454 “Braveheart” (Mel Gibson, USA, 1995) *
con Mel Gibson, Sophie Marceau, Patrick McGoohan * IMDb 8,4 RT 79%
79° nella classifica IMDb dei migliori film di sempre
5 Oscar (miglior film, regia, fotografia, trucco, effetti sonori) e
5 Nomination (sceneggiatura, montaggio, costumi, sonoro, musica
originale)
Molte volte mi era capitato di vederne qualche scena o breve
spezzone e in ogni caso mi era sembrato troppo artefatto. Finalmente
ho deciso di guardarlo per intero e, nonostante qualche scena ben
congegnata ed una buona fotografia, mi è sembrata una gran
pappolata. Nel complesso, pur riferendosi a eventi e personaggi
storici, la messa in scena è poco credibile e le interpretazioni non
mi sono sembrate un granché a cominciare da quella di Mel Gibson.
Considerato che quasi tutti lo abbiano già visto, e avranno la loro
brava opinione in merito, non aggiungo altro.
453 “Radio Days” (Woody Allen, USA, 1987) * con Mia Farrow, Dianne
Wiest, Mike Starr
IMDb 7,6 RT 88% * 2 Nomination Oscar (sceneggiatura e scenografia)
Anche se non frai più conosciuti e generalmente apprezzati, questo è
uno dei film di Allen che mi sono sempre piaciuti e che quindi ho
riguardato con piacere. La sua assenza, almeno dallo schermo, è un
plus e la sua voce narrante non disturba più di tanto visto in
questo caso non parla con il suo classico balbettio, né si impunta
su alcuna parola. L'intreccio di vicende fra i singolari e molto
vari personaggi è apprezzabile e anche lo scorrere del tempo è reso
piacevolmente. Il cast “di contorno” è assolutamente al livello, se
non migliore, delle prime donne.
Un film leggero e senza grandi pretese, ma certamente vario e
godibile.
452 “Erin Brockovich” (Steven Soderbergh, USA, 2000) * con Julia
Roberts, Albert Finney, David Brisbin * IMDb 7,3 RT 84%
* Oscar a
Julia Roberts protagonista e 4 Nomination (miglior film, Albert
Finney non protagonista, regia e sceneggiatura)
Oserei definirlo una buona commedia basata su tragici fatti reali,
messi in scena in modo poco credibile. La stessa (vera) Erin
Brockovich-Ellis affermò che il film è al 98-99% inaccurato. Per la
cronaca, la vera Erin pare che abbia venduto alla Universal i
diritti della sua storia per 100.000 dollari e compare nel film
nelle vesti di una cameriera; il giudice che legge la prima sentenza
è quello che veramente prese la decisione e (benché già in pensione)
accettò di replicare la scena.
In effetti, al di là dei fatti narrati, “Erin Brockovich” si regge
sulle interpretazioni di Julia Roberts (una volta tanto apprezzato
il suo lavoro) e del sempre ottimo Albert Finney che, a differenza
della Roberts che quasi non aveva concorrenti fra le candidate
all’Oscar, si trovò davanti il vincitore Benicio Del Toro (Traffic),
Joaquin Phoenix (Gladiator), Willem Dafoe (Shadow of the Vampire) e
Jeff Bridges (The Contender).
Nel complesso un film certamente guardabile ma non proprio
memorabile.
451 “Handia” (Aitor Arregi, Jon Garaño, Spa, 2017) tit. int. “The
Giant” * con Eneko Sagardoy, Ramón Agirre, Iñigo Aranburu, Iñigo
Azpitarte * IMDb 6,8 RT 71%
Deludente film tratto, più che da una storia vera, da un personaggio
realmente esistito. In effetti la storia è relativamente comune,
vale a dire quella di persone che a causa di una qualche patologia
avevano aspetto molto diverso dalle “normali”. In questo caso si
tratta di gigantismo e il protagonista è Miguel Joaquín Eleizegui
Arteaga (1818-1861), soprannominato il Gigante de Alzo per i suoi
notevoli 242cm di statura.
I trucchi per far apparire Eneko Sagardoy (1,84m) oltre mezzo metro
più alto sono abbastanza ben realizzati, ma il film è estremamente
lento e ripetitivo, il cast non è certo fra i migliori, i registi si
perdono spesso negli “intermezzi” di esterni naturali che pur
godendo di una buona fotografia poco o niente hanno a che vedere con
la storia.
