349 “Todo el poder” (Fernando Sariñana, Mex,
2000) * con Demián Bichir, Cecilia Suárez, Luis Felipe Tovar
Ennesima buona comedia negra latina, di quelle incentrate sulla
corruzione di polizia e politici, ma non si salva neanche la chiesa.
Storia estremamente articolata che si sviluppa rapidamente, in modo
a volte scontato altre con colpi di scena e ingegnose trovate, ma il
suo punto porte consiste nei tanti personaggi ben caratterizzati,
fra quali spicca il comandante della polizia soprannominato “Elvis”,
con due basettoni spettacolari.
Lo sfortunato documentarista Gabriel è testimone di ogni tipo di
crimine e subisce aggressioni di continuo, nel tentativo di
recuperare quanto gli è stato sottratto si mette sempre più nei guai
e coinvolge tutti quelli che gli sono accanto. Alcuni lo assecondano
con piacere, altri tentano blandamente di opporsi ma sono
inesorabilmente risucchiati nel vortice di rapine, furti, ricatti,
minacce e rapimenti che coinvolgono, ovviamente, anche vari
insospettabili.
Non eccezionale ma divertente, anche se un po’ amara. Piacevole e
varia la colonna sonora.
IMDb 6,7
348 “Dos crímenes” (Roberto Sneider, Mex, 1994) * con Damián
Alcázar, José Carlos Ruiz, Pedro Armendáriz Jr.
Dopo “Bandidos” ecco di nuovo Damián Alcázar e Pedro Armendáriz Jr.
ma stavolta in ruoli più importanti. Alcázar è protagonista di
questo buon film (a metà strada fra thriller e comedia negra) e dopo
essere stato accusato ingiustamente di omicidio fugge da Mexico City
e ripara da parenti che vivono in una enorme casa, in un piccolo
paesino. Il problema è che lo zio è ricco e i parenti che
“combattono” per la cospicua eredità vedono il nuovo arrivato (dopo
8 anni di assenza) come un pericoloso concorrente. Alle bugie,
velate minacce e perfino tentativi di omicidio si aggiungono i
comportamenti delle varie donne che seducono o sono sedotte dal
protagonista.
La sceneggiatura è più che buona così come il cast (per lo più)
ottimo, a cominciare dal solito Alcázar.
Consigliato
IMDb 7,2
347 “Bandidos” (Luis Estrada, Mex, 1991) * con Eduardo Toussaint,
Jorge Poza, Alan Gutiérrez
Secondo dei soli 7 lungometraggi (in 23 anni, 1991-2014) di Luis
Estrada, regista e sceneggiatore che stimo molto, in particolar modo
per i suoi film successivi di feroce critica sociale e politica,
“travestiti” da comedia negra (“La ley de Herodes”, “El infierno”,
“La dictatura perfecta” ... cercateli e guardateli). “Bandidos” è la
sua prima sceneggiatura cinematografica - in precedenza ne aveva
curato altre per corti e TV - e sono quindi giustificate alcune
carenze. I ragazzini protagonisti della storia sono troppo giovani
per fare tutto ciò che Estrada mostra, varie scene sono un po’
scollegate fra loro e ci sono vari salti temporali poco chiari.
Tuttavia mostra già un gran gusto per le inquadrature, colori e
tempi e certamente ciò grazie all’essere figlio di del regista Jose
Estrada, non certo fra i più famosi ma diresse vari film ben
conosciuti in Messico.
Pur avendo ragazzini come protagonisti è strutturato come un
“western messicano”, all’epoca della rivoluzione dii circa un secolo
fa. Fra gli adutli (tutti con ruoli molto limitati) compaiono vari
suoi amici-attori che poi parteciperanno a vari suoi altri film, in
primis Damián Alcázar (ottimo attorre, qualcuno lo può conoscere
come Gilberto Orejuela della serie “Narcos”), Daniel Giménez Cacho
(tanti buoni film in America Latina e Spagna “Voces inocentes” “La
mala educación”, “Blancanieves”, ...) e Pedro Armendáriz Jr.
(favorito dalla fama del suo omonimo padre, ma certo non dello
stesso livello, ha già all’attivo 165 film).
Pur avendo poca “sostanza”, è piacevole da guardare anche per i
tanti riferimenti e citazioni ai western classici.
IMDb 6,9
346 “La mujer que no tuvo infancia” (Tito Davison, Mex, 1957)
* con Libertad
Lamarque, Pedro Armendáriz, Elsa Cárdenas
Personalmente sono d’accordo con González Ambriz in quanto mi pare
evidente che Tito Davison (regista e co-sceneggiatore del film,
certo non fra i più titolati cineasti messicani ma lungi dall'essere
un inetto incapace) tratta la storia, di per sé abbastanza scontata,
senza eccessi, con garbo, senza personaggi troppo poco plausibili e
con una buona dose di satira sociale dipingendo un ambiente già
ampiamente sfruttato in precedenza, ma quasi sempre con poco gusto,
e mirando al ridanciano di basso livello.
Nel film Libertad Lamarque, già sposa bambina e appena divenuta
vedova, soffre di uno sdoppiamento della personalità (più che altro
dell'età) e si trova a combattere gli avidi e bigotti vecchi cognati
Matilde, Cleotilde e Andrés, per fortuna con l'aiuto dell'esecutore
testamentario interpretato da Pedro Armendáriz che certo non
ricorderà questo film come uno dei suoi più memorabili, ma
probabilmente si divertì a non interpretare (una volta tanto) il
cattivo, duro, rude classico macho messicano ... non per niente Luis
Buñuel lo ritenne perfetto per il ruolo di protagonista in El bruto
(1953).
In effetti Libertad Lamarque negli anni ’40 era già famosa attrice
drammatica e apprezzata interprete di boleri, tango e canzoni
popolari latine e a quel tempo si guadagnò il soprannome "La Novia
de América" (la sposa dell’America), ma dopo una decina di anni era
diventato “Regina del melodramma".
Tratto da questo
post cinematografico
IMDb 7,5
345 “Felicidad” (Alfonso Corona Blake, Mex, 1957) * con Gloria
Lozano, Carlos López Moctezuma, Fanny Schiller
Altro film con Carlos López Moctezuma protagonista, questa volta nel
ruolo di un professore già avanti con gli anni, in procinto di
diventare nonno, che ha “un’avventura” con una giovane donna.
Entrambi sono alla ricerca della felicità (ovviamente effimera),
nessuno dei due è del tutto onesto, molti (compresi loro)
soffriranno le conseguenze della loro breve relazione.
Tutto si svolge fra Ciudad de Mexico e Acapulco, con il ricorrente
tema musicale (strumentale) della famosa canzone “Perfidia”.
IMDb 7,2
Nomination Orso d’Oro alla Berlinale del 1957
343 “La loca” (Miguel Zacarías, Mex, 1952) * con Libertad Lamarque,
Rubén Rojo, Alma Delia Fuentes
344 “Locura pasional” (Tulio Demicheli, Mex, 1955) * con Silvia
Pinal, Carlos López Moctezuma, César del Campo
Dopo “La loca de la casa” ecco atri due film messicani degli anni
’50 che nel titolo includono una “locura” (pazzia) seppur di
tutt’altro genere. Il primo è l’unico dei tre avente come
protagonista una vera e propria psicopatica l’altro è chiaramente un
dramma di infatuazione, tradimento e gelosia.
Per quasi tutta la prima metà di “La loca” sembra di guardare una
commedia o uno sdolcinato melodramma ed il fatto è giustificato
dalla presenza di Libertad Lamarque, famosa attrice e cantante
argentina (e non nasconde il suo accento) che è rimasta attiva prima
nel cinema e poi nelle serie televisive fino alla ragguardevole età
di 92 anni (1908-2000). Nella seconda parte, invece, si passa
nettamente al dramma.
“Locura pasional” l’avevo invece scelto per la presenza di Silvia
Pinal, musa di Luis Buñuel (impersonò Viridiana nel film omonimo, il
diavolo tentatore in “Simón del desierto” e Leticia 'La Valkiria' in
“L’angelo sterminatore”), con una bellezza non classica ma sempre
molto sensuale, l’opposto della succitata Libertad Lamarque che si
presentava molto più acqua e sapone e un po’ svampita. Anche Silvia
Pinal ha avuto una lunghissima carriera cominciando in teatro,
proseguendo con 85 film e poi con le serie TV in una delle quali
tuttora (86enne) interpreta Doña Imelda (già per un centinaio di
episodi). Fu premiata per la sua prova in “Locura pasional” nel
quale la sua controparte era il (quasi) sempre perfido e cattivo
Carlos López Moctezuma, già citato più volte.
342 “Biutiful” (Alejandro González Iñárritu, Mex, 2010) * con Javier
Bardem, Maricel Álvarez, Hanaa Bouchaib
Uno dei film più deprimenti, lenti e avvilenti che abbia mai visto
... e ne ho visti ...
Le 2 ore e venti mi sono sembrate infinite, molto più lunghe anche
delle 7 ore del “Guerra e pace” di Sergey Bondarchuk. Non contesto
certo la bravura di Iñárritu come regista e per la scelta delle
singole inquadrature e meno che mai quella di Javier Bardem come
attore, ma in questo caso non riesco a apprezzare Iñárritu
soggettista e poi sceneggiatore “in combutta” con Nicolás Giacobone
e Armando Bo.
Senza scendere in dettagli, anche per evitare possibili spoiler,
vedo “Biutiful” come una fiumana di disgrazie e miserie, situazioni
tristi e negative senz'altro esistenti ma raramente viste tutte
insieme, con una miriade di personaggi depressi e scoraggiati, ai
quali - per completare lo squallido scenario - se ne affiancano
altri subdoli e sfruttatori, privi di ogni scrupolo. In poche parole
un quadro desolante e, per come è proposto, quasi senza speranza.
Sono stato molto contento quando pochi giorni fa ho trovato il dvd a
Lisbona essendo l'unico che mi mancava dei (soli) 6 lungometraggi
del regista messicano, ma dopo averlo visto devo dire che senza
alcun dubbio è quello che mi è piaciuto meno di tutti.
Almeno, avendolo pagato solo 20 centesimi, non rimpiango la spesa!
RT 64% IMDb 7,5
341 “La loca de la casa” (Juan Bustillo Oro, Mex, 1950) * con Pedro
Armendáriz, Susana Freyre, Beatriz Aguirre
Il film in sé e per sé non è certo memorabile, tuttavia è
interessante per il testo originale dal quale è tratto, l’omonima
opera teatrale di Benito Pérez Galdós, scrittore e drammaturgo
canario che fu apprezzato per svariati motivi. Fra essi risalta uno
stile nel quale sa combinare il linguaggio colto della borghesia e
quello di strada, la caratterizzazione di donne forti, protagoniste
quasi assolute dei suoi scritti, la capacità di trattare gli
argomenti con ironia e per tutto ciò fu molto amato dalla classe
media e dal popolo e per gli stessi motivi dileggiato da critici e
colleghi.
Vari suoi testi sono stati più volte adattati a sceneggiature
cinematografiche, “La loca de la casa” già nel 1926, “Doña Perfecta”
nel 1951 e 1977, “El abuelo” vanta ben 4 versioni (1925, 1945, 1972
e 1998, quest’ultima candidata all’Oscar come miglior film non in
lingua inglese) e non è da sottovalutare l’interessamento alle sue
tematiche da parte di Luis Buñuel il quale ne trasse 3 fra i suoi
più famosi film: Nazarín (1959), Viridiana (1961, dal romanzo “Halma”)
e Tristana (1970).
Come in tutti i suddetti testi è anche in “La loca de la casa”
l’onnipresenza della religione e le relative conseguenti giocano un
ruolo decisivo nello sviluppo della storia. Una novizia in procinto
di prendere i voti accetta di sposare l’uomo rude e volgare che può
salvare la sua famiglia, benché odiato e disprezzato da tutti.
Notevole come al solito l’interpretazione di Pedro Armendáriz
IMDb 7,7
327-340 quattro film di Sherlock Holmes
337 “The Woman in Green” (Roy William Neill, USA, 1945) tit. it. “La
donna in verde” * IMDb 6,9
338 “Pursuit to Algiers” (Roy William Neill, USA, 1945) tit. it.
“Destinazione Algeri” * IMDb 7,2
339 “Terror by Night” (Roy William Neill, USA, 1946) tit. it.
“Terrore nella notte” * IMDb 7,0
340 “Dressed to Kill” (Roy William Neill, USA, 1946) tit. it.
“l mistero del carillon” o “Vestito per uccidere” * IMDb 7,0
Di nuovo in viaggio, ho avuto tutto il tempo per guardare gli ultimi
4 delle 14 avventure di Sherlock Holmes, interpretate da Basil
Rathbone e Nigel Bruce, molto adatte a questo tipo di situazione in
quanto le riprese non sono fondamentali, i vari annunci che arrivano
alle orecchie nonostante gi auricolari non disturbano più di tanto,
sono abbastanza brevi (60-70’) e anche se si interrompe la visone
non è un problema grave.
A turno, ritornano i soliti nemici (Moriarty, il colonnello Moran,
..) ma solo in un paio di essi c’è l’ineffabile ispettore Lestrade.
Tutti questi ultimi 4 sono abbastanza focalizzati sull’argomento
senza grandi divagazioni ed in particolare il secondo e terzo sono
ambientati in spazi limitati: “Pursuit to Algiers” su una nave che
dall’Inghilterra va ad Algeri (con sosta a Lisbona) con un principe
in incognito, ma perseguito da un gruppo di assassini e “Terror by
Night” su un treno sul quale “viaggia” un preziosissimo diamante e
una misteriosa bara ...
Nel primo Holmes si trova ad affrontare una banda di
assassini/ricattatori, ma il loro piano appare chiaro ben presto
anche se non nei modi, mentre il quarto (Dressed to Kill) è forse il
più movimentato e pieno di copi di scena in quanto Sherlock Holmes
si trova di fronte ad una donna estremamente arguta che, con l’aiuto
di due criminali senza scrupoli, cerca di recuperare due cliché di
banconote di 5 sterline rubati un paio di anni prima ... il tutto
gira attorno a tre music box (carillon).
Niente di memorabile, ma certamente un modo più che piacevole di
passare spensieratamente le ore di attesa, volo e trasferimanto in
bus.
336 “The glass castle” (Destin Daniel Cretton, USA, 2017) * con Brie
Larson, Woody Harrelson, Naomi Watts
Già leggendo l'argomento del film non si può fare a meno di andare
con la mente al “Captain Fantastic” di Matt Ross (regista e
sceneggiatore), con Viggo Mortensen che l'anno scorso ottenne anche
la Nomination Oscar. E questo è il primo handicap di "The Glass
Castle". Il secondo problema consiste nel fatto che l'altro aveva
una sceneggiatura originale e quindi molto più facilmente
"manipolabile" mentre questo è basato sull'autobiografia di Jeanette
Walls, giornalista e scrittrice ancora viva e vegeta.
La logica conseguenza è che "The Glass Castle" è un film drammatico
solo con qualche "alleggerimento" che può far sorridere e pertanto
risulta più ostico al grande pubblico. Per la verità sono stati
soprattutto i critici a non accoglierlo molto bene dividendosi quasi
a metà fra pro e contro.
Io l'ho trovato senz'altro meritevole della piena sufficienza e l'ho
preferito a “Captain Fantastic” il quale, per me, era troppo
commedia, in certi sensi esagerata.
Woody Harrelson fa la sua brava parte di capofamiglia un po’
squilibrato e senz’altro alcolizzato mentre Naomi Watts ben
interpreta sua moglie (aspirante artista) per la quale i 4 figli
sono l’ultima delle sue preoccupazioni, pur avendo curato la loro
informale educazione. Brie Larson è brava nel ruolo di Jeanette
adulta, ma forse ancor più brave sono le interpreti della scrittrice
in età minore.
Potrebbero sorgere dei dubbi in merito alla veridicità degli eventi
e pensare che gli sceneggiatori abbiano voluto mostrare solo le
parti più “estreme” della non facile infanzia dei 4 giovani Walls,
ma leggendo i commenti di chi ha letto il libro (per oltre 5 anni
nella lista di bestseller del New York Times, quasi 3 milioni ci
copie vendute, tradotto in 22 lingue) si viene a sapere che le parti
più “dure” sono state soppresse, anche per evitare possibili divieti
al film.
Non volendo, come al solito, parlare troppo della trama e anche per
evitare spoiler, mi limito a dire che realmente i giovani Walls
“hanno fatto la fame”.
Altro punto a favore del film è la scelta degli interpreti nel loro
complesso; bisogna riconoscere che quelli che si sono occupati del
casting e poi dell’aspetto degli attori (in particolare dei ragazzi)
sono stati bravissimi. Se guarderete il film, prestate poi molta
attenzione alla serie di foto conclusive nelle quali appaiono tutti
i veri membri della famiglia e al breve video del 1989 con Rex e
Rose Mary, genitori di Jeanette, i quali si trasferirono a New York
per stare vicino ai figli, ma continuarono a vivere “felicemente” da
squatters. Per molto tempo, anche dopo essere già diventata una nota
columnist, Jeanette mantenne il segreto sul proprio passato, ma poi
fu spinta a raccontarlo “prima che lo facesse (male) qualcun altro”
e quindi rese pubblica la sua storia solo all’età di 45 anni.
Penso che a questo punto sia chiaro che “The glass castle” non è e
non voleva essere una commedia basata su una famiglia “non
convenzionale” ma una vera storia drammatica, parzialmente con lieto
fine.
A chi volesse saperne un po’ di più su Jeanette Walls consiglio di
leggere questa relativamente
breve biografia.
IMDb 7,1 RT 50%
A puro titolo di cronaca, i giovanissimi Shree Crooks e Charlie
Shotwell sono stati interpreti (seppur minori) sia di “Captain
Fantastic” che di “The glass castle”
335 “The House of Fear” (Roy William Neill, USA, 1945) tit. it.
“La casa del terrore” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce
Uno dei più insulsi della serie,almeno dei 10 fin qui visti. Eppure,
è basato su un racconto di Conan Doyle e non solo sui personaggi da
lui creati. Dopo il secondo assassinio si può già prevedere cosa c’è
dietro, tutti (inclusi Holmes ed il sempre sbadato Watson) si
comportano in modo assolutamente privo di senso. A meno che non si
stiano guardando tutti, se ne può fare tranquillamente a meno.
IMDb 7,5
334 “Loving Vincent” (Dorota Kobiela, Hugh Welchman, UK-Pol, 2017) *
con Douglas Booth, Jerome Flynn, Robert Gulaczyk
Ecco un film-progetto unico, che ha impegnato 120 artisti nell'arco
di quasi un decennio. Sono state dipinte a olio con tecnica simile a
quella di Van Gogh 853 scene, successivamente modificate per creare
il movimento. Molte includono esattamente famosi quadri dell’artista
olandese e tutti i personaggi del film sono realmente esistiti e
ebbero a che fare con Van Gogh o semplicemente furono soggetti
occasionali per i suoi dipinti.
Nei perfetti titoli di coda scorrono i personaggi dipinti
dall’artista, affiancati ai disegni del film che hanno avuto come
modelli attori veri e in vari casi alle foto dell’epoca delle
persone in carne e ossa. Ho cercato il videoclip dei soli titoli di
coda ma non li ho trovati, eppure sono certo che a breve appariranno
da qualche parte anche perché hanno come commento sonoro “Vincent”,
canzone del 1971 che molti conoscono come "Starry Starry Night",
dedicata dall’autore Don McLean proprio a Vincent Van Gogh.
Per mettere insieme i vari dipinti e personaggi, gli autori hanno
ideato una trama da mistery e il collegamento è l’ultima lettera di
Vincent scritta al fratello Theo ma mai spedita. Il dirigente
dell’ufficio postale che ne è in possesso affida la missiva al
proprio figlio con l’incarico di recapitarla. Seppur malvolentieri
il giovane (con la giacca gialla) parte e, in attesa di consegnarla,
parla con molti di quelli che hanno conosciuto Vincent ed ognuno gli
fornisce notizie diverse in merito ai suoi rapporti con i locali e
agli avvenimenti dei suoi ultimi giorni. Per la narrazione vengono
inseriti numerosi flashback (tutti in bianco e nero) e si ipotizza
che qualcuno abbia sparato a Van Gogh e che quindi la versione del
suo suicidio non fosse vera.
In questo modo il film riesce a carpire l’attenzione degli
spettatori senza mai rallentare il ritmo e coloro che hanno un
minimo di "cultura visiva" non possono fare a meno di restare rapiti
dalle immagini, colori e tratti tutti nel più puro stile di Van
Gogh.
Purtroppo per gli amanti del buon cinema, dell’arte e delle tecniche
innovative non a solo fine commerciale, ancora una volta la
circolazione in Italia è stata limitatissima ... in poche sale e
solo per 3 giorni (da lunedì a mercoledì della settimana appena
terminata). Si dovrebbe riconsiderare l’assunto (da molti dato per
scontato) che la cultura non interessa e quindi non paga. Infatti,
proprio relativamente a questo caso ho letto che “Loving Vincent” in
quei pochi giorni ha avuto più spettatori e incassato di più di
qualunque altro film, incluso “Blade Runner 2049”. Ciò lascia ben
sperare e, forse, distributori e sale troveranno un accordo per
ulteriori passaggi.
Tornando al film, ne consiglio senz’altro la visione, ma dovrete
stare molto attenti a non perdere la prossima occasione, se ci sarà.
IMDb 8,0 RT 82%
333 “Dersu Uzala” (Akira Kurosawa, URSS, 1975) * con Maksim Munzuk,
Yuriy Solomin, Mikhail Bychkov
IMDb 8,3 RT 100% * Oscar miglior film non in lingua inglese
La trama del film è stata creata estrapolando e adattando i due
libri di memorie dell’ufficiale esploratore russo Vladimir Arsenyev,
poi anche commissario per le minoranze etniche. Il primo testo
s’intitolava proprio “Dersu Uzala”, nome reale del cacciatore di
etnia Nanai/Goldi (o Hezen che dir si voglia) veramente esistito che
guidò Arsenyev in più occasioni nell’arco di vari anni del primo
decennio del ‘900, e il secondo “Nel profondo Ussuri”.
Tranne le poche scene che mostrano la casa dell’ufficiale, con un
Dersu ormai anziano e malconcio, il film è tutto girato in esterni e
Kurosawa con il suo talento ci mostra le bellezze e le insidie delle
foreste, dei fiumi e della taiga della vasta area quasi
completamente disabitata al limite orientale dell’Impero Russo di
allora, a meno di un migliaio di km dal Mar del Giappone
Vladivostok. .
Visto appena dopo “Grizzly Man”, invita gli spettatori a considerare
il diverso rapporto uomo-natura di Treadwell, Dersu, Arsenyev. Quali
di loro erano veri “ambientalisti” o “ecologisti”?
In pratica il film si sviluppa su due livelli, uno umano con il
rapporto fra il militare e il cacciatore nomade senza più famiglia
né casa e l’altro “ecologico” sulla sopravvivenza in ambiente
selvaggio, fra pericoli naturali, tempeste, ambienti inospitali,
animali.
Film senz’altro consigliato, ma è opportuno ammirarlo su grande
schermo (possibilmente molto grande) per apprezzare al meglio le
riprese di Kurosawa in formato 2.20:1.
332 “Grizzly Man” (Werner Herzog, USA, 2005) * con Timothy Treadwell,
Amie Huguenard, Werner Herzog
Come da programma eccomi al double bill (due film di seguito, con un
breve intervello, un solo biglietto) che la Cinemateca Portuguesa
propone ogni sabato, con inizio alle 15.30. Questa volta il tema
comune è la natura selvaggia e i film scelti sono “Grizzly Man” (del
quale avevo visto solo pochi spezzoni in video) e “Dersu Uzala”, il
primo ambientato in Alaska all'inizio di questo secolo, il secondo
nella taiga del bacino dell'Ussuri, al limite orientale dell'Impero
Russo, nel primo decennio del secolo scorso.
Considerato nel suo complesso, il docufilm di Herzog riesce a
restare abbastanza super partes inserendo fra le varie riprese
realizzate dallo stesso Timothy Treadwell interviste ai suoi amici
più stretti e persone che hanno avuto a che fare con lui e che lo
vedevano come un folle ... ed io sto con questi ultimi. La sua era
in effetti una intrusione in un mondo che non gli apparteneva in
alcun modo e gli orsi lo "tolleravano" ma certo non interagivano con
lui. Proclamava di difendere i grizzly ma non c'è evidenza di alcun
risultato reale e comprovato e oltretutto si trovava (infrangendo
varie leggi) in territorio protetto. Nell'ultima parte del film si
scaglia violentemente contro il governo, il Kodiak National Wildlife
Refuge, i ranger. Nelle sue tante riprese non mostra un solo
cacciatore e solo una volta un gruppo di turisti fotografi che si
limitano a lanciare qualche pietra.
Proprio per questa sua posizione oggettiva, Herzog con il suo film
ha fornito spunti ad entrambe le parti (denigratori e ecologisti più
o meno estremisti) di parlarne sia bene che male, appigliandosi a
questa o a quella dichiarazione di Treadwell o di qualche
intervistato.
Questo film è certamente più documentario di altri per includere
molte riprese non organizzate da Herzog, ma semplicemente da lui
scelte fra le oltre 100 ore girate dallo stesso Treadwell (solo in
un caso da altra persona) e per avere molte interviste secondo me
significative e, soprattutto, bilanciate fra pro e contro.
Non sempre i documentaristi riescono ad esimersi da far diventare i
propri lavori veri e propri manifesti di parte.
Per apprezzare appieno questo lavoro bisogna essere abbastanza
amanti della natura ed interessati al tema. Herzog ha certamente
prodotto documentari e film più significativi e di maggior pregio,
ma è importante ricordare che il limite fra gli uni e gli altri
(tranne rare eccezioni) è spesso molto indefinito.
IMDb 7,8
330 “The Scarlet Claw” (Roy William Neill, USA, 1944) tit. it.
“L’artiglio scarlatto” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce IMDb 7,5
331 “The Pearl of Death” (Roy William Neill, USA, 1944) tit. it.
“La perla della morte” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce IMDb 7,5
Il primo è un buon film con un
criminale che affronta (quasi sfida) Sherlock Holmes in uno dei suoi
campi preferiti ... il trasformismo. Quindi non si sa mai chi è chi.
Alle spalle c’è una storia di vendetta abbastanza complicata che
vede coinvolte varie persone, lasciando una volta tanto da parte
l’avidità dei soliti ladri, megalomani e truffatori .
Divertente l’ambientazione in Quebec (Canada) che a fine pellicola
permette a S. H. di declamare un altro pezzo di discorso di
Churchill sull’alleanza e unità di intenti fra Regno Unito, Canada e
USA ... la guerra non era ancora finita.
Con “The Pearl of Death” si torna a
Londra e alla normalità (furti e omicidi annessi) con la
partecipazione dell’ineffabile ispettore Lestrade (Dennis Hoey) che
avevamo perso di vista nei film ambientati oltreoceano. La storia è
un po’ meno coinvolgente della precedente, ma senz’altro buona
grazie al ritmo e ai tanti colpi di scena. Anche in questo caso S.
H. si esibisce in vari ottimi travestimenti.
329 “The Violent Years” (William Morgan, USA, 1956) sceneggiatura di
Ed Wood * con Jean Moorhead, Barbara Weeks, Art Millan
Da Kobayashi a Wood, dalle stelle alle stalle ... ma il cinema è
anche questo ... vi invito a continuare a leggere
La segnalazione del pessimo “The Violent Years” mi è giunta da
Public Domain, sito che mette online link a film di pubblico
dominio, accompagnati da poche essenziali notizie che, in questo
caso, ci portano al “peggior cineasta di sempre”: Ed Wood.
William Morgan era invece un mediocre regista che aveva ottenuto
risicate sufficienze per i suoi precedenti 13 film diretti fra il
1940 e il 1943, dopo aver curato il montaggio di film anche di
miglior livello soprattutto negli anni ’30, ma nel 1956
inopinatamente si fece convincere a tornare a dirigere una pellicola
con una sceneggiatura del “famigerato” Ed Wood. A detta di tutti
questi fu un cineasta di scarsissimo livello (molti sostenevano
fosse “il peggiore di sempre”), con capacità pressoché nulle e
strane abitudini che, proprio per tali motivi, divenne personaggio
singolarmente famoso a tal punto da convincere la Touchstone
Pictures a produrre nel 1994 il suo biopic per la regia di Tim
Burton, con Johnny Depp, Martin Landau, Sarah Jessica Parker, Bill
Murray, Patricia Arquette,... mica cosa da poco. l film con titolo
proprio “Ed Wood” vinse 2 Oscar.
Invece, questo “The Violent Years” è veramente mal pensato, mal
diretto, con montaggio ridicolo, quasi senza capo né coda, con
inserti ripetuti e altri chiaramente fuori posto, si passa dal
giorno alla notte con grande nonchalance, la recitazione dei più
rasenta il ridicolo e stendiamo un velo pietoso sui dialoghi ... non
per niente ha un rating di 2,9 (su 10) su IMDb.
Ora però mi è venuta voglia sia di guardare il film di Tim Burton,
sia il più famoso (in negativo) film diretto e sceneggiato dallo Ed
Wood: “Plan 9 from Outer Space” del 1959 anche se vanta un “ottimo”
4,0 (su 10) su IMDb, ma quasi certamente ciò è dovuto alla fama
postuma acquisita da Wood.
Per concludere, invito i cinefili curiosi e di mente (molto) aperta
a leggere la
biografia di Ed Wood scritta con vena molto ironica e pubblicata su
IMDb, ma anche la
pagina Wikipedia
fornisce tantissimi particolari e le trame (e che trame!) dei suoi
film nei quali l’accostamento di generi era quasi prassi.
IMDb 2,9
... e questo è l'incredibile
trailer del film
328 “L’ultimo Samurai” (Masaki Kobayashi, Jap, 1967) tit. or.
“Jôi-uchi: Hairyô tsuma shimatsu” tit. int. “Samurai Rebellion” *
con Toshirô Mifune, Yôko Tsukasa, Gô Katô * IMDb
NB: non ha niente a che vedere con il film del 2003 dallo stesso
titolo (in italiano) con Tom Cruise e Ken Watanabe
Secondo film di Kobayashi incentrato sui samurai e soprattutto sul
loro senso dell’onore. Tuttavia, come già sottolineato per Harakiri,
i suoi non sono film di combattimenti fra samurai, bensì drammi
basati sui rapporti familiari e sulla dignità. In questo film il
primo scontro avviene solo a un quarto d’ora dalla fine ... tragica
e pessimista, della quale il protagonista ben si rende conto, anche
se un barlume di speranza viene concesso dall’ultima inquadratura.
Anche qui notevole è lo studio delle inquadrature, della quasi
costante simmetria delle scene interrotte nei momenti più drammatici
da inquadrautre diagonali ravvicinate di grande efficacia. Molto
interessante anche la drammatica sceneggiatura tratta da un romanzo
di Yasuhiko Takiguchi.
Ovviamente, consiglio caldamente anche questo film.
8,4 RT 100%
327 “Harakiri” (Masaki Kobayashi, Jap, 1962) tit. or.
“Seppuku” * con Tatsuya Nakadai, Akira Ishihama, Shima Iwashita
Perché tanti, pur aspiranti cinefili, si "spaventano" al solo
menzionare il cinema asiatico classico e rifuggono dall’affrontarlo?
Oltre al maestro indiano Satyajit Ray, perché non cominciare a
prendere in considerazione, e quindi "osservare" più che guardare, i
film dei suoi tanti omologhi giapponesi del secolo scorso come Ozu,
Mizoguchi, Kurosawa, dei quali si dovrebbero conoscere almeno i
nomi? Ieri mi sono goduto questo “Seppuku” (aka “Harakiri”), uno dei
numerosi capolavori di un altro della schiera: Masaky Kobayashi.
Si tratta di un dramma ambientato nel Giappone feudale del 1630 e si
svolge per lo più in un cortile del palazzo del signore locale dove
un samurai ronin si vuole riscattare suicidandosi secondo il rituale
del seppuku (harakiri). Ma prima ha qualcosa da raccontare, così
come il signore gli riferisce di avvenimenti simili da poco accaduti
in quello stesso cortile. Attraverso le esposizioni degli eventi
(con vari flashback) vengono fuori gli imprevedibili legami fra i
vari protagonisti. Tutto viene descritto con riprese precise, fra
inquadrature perfettamente centrate e primissimi piani diagonali, i
dialoghi e le interpretazioni sono pressoché perfette
(indispensabile l’audio originale giapponese), il bianco e nero
superbo.
Sarò anch’io obsoleto, ma dico che questo è un esempio di “vero
cinema”.
Secondo me è imperdibile.
IMDb 8,7 RT 100%
PS - A chi non ama gli infiniti duelli e scontri di un certo tipo di
cinema asiatico ricordo che solo negli ultima parte del film vengono
mostrati pochi minuti di combattimento, tutto il resto e puro cinema
e teatralità.
326 “Shakha Proshakha” (Satyajiy Ray, India, 1990) tit. int.
Branches of the Tree * con Ajit Banerjee, Haradhan Bannerjee,
Soumitra Chatterjee
Ho trovato questo altro film di Satyajit Ray, il penultimo dei suoi
29, un dramma familiare, di impostazione quasi teatrale. Quattro
fratelli (un paio dei quali accompagnati dalle mogli) si ritrovano a
casa del padre che ha avuto un infarto. L’anziano è una persona
integerrima che ha fatto dell’onestà assoluta il proprio credo,
ammirata e portata ad esempio a tutti, ma alcuni dei figli non la
pensano allo stesso modo e piano piano i diversi punti di vista
vengono fuori e ci saranno vari confronti.
Sapendo che molti, purtroppo, non conoscono questo grande regista
indiano, approfitto dell’occasione per ricordare che nel 1992 gli fu
assegnato l’Oscar alla carriera “per la sua rara maestria nell’arte
del cinema e per il suo profondo senso di umanità che hanno avuto
un’indelebile influenza sui registi e sul pubblico di tutto il
mondo.”
Fra i tanti che hanno espresso la propria approvazione, Akira
Kurosawa disse “Non aver visto i film di Ray significa vivere senza
aver visto il sole e la luna”; George Lucas: “Onorando Satyajit Ray
si aiuta a portare la sua opera all’attenzione di un più vasto
pubblico ed in particolare dei giovani filmmaker sui quali avrà
certamente un effetto positivo”; Martin Scorsese: “Ray è magico, la
semplice poesia delle sue immagini e il loro impatto emotivo
rimarranno sempre con me. Il suo lavoro è pari di quello dei suoi
contemporanei Ingmar Bergman, Akira Kurosawa and Federico Fellini”
IMDb 7,7
325 “It” (Andy Muschietti, USA, 2017) * con Bill Skarsgård, Jaeden
Lieberher, Finn Wolfhard
E dopo un film sci-fi (Blade Runner 2049) passo a un horror che è un
altro genere che non amo particolarmente, ma se il prodotto è buono
lo guardo con piacere e in questo caso non me ne sono affatto
pentito. In effetti, prima di "immolarmi" mi ero documentato ed
essendo rimasto soddisfatto delle informazioni che passo a
condividere con chi - come me - è poco esperto in questo campo, mi
sono avviato al cinema.
Il film è un adattamento di “It” (di Stephen King, pubblicato nel
1986 al termine di una stesura durata quasi 5 anni) ritenuto dai più
il capolavoro del più famoso autore di horror moderni. Nel
sostanzioso romanzo di oltre 1.000 pagine King narra due storie che
si sviluppano negli stessi luoghi con più o meno i medesimi
personaggi a distanza di 27 anni. ma le intreccia con frequenti
flashback. Data la lunghezza del testo che impediva di trasformarlo
in un’unica pellicola, per questa produzione è stato deciso di
separare nettamente le due serie di eventi, girando due film
distinti. Questo “It: Chapter One” racconta quindi solo la prima
parte che inizia con un episodio del 1988 per poi passare ai tanti
eventi dell’estate dell’89 (nel libro 1957-58). I protagonisti sono
tutti adolescenti un po’ particolari, che si ritrovano insieme per
caso ma hanno un punto in comune: sono costantemente vessati dai
compagni di scuola e in famiglia le cose non sempre vanno meglio.
Fra loro c’è un balbuziente, un allergico/malaticcio, un simpatico
“secchione” sovrappeso, il figlio di un rabbino, un ragazzo di
colore e una sola ragazza. I poverini (ma in effetti molto
ardimentosi) non se la dovranno vedere solo con il terribile clown (It),
ma anche con i bulli e qualche strano genitore ...
Il ritmo è incalzante, gli eventi sono tanti, molte volte ci si
aspetta qualcosa che non succede, altre volte i ragazzi sono in
condizioni più che disperate, si percepisce che “deve” succedere
qualcosa ma difficilmente si indovina come si evolverà la
situazione. Con ciò voglio dire che non è per niente banale, le
sorprese sono tante, le trasformazioni di It sono numerose e ben
realizzate e le parti horror-drammatiche vengono abilmente
stemperate con tocchi di commedia sparsi qua e là. L’unico aspetto
per me negativo (anche se in parte giustificato) è quello
dell’inserimento dei soliti discorsi sull’amicizia, l’unione, la
lealtà ecc. ma l’ultimo d questi è chiaramente necessario per
rimandare a “It: Chapter Two”, annunciato per il 2019. Si può star
certi che nel prossimi film (che non si può chiamare sequel, ma solo
seconda parte) ci saranno i necessari notevoli cambiamenti nel cast
visto che gli avvenimenti si riferiscono a 27 anni dopo e quindi gli
adolescenti saranno divenuti adulti, intorno alla quarantina.
Non è un film d’autore, non è un capolavoro, ma è certamente ben
realizzato, i ragazzi sono tutti più che bravi (ma temo molto il
doppiaggio per chi lo guarderà in italiano), montaggio, tempi ed
effetti speciali sono ottimi, le caratterizzazioni degli adulti sono
volutamente al limite, ma appropriate, la regia è sicura e il
soggetto è garantito da Stephen King il quale, dopo aver assistito
all’anteprima, ha dichiarato che il film gli era piaciuto oltre ogni
sua aspettativa e che nel complesso era stato fatto "a wonderful
job", e se lo dice lui ...
Consigliatissimo se appena sopportate il genere ... .
IMDb 7,8 RT 85%
324 “Blade Runner 2049” (Denis Villeneuve, USA, 2017) * con Harrison
Ford, Ryan Gosling, Ana de Armas
In una sola parola: deludente (ma non per questo malvagio). Forse
per le troppe sperticate recensioni mi aspettavo molto di più ed è
ben distante dall’originale del 1982, in ogni senso. Premesso che
non sono un fan della fantascienza e sci-fi ed in particolare della
distopia (e pertanto posso non aver colto elementi preziosi o
quantomeno importanti) cinematograficamente parlando trovo che sia
estremamente ed inutilmente lento e non tanto per le scene nelle
quali non succede niente (sono solo vagamente descrittive) ma per i
lunghi silenzi dei protagonisti e per le pause fra una frase e
l’altra di quasi tutti i dialoghi (abbastanza scadenti). L’ossessivo
commento sonoro (presente quasi esclusivamente in esterno) per lo
più a base di bassi profondi (diegetici o extradiegetici?) che
talvolta si tramutano in stridori contrasta con il silenzio
pressoché assoluto degli interni. I replicanti dovrebbero “sentire”
emozioni e/o sentimenti (altrimenti non si spiegherebbero i loro
comportamenti), ma sembrano non esprimerli con il tono di voce,
praticamente monocorde.
D’accordo, siamo nel futuro e ognuno può ipotizzare ciò che vuole ma
alcuni particolari mi hanno fatto sorridere (mi sono sembrati
ridicoli). Il più lampante è il registro (un enorme libro ...
cartaceo!) nel quale si cercano annotazioni di 30 anni prima (=
2019) e per evitare uno spoiler mi limito a dire che non si vanno a
leggere le ultime pagine, implicando che ben oltre il 2020 si usasse
ancora carta e penna ... a Los Angeles ... in un mondo tecnologico
... Stendo un velo pietoso sulla scena “in riva al mare” (la mia
croce) e non mi dilungo oltre.
Salvo senza remore di sorta buona parte della fotografia, di molte
scenografie interne e, soprattutto dell’uso degli ologrammi ...
veramente notevole, vario e originale.
Come la maggior parte dei sequel, prequel e simili, per non parlare
dei remake, mi è sembrato un po’ pretenzioso ma mi domando: come
sarebbe stato accolto senza l’esplicito legame con il film di Ridley
Scott? Meglio o peggio?
IMDb 8,4 RT 89%
321-323 tre film di Sherlock Holmes
Approfittando di una mezza giornata di viaggio, ho guardato in
rapida successione quinto, sesto e settimo film della serie di
Sherlock Holmes interpretata da Basil Rathbone e Nigel Bruce e così
li recensisco in blocco, più brevemente del solito.
Il conflitto mondiale sembra essere sempre presente in questi tre
film, tutti del 1943. Il primo di chiude con una citazione di un
discorso di Churchill sull'indissolubile alleanza anglo-americana,
il secondo con una frase sulla democrazia seguita dall'invito a
comprare i buoni di guerra e infine nel terzo i bersagli del tiro a
segno nelle scene conclusive sono immagini di Hitler, Mussolini e
altri "nemici".
"In Washington" "SH Faces Death" tit itIl
321 “Sherlock Holmes in Washington ” (Roy William Neill, USA, 1943)
* con Basil Rathbone e Nigel Bruce * IMDb 7,0
Si tratta di un buon film di spionaggio nel quale prima si va alla
ricerca di chi trasporta documenti segreti da Londra a Washington e
poi si cercano gli stessi che, ridotti a microfilm,
involontariamente e incospicuamente vengono passati di mano
innumerevoli volte. Ben costruito
322 “Sherlock Holmes Faces Death” (Roy William Neill, USA, 1943) *
con Basil Rathbone e Nigel Bruce * IMDb 7,2
Storia un po' forzata ma con parecchie trovate geniali interessanti
personaggi. Si torna nel Regno Unito con una classica ambientazione
in una misteriosa magione di campagna. Una conclusione emblematica
porta inevitabilmente alla populistica morale finale.
323 “Sherlock Holmes - The Spider Woman” (Roy William Neill, USA,
1943) * con Basil Rathbone e Nigel Bruce * IMDb 7,4
Questo terzo film è quello che mi è piaciuto di meno, per essere
basato su troppi elementi esotici (poco credibili) e per il fatto
che Sherlock Holmes sopravvive e risolve il caso aiutato da una
fortuna sfacciata più che dalla sua leggendaria stringente logica.
320 “Good Time” (Benny Safdie e Josh Safdie, USA, 2017) * con Robert
Pattinson, Benny Safdie, Jennifer Jason Leigh
Presentato a Cannes a maggio, pare che dovrebbe uscire in Italia fra
una decina di giorni. Se non valutassi i film nella loro
completezza, darei almeno un 9 alla sceneggiatura (anche se parte da
un’idea assolutamente balzana) e non più 6 alla realizzazione. Il
susseguirsi di eventi ha quasi del’incredibile, alcuni sono
autentiche sorprese, altri un po’ troppo previsti, ma in linea di
massima ho apprezzato la varietà di personaggi nei quali Connie (un
Robert Pattinson quasi irriconoscibile) si imbatte e le interazioni
con gli stessi.
Concordo con i tanti che hanno voluto vedere una similitudine con la
struttura del famoso e delizioso cult “After Hours” (1975) di
Scorsese, ma certo i fratelli Safdie non sono Scorsese e
l’ambientazione completamente differente.
Proprio nella grande varietà di situazioni ci sono alcuni colpi di
genio e penso che ciò sia il vero merito di questa dark comedy. I
metodi dello psico-sociologo sono una caricatura perfetta
dell’ambiente, i parco di divertimenti un’ambientazione quasi
surreale.
Un buon film di puro svago con un finale ben pensato (cosa rara).
Consigliato, ma non vi aspettate un capolavoro
IMDb 7,9 RT 94%
319 “Le deuxième souffle” (Jean-Pierre Melville, Fra, 1966) tit. it.
“Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide” * con Lino Ventura, Paul
Meurisse, Raymond Pellegrin, Christine Fabréga, Michel Constantin
Prima di passare a commentare brevemente questo interessantissimo e
ottimo noir francese (IMDb 8,1 RT 100%), mi preme sottolineare che
Melville si avvalse di un ottima sceneggiatura nella quale riuscì a
collegare le due storie ben distinte incluse del romanzo originale
("Un reglement de comptes") di José Giovanni, autore di romanzi e
dialoghi per i film, regista e sceneggiatore, personaggio molto
singolare e senz'altro discutibile ma fondamentale per i polizieschi
francesi in quanto aveva una perfetta conoscenza degli ambienti
malavitosi essendo stato gangster, collaborazionista dei nazisti,
estorsore, assassino, ricattatore ed aveva alle spalle una decina di
anni di galera ... non vi sembra abbastanza?. A lui la Cinemateca
Portuguesa ha voluto dedicare quasi un’intera pagina delle 4 che
compongono la dettagliata ed interessantissima scheda del film,
insieme ai dati tecnici e commenti di critici e storici del Cinema.
Corso, all’anagrafe Joseph Damiani, visse nell’ambiente criminale
fino a quando alla fine della guerra, non ebbe più protezione, fu
arrestato e gli furono comminati 20 anni di lavori forzati; poi,
aggiungendo altre condanne, addirittura la pena di morte che però fu
successivamente commutata in lavori forzati a vita, poi ridotta e
infine fu liberato nel 1956 dopo solo 11 anni di galera. Appena un
anno dopo pubblicò il suo primo romanzo: "Le trou" con la più
prestigiosa casa editrice dell'epoca (Gallimard) ... ma in
quell’anno l'ex gangster Damiani era diventato José Giovanni. Nel
'60 fu prodotto l'omonimo adattamento cinematografico (“Il buco”
IMDb 8,1) e subito dopo un altro suo romanzo-film: "Classe tous
risques" (“Asfalto che scotta”, 7,5). Fra sceneggiature, stesure
dialoghi e soggetti ha collaborato a oltre 30 film ed è anche stato
egli stesso regista 13 volte. Fra i suoi lavori ci sono molti dei
migliori film polizieschi francesi degli anni ’60 e ‘70 film
"storici" fra i quali, oltre ai già citati, anche "Il clan dei
siciliani" (1969) , "I 3 avventurieri" (1967), “Ultimo domicilio
conosciuto" (1970), “Lo zingaro” (1975), ... quasi tutti film di
primo livello con gli attori più famosi in questo genere come Lino
Ventura, Alain Delon, Jean-Paul Belmondo.
I suoi precedenti rimasero ben nascosti fino al 1993 quando 2
giornalisti svizzeri rivelarono che dietro lo pseudonimo Giovanni si
nascondeva il criminale Joseph Damiani nonché i dettagli del suo
passato, ma avendo scontato la pena e chiuso i conti con la
giustizia rimasero solo le chiacchiere e minacce di cause e querele
non portate a termine.
Di “Le deuxième souffle” è stato prodotto un (pessimo) remake nel
2007 con un cast improponibile ... Daniel Auteuil nel ruolo di Gu
(con tutto il rispetto per Auteil lo si può paragonare a Ventura e
specialmente in nelle vesti di un gangster?) e l’unico fondamentale
personaggio femminile fu affidato a Monica Bellucci, che certo
grande attrice non è.
Tornando al film, l’ho trovato ottimo, avvincente (le 2 ore e mezza
non pesano assolutamente), molto ben interpretato. Interessante
anche la varietà di personaggi proposti dai due commissari rivali
che procedono con metodi completamente opposti, i due fratelli
criminali che procedono su binari diversi, il misterioso e ambiguo
Orloff, Manuche (proprietaria di un locale di livello, molto
signorile, rispettata da tutti) e ovviamente l’evaso Gu (Ventura)
che si trova preso in una rete di ricatti, tranelli e bugie.
Senz’altro un FILM da non perdere ... altro che megaproduzioni
moderne con attori iperpagati (per lo più incapaci) e effetti
speciali a più non posso.
Ah, dimenticavo ... ovviamente è girato con un opportunissimo bianco
e nero ...
IMDb 8,1 RT 100%
318 “Dunkirk” (Christopher Nolan, UK, 2017) * con Fionn Whitehead,
Barry Keoghan, Mark Rylance, Kenneth Branagh, Tom Hardy, Cillian
Murphy
Una voce fuori dal coro ... non mi è piaciuto per niente, ancor meno
di “Hacksaw Ridge”, ma ovviamente per ragioni ben diverse.
Sono molti gli aspetti di “Dunkirk” che mi hanno lasciato perplesso,
dai personaggi al montaggio, dai tempi alla indiscutibile
incongruenza di molte scene. Capisco che girare in mare non è
semplice ma in un campo e controcampo della stessa azione il mare
non può passare dalla calma assoluta all’agitato e viceversa con il
successivo cambio di prospettiva. E anche il cielo e la luce,
perfino nella breve storia aerea e addirittura durane alcuni
dialoghi sul molo, cambiano troppo spesso e rapidamente La storia
dell’imbarcazione arenata, forata dai proiettili, riempita d’acqua e
poi galleggiante è assolutamente incredibile. La compressione
temporale dell’evacuazione dalla spiaggia stride troppo con
l’espansione del periodo di volo di Tom Hardy.
Come se tutto ciò non bastasse, sono rimasto sconcertato per i
colori e chiedo conforto a chi lo ha visto di togliermi questo
dubbio: il film che ho visto (in una buona sala) aveva una dominante
violacea, mancavano i rossi, i verdi erano sbiaditi. Commentando il
fatto con un mio vicino di fila, mi ha detto che era una scelta del
regista e che non c’era niente di sbagliato nella pellicola o file
che fosse né nel proiettore ... ma non mi ha per niente convinto. Ho
guardato il trailer ed alcune foto del film e mi sono sembrate tutte
con i colori giusti e c’erano anche dei gialli molto “sparati” che
avrei dovuto notare ... se ci fossero stati. Forse anche questo
disappunto “fotografico” di aver visto immagini appiattite e poco
contrastate ha contributo alla mia impressione negativa, ma alcuni
dei dati precedentemente esposti non sono assolutamente condizionati
dai colori.
La sua particolare interpretazione e visione del tempo, molto
relativa e soprattutto personale, non è certo una novità, ma sembra
giunto il momento di cominciare a pensare a qualcosa di nuovo e
casomai di più immediata comprensione. Inoltre, da un film a tema
bellico, per di più basato su eventi reali, sarebbe stato lecito
aspettarsi una maggiore coerenza e credibilità.
In ogni caso, penso che Christopher Nolan il suo capolavoro lo abbia
già realizzato (Inception) e se continua con la smania di fare
troppo e di sbalordire ad ogni costo non riuscirà a fare di meglio,
anche se glielo (me lo) auguro.
IMDb 8,4 RT 94%
317 “Pierrot le Fou” (Jean-Luc Godard, Fra, 1965) tit. it.
“Il bandito delle 11” * con Jean-Paul Belmondo, Anna Karina,
Graziella Galvani
Uno dei più noti (almeno di nome) film di Godard, molto
sconclusionato, assolutamente provocatorio. Non c'è certo da
meravigliarsi visto che quella era la sua precisa intenzione. A
tratti interessante, a tratti intrigante, altre volte irritante ma
spesso geniale nei dettagli.
Preso nel suo complesso, la maggior parte degli spettatori o lo
amano e quindi lo esaltano o lo odiano, criticano e disprezzano, non
c’è quasi via di mezzo. Comunque sia, è stato uno di quei film che
certamente ha un posto di rilievo nella storia del cinema e fu uno
dei più impattanti degli anni '60 e non solo nell'ambito della
Nouvelle Vague.
Personalmente lo prendo per quello che è, ho apprezzato le idee
innovative, il quasi surrealismo di alcuni dialoghi e alcune scene o
semplici immagini, la ripetitività di certe frasi, i giochi di
parole sia proferite che mostrate e soprattutto mi è piaciuto il
montaggio.
Ciò che, al contrario, non mi ha del tutto soddisfatto è l'eccessiva
sconnessione fra le scene, ma si deve ricordare che anche questo era
un suo obiettivo dichiarato: “non raccontare storie”.
A chi si è incuriosito (e anche a chi lo conosce ma non a memoria)
suggerisco di leggere articoli, commenti e “trivia” relativi al
film. Potrà scoprire citazioni di poeti, origini di numerose frasi,
il cameo del regista americano Fueller che definisce l’essenza del
Cinema e tanto altro.
Per apprezzarlo al meglio (o tentare di cogliere almeno buona parte
dei tanti dettagli) consiglio d guardarlo, informarsi e poi
guardarlo di nuovo.
IMDb 7,7 RT 85%
316 “Le samouraï” (Jean-Pierre Melville, Fra, 1967) tit. it. “Frank
Costello - Faccia d'angelo” * con Alain Delon, Nathalie Delon,
François Périer
Bel noir, preciso, “chirurgico”, con un Alain Delon dal volto
impassibile e impenetrabile ma non per questo inespressivo. Anche
tutti gli altri attori si calano perfettamente nei rispettivi
personaggi. Tempi rigorosi, riprese interessanti e giusto ritmo
tengono sempre viva l’attenzione dello spettatore fino al singolare
finale. Ma anche la scena iniziale è assolutamente notevole con
un’inquadratura fissa di una stanza apparentemente vuota e avvolta
nella semioscurità finché non appare un fil di fumo che distoglie
l’attenzione da un ritmico cinguettio. La “salute” dell’uccellino in
gabbia fa da contrappunto alla situazione sempre più critica nella
quale si trova il “Samurai”. Il lungo confronto nella stazione di
polizia, guidato dal tenace commissario (François Périer) alla
ricerca dell’assassino mi ha riportato alla mente il confronto in
quel gran film che è “The Usual Suspects” diretto da Bryan Singer
quasi 30 anni più tardi..
Assolutamente consigliato.
IMDb 8,1 RT 100%
315 “Lumière!” (documentario di Thierry Frémaux, Fra, 2016) * con
Auguste e Louis Lumière, tanti membri della loro famiglia e amici e
tanta, tanta gente di ogni tipo
La
recensione completa si trova in questo post su Discettazioni Erranti
IMDb 8,1
314 “L'aîné des Ferchaux ” (Jean-Pierre Melville, Fra, 1963) tit. it.
“Lo sciacallo” * con Jean-Paul Belmondo, Charles Vanel, Michèle
Mercier, Stefania Sandrelli
Il titolo in italiano è diventato "Lo sciacallo", anche se la
traduzione letterale di quello originale è "Il maggiore dei Ferchaux".
Ciò premesso passo a parlare di alcune delle tante particolarità di
questo film, quasi una sfida di Melville nei confronti dei suo
denigratori. Subentrò nel progetto inizialmente affidato ad altro
regista che avrebbe voluto Alain Delon protagonista; a causa della
indisponibilità dell’attore il regista si tirò indietro e quindi la
regia fu offerta a Melville che portò con sé Belmondo che aveva già
diretto in “Léon Morin, prêtre” e “Le Doulos” nei due anni
precedenti.
"Lo sciacallo" è l'unico dei 13 di Melville per il quale il regista
non ha collaborato alla sceneggiatura. La maggior parte dell'azione
si svolge durante un lungo viaggio sulle strade secondarie degli
Stati Uniti da New York a New Orleans rendendolo quasi un road
movie, ma le parti con gli attori furono girate tutto in Francia.
Solo successivamente Melville si occupò di scegliere e realizzare le
riprese urbane, con tanto di insegne e tipici motel americani e poi
inserirle in modo appropriato.
Al di là della bravura degli attori (due star francesi di età ben
diverse, il "vecchio" Vanel e l'emergente Belmondo) il film non mi
ha convinto del tutto pur apprezzando comunque la solita regia
"minimalista ed essenziale" di Melville.
Da notare che questo secondo film a colori fu girato in Franscope
(... i soliti sciovinisti) equivalente francese del ben più noto
Cinemascope.
Singolare l'apparizione dell’allora diciassettenne Stefania
Sandrelli nel ruolo di una bionda autostoppista molto
intraprendente. (vedi foto)
Anche questo, similmente a “Quand tu liras cette lettre”, è
unanimemente reputato un film "minore" di Melville (perfino il
regista disse di non essere soddisfatto) eppure sostengo che merita
una visione per il modo singolare in cui racconta la storia.
IMDb 6,7
313 “Quand tu liras cette lettre” (Jean-Pierre Melville, Fra, 1953)
tit. it. “Labbra proibite” (ignobile traduzione del titolo, ma c’è
da dire che i belgi fecero esattamente lo stesso) * con Philippe
Lemaire, Juliette Gréco, Yvonne Sanson
Questo è forse il film di Melville mediamente meno apprezzato da
critica e pubblico, eppure a me non è dispiaciuto per niente. Storia
cupa e a tratti torbida, drammatica, con forte componente sessuale,
che vede fra i protagonisti principali due sorelle appena diventate
orfane (Thérèse, in attesa di prendere i voti, lascia il convento
per stare al fianco della diciassettenne Irène), una ricca e
inquieta villeggiante di mezza età, un meccanico-pugile-autista poco
di buono, donnaiolo spregiudicato fino allo stupro e anche ladro
..., e attorno a loro ce ne sono tanti altri dei generi più
svariati, tutti interessanti e ben caratterizzati.
La storia procede quindi speditamente visto che racconta di 3
incidenti mortali, un tentativo di suicidio, uno stupro, furti di
vario tipo, progetti criminosi. Non ci si annoia di certo, ma forse
c'è un po' troppa carne a cuocere.
Una particolarità che avevo notato, seppur parzialmente, è le
pressoché identiche panoramiche diagonali di apertura e chiusura,
significative in quanto la prima va dal porto e dalla città al
convento in cima alla collina e la seconda il percorso opposto. Ho
poi appreso che Melville utilizzò proprio la stessa serie di
fotogrammi, riprodotti all'inverso. Se fossi stato ancora più
attento avrei dovuto notare gli uccelli che volano al contrario!
Lo consiglio, anche per le bella fotografia in bianco e nero
IMDb 6,7
312 “The Voice of Terror” (John Rawlins, USA, 1942) tit. it.
“La voce del terrore” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce
I due film del 1942 a tre anni di distanza dal secondo sono entrambe
correlati alla guerra in corso e questo in particolare tratta di un
gruppo di infiltrati nazisti in Gran Bretagna. Come se non bastasse
la più o meno velata propaganda nazionalista (inglese), alla fine
c'è addirittura un cartello (soprattutto per gli americani) che
invita gli spettatori a sovvenzionare le forze armate con “war
savings stamps and bond”, venduti nel cinema stesso (vedi screenshot).
Questo è ovviamente un limite per la storia "His last bow" di Conan
Doyle.
IMDb 6,8
311 “Adventures of Sherlock Holmes” (Alfred L. Werker, USA, 1939)
tit. it.
“Le avventure di Sherlock Holmes” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce
Al contrario del precedente, questo secondo film della serie è
stiracchiato, con scene troppo lunghe che spezzano il ritmo e dopo
pochi secondi non forniscono neanche suspense. Stavolta c'è anche
La scena iniziale vede il professor Moriarty (eterno e temibile
nemico giurato di Holmes) inopinatamente assolto in tribunale
termina con la sua solita apparente morte. Nel mezzo una doppia
storia lenta e poco movimentata. Dei tre film visti finora è di gran
lunga il meno appassionante.
Ho poi scoperto che da Conan Doyle sono stati presi solo i
personaggi, ma il soggetto non è suo.
IMDb 7,6
310 “The Hound of Baskervilles” (Sidney Lanfield, USA, 1939) tit.
it.
“Il mastino dei Baskerville” * con Basil Rathbone, Nigel Bruce
Uno dei più noti casi affrontati (e ovviamente risolti) da Sherlock
Holmes, probabilmente quello più rappresentato in film e telefilm, è
il primo dei 14 film interpretati da Basil Rathbone e (Sherlock
Holmes) e Nigel Bruce (Watson). I primi 3 diretti da registi diversi
(gli altri furono Alfred L. Werker e John Rawlins) da 11 con la
regia di Roy William Neill.
Questo buon inizio spinse i produttori a proseguire in questo filone
anche se, dopo i primi 2 girati nel 1939, ci fu una pausa di quasi 3
anni forse dovuta anche all'inizio della guerra, e gli altri 12
uscirono a ritmo serrato fra il '42 e il '46.
Questo esordio è ben realizzato e le riprese nella nebbiosa
brughiera attorno alla tenuta dei Baskerville, dominio del temibile
mastino, sono veramente notevoli e ricreano un ambiente sinistro
reso ancor più terrificante dagli ululati della "bestia".
Buon film di genere che fa apparire quasi tutti i personaggi dei
possibili sospetti, portato avanti con buon ritmo e suspense.
IMDb 7,6
309 “The Spanish Gardener” (Philip Leacock, UK, 1956) tit. it.
“Il giardiniere spagnolo” * con Dirk Bogarde, Jon Whiteley, Michael
Hordern
Tratta da un romanzo di Cronin del 1950, la storia è molto ben resa
ma il finale fu cambiato sostanzialmente, da un tragico epilogo a un
mediocre "tarallucci e vino".
Resta intatta tuttavia l'analisi dei personaggi principali: il padre
egoista e oppressivo, suo figlio entusiasta di conoscere un ambiente
totalmente nuovo, il subdolo maggiordomo e, ovviamente, il giovane
giardiniere (Dirk Bogarde), onesto, attivo, dinamico, bravo in
tutto.
Piacevole l'ambientazione fra la grande casa di campagna,
essenzialmente spartana, il giardino, il fiume, il mulino ed
un'originale divagazione con una partita di jai alai (pelota basca)
in un frontòn all'aperto. Alle buone descrizioni dei protagonisti
nella prima parte, segue un ritmo quasi incalzante con azioni e
tempi fra mistery e thriller.
Vale la visione
IMDb 6,9
308 “The Moon and Sixpence” (Albert Lewin, USA, 1942) tit. it.
“La luna e sei soldi” * con George Sanders, Herbert Marshall, Doris
Dudley
Vagamente ispirato alla vita di Gauguin il quale iniziò a dipingere
tardi e morì di malattia a Tahiti dove si era trasferito e dove
produsse le sue opere più note, di stile pressoché inconfondibile.
che già adulto mezz'età decise di imparare a dipingere, si trasferì
a Parigi e infine emigrò a Tahiti, dove morì.
Nel film Charles Strickland (Georg Sanders) lascia a Londra moglie e
figlio per seguire la sua vena artistica andando a vivere in
condizioni di quasi assoluta povertà nella capitale francese, nel
quartiere degli artisti. La sua storia viene raccontata in flashback
da un amico di famiglia che prima tenta di riportarlo a casa dalla
moglie e poi va anche da lui in Polinesia. Interessante è la
caratterizzazione del personaggio assolutamente sui generis,
scontroso, egoista, cinico, ...
Buon film con un ottimo Sanders.
IMDb 6,8
307 “Too Many Husbands” (Wesley Ruggles, USA, 1940) tit. it.
“Troppi mariti” * con Jean Arthur, Fred MacMurray, Melvyn Douglas
Terzo soggetto “matrimoniale” in pochi giorni, un po’ deludente
rispetto ai precedenti. Nonostante il soggetto fosse basato su una
commedia scritta dal solito Somerset Maugham per il teatro, mi
sembra che gli sceneggiatori non siano riusciti a stendere una
decente sceneggiatura adattata al cinema.
La storia di fondo (un marito dato per morto a seguito del naufragio
della sua barca ricompare improvvisamente e trova la (ex)moglie
sposata con il suo migliore amico e socio) mi ha tanto ricordato
“Letto a 3 piazze” (Steno, 1960) con Totò e Peppino De Filippo,
anche se in questo caso il primo marito era stato dato per disperso
in Russia.
Evitabile, in quanto abbastanza statico e molto ripetitivo nelle
situazioni e atteggiamenti.
IMDb 6,5
306 “The Scapegoat” (Robert Hamer, UK, 1959) tit. it.
“Il capro espiatorio” * con Alec Guinness, Bette Davis, Nicole
Maurey
Film di genere poco definibile, essendo un po' commedia, un po'
thriller e tanto mistery. Un ottimo (ancora una volta) Alec Guinness
interpreta due sosia uno dei quali viene "trapiantato" in una
ricchissima residenza nella campagna francese al posto dell'altro
proprio da quest'ultimo, ma senza violenza né minacce e per di più
per scopi poco chiari. Apparentemente libero di muoversi, dovrà
destreggiarsi fra parenti, amante, maggiordomo, medico,
amministratori, figlia adolescente, ecc. senza sapere (alla pari
degli spettatori) chi è a conoscenza della sostituzione di persona e
chi no, chi fa parte del "complotto" e chi invece agisce in buona
fede essendone del tutto estraneo.
Devo dire che è stata una piacevolissima sorpresa e, di conseguenza,
lo consiglio senza remore.
IMDb 7,2
305 “Career” (Joseph Anthony, USA, 1959) tit. it.
“Il prezzo del successo” * con Dean Martin, Anthony Franciosa,
Shirley MacLaine
Dopo la commedia “Baciami, stupido” ho scelto un altro film con Dean
Martin, stavolta protagonista di questa pellicola drammatica,
cronologicamente subito dopo aver interpretato il vicesceriffo Dude
“borrachón” (ubriacone) nel famoso western “Rio Bravo” (aka “Un
dollaro d’onore”, di Howard Hawks), uno dei ruoli che gli ha dato
maggior fama nella storia del cinema.
In questo film, tuttavia, il vero protagonista è Anthony Franciosa
un aspirante attore più che testardo. Dopo un primo incontro fra i
due (Dean Martin è un impresario che si arrabatta come può) le loro
strade si separano e incrociano più volte sia in campo lavorativo
che sentimentale e per quest'ultimo il loro "punto in comune" è la
simpaticissima e sempre brava Shirley MacLaine.
In effetti tutte le interpretazioni sono più che buone e sono
sostenute da una interessante sceneggiatura per nulla banale che si
basa soprattutto sulla smania di “arrivare” passando sopra a
considerazioni di carattere morali e/o affettive.
Mi è piaciuto molto anche se non sopporto tanto Franciosa ...
IMDb 7,1
304 “Kiss me, Stupid” (Billy Wilder, USA, 1964) tit. it.
“Baciami, stupido” * con Dean Martin, Kim Novak, Ray Walston
Con le mie solite associazioni di idee (spesso passo da un film
all'altro seguendo un attore,un regista, un tema, un personaggio,
...) eccomi ad un'altra commedia "matrimoniale", una classica
commedia americana degli anni '60 e, d'altro canto, visto che il
regista è Billy Wilder e i protagonisti due “grandi nomi" di
Hollywood Dean Martin e Kim Novak non ci si poteva aspettare altro.
La storia è abbastanza intricata con numerosi colpi di scena, tutti
inseriti con tempi perfetti. Un gelosissimo maestro di piano
(aspirante compositore di canzonette), in combutta con il meccanico
gestore del distributore di carburante (suo paroliere)
artificiosamente trattengono un famoso cantante (Dean Martin / Dino)
capitato per puro caso nella piccola cittadina ... e lo piazzano in
casa del pianista che però dovrà far "sparire" la giovane e bella
moglie, tenuta all'oscuro di tutto. Questa sarà sostituita da una
cameriera "di facili costumi" presa in prestito dal locale bar. Pur
non avendo detto molto, è facile comprendere che la vicenda sarà
molto movimentata.
Da guardare.
RT 73% IMDb 7,1
303 “Kept Husbands” (Lloyd Bacon, USA, 1931) trad. lett.
“Mariti mantenuti” * con Clara Kimball Young, Joel McCrea, Dorothy
Mackaill
Buona commedia dei primi anni del muto, incentrata - come si può
intuire dal titolo - sui matrimoni con grande differenza di potere
economico fra moglie e marito, ma nel film il biasimo ricade quasi
esclusivamente tutto sulle donne.
Buone caratterizzazioni dei personaggi, fatte in modo spiritoso, in
particolare quello della suocera del protagonista. Non si tratta di
vera “lotta di classe”, piuttosto di critica alle convenzioni
sociali.
Non male, buon passatempo.
IMDb 6,0
302 “God's Little Acre” (Anthony Mann, USA, 1958) tit. it.
“Il piccolo campo” * con Robert Ryan, Tina Louise, Aldo Ray
Deludente ... tratto dall’omonimo bestseller di Erskine Caldwell,
stracolmo di sessualità e allusioni più o meno esplicite tanto da
essere messo al bando in più parti, è stato trasformato quasi in una
commedia travisando molto del contenuto del romanzo e omettendo
varie relazioni e tradimenti nell’ambito della famiglia che invece
sono fondamentali per lo sviluppo della storia e analisi dei
personaggi (del libro).
Robert Ryan offre un’ottima prova nel ruolo del quasi invasato
capofamiglia, ma il suo personaggio è proposto in modo quasi
caricaturale; l’esordiente Tina Louise (Golden Globe quale miglior
promessa) è certamente procace e sensuale ma in quanto a recitazione
..., infatti rimase una promessa, partecipando in seguito a
relativamente pochi film alcuni dei quali italiani (Saffo - Venere
di Lesbo, L’assedio di Siracusa, Il fischio al naso, Viva l’Italia
... qualcuno se ne ricorda?); Aldo Ray, appena apprezzato in “Nightfall”,
si difende ma non convince, e nel resto del cast c’è poco di
notevole
Dalla regia di Mann ci si sarebbe aspettato qualcosa di più, ma nel
complesso il film è “salvato” dalla splendida fotografia in bianco e
nero di Ernest Haller (Oscar per “Via col vento, ma tanti altri suoi
lavori sono memorabili come “Gioventù bruciata”, “Mildred Pierce”,
“Che fine ha fatto Baby Jane?” “The Verdict”, ...)
Guardabile, a tratti interessante, ma di pregevole c’è solo la
fotografia.
IMDb 6,7
301 “Nightfall” (Jacques Tourneur, USA, 1956) tit. it.
“L’alibi sotto la neve” * con Aldo Ray, Anne Bancroft, Brian Keith
Altro ottimo film di Jacques Tourneur, del quale parlai pochi giorni
fa a proposito del western “Stranger on Horseback” con Joel McCrea,
ma “Nightfall” è del genere nel quale il regista di origini francesi
si è espresso al meglio: i noir.
Si seguono le vicende di due malviventi, una modella e un
investigatore che hanno come punto in comune il protagonista del
film, un artista costretto a nascondersi per una serie di eventi a
dir poco insoliti, sia fortunati che sfortunati, eppure tutti
assolutamente plausibili.
Per alcuni aspetti, le scene del flashback a del finale nelle
distese innevate del Wyoming, mi hanno ricordato molto “Fargo”
(1996) dei fratelli Coen.
Molto bravi Aldo Ray (l’artista in fuga) e Anne Bancroft ancora
all’inizio della sua carriera, ma anche tutti gli altri componenti
del cast sono assolutamente appropriati nei rispettivi ruoli.
Essenziale, conciso (65 minuti), ben interpretato, è imperdibile per
gli amanti del genere. Se cercate la versione italiana ricordate che
il titolo è diventato “L’alibi sotto la neve” ...
Per me, è da non perdere!
RottenTomatoes 100% IMDb 7,3
300 “Sherlock Holmes and the Secret Weapon” (Roy William Neill, USA,
1942) tit. it.
“Sherlock Holmes e l’arma segreta” * con Basil Rathbone, Nigel
Bruce, Lionel Atwill
Classico film di Sherlock Holmes, uno dei primi della coppia Basil
Rathbone (Holmes) e Nigel Bruce (Watson) che probabilmente sono
quelli che ne hanno interpretati, oltre una dozzina, tutti negli
anni ’40.
Ben girato e interpretato, con ritmo molto sostenuto si distingue
per i tanti travestimenti, trucchi e colpi di scena che lo rendono
più che piacevole ma molto merito va ascritto certamente alla penna
di Sir Arthur Conan Doyle. Certamente molto più fedele al testo
originale rispetto alle versioni moderne.
IMDb 6,8 |