegato e privo di
continuità, a dispetto di il titolo non ha un vero e proprio
protagonista, i vari fatti non sono strettamente collegati fra loro
e, pur volendo focalizzare l’attenzione dello spettatore su
quell’ambiente di quasi emarginati, ne fornisce una immagine fin
troppo edulcorata, nonostante un paio di rapine non violente e gli
spari conclusivi.
Collegata alle ambizioni di Rodrigo
di diventare batterista di un gruppo punk-metal di stile colombiano
e questo tipo di musica (adattata alla realtà locale) è quella che
fa da sottofondo, ... per rendersene conto basta leggere i nomi
delle band e dei pezzi nei fermo-immagine fra le foto, come
Necromantic, Blasfemia, Sacrilegio, Mierda che eseguono Existencia
putrefacta, Violentas arenas e No te desanime, matate (non penso sia
necessaria la traduzione).
L’ho guardato dopo aver letto
numerose recensioni positive e per la sua Nomination alla Palma
d’Oro a Cannes 1990, ma devo dire che sono rimasto molto deluso.
IMDb 7,0
311 * “The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford”
(di Andrew Dominik, USA, 2007) * con Brad Pitt, Casey Affleck, Sam
Shepard
Film “quasi-western” a dir poco
anomalo questo di Dominik, con lunghissimo titolo che non lascia
spazio a sorprese. Della carriera avventurosa-criminale di Jesse
James svela e fa vedere ben poco, concentrandosi quasi
esclusivamente sui rapporti all’interno della banda, fra ammirazione
smodata che diventa quasi venerazione, gelosie, tradimenti e
vendette. Questo approccio lo rende quindi particolare ed il
proseguimento della storia dopo l’assassinio di Jesse James è a dir
poco sorprendente. Il film sembra essere abbastanza preciso e vicino
alla realtà, anche se ha ricevuto varie critiche dai biografi più
pignoli.
Complessivamente è piacevole, ma
risulta un po’ lento anche perché appesantito dalla voce fuori
campo. Bella la fotografia, caratterizzata da colori quasi virati al
seppia, specialmente per quanto riguarda gli esterni girati in
Canada (giudicati più simili a come doveva essere il midwest di fine
‘800).
Dominik è un regista neozelandese
molto poco prolifico, solo 3 film fra il 2000 ed il 2012 ed solo da
poco il mese scorso è giunto nelle sale il suo quarto lavoro, un
documentario avente come protagonista Nick Cave.
IMDb 7,5 RT 76% *
2 Nomination Oscar: Casey Affleck (non protagonista) e Roger Deakins
(fotografia)
312 * “How to Train Your Dragon 2” (di Dean DeBlois, USA, 2014) aka
“Dragon Trainer 2” * animazione
Ogni tanto un buon film d’animazione
non guasta. Questo è uno di quei sequel che riesce a rimanere allo
stesso ottimo livello del primo della serie.
Pur essendo per lo più scontato come
quasi tutti i cartoon ci sono varie svolte e sorprese e la parte
sentimentale/familiare/lacrimevole è un po’ stucchevole, ma sono i
disegni quelli che contano, forse ancor più dell’animazione.
La varietà di draghi è fantastica,
di dimensioni molto diverse, colori quasi sempre sgargianti,
somiglianze con animali reali le cui sembianze sono adattate con
l’aggiunta delle necessarie ali, artigli, denti affilati, creste,
aculei e code. Date un’occhiata alle foto allegate ...
Nomination Oscar miglior film
d’animazione nel 2015
IMDb 7,9 RT 97%
313 * “El coronel no tiene quien le escriba” (di Arturo Ripstein,
Mex, 1999) tit. it. “Nessuno scrive al colonnello” * con Fernando
Luján, Marisa Paredes, Salma Hayek
Un discreto film, adattamento
cinematografico dell’omonimo romanzo breve di Gabriel García Márquez
del 1961, il quale sostiene che sia il miglior scritto.
Ho trovato ottima l’ambientazione
nel desolato paesino colombiano sulla sponda di un fiume che scorre
placidamente nella selva, con personaggi credibili, edifici più o
meno in rovina e tanta pioggia e conseguente fango. La trama, il
dramma e l’ambiente quindi ben si adattavano allo stile di Ripstein,
uno dei più apprezzati registi messicani viventi, il quale spesso
tratta di storie quasi estreme come in “El castillo de la pureza”,
in “Un lugar si limites” o nel recente “La calle de la amargura”).
Consiglio di guardarlo con
attenzione e cogliere le sfumature dei caratteri dei personaggi e
degli avvenimenti ma, trattandosi di un adattamento, solo chi ha
letto il libro potrà apprezzare (o meno) le aggiunte e le variazioni
effettuate da Ripstein.
Nomination Palma d’Oro a Cannes,
vincitore al Sundance
IMDb 6,9
314 * “Rosario Tijeras” (di Emilio Maillé, Col, 2005) * con Flora
Martínez, Unax Ugalde, Manolo Cardona
Della serie di film latinoamericani
visti in questi giorni, questo era il meno promettente ma devo
confessare che, al contrario, mi è piaciuto più di molti altri. Solo
pochi giorni fa avevo guardato “Rodrigo D.: no fututro” ambientato
come questo a Medellin, Colombia, cittadina molto movimentata (per
usare un eufemismo). Ho trovato “Rosario Tijeras” (nome e soprannome
della protagonista) avvincente, di ottimo ritmo e pieno di sorprese,
oltre che di interessanti scene piene di colore locale (moderno)
dalla movida notturna allo spaccio, dalle pistolettate facili
all’apoteosi delle scene del morto che, dopo il funerale, viene
portato in giro per locali vestito a festa a “bere e a divertirsi”.
La pecca maggiore è che per
raccontare troppo (gli eventi e gli intrecci son tanti) molte cose
non sono spiegate abbastanza chiaramente e l’osservatore esterno
resta quindi spesso confuso. Per i colombiani è invece tutto molto
più chiaro, e infatti in patria ebbe un gran successo tant’è che
dopo pochi anni ne fu fatta una serie tv.
Chi è interessato a sapere qualcosa
del sud Americanon se lo dovrebbe perdere. In Europa è sicuramente
uscito in Francia, Polonia, Spagna e Germania partecipando anche a
vari Festival, non sembra sia giunto in Italia ma si trova su
YouTube.
IMDb 6,4
315 * “La nona” (di Héctor Olivera, Arg, 1979) * con Pepe Soriano,
Juan Carlos Altavista, Osvaldo Terranova
Una nonna (quella del titolo, in
castigliano la doppia “n” non esiste) ultracentenaria,
indistruttibile e perennemente affamata, immigrata dall’Italia, nel
film si parla di Catanzaro. Un nipote Chicho (Ciccio) che vede il
lavoro come la morte e, pur di non lavorare tenterà in ogni modo di
liberarsi della nonna (che “consuma” troppo) escogitando metodi
inusuali, crudeli, impensabili e improponibili.
Completano la famiglia Carmelo,
l'unico che lavora, Anyula (pron. Angiùla), Maria e l'avvenente
giovane nipote Marta che dice di lavorare, spesso in turni di notte,
ma non è chiaro quale sia il suo vero mestiere ... anche se qualche
sospetto sorge agli spettatori.
La nonna parla quasi esclusivamente
in italiano, con accento meridionale, che ben si mischia con
l’argentino..
Come in ogni commedia alcune
situazioni sono esagerate, ma il film procede snello proponendo una
lunga serie di tentativi di disfarsi della nonna da parte dei
parenti. Divertente senza cadere nel banale e tantomeno nel volgare,
per gli argentini è un film classico, del quale esiste anche la
versione teatrale.
IMDb 7,2
316 * “Guardafronteras” (di Octavio Cortázar, Cuba, 1981) * con
Javier González, Tito Junco, Alberto Pujol
Uno dei pochi film cubani degli anni
‘80, chiaramente di propaganda. Un piccolo drappello di militari
(più o meno coscritti, non di carriera) viene dislocato su una della
tante piccole isole (cayos) poco distanti dalla costa settentrionale
di Cuba, “a 90km dal nemico” (USA).
Lasciati su una spiaggia con poco o
niente, mancano anche i viveri, sono a guardia dei “pirati”, così
identificati nel corso di tutto il film, ma si tratta in effetti di
controrivoluzionari visto che sull’isola deserta non c’è niente di
economicamente rilevante. Dopo la prima mezz’oretta di addestramento
(ben diverso da quello dei marines di Full Metal Jacket), quando
sembra che le due ore debbano scorrere solo mostrando i problemi
dell’accampamento, c’è la prima incursione con conseguente scambio a
fuoco e altri seguiranno fino alla fine.
“Guardafronteras” non è certo
memorabile e neanche rilevante dal punto di vista cinematografico
(eppure non del tutto disprezzabile) ma il suo interesse risiede
proprio nel fatto di essere un film di regime che in molte occasioni
diventa propaganda pura, specialmente nei dialoghi fra il sergente
(l’unico militare di carriera ed il solo con un minimo di
esperienza) e un giovane abbastanza colto e preparato per questo
soprannominato “politico”,.
Il film rappresenta una delle poche
occasioni di conoscere almeno uno spaccato di ciò che accadeva a
Cuba nei primi anni ’80 e per questo è estremamente interessante.
IMDb 6,6
317 * “La ciénaga” (di Lucrecia Martel, Arg, 2001) * con Mercedes
Morán, Graciela Borges, Martín Adjemián
Una vera perdita di tempo, film
senza né capo né coda, aventi per protagonisti i membri di due
famiglie benestanti e molto numerose, che oziano nel caldo afoso e
umido dell’entroterra argentino, quasi al confine con la Bolivia.
In un ambiente quasi oppressivo così
come l’aria, con qualche acquazzone che non solo non rinfresca
l’aria ma ne accresce l’umidità, si seguono i “ragazzi” dai bambini
agli ultraventenni in dentro e fuori le grandi case di campagna, in
un turbinio di incontri, fra un incidente e l’altro, gli adulti
continuano a lamentarsi del caldo, a confidarsi i loro problemi e a
bere alcoolici.
Veramente scadente, mi hanno
ingannato il 7,0 su IMDb, l’86% di critiche positive su Rotten
Tomatoes e i numerosi premi e Nomination ottenuti non solo in patria
e nel vicino Uruguay, ma anche a Berlino e al Sundance.
A mio modesto parere ve lo potete
perdere senza alcun rimpianto.
IMDb 7,0 RT 86%
318 * “El chacal de Nahueltoro” (di Miguel Littin, Cile, 1969) * con
Nelson Villagra, Shenda Román, Marcelo Romo
Sembra iniziare in modo incerto, ma
in effetti penso che è solo un disorientamento per il modo nel quale
è porta la storia. Accompagnato dalla narrazione in prima persona
della vita di Jorge (detto anche José) Valenzuela, alias el Chacal
de Nahueltoro, lo spettatore viene edotto in merito alla tribolata
infanzia del protagonista, al suo volontario allontanamento da casa,
alle sue peregrinazioni ed infine al delitto plurimo. In questa
seconda parte contribuiscono chiarire gli avvenimenti le domande del
giudice nel corso del processo e, una volta in prigione, le
interviste di un giornalista.
Man mano che il film procede si
apprezza sempre di più l’abilità del regista nel mostrare lo stretto
necessario senza indulgere in nessuna scena di violenza, fra
finzione scenica e documentario. Riesce cercare di rivelare la parte
umana del Chacal che sembra coinvolgere quasi tutti quelli che
entrano in contatto con lui, dal prete al giornalista, dai compagni
di prigione al direttore, fino alla significativa scena finale. Un
film crudo, basato su eventi reali avvenuti nel 1960 e conclusisi
con la fucilazione del Chacal nel 1963.
Prodotto dalla scuola di Cine
Experimental de la Universidad de Chile, riportò l’attenzione sulle
polemiche che seguirono alla fucilazione in quanto a molti sembrava
un controsenso riabilitare completamente un detenuto (anche se
colpevole di un efferato pluriomicidio) per poi fucilarlo.
Penso sia necessario spendere
qualche parola in più per Miguel Littin, del quale qualche vecchio
cinefilo dovrebbe ricordare almeno il nome. Diresse alcuni fra i
pochi film cileni giunti in Europa e in Italia e faceva parte del
movimento del Nuevo Cine Chileno, con registi come Aldo Francia e
Raúl Ruiz, ha ottenuto due Nomination al Festival di Cannes e due
premi a quello di Venezia.
Littin dovette scappare dal Cile nel
’73 a seguito del golpe di Pinochet, trasferendosi prima in Messico
e poi in Spagna. Dopo 10 anni di dittatura, Pinochet permise ad un
certo numero di oppositori di rientrare in patria, ma Littin non era
nella lista. Così decise di ritornare clandestinamente e riuscì
anche a girare un documentario sulla dittatura. Gabriel García
Márquez gli propose di scrivere un libro sulla sua esperienza e così
nacque “La aventura de Miguel Littín clandestino en Chile”,
pubblicato nel 1986. Ma anche il libro era più o meno clandestino in
patria e pare che Pinochet riuscì a farne bruciare 15.000 copie.
Imperdibile per i cinefili. Prima
dell'oggi acclamato Larrain, e senza nulla togliere ai suoi meriti,
in Cile esisteva Miguel Littin.
IMDb 7,6
319 * “Little Men” (di Ira Sachs, USA, 2016) * con Michael Barbieri,
Theo Taplitz, Greg Kinnear, Jennifer Ehle, Paulina García
Buon film, quasi acclamato dalla
critica, ma secondo me incompleto. La storia si sviluppa
velocemente, ma con pochi avvenimenti e suprficiale analisi dei
personaggi. Occasione sprecata visto che, tolti i titoli, dura
appena 80 minuti e quindi c’era ancora una mezz’oretta a
disposizione rimanendo ben sotto le due ore. Storia di vita
“normale” newyorkese che coinvolge due famiglie, una composta solo
da madre e figlio e l’altra da una coppia con figlio più una sorella
del padre. Si incontrano in occasione della morte di una persona
legata ad entrambe e si scontrano su questioni di diritto e
soprattutto economiche. Ciò tuttavia vale solo per gli adulti e non
certo per i due ragazzi 13enni che diventano grandi amici ed il
titolo del film li vorrebbe far apparire più maturi dei loro
genitori.
Considerando che si tirano in ballo
anche il rinnovamento dei quartieri come Brooklyn, il fallimento
dell’artigianato anche se di qualità (in questo caso una sartoria),
gli insuccessi di un genitore che viene quasi mantenuto dalla moglie
affermata professionista e le aspirazioni artistiche dei due
adolescenti appare subito chiaro che sulla stessa trama si poteva
costruire ben altro film.
Bravi i giovani Michael Barbieri e
Theo Taplitz, con il primo che si distingue in particolar modo.
Parlo di entrambi e di un’altra giovane promessa
in questo post
Al momento non è annunciato in
Italia.
IMDb 7,2 RT 98%
320 * “Un monstruo viene a verme” (di J. A. Bayona, Spa-USA, 2016)
tit. int. “A Monster calls” * con Lewis MacDougall, Sigourney Weaver,
Felicity Jones
Altro ottimo film del regista
catalano Juan Antonio Bayona, già noto al grande pubblico per “El
orfanato” e “The impossible”, appena arrivato nelle sale dopo varie
proiezioni nei festival, ho letto che in Italia sarà distribuito
dalla Lucky Red ma non si sa quando uscirà, si dice in primavera
2017.
Definirlo un film per ragazzi mi
sembra arrischiato pur essendo tratto dall'omonimo romanzo di
Patrick Ness (“A Monster Calls”, 2011) che a vinto vari premi di
letteratura giovanile. In Italia è stato pubblicato con il nome
“Sette minuti dopo la mezzanotte” e probabilmente questo sarà anche
il titolo italiano del film.
Il giovane Lewis MacDougall mi è
sembrato straordinariamente bravo per la sua età in particolare se
si considera il difficile e drammatico ruolo che si è trovato ad
interpretare, Conor, un ragazzo pressoché solo, con una madre malata
terminale (F. Jones), un nonna autoritaria (S. Weaver) che appare di
tanto in tanto a dettare legge e, come se non bastasse, i bulli che
lo “martirizzano” a scuola.
Parlo di MacDougall e di un altro paio di suoi promettenti coetanei
in questo post
Il film è visualmente affascinante,
la casa si trova nella brumosa campagna inglese e il panorama dalla
finestra di Conor include campi più o meno desolati, una recinzione
con un cancello, un cimitero, un vecchio edificio cadente ed un
grande tasso (albero) che si anima e viene a confrontarsi con il
ragazzo.
Di solito i film nei quali si
mischiano attori e disegni, non sono fra i miei preferiti, ma questo
ha due pregi: c’è un unico “mostro” (l’albero) e l’altra parte
disegnata e animata (egregiamente) si riferisce solo a storie che il
tasso racconta a Conor.
Allo spettatore attento non sfugge
che al di là del dramma vissuto dal ragazzo, un altro fondamentale
messaggio viene comunicato attraverso le “parabole” narrate dal
“mostro”, che con sottile logica sovvertono e capovolgono la trama
tradizionale e, per estensione, contrastano con i modi di fare
abituali, spesso illogici e non sinceri.
Fra l’attesa di una morte annunciata
ed ineludibile e la profondità delle suddette storie non penso che i
coetanei di Conor possano cogliere il valore del film e
probabilmente non lo gradiranno. Al contrario, gli adulti attenti,
pensanti e con un gusto per l’immagine ne saranno probabilmente
entusiasti.
Buona l’animazione, ottimi i disegni
“acquerellati” delle storie e l’interpretazione di Lewis MacDougall/Conor,
eccellente la regia.
Da non perdere ... e fate attenzione
alle foto di famiglia mostrate al termine del film, dove compare
l’attore che dà voce al “mostro”.
IMDb 7,7 RT 83%
321 * “La bête humaine” (di Jean Renoir, Fra, 1938) tit. it. “La
bestia umana” * con Jean Gabin, Julien Carette, Simone Simon
Classico noir francese, tratto da un
altrettanto classico romanzo di Emile Zola. La vera protagonista è
la bella e giovane Simone Simon che con la sua avvenenza riesce a
manipolare gli uomini che le stanno attorno. A tal proposito è
significativo il titolo alternativo utilizzato in UK dal significato
molto chiaro e certamente misogino “Judas Was a Woman” (Giuda era
una donna) a sottolineare la falsità della protagonista Séverine.
Questa, però, alla fine avrà a che fare con il quasi squilibrato
Jacques Lantier (interpretato da Jean Gabin).
Per lo più si svolge in ambito
“ferroviario” con suo marito capostazione e amante macchinista, un
delitto e un suicidio in treno, molte scene nella locomotiva (a
vapore), nelle carrozze, nelle stazioni e fra i binari.
Non è imperdibile, ma certamente un
ottimo film nel suo genere e per quell’epoca.
IMDb 7,7 RT 93%
322 * “Mulholland drive” (di David Lynch, USA, 2001) * con Naomi
Watts, Laura Harring, Justin Theroux
Film che all’inizio sembra avere una
storia banale, già sfruttata tante volte, a partire da qualcuno che
perde la memoria e non ricorda neanche il proprio nome. Anche il
fatto che tutto inizia proprio nel momento nel quale la protagonista
sembra stia per essere uccisa, non è proprio una novità, ma nelle
successive due ore succederà di tutto e di più, con intrecci di
storie, personaggi che appariranno in scene significative le cui
ragioni sono però molto difficili da comprendere. In questa lunga
carrellata di eventi - spesso violenti - e di strani coprotagonisti,
lo spettatore comincia a perdersi per poi ricevere il “colpo
conclusivo” negli ultimi minuti quando le sue ipotesi di possibili
collegamenti logici (se fosse riuscito ad elaborane) crollano in
conseguenza del colpo di scena finale.
Questa struttura inusuale della
storia, scritta dallo stesso Lynch, ha portato il regista ad essere
osannato da molti e pesantemente criticato da tanti, pochissimi sono
quelli che rimangono indifferenti dopo aver guardato “Mulholland
drive” che in varie classifiche compare al primo posto fra i
migliori film degli anni 2000.
Se vi volete scervellare e divertire
(vari eventi collaterali sarebbero degni di un’ottima commedia) non
ve lo perdete per nessuna ragione al mondo, ma se siete di quelli
che vogliono sempre trovare una spiegazione logica e certa a tutto
evitatelo.
Lynch si è sempre rifiutato di
chiarire i tanti dubbi che inevitabilmente sorgono negli spettatori,
dicendo che quello era proprio il suo obiettivo ... spiazzarli.
IMDb 8,0 RT 88% Nomination Oscar per
Lynch, miglior regia
323 * “La primera carga al machete” (di Manuel Octavio Gómez, Cuba,
1969) * con Adolfo Llauradó, José Rodríguez, Idalia Anreus
Come quasi tutti i film cubani
prodotti nell’era castrista, anche questo ha una decisa connotazione
politica anche se non proprio di propaganda. Infatti, si riferisce
alla prima rivoluzione cubana (1868) alla quale seguì la cosiddetta
Guerra dei 10 anni che si concluse con la sconfitta dei cubani.
Questi dovettero attendere fin quasi alla fine del secolo prima di
liberarsi del regime spagnolo.
La tecnica è interessante ed
apprezzabile in quanto durante tutta la prima ora si alternano
ricostruzioni di eventi e incontri (più che plausibili ma non
storicamente certi) e vere e proprie brevi interviste non solo a
militari e possidenti, ma anche campesinos e rivoluzionari.
Singolare è anche il montaggio con
l’alternanza dei bollettini di guerra delle opposte fazioni, che
ovviamente descrivono gli avvenimenti in modo completamente diverso,
mentre sullo schermo scorrono le immagini che, ovviamente,
avvalorano il punto di vista rivoluzionario.
Il film si perde un po’ verso la
fine, quando si dilunga troppo sullo scontro conclusivo.
Storicamente molto interessante,
anche se quanto esposto deve essere filtrato dopo aver approfondito
almeno un po’ l’argomento leggendo cronache di diversa origine.
Belle anche le riprese esterne nelle strade e nei palazzi di epoca
coloniale.
Interessante anche ascoltare il
panegirico del machete, strumento che diventa quasi un'estensione
del braccio di qualunque lavoratore cubano, che lo usa per tutta la
vita nei modi più disparati. Al film è stato perfino dedicato un
francobollo (fra le foto).
IMDb 6,9
324 * “El hombre de Maisinicù” (di Manuel Pérez, Cuba, 1973) * con
Mario Balmaseda, Miguel Benavides, Rogelio Blain
A differenza di “La primera carga al
machete” visto appena prima, questo ha taglio molto più
documentaristico narrando con dovizia di particolari la storia di
Alberto Delgado y Delgado, rivoluzionario infiltrato fra le fila dei
“bandidos” (controrivoluzionari) e diventato eroe per aver fatto
arrestare molti di loro.
Accesissime sono le discussioni e
gli scontri verbali, in particolar modo fra quelli che non
accettavano il regime castrista.
Ovviamente, anche in questo caso,
essendo il film prodotto dall’Instituto Cubano del Arte e Industrias
Cinematográficos e quindi di regime, viene fornita una versione
(quella ufficiale cubana) molto pro-rivoluzione, ma altre fonti
raccontano la storia da un differente punto di vista, in alcuni
punti sostanzialmente diverso. In
questo documento
potrete conoscere molto di più di quanto avrete appreso guardando le
immagini e ascoltando i frequenti commenti della voce fuori campo a
riguardo delle azioni di Delgado, il cosiddetto “hombre de Maisinicù”,
personaggio assolutamente reale.
In conclusione, anche in questo caso
l’interesse è soprattutto storico in quanto si narrano avvenimenti
dei quali “in occidente” si è sempre saputo molto poco e quel poco
era molto di parte, qualunque fosse la fonte.
IMDb 7,4
325 * “Habana blues” (di Benito Zambrano, Cuba, 2005) * con Alberto
Yoel, Roberto San Martín, Yailene Sierra
Dopo tre film “classici” cubani
guardati in pochi giorni, eccone uno di appena una decina di anni
fa, scelto per le mediamente buone recensioni, che tuttavia mi ha
parecchio deluso. Non lasciatevi ingannare dal titolo ... non è un
film propriamente musicale, ce n’è per fortuna poca e di non eccelsa
qualità ed anche gli interpreti sono abbastanza scadenti, insomma
non ha niente di neanche lontanamente simile a “Buena Vista Social
Club”.
Anche i vari componenti del
relativamente numeroso gruppo musicale al quale viene offerta la
possibilità di andare in Spagna per una tournee e per produrre un
disco sono descritti in modo superficiale e confuso. Verso la fine
si toccano temi “sensibili” come “l’orgoglio cubano” e l’emigrazione
clandestina via mare in Florida.
Anche se prodotti con mezzi
scarsissimi e spesso troppo didascalici, i film del secolo scorso
sono di tutt’altro livello.
IMDb 7,2
326 * “Doctor Strange” (di Scott Derrickson, USA, 2016) * con
Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Mads Mikkelsen, Tilda
Swinton, Rachel McAdams
Ennesimo prodotto della Marvel che,
almeno a me che non sono assolutamente un lettore di questo tipo di
comics ma apprezzo i film ben fatti e anche gli effetti speciali
innovativi, è sembrato abbastanza diverso dai soliti. “Doctor
Strange” si è rivelato quasi perfetto per avere trama non proprio
banale (p.e. solo scontri buoni vs cattivi), ma un mix di piccole
dosi di filosofia, di metafisica, di esoterismo, separazione di
mente e corpo, volontà che trascende la scienza e, per fortuna,
senza eccessivi scontri e con minima e trascurabile parte
sentimentale.
Oltre a tutto ciò (che personalmente
reputo pregi), il film si avvale di spettacolari effetti speciali e
non dei soliti. In parte sembrano essere amplificazioni di quelli
apprezzati in “Inception” con livelli paralleli e piani che si
ribaltano, i disegni di fuoco che restano sospesi in aria,
l’applicazione della semplice ed antichissima tecnica del
caleidoscopio fornisce immagini in continua evoluzione e poco
importa che non siano strettamente connesse con la trama, anche le
stesse riprese riproposte a ritroso così come i fermo-immagine sono
perfettamente utilizzati seppur già visti, ma quella che sembra
essere la novità assoluta sono le rotazioni di edifici e simili che
si scompongono in una miriade di parti che girano quasi all’unisono
come un’enorme macchina fatta di soli ingranaggi.
In conclusione, reputo “Doctor
Strange” un film del genere fantastico più che buono, che può quindi
soddisfare molti spettatori: dai fans della Marvel agli amanti degli
effetti speciali, da quelli che propendono per storie con magia,
esoterismo e filosofia e non solo superpoteri ai semplici amanti del
cinema, nel senso più ampio del termine.
Potrebbe essere ottenere la
Nomination Oscar per gli Effetti Speciali, e forse qualcosa in più.
Consigliato.
IMDb 8,0 RT 100%
PS - Se lo andate a vedere, non
lasciate la sala appena compaiono i titoli di coda ... dopo un po’
appare un’anticipazione del sequel!
327 * “Taxi para tres” (di Orlando Lubbert, Cile, 2001) * con
Alejandro Trejo, Fernando Gómez Rovira, Daniel Muñoz
Sagace “comedia negra” cilena che
ebbe un grande successo non solo in patria ma in tutta l’iberoamerica,
ottenendo ben 16 premi da 21 nomination, e in Europa vincendo a San
Sebastian dove fece scalpore in quanto, pur essendo un film
indipendente, a basso costo e non spagnolo, relegò al secondo posto
la superproduzione “Juana la Loca”.
Il film inizia con l’assalto ad un
tassista che viene costretto a “fornire assistenza e trasporto” ai
due aggressori nel corso di successive rapine. Il rapporto fra i tre
ben presto si evolve, entra in scena un’amante e viene coinvolta la
famiglia del tassista, il tutto con la presenza sempre più
assillante del commissario di polizia.
I due rapinatori si dimostrano più
che sprovveduti, ma molto più di buon cuore che spietati e varie
sono le situazioni esilaranti, favorite anche dalle particolari
facce dei nostri tre eroi e dal loro modo di esprimersi (talvolta è
difficile seguire il loro biascicare, pur essendo chiaro il senso).
In Europa fu distribuito in Francia,
Germania, Polonia e Svizzera (oltre che in Spagna, ovviamente) ma
non ho trovato traccia di una eventuale uscita in Italia. Se trovate
una versione per voi comprensibile, guardate questa ora e mezza di
piacevole “comedia negra”, con finale assolutamente a sorpresa!.
IMDb 7,0
328 * “American Beauty” (di Sam Mendes, USA, 1999) * con Kevin
Spacey, Annette Benning, Thora Birch, Wes Bentley, Chris Cooper
Ennesimo mistero, almeno per me, in
quanto ai criteri di attribuzione di premi cinematografici, in
questo caso i ben 5 Oscar assegnati ad "American beauty". E non
solo, incredibilmente (sempre dal mio punto di vista) nel ranking
IMDb è accreditato di un 8,4/10 che addirittura lo porta al 64°
posto fra i migliori film di tutti i tempi! Penso che qualunque
persona che vada al cine con una certa frequenza possa nominare
almeno un centinaio di film di gran lunga migliori.
Per rimanere nel campo dei voti e
delle statistiche ho notato che, comunque, moltissimi sono quelli
che non lo hanno apprezzato per niente tanto è che, partendo dal
basso, ci sono ben 200 giudizi con 1 sola stella prima di trovarne
uno con 2 (su un massimo di 10). Sembra che si tratti di uno di quei
casi “o lo ami o lo odi”, senza vie di mezzo. Io non sono stato così
drastico e, con molta benevolenza, ho dato un 6 a questo film che
non è chiaro se dovesse essere un dramma o una commedia con qualche
risvolto drammatico. Lo descriverei a metà fra una commedia “da
piangere” e un dramma “da ridere”.
I personaggi sono singolarmente
abbastanza credibili, ma il metterli tutti insieme nella stessa
storia è improponibile e i dialoghi sono pressoché penosi in quanto
assolutamente banali. Ha i suoi meriti (pochi) solo se visto come
presa in giro di tanti atteggiamenti tipici di una certa classe
media americana che in questo caso include l'ex marine omofobo e
machista, la cheerleader finta divoratrice di uomini, i gay molto
socievoli, due madri frustrate (seppur per motivi molto diversi),
una coppia con divorzio in corso e un’altra sull'orlo della
separazione, le ragazze in piena crisi d’identità.
In conclusione, il film viene
salvato un po' dalle performance degli attori, a cominciare da Kevin
Spacey e Annette Bening, fino al sempre ottimo Chris Cooper
(purtroppo quasi sempre relegato a ruoli minori) e l’allora quasi
esordiente Wes Bentley che interpretano i loro “disturbati” vicini,
da qualche coincidenza creata ad arte e un paio di risvolti
inattesi, ma in ogni caso mi è parso di gran lunga inferiore alla
sua (usurpata) fama.
Il presunto psicopatico in fin dei
conti è l'unico essere pensante di tutto il gruppo ... riuscirà a
salvarsi?
IMDb 8,4 RT 88% * al 63° posto della
classifica IMDb dei film di tutti i tempi
329 * “Que Dios nos perdone” (di Rodrigo Sorogoyen, Spa, 2016) * con
Antonio de la Torre, Roberto Álamo, Roberto Álamo, Mónica López
Poliziesco più che buono, abbastanza
violento e tendente al noir-drammatico, con protagonisti due
poliziotti che devono cercare di fermare un serial killer di
anziane. La maggior parte del film si svolge in una Madrid torrida e
afosa, esattamente nei giorni della visita del Papa (Benedetto XVI -
Ratzinger) e la concomitante Giornata Mondiale della Gioventù
dell’agosto 2011.
La tensione è alle stelle anche fra
gli stessi ispettori della sezione incaricata del caso fra i quali
non corre buon sangue e vari di loro non sono proprio degli stinchi
di santo. Dei due protagonisti Velardo (Antonio de la Torre) è
quello che pensa e conduce le indagini in modo attento e logico, ma
talvolta è frenato (e per questo deriso perfino dai suoi superiori)
dalla sua balbuzie. Il suo partner è Alfaro (Roberto Álamo), un
violento sempre pronto allo scontro fisico anche con i colleghi,
appena rientrato in servizio dopo un periodo di sospensione proprio
per una aggressione. Ognuno ha i suoi problemi personali e di
relazione che li rendono ancor più “sensibili”. Varie volte sembra
di giungere alla conclusione della caccia, ma ciò non avviene. Il
finale presenta vari eventi inaspettati e abbastanza inusuali per
film del genere.
Ci sono varie incongruenze (non
significative) che non sto a sottolineare per non svelare niente, ma
la storia nella sua completezza regge, scorre bene e mantiene
costantemente alta la tensione.
“Que Dios nos perdone” è appena
uscito nelle sale spagnole dopo la prima del 18 settembre al
Festival di San San Sebastián, dove ha vinto il Premio della Giuria
e ottenuto la nomination alla Concha de Oro. Al momento non è
annunciato in Italia.
IMDb 7,9 FA 7,4
330 * “Las razones del corazon” (di Arturo Ripstein, Mex, 2011) *
con Arcelia Ramírez, Vladimir Cruz, Plutarco Haza
Una “Madame Bovary” (di Gustave
Flaubert, 1856) trasferita nel Messico dei nostri giorni e adattata
in classico “stile Ripstein”, più tragico che drammatico. Questo
sempre tanto discusso, ma allo stesso tempo molto apprezzato,
regista messicano che si fece le ossa con il maestro Luis Buñuel
stavolta sceglie di girare un film tutto in interni, in vari
appartamenti e nei corridoi, il terrazzo e la portineria di uno
stesso condominio.
Questo stare sempre al chiuso, fra
inquadrature fisse e lenti piani-sequenza, con colonna sonora quasi
del tutto assente, rende il film ancora più cupo e deprimente, a
volte quasi uno spettacolo teatrale più che cinematografico. A tutto
ciò contribuisce anche la scelta di Ripstein di tornare al bianco e
nero, scelta che confermerà nel film successivo “La calle de la
amargura” (2015) che vanta anche una fotografia stupenda che riporta
in qualche modo all’espressionismo tedesco degli anni ’20. Ottima
l’interpretazione di Arcelia Ramírez, protagonista assoluta, nei
panni di Emilia (moderna Emma Bovary).
Non per tutti ... agli interessati
suggerisco di leggere questo articolo
IMDb 6,8 RT 88%
331 * “Satanàs” (di Andrés Baiz, Col/Mex, 2005) * con Damián
Alcázar, Marcela Valencia, Blas Jaramillo, Lucia Rengifo
Ispirato ad un famoso fatto di
sangue colombiano, noto come il massacro di Pozzetto (5 dicembre
1986), il film segue non solo gli ultimi giorni dell'artefice dello
stesso, ma anche le vite di altre persone che alla fine saranno
coinvolte, per un mptivo o solo per trovarsi nel momento sbagliato
al posto sbagliato, il ristorante italiano “Pozzetto”.
Damián Alcázar, con un'altra ottima
performance, interpreta l'apparentemente placido e gentile Elías
Delgado che ai suoi problemi personali e al pessimo rapporto con sua
madre aggiunge i postumi della sua esperienza in Vietnam, quelli che
oggi si chiamano “disturbo post traumatico da stress”.
Al film non giova staccarsi dal
fatto reale e dal successivo libro-inchiesta per seguire le tre
storie principali che sembrano "parallele" ma in effetti si
intersecano più volte prima di convergere e concludersi nell’evento.
Baiz avrebbe avuto la possibilità di
scavare almeno un po' più a fondo alla ricerca seguendo le varie
tracce che portano a conclusioni ben diverse dalla versione
ufficiale frettolosamente fornita per chiudere velocemente il caso
che, essendo morto l'esecutore materiale sul posto, non prevedeva
processo. Ancora oggi in Colombia si discute sui principali fatti
poco chiari “suicidio o ucciso dalla polizia?”, “quanti furono
quelli effettivamente uccisi da Delgado e quanti dagli spari dei
poliziotti?, “lo stupro ci fu o meno? e se sì la vittima fu la madre
o la figlia?”.
Una storia torbida e violenta in
quasi ogni aspetto, ben realizzata, eppure penso che fosse
assolutamente superfluo aggiungere altro al dramma di Delgado. Non è
da disdegnare, ma è senz’altro un’occasione sprecata.
IMDb 7,3
332 * “I, Daniel Blake” (di Ken Loach, UK, 2016) * con Dave Johns,
Hayley Squires, Sharon Percy
L’inossidabile e combattivo Ken
Loach, 80 anni compiuti a giugno scorso, è ancora sulla cresta
dell’onda con un ennesimo film "sociale" focalizzato sulla follia,
astrusità e machiavellismo della burocrazia che sembra essere uguale
in ogni parte del mondo. In questa storia pressoché kafkiana
seguiamo soprattutto il Daniel Blake del titolo, ma poco dopo
l’inizio, proprio in uno dei primi “scontri” con la macchina
burocratica (più che altro un muro di gomma), perora la causa di una
giovane madre con due figli piccoli e di lì in avanti farà il
possibile per aiutarla e verrà a sua volta assistito.
Certamente un buon film, ben
strutturato e interpretato pur avendo un calo prima della
conclusione per vari eventi un po’ sopra le righe.
Per l'ennesima volta la critica ha
apprezzato il suo lavoro ma, come di consueto, pare che non sia
stato altrettanto ben accolto dal grande pubblico (ma certo Loach
non l'ha girato a quel tipo di platea) visto che non si tratta di
una commedia, non c’è sesso, né sparatorie, né sangue che sembrano
essere i soli temi che facciano cassetta.
Ha già partecipato a numerosi
festival ottenendo ben 3 premi a Cannes a vincendo a Locarno, San
Sebastian e Vancouver.
Nelle previsioni per gli Oscar molti
lo inseriscono fra i papabili per una Nomination
IMDb 8,1 RT 92%
333 * “The Deer Hunter” (di Michael Cimino, USA, 1978) tit. it. “Il
cacciatore” * con Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep,
John Savage, John Cazale
Senz’altro il miglior film di
Cimino, forse l’unico veramente buono. Sull’onda di questo successo,
due anni dopo scrisse e diresse la megaproduzione “I cancelli del
cielo” che, oltre a essere scadente, fu un grande flop al botteghino
e fu addirittura la causa principale del fallimento della United (si
parla di 44mln di spese e solo 3 di incassi). Successivamente Cimino
ha diretto pochissimi altri film (fiaschi) toccando il fondo con “Il
siciliano” (1987, se non l’avete visto, evitatelo).
Il migliore non equivale a dire che
“Il cacciatore” sia un capolavoro e onestamente penso che sia
sopravvalutato per stare fra i primi 200 di tutti i tempi. La sua
pecca principale è la prima ora, quasi tutta incentrata su un
matrimonio con tutte le varie routine di scherzi, balli, lacrime,
ubriacature ecc., tante cose e situazioni viste e riviste in varie
salse, non strettamente collegate agli eventi successivi. Durando
circa 3 ore, si poteva tranquillamente dimezzare questo lento,
noioso e banale inizio. Al contrario, il resto del film scorre bene,
ha le giuste pause e quasi perfetti momenti di tensione sia nelle
scene in Vietnam, sia in quelle di caccia, sia in quelle dei
rapporti interpersonali. Ottima la fotografia e le riprese esterne,
con eccellente scelta delle location. Un grande contributo al
successo del film deriva senza dubbio anche dalle ottime
interpretazioni non solo di De Niro, Walken e Streep che ricoprono i
ruoli principali, ma anche di quelli ai quali sono stati affidati
ruoli di contorno come Cazale, Savage, Dzundza e Grifasi.
Nel complesso è comunque un film da
non perdere, meritò senz’altro i 5 Oscar e le altre due Nomination.
IMDb 8,2 RT 94%
334 * “La gente de la Universal” (di Felipe Aljure, Col, 1991) * con
Álvaro Rodríguez, Jennifer Steffens, Robinson Díaz
Questa è una delle più conosciute
commedie colombiane degli anni ’90 ed è, ovviamente, del genere
nero.
La Universal è un’agenzia
investigativa di Bogotà praticamente composta solo da una coppia -
Diógenes e Fabiola Hernandez - che in un appartamento del centro
hanno casa e ufficio e sono temporaneamente affiancati da Clemente,
nipote di lui. Per conto di un ricchissimo spagnolo che si trova in
carcere devono indagare sui movimenti dell’amante, una pornostar.
Aggiungete il fatto che nessuno mantiene gli impegni (morali o
commerciali che siano), che la corruzione è dilagante (qualunque
minima cosa è soggetta a mance o tangenti), che tutti sembrano
essere “allupati” e quindi tradiscono senza alcun ritegno, l’arrivo
della moglie dello spagnolo (con madre al seguito), problemi di
soldi e qualche pistolettata e avete un’idea di cosa possa succedere
in questo film.
Le inquadrature scelte da Felipe
Aljure (regista e co-sceneggiatore) sono molto singolari, con un
simpatico eccesso di primissimi piani e dettagli, originali riprese
verticali dal basso il tutto spesso proposto con montaggio rapido.
Non è certo un capolavoro e alcune situazioni sono scontate, ma ci
sono anche molte sorprese e tanti personaggi particolari ben pensati
anche se hanno parti brevissime. In questo senso trovo che il
casting sia stato perfetto per questo tipo di film ... guardate la
serie di immagini ...
Stranamente, dopo questo successo
Aljure ha diretto solo altri due film a distanza di molto tempo: “El
colombian dream” (2005) e “Tres escapularios” (2015). Per passare un
paio d'ore spensierate cominciate a godervi questo.
IMDb 7,5
335 * “Ilona llega con la lluvia” (di Sergio Cabrera, Col-Ita, 1996)
* con Margarita Rosa de Francisco, Humberto Dorado, Imanol Arias,
Pastora Vega
Del libro si leggono solo recensioni
positive e, a guardare il film (deludente) si può immaginare come
una buona penna abbia potuto descrivere in modo appassionante i vari
ambienti di città portuali di metà secolo scorso.
In effetti la storia raccontata in
Ilona non mi convince per la parte marittima-armatoriale, ma
l'atmosfera è ben coinvolgente e intricante a prescindere
dall'essere fedele o meno all’omonimo romanzo di Álvaro Mutis,
pubblicato nel 1988 (successivamente ho scoperto che Maqroll è
protagonista di numerosi romanzi di Mutis mentre il personaggio di
Abdul Bashur è stato aggiunto, preso da un successivo romanzo del
1990).
La recitazione è abbastanza
convincente e la scelta di ambienti, palazzi e luoghi è più che
buona, ma la parte nelle quali si mostrano navi piccole o grandi, la
tempesta a "secchiate" e la stiva nella quale dimora Larisa quasi
più grande dell’imbarcazione stessa sono assolutamente incongruenti
rasentando il ridicolo (ma questo è un problema comune di cui
soffrono anche numerose megaproduzioni).
Mi rendo conto che forse molti non
notano questi “goof”, ma francamente a me che sono sempre stato
vicino al mare e l’ho solcato in quasi ogni tipo di imbarcazione da
kayak a gozzi, da motoscafi a barche a vela, da traghetti a cargo
transoceanici le scene di mare mal rappresentate danno molto
fastidio. Ultimo caso che mi viene in mente è “In the heart of the
sea” la cui sceneggiatura era tutt'altro che malvagia ma le numerose
ridicole scene in mare (spesso inutili e tirate per le lunghe) erano
"indecenti" e hanno rovinato un film potenzialmente buono. Scusate
lo sfogo, ma penso che un buon regista possa - e dovrebbe - dire
molto di più anche facendo vedere molto meno ...
Sergio Cabrera ha quindi perso
l’occasione di dirigere un altro buon film dopo “La estrategia del
caracol” limitandosi a un prodotto semplicemente dignitoso.
IMDb 7,1
336 * “The fool killer” (di Servando González, USA, 1965) * con
Edward Albert, Anthony Perkins, Dana Elcar, Henry Hull
Servando González è stato un
cineasta messicano particolare, a 30 anni era già direttore Estudios
Churubusco (paragonabili a Cinecittà), nel 1960 diresse il suo primo
film “Yanco” che ricevette ottima accoglienza. Con “The fool killer”
(suo secondo film) divenne il primo regista messicano a dirigere
negli Stati Uniti, e nello stesso anno girò anche “Viento negro”
(altro buon film). Nel 1968 filmò per conto del governo gli scontri
fra polizia e studenti che poi sfociarono nella “matanza en la Plaza
de las Tres Culturas de Tlatelolco” (2 ottobre 1968, pochi giorni
prima dell’inizio delle Olimpiadi). Oltre a questa insolita presenza
messicana il film conta sulla partecipazione, in un ruolo secondario
ma di rilievo, di Anthony Perkins, all’epoca già divenuto famoso per
essere stato protagonista in “Psycho” (Hitchcock, 1960) e “The
Trial” (Orson Welles, 1962).
Tutto questo “spiegamento di forze”
in un film sostanzialmente per ragazzi, avente come protagonista un
dodicenne che scappa dai suoi genitori adottivi e nel corso della
sua fuga verso il west incontra personaggi a dir poco peculiari. Il
giovane George Mellish, questo il suo nome, è ben interpretato
dall’esordiente Edward Albert che sarebbe tornato sullo schermo solo
nel 1972 prima di iniziare a lavorare in tv in una quantità di
telefilm.
La vita nel midwest appena dopo la
guerra civile è rappresentata in modo classico (come in quasi tutti
i film dell’epoca) attraverso situazioni e personaggi
caratteristici, dai vagabondi ai predicatori e ai reduci di guerra
(con qualche postumo) come Milo Bogardus, interpretato da Anthony
Perkins.
Sceneggiatura adattata dall’omonimo
romanzo di Helen Eustis (1954),
Ben fatto, merita una visione.
L’originale si trova su YouTube, sembra che non sia stata realizzata
una versione italiana.
IMDb 7,5
337 * “Bodas de sangre” (di Carlos Saura, Spa, 1981) * con Antonio
Gades, Cristina Hoyos, Juan Antonio Jiménez
Primo film della trilogia del
flamenco di Carlos Saura (“Carmen”,1983, e “El amor brujo”, 1986),
poi continuata con i quasi documentari “Sevillanas” (1992),
“Flamenco” (1995) e “Flamenco, Flamenco” (2010), con l’intermezzo
dell’ottimo “Salomé” (2002).
Va visto quindi quasi come una prova
generale e in quanto tale si deve accettare lo scarso equilibrio fra
la parte introduttiva (la preparazione dello spettacolo e la vita
nei camerini), le prove dei vari passi ed infine la prova generale
in costume. In un film di poco più di un’ora mi sembra uno spreco
perdere quasi 20 minuti nei camerini fra trucco e vestizione,
conditi da chiacchiere oggettivamente poco interessanti. Al
contrario la parte della prova generale conta forse con alcune delle
migliori scene dei film di flamenco di Saura, comprendendo sia passi
classici del flamenco sia di “ballo drammatico moderno”, in vari
punti addirittura senza accompagnamento musicale.
Un peccato non aver utilizzato al
meglio l'eccellente dramma omonimo di Federico García Lorca. Una
chicca l'interpretazione di Pepe Blanco del famoso pasodoble "Ay mi
sombrero".
Imprescindibile per gli amanti del
genere e per i cinefili che vogliano avere una visione completa del
lavoro di Saura il quale, pur restando in tema musicale, è uscito
dall’ambiente prettamente spagnolo del flamenco con altri film quali
“Fados” e “Tango”.
IMDb 7,5
338 * “Mi abuelo, mi papà y yo” (di Dago García, Juan Carlos Vásquez,
Col, 2005) * con Miguel Varoni, Jaime Barbini, Juan Fernando Sánchez
Commedia strana, sia nel senso che è
abbastanza singolare come approccio e sviluppo, sia nel senso che
differisce dalle altre pellicole colombiane viste di recente. Ha
degli aspetti seri e quasi drammatici concentrati nell'ambito delle
relazioni familiari e di coppia (2 matrimoni e un divorzio). Non c'è
violenza, né droga, né armi ... e neanche se ne parla.
La narrazione viene assistita da tre
voci fuori campo che, in prima persona, descrivono a turno le
sensazioni dei tre protagonisti ed esprimono le loro opinioni. Al
centro, non solo per l'età, c'è un padre maniaco per la musica per
la quale perde il lavoro, spende quasi tutti i suoi soldi (per un
organo) e riesce ad inimicarsi tutti i membri della famiglia: da suo
padre (il nonno - abuelo), alla moglie, ai figli.
Commedia leggera, a tratti un po'
insensata, ma con spunti divertenti e sottili, ha anche il pregio di
non cadere mai nel ridicolo o nel volgare. Certamente sufficiente,
dà l’idea di un ambiente borghese colombiano..
IMDb 6,2
339 * “Bad memories” (di Gustavo Santi, USA, 2009) aka “Lo pasado
pisado” * con Gustavo Santi, Jorge Villarino, John Aguilar, Fabiana
Pascali
Film abbastanza "misterioso", non se
ne trovano quasi notizie in rete, solo un poster, ma è su youtube.
Dalle notizie recuperate leggendo i commenti al film e le risposte
dello stesso Santi si viene a sapere che non si tratta di una storia
vera (come si lascia invece intendere alla fine citando nomi,
cognomi, date e condanne) ma di un adattamento di avvenimenti del
1970.
Gustavo Santi (produttore, regista e
protagonista) ha partecipato a vari festival, ottenendo anche
qualche riconoscimento, ma non è riuscito a trovare un distributore.
Egli stesso l’ha caricato su YouTube e questo al momento è ancora il
suo unico film.
In breve, un sommozzatore
professionista argentino, da molti anni in California, per caso
ascolta una conversazione telefonica e riconosce la voce del
sergente che 20 anni prima lo ha torturato per due interi giorni.
Vorrebbe vendicarsi, ma avendo intuito che stanno progettando un
grande attentato a Buens Aires, è costretto a rinviare i suoi piani
per cercare di saperne di più ed evitare una strage.
La storia ha quindi fatto presa su
molti di quelli che hanno vissuto quei periodi di violenze, torture
e sparizioni anche se il film è molto naïf.
A discolpa di Santi c’è da dire che
non aveva alcuna esperienza, ma si è messo comunque in gioco facendo
tutto da solo, con la collaborazione di pochi amici, riuscendo ad
inserire varie scene d’azione e riprese subacquee, il tutto in poco
più di una settimana e con un budget di 20.000 dollari ... e questo
torna tutto a suo onore e merito.
IMDb 5,7
340 * “En la cama” (di Matías Bize, Cile, 2009) * con Blanca Lewin,
Gonzalo Valenzuela
Nelle mie peregrinazioni fra le
cinematografie latine meno conosciute, eccomi al pluripremiato “En
la cama”, film cileno quasi sperimentale con solo due attori,
interamente girato in una stanza di motel.
Una “occasionale” coppia di giovani,
fra un amplesso e l’altro (ma non è assolutamente un porno)
cominciano a conoscersi iniziando dalle “presentazioni” (non
conoscono o non ricordano i nomi essendosi appena incontrati ad una
festa). Fra banalità, luoghi comuni e qualche considerazione seria
si va avanti per circa un’ora e mezza fino allo scoprire o rivelare
alcuni segreti personali.
L’esercizio non era per niente
facile, tuttavia Matías Bize se l’è cavata abbastanza bene
raggiungendo certamente la sufficienza, ma non molto di più. Buona
l’interpretazione di Blanca Lewin che si è guadagnata 4 dei 10 premi
ottenuti dal film alla pari del regista, gli altri 2 se li è
aggiudicati lo sceneggiatore Julio Rojas. Interessante.
IMDb 6,4
341 * “Uomini contro” (di Francesco Rosi, Ita, 1970) * con Mark
Frechette, Alain Cuny, Gian Maria Volontè
In questo film Rosi non si scaglia
direttamente contro il sistema politico come tante altre volte, ma
con l’ordinamento militare, la cecità (finta o vera che sia, da
pazzi o da ipocriti poco cambia) di chi ha il comando,
dell’illogicità della guerra, in particolare se combattuta con
criteri e strategie antiquate non adeguate agli armamenti moderni.
Storia esemplare (adattata dal libro
di Lussu “Un anno sull’altipiano”), quasi una parabola, che vede
protagonisti folli invasati, idealisti e i “poveri cristi”, vale a
dire i giovani e meno giovani provenienti da ogni parte della
penisola e mandati a farsi massacrare sulle montagne del nord-est.
Considerati i diversi mezzi a
disposizione oso dire che è lecito paragonarlo ai film anti-war di
Kubrick.
Buon cinema italiano, film da non
perdere.
IMDb 7,7
342 * “Cadaveri eccellenti” (di Francesco Rosi, Ita, 1976) * con
Lino Ventura, Tino Carraro, Marcel Bozzuffi
Fra “Uomini contro” (1970, appena
visto e recensito) e questo, Rosi diresse due film basati su fatti
reali: “Il caso Mattei” (1972) e “Lucky Luciano” (1973). In
“Cadaveri eccellenti” resta in tema politico ma torna alla fiction
del genere poliziesco, ma di quello “intellettuale”. L’ispettore
Rogas (Lino Ventura) si trova a dover investigare su una serie di
misteriosi assassinii di alti magistrati. Lui pensa che si tratti di
una vendetta personale, ma molti sono interessati a far credere il
contrario.
Un bel poliziesco con
interessantissime location fra Napoli, Sicilia e Roma e interpretato
da un folto stuolo di ottimi attori italiani e stranieri anche se i
nomi di molti di loro non sono di primissimo piano nel mondo
cinematografico. Il cast internazionale, oltre a Lino Ventura,
include Max von Sydow, Fernando Rey, Alain Cluny, Tina Aumont,
Charles Vanel, Marcel Bozzuffi. A questi si affiancano tanti
italiani, per lo più del mondo del teatro (garanzia di qualità),
come Tino Carraro, Anna Proclemer, Luigi Pistilli, Paolo Bonacelli.
Tranne il protagonista, tutti hanno brevi parti facendolo diventare
quasi un film quasi corale, ma questo continuo ricambio di
personaggi (politici, magistrati, poliziotti, sovversivi, ecc.)
rende la storia un po’ confusa e difficile da seguire.
Comunque sia, Rosi ci fornisce un
ennesimo buon cinema film, da non perdere.
IMDb 7,5
343 * “Sólo con tu pareja ” (di Alfonso Cuarón, Mex, 1991) tit. it.
“Uno per tutte” * con Daniel Giménez Cacho, Claudia Ramírez, Luis de
Icaza
Film di esordio dell’ormai più che
affermato Alfonso Cuarón, 2 Oscar (+ 4 Nomination), regista di
Gravity, “Children of Men”, “Harry Potter and the Prisoner of
Azkaban”, “Y tu mamá también”, ...
Si tratta di una commedia con ottimi
spunti, anche se senza troppa continuità, con poche situazioni già
viste ma con personaggi molto originali e geniali così come vari
particolari: metodo di suicidio (assoluta novità!), l’improvvisa
apparizione dei mariachi, gli asiatici più che alticci, i piccoli
coni di carta, la giornaliera corsa del protagonista nudo per le
scale, il bambino dell’ascensore (memorabile), ...
Con il senno di poi, si può ben dire
che il regista e sceneggiatore messicano già all’epoca aveva idee
abbastanza chiare.
Commedia originale, fra la nera e la
demenziale, più che piacevole, ben costruita e ben interpretata da
un cast di buon livello nel quale si distingue il protagonista
Daniel Giménez Cacho (La mala educacion, Blancanieves, Profundo
carmesì, ...).
Senz'altro consigliata.
IMDb 7,1
344 * “Juno and the Paycock” (di Alfred Hitchcock, UK, 1930) tit. it.
“Giunone e il pavone” * con Sara Allgood, Edward Chapman, Barry
Fitzgerald
Secondo film sonoro di Hitchcock,
dopo l’esordio con “Blackmail”. Senz’altro uno dei suoi peggiori, il
peggiore in assoluto secondo il regista stesso. Tratto da una famosa
commedia di Sean O'Casey e adattato dall’autore medesim in
collaborazione con il regista, il film resta troppo teatrale, forse
anche perché interpretato dagli stessi attori che lo portavano in
scena sul palcoscenico e senza che Hitchcock riuscisse a dargli più
verve.
Abbastanza noioso, banale e neanche
divertente, anche se forse all’epoca sarà piaciuto a chi era in
grado di cogliere i vari riferimenti alla situazione politica della
guerra d’indipendenza irlandese. Sottigliezze che ai più non è dato
di intendere nelle discussioni fra i coniugi Boyle, il figlio che ha
perso un braccio combattendo, la figlia che viene “sedotta e
abbandonata” da un furfante che raggira anche la famiglia con una
falsa eredità e il compagno di pub Joxer.
Il punteggio del film su IMDB la
dice lunga ... IMDb 4,8
345 * “Mary” (di Alfred Hitchcock, UK, 1931) * con Alfred Abel, Olga
Tschechowa, Paul Graetz
Questo è un film molto singolare in
quanto si tratta di un doppione di “Murder!”, lo si potrebbe
definire un bis-make. Infatti non è un remake in quanto i due film
furono girati contemporaneamente utilizzando gli stessi set e
pressoché identica sceneggiatura, con la sola differenza che “Mary”
fu interpretato da attori tedeschi che recitavano nella loro
madrelingua. Evidentemente era più semplice fare così che ipotizzare
un doppiaggio, all’epoca praticamente impossibile. Alcuni
addirittura non lo annoverano neanche nella lista delle pellicole
assimilandolo in tutto e per tutto a “Murder!”.
Come per il precedente “Juno ...”
anche in questo caso la sceneggiatura deriva da una piece teatrale,
a sua volta tratta dal romanzo di Clemence Dane "Enter Sir John"
adattata per il cinema dall’autore e dal regista.
Del lotto dei 4 film di Hitchcock
(cronologicamente consecutivi) che ho guadato in tre giorni dopo
aver trovato il dvd di “Juno ...” questo è di gran lunga il migliore
sia per l’interessante trama nella quale si ritrovano varie
situazioni simili a quelle per le quali il regista diventò poi
famoso, sia per le scene, in particolare quelle iniziali che si
rifanno un po’ all’espressionismo tedesco.
La versione originale (di discreta
qualità) si trova su YouTube, con sottotitoli in varie lingue. Vale
la pena guardarlo.
IMDb 6,0
346 * “The Skin Game” (di Alfred Hitchcock, UK, 1931) tit. it.
“Fiamma d’amore” * con Edmund Gwenn, Jill Esmond, C.V. France
Troviamo di nuovo Hitchcock nelle
vesti di regista e co-sceneggiatore in questo film vituperato da
molti (in una classifica appare addirittura come peggiore in
assoluto) che a me, tuttavia, non è del tutto dispiaciuto. La trama
è interessante anche se in parte prevedibile e c’è anche un po’ di
mistero accompagnato da un po’ di suspense.
Da notare l’ennesima traduzione a
vanvera del titolo, il cui significato è in effetti “gioco sporco”,
“sleale” e così è stato tradotto in altri idiomi essendo oltretutto
perfettamente attinente alla storia. Infatti si tratta di uno
scontro fra due famiglie che pur di ottenere ciò che vogliono e non
darla vinta agli altri useranno ogni mezzo senza prevedere le
conseguenze che, ovviamente, saranno tragiche.
IMDb 5,8 ma secondo me merita almeno
la sufficienza
347 * “Rich and Strange” (di Alfred Hitchcock, UK, 1932) tit. it.
"Ricco e bizzarro" * con Henry Kendall, Joan Barry, Percy Marmont
Con questo ho visto tutti i film del
periodo inglese di Hitchcock e credo di poter affermare che è il
peggiore di tutti. La trama ha poco senso, è mal costruita e mal
realizzata, e con “l’aiuto” di una pessima recitazione il disastro è
fatto. Non lo trovo migliore di Juno . Questa di “Rich and Strange”
sarà l’ultima sceneggiatura (in questo caso adattata da un romanzo
di Dale Collins) curata da Hitchcock; successivamente collaborerà
solo in pochi altri casi, in modo poco determinante e non
ufficialmente (uncredited).
Evidentemente era necessaria questa
sfilza di film insoddisfacenti (anche per lui stesso) per rendersi
conto che il suo mestiere doveva essere il regista e non lo
sceneggiatore.
Una coppia borghese (insulsa come
tutta la trama), insoddisfatta della routine quotidiana, sogna di
viaggiare e ne ha l’occasione ricevendo una notevole quantità di
danaro quale anticipo di una eredità. Quindi parte alla volta
dell’Europa e di lì, in nave, prosegue per l’Estremo Oriente. Vi
risparmio il resto.
Da guardare solo se siete
interessati a completare la vostra conoscenza dei film diretti da
Hitchcock.
IMDb 5,9
348 * “Le fabuleux destin d'Amélie Poulin (Amélie)” (di Jean-Pierre
Jeunet, Fra, 2001) * con Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Jamel
Debbouze, Dominique Pinon, Rufus,
Film estremamente piacevole, con
spunti geniali, personaggi peculiari e strampalati al limite del
plausibile, legami visivi e temporali ben congegnati, fotografia
molto contrastata con colori forti quasi psichedelici, con solo
poche fasi di stanca. Eppure, secondo me, Jean-Pierre Jeunet fece
meglio nel suo film d'esordio Delicatessen (1991), con Dominique
Pinon come protagonista, qui relegato a ruolo secondario. Comunque
in Amélie, molto meno dark dell’altro, ha perso solo poco del suo
umorismo ma la parte surreale quasi scompare.
Si avvale di un cast evidentemente
scelto accuratamente e sfrutta alla perfezione i singolari volti dei
protagonisti, non solo quello di Audrey Tautou, ma anche e
soprattutto quelli di Dominique Pinon, Mathieu Kassovitz e Jamel
Debbouze.
Originale l'introduzione con
l'infanzia di Amélie narrata da voce fuori campo e descritta in
poche significative ed esilaranti scene interpretate dalla piccola
Flora Guiet.
Assolutamente da non perdere.
IMDb 8,4 RT 89% 5 Nomination Oscar *
al
77° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi
349 * “Sunset Boulevard” (di Billy Wilder, USA, 1950) * con William
Holden, Gloria Swanson, Erich von Stroheim, Nancy Olson
Lo si potrebbe definire un elogio
del cinema per i tanti riferimenti, per svilupparsi in un ambiente
ai margini del mondo hollywoodiano, per il titolo, per la presenza
di due icone come Bette Davis e Erich von Stroheim fra gli attori e
di altri personaggi famosi nella parte di loro stessi come il
regista Cecil B. DeMille (I 10 Comandamenti, Cleopatra, Il più
grande spettacolo del mondo), Buster Keaton (basta il nome) e la
meno conosciuta Hedda Hopper che da attrice fallita passò ad essere
la giornalista di gossip più temuta di Hollywood per vari decenni
(qualcuno la ricorderà interpretata da Helen Mirren in Trumbo).
Gloria Swanson talvolta dà
l’impressione di esagerare nell’evidenziare la follia della
protagonista, ma probabilmente era proprio quello che le veniva
richiesto da Wilder. Il personaggio di Max sembra costruito apposta
per Erich von Stroheim, cineasta famoso e apprezzato ai tempi del
muto e adesso costretto ad arrangiarsi. Certamente non si sarà
sforzato molto per interpretare alla perfezione la scena finale,
quando torna ad essere al lato degli operatori e a dire “Action!”,
con uno sguardo pieno di tristezza e nostalgia. Oneste le prove di
William Holden e Nancy Olson. Tutti e 4 ottennero la Nomination ma
nessuno di loro l’ambita statuetta. I 3 Oscar furono assegnati a
“Sunset Boulevard” per sceneggiatura, scenografia e commento
musicale.
Chiunque sia interessato al cinema e
non l’ha ancora visto deve assolutamente provvedere a colmare questa
sua lacuna al più presto.
IMDb 8,5 RT 98% 3 Oscar e 8
Nomination * al 53° posto nella classifica IMDb dei migliori film di
tutti i tempi
350 * “Criss Cross” (di Robert Siodmak, USA, 1949) tit. it.
“Doppio gioco” * con Burt Lancaster, Yvonne DeCarlo, Dan Duryea
Ottimo noir classico, firmato da uno
degli indiscussi maestri di questo genere: Robert Siodmak (La scala
a chiocciola, The Killers, L’urlo della città, Christmas Holiday).
La trama è avvincente e piena di
sorprese e colpi di scena e ovviamente non ne parlo. Ottimamente
interpretato non solo dai tre interpreti principali (di chiara
fama), ma anche da tutti gli ottimi caratteristi che li affiancano.
Da non perdere.
Curiosità: il film segna l’esordio (uncredited)
di Tony Curtis che in una delle scene iniziali del film appare
mentre balla con Yvonne DeCarlo. Lo stesso Tony Curtis nel 1957
interpretò (da co-protagonista) un altro noir con Burt Lancaster
“Sweet Smell of Success” (Piombo rovente) che entusiasmerà quelli
che avranno apprezzato “Criss Cross”.
IMDb 7,5 RT 100%
|