Meraviglia il gran successo ai Goya (10 premi da 13 Nomination) e
quindi sorge il sospetto delle solite decisioni “politically correct”,
visto che è un film completamente basco ... scusate “euskera” ...
Volendo fare un azzardato paragone, è anni luce lontano da “The
Elephant Man” (David Lynch, 1980) con Anthony Hopkins, John Hurt,
Anne Bancroft, attualmente al 148° posto della classifica IMDb dei
miglior film di sempre.
450 “Mary Poppins Returns” (Rob Marshall, USA, 2018) * con Emily
Blunt, Lin-Manuel Miranda, Emily Mortimer, Meryl Streep, Dick van
Dyke, Colin Firth, Julie Walters, Angela Lansbury * IMDb 7,4 RT 77%
Avendo un biglietto gratis da
utilizzare entro fine anno, ho scelto questo film “Mary Poppins
Returns” come minore dei mali (si sa che durante le feste si trova
poco di serio). Devo dire che l'ho trovato migliore di quanto mi
aspettassi, soprattutto grazie al cast di livello con le due Emily,
la sorpresa di Lin-Manuel Miranda, le parti marginali affidate Meryl
Streep, Colin Firth e Julie Walters, e i cameo finali di due
ultranovantenni: Angela Lansbury (nota in Italia come "la signora in
giallo") e soprattutto Dick van Dyke (protagonista dell'originale
del 1964, con Julie Andrews) che, nonostante l'età, si esibisce in
una scena di ballo (su una scrivania). Unica nota stonata Ben
Whishaw nei panni di MichaelBanks, mi è sembrato un vero incapace.
Il pubblico, anche perché sono andato all'unico spettacolo in v.o.
era composto da soli adulti che senza dubbio sono quelli che possono
apprezzare le tante similitudini, adattamenti, citazioni della prima
versione, e ciò vale anche per le versioni doppiate.
Nonostante la buona grafica e i non eccessi in nessun campo (né
troppe canzoni, né troppe coreografie, né troppi disegni) sospetto
che non avrà un gran successo fra il pubblico giovanile, mi sembra
inequivocabilmente datato.
449 “El extraño viaje” (Fernando Fernan Gomez, Spa, 1964) * con
Carlos Larrañaga, Tota Alba, Lina Canalejas, Rafaela Aparicio, Jesús
Franco, María Luisa Ponte * IMDb 8,0 RT 100%
Si sarebbe dovuto chiamare “El crimen de Mazarrón” essendo vagamente
ispirato ad un fatto di cronaca nera, a tutt’oggi irrisolto. Su una
spiaggia vicina alla cittadina in questione, nel gennaio 1956, un
pescatore trovò due cadaveri e tre coppe di champagne (o forse
cava), due delle quali erano state avvelenate. Non avendoci messo
mano Azcona (strano) l’idea per questo film venne al suo grande
amico Luis Berlanga, regista e sceneggiatore di tanti film che si
trovano sempre citati fra i migliori spagnoli in assoluto e del
periodo franchista in particolare. E anche in questo caso nella ben
articolata storia inserì tanti personaggi e particolari “contrari
alla morale” del regime tanto che dopo pochi giorni “El extraño
viaje” fu ufficialmente censurato e rimase nei magazzini dei
produttori per 6 anni prima di tornare con gran successo nelle sale
e diventare il cult che è adesso. In merito al travagliato rapporto
franchismo/cinema segnalo questo lungo articolo pubblicato su
http://academia.edu
http://www.academia.edu/8087254/Disidencia_en_el_franquismo_an%C3%A1lisis_de_cinco_pel%C3%ADculas
Per evitare spoiler, dico solo che la caratterizzazione dei
personaggi del piccolo paesino spagnolo è perfetta per una commedia
negra (e critica di costume) spaziando dai giovani che seguono le
nuove mode con gran disapprovazione delle più anziane e interesse
degli anziani ai ricchi e avidi del paese che fanno vita riservata
spiando ed essendo spiati, dai pettegolezzi da bar a quelli bigotti
da chiesa, ma probabilmente ciò che portò alla censura fu l’uomo che
indossa abiti femminili, apparendo anche con solo indumenti intimi.
La storia è piena di sorprese e passa da un quasi mistery iniziale
ad un chiaro thriller finale.
Da non perdere, possibilmente in edizione originale per apprezzare
al meglio le interpretazioni degli ottimi caratteristi protagonisti
del film.
447 “The Love of Sumako the Actress” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1947)
tit. or. “Joyû Sumako no koi” * con Kinuyo Tanaka, Sô Yamamura,
Kikue Môri * IMDb 7,1
448 “Women of the Night” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1948) tit. or.
“Yoru no onnatachi” * con Kinuyo Tanaka, Sanae Takasugi, Tomie
Tsunoda * IMDb 7,3
Nell’immediato dopoguerra, e subito dopo l’apprezzato “Utamaro”
(1946), Kenji Mizoguchi diresse questi due film di taglio abbastanza
insolito, molto diversi fra loro e anche dai precedenti.
“The Love of Sumako the Actress” è un vero e proprio melodramma
legato all’ambiente teatrale e in alcuni passaggi quanto proposto
sul palcoscenico e quanto raccontato nella storia per lo schermo
sono indissolubilmente legate fra loro. Si tratta di un’interessante
narrazione degli sforzi di una compagnia teatrale di rompere
l’egemonia del teatro classico giapponese proponendo opere
“occidentali” di vario genere, da “Casa di bambola” di Ibsen alla
conclusiva versione in prosa di “Carmen” di Mérimée.
In “Women of the Night” Mizoguchi passa a tutt’altro ambiente,
quello delle tante donne che rimaste senza uomini (morti in guerra)
e senza lavoro né soldi nella crisi economica del dopoguerra, per
sopravvivere non vedono altra soluzione se non quella di fare le
mantenute o le prostitute di strada. In questo caso le protagoniste
sono due sorelle di idee un po’ diverse, ma entrambe entreranno in
quel giro, anche a causa di un trafficante di oppio.
Due film solidi che, oltre che sul mestiere di Mizoguchi, contano
anche su buone sceneggiature e interpretazioni a cominciare da
quelle di Kinuyo Tanaka, interprete principale di entrambi.
446 “The Million Ryo Pot” (Sadao Yamanaka, Jap, 1935) tit. or.
“Tange Sazen yowa: Hyakuman ryô no tsubo” * con Denjirô Ôkôchi,
Kiyozo, Kunitarô Sawamura * IMDb 8,0
Secondo adattamento (molto libero come il primo) del famoso romanzo
satirico russo “Le dodici sedie”, poi portato sullo schermo in
innumerevoli altre versioni, le più famose delle quali sono “Una su
13” (1969), con un cast d’eccezione che includeva Sharon Tate,
Vittorio Gasman, Orson Welles e Vittorio De Sica, e “The Twelve
Chairs” (Il mistero delle dodici sedie), diretta l’anno successivo
da Mel Brooks con Dom DeLuise, Frank Langella e lo stesso Mel
Brooks.
Penso che sia la prima commedia giapponese d’epoca nella quale mi
imbatto e ci sono arrivato in quanto è reputata un apprezzato
classico nel suo genere. Personaggi singolari (due fratelli che
quasi si odiano, un samurai orbo e monco, rigattieri, mogli
opprimenti e amanti, un bambino orfano, ) si incrociano e si
ritrovano più volte nel tentativo di recuperare un vaso che vale una
fortuna. Punti d’incontro fra alcuni protagonisti sono gli ancor più
singolari il locale di tiro con l’arco (in versione mini e indoor) e
quello di pesca di pesci rossi.
Nel complesso “The Million Ryo Pot” è non solo una vera piacevole
curiosità cinematografico ma anche un interessante sguardo su
aspetti poco conosciuti della vita giapponese di tanti anni fa.
445 “¿Quién puede matar a un niño?”
(Narciso Ibáñez Serrador, Spa, 1976) tit. it.
“Ma come si può uccidere un bambino?” * con Lewis Fiander, Prunella
Ransome, Antonio Iranzo * IMDb 7,3 RT 79%
Tante volte, indagando in merito alla cinematografia spagnola, mi
ero imbattuto in questo titolo, considerato quasi unanimemente uno
dei migliori horror spagnoli. Finalmente mi sono deciso a guardarlo
(non sono un appassionato del genere) e devo dire che è abbastanza
originale in quanto alla trama ed anche ben girato, tendendo più al
thriller che all’horror. Buona anche la scelta della location, una
immaginaria isola abbastanza lontana dalle coste spagnole.
Gli esperti del settore sapranno certamente cogliere meglio di me
quanto di positivo e veramente diverso dagli altri si può vedere in
questo film.
In assoluto non è un granché ... come la maggior parte degli horror.
444 “100
metros” (Marcel Barrena, Spa, 2016) * con Dani Rovira, Karra
Elejalde, Alexandra Jiménez * IMDb 7,5 RT 78%
Dani Rovira si propone in un ruolo per lui parzialmente insolito;
infatti esordì con gran successo come protagonista di “Ocho
apellidos vascos”, nel quale aveva una parte anche Karra Elejalde
(qui il suo burbero suocero) e ha continuato per lo più con le
commedie pure. Qui si destreggia più che bene anche nella parte più
drammatica di questo film che, basato su eventi reali, si sviluppa
fra gravi malattie, sano cinismo e commedia.
La storia è quella di Ramón Arroyo, 35 di successo, con moglie,
figlia ed un’altra in arrivo, che improvvisamente scopre di essere
affetto da sclerosi multipla. Incredibilmente, Ramon - fra alti e
bassi della malattia - riuscirà ad allenarsi e a vincere la sua
sfida, quella di completare una Iron Man, gara di triathlon composta
3,8km da percorrere a nuoto, 80km in bici e una maratona 42km e
pochi metri (esattamente 195), distanza che i medici prevedevano non
potesse neanche riuscire a coprire da solo: “fra un anno non sarai
capace di camminare neanche 100 metri”.
Il film ha avuto un gran successo in quanto ha saputo sottolineare
le potenzialità della volontà di una persona a dispetto del dramma
che si trova a vivere, ed ha ovviamente incontrato il sostegno e
l’approvazione delle varie associazioni neurologiche, ospedali che
trattano pazienti affetti da sclerosi multipla. Ottime le
interpretazioni di Alexandra Jiménez (Inma, moglie di Ramón), di
Karra Elejalde (il burbero e intrattabile suocero di Ramón) e di
Dani Rovira che ha partecipato effettivamente ad una mezza Iron Man
per poter realizzare le riprese in mezzo ad atleti veri, così come
sono anche veri i vari malati ripresi nell’Institut Guttmann, di
Badalona ospedale specializzato in neuroriabilitazione.
Diciamo che si perde un po’ nel finale in quanto, per fare più
“spettacolo” e creare un’inutile suspense, dilata troppo i tempi
della gara non rendendo un buon servigio né agli organizzatori, né
al pubblico, né al vero Ramón Arroyo che terminò la sua Iron Man in
un tempo molto migliore di quello proposto nel film ... e ciò si
vede anche chiaramente nel parallelo film/riprese reali della gara.
Merita senz’altro una visione; la maggior parte di chi lo guarderà
sappia che riderà abbastanza, ma si prepari anche con una buona
quantità di fazzoletti ... “100 metros” è stato uno dei pochi film
spagnoli i cui diritti siano stati comprati da Netflix.
443 “Calendar Girls” (Nigel Cole, UK, 2003) * con Helen Mirren,
Julie Walters, Penelope Wilton * IMDb 6,9 RT 75%
Commedia più che dignitosa, basata su eventi reali con seri risvolti
sociali-umanitari, interpretata da un cast di attrici e attori
navigati che offrono ottime prove. Protagonista è Helen Mirren che
ottenne anche una Nomination ai Golden Globes.
Nonostante la breve parte “ospedaliera” e il dramma familiare, lo
spirito del gruppo di signore poco convinte delle attività
tradizionali del Women's Institute risolleva ampiamente il morale e
la visione risulta senz’altro piacevole.
442 “A Wicked Woman” (Nobuo Nakagawa, Jap, 1958) tit. int.
“Dokufu Takahashi O-Den” * con Katsuko Wakasugi, Jûzaburô Akechi,
Tetsurô Tanba
* IMDb 7,1
Originali film giapponese fra melodramma e noir, la cui
sceneggiatura si distacca molto da quelle classiche dell’epoca.
Ambientato a Tokio negli anni ‘70 del secolo precedente, segue le
vicende di O-Den, truffatrice, ladra, madre di una bambina lasciata
in custodia al padre, mantenuta da un gangster, corteggiata da un
poliziotto, e tanto altro, in un vortice di avvenimenti, incontri
casuali, intrecci di varie storie, tutto concentrato in poco meno di
un’ora e un quarto.
Ben diretto e interpretato, si fa apprezzare anche riprese poco
convenzionali come quelle dall’alto, quasi verticali. Ottima
alternanza fra interni ed esterni fra vicoli di bassifondi e strade
con case borghesi, spesso avvolte dalla bruma.
Cinematograficamente interessante e anche narrativamente
appassionante, merita una visione.
441 “Muchos hijos un mono y un castillo” (Gustavo Salmerón, Spa,
2017) tit. int. “Lots of Kids, a Monkey and a Castle” * con Julita
Salmerón, Antonio García Cabanes, Ramón García Salmerón
* IMDb 7,7 RT 94%
Non proprio un documentario ma un biografia di una famiglia,
composta da persone abbastanza fuori dal comune. Il titolo si
riferisce al sogno che la protagonista aveva da bambina ... tutto
avverato: 6 figli, una scimmia per un paio di anni e un castello per
acquisito e poi abbandonato. Gruppo molto unito, con un gran senso
dello humor, che si muove nel disordine più totale di migliaia di
oggetti, scatole di ricordi, animali e via discorrendo. Il filo
conduttore (più o meno) è quello della ricerca di una vertebra della
nonna della protagonista Julita (quindi la bisnonna del regista),
tutto ciò che rimane di lei in quanto il corpo venne ritrovato molto
tempo dopo essere stata uccisa. La ricerca della vertebra e le
discussioni su cosa si debba fare nell’eventuale momento del
ritrovamento (seppellirla?) sono esilaranti e provocano altri arguti
e genuini commenti da parte dell’indomita 80enne (all’uscita del
film), madre dell’attore e in questo caso regista Gustavo Salmerón,
che mai aveva avuto niente a che vedere con il mondo dello
spettacolo.
Il film è stato girato nel corso di una dozzina di anni e include
anche filmati familiari molto anteriori.
Pur essendo un film/documentario è stato uno dei grandi successi del
2017 in Spagna, ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti
all’estero ed è quotato perfino su Rotten Tomatoes con un ottimo
94%.
Più che meritevole di una visione.
440 “Alice” (Woody Allen, USA, 1999) tit. it.
“Alice” * con Mia Farrow, William Hurt, Joe Mantegna
* IMDb 6,6 RT 77% * Nomination Oscar per sceneggiatura originale
Pare che questo film - del quale
Allen è solo regista e sceneggiatore - non sia troppo amato neanche
dai suoi fan. Io che non lo sono, dico che purtroppo ha creato il
personaggio interpretato da Mia Farrow come se fosse uno dei suoi,
clonato al femminile. Stesso balbettio, simili fisime, psicologia
tirata in ballo più o meno dovunque ... e, per finire, la parte
surreale-fantastica del curatore orientale è pressoché ridicola e
gli effetti delle sue pozioni miracolose ampiamente prevedibili.
Allen ha prodotto di meglio; penso che il suo problema (in senso
generale) sia stato quello di incaponirsi a voler sfornare un film
all’anno e per questo è spesso ripetitivo. I suoi film migliori sono
quelli nei quali è riuscito a cambiare decisamente rotta,
staccandosi dai suoi cliché del momento.
439 “C.R.A.Z.Y.” (Jean-Marc Vallée, Can, 2005) * con Michel Côté,
Marc-André Grondin, Danielle Proulx * IMDb 8,0 RT 100%
* presentato
a Venezia 2005 in anteprima europea, ma fuori concorso
Quarto film del poco prolifico regista canadese, che si fece
conoscere a livello internazionale solo pochi anni fa con il suo
“Dallas Buyers Club” (2013) che ottenne 3 Oscar e 3 Nomination.
Questa commedia racconta le vicende di una famiglia un po’ fuori
della norma, con 5 figli maschi mal assortiti, le cui iniziali
formano l’acronimo del titolo che, fuso in una sola parola,
significa “pazzo”. Inoltre, “Crazy” è il titolo di una famosissima
canzone country che ha un ruolo importante nel film sia quando la si
ascolta interpretata da Patsy Cline, sia per il vinile che compare
più volte.
Si procede fra alti e bassi, con Zac (il quarto figlio, che seguiamo
dalla travagliata nascita) protagonista principale e con i suoi
difficili rapporti con i genitori, nonché con il secondogenito
Raymond. Qualcosa diverte, altro è banale; per ciò che racconta è
ben girato con riprese spesso singolari e il ritmo certo non manca
visto che nelle 2 ore di film si narrano oltre 20 anni di vicende
della famiglia.
Non mi è dispiaciuto, ho apprezzato l’eterogenea composizione della
colonna sonora (da Patsy Cline a Charles Aznavour e a David Bowie) e
la varietà dei caratteri dei protagonisti (anche se 3 dei fratelli
restano quasi del tutto sconosciuti), ma allo stesso tempo non
comprendo l’entusiasmo di molti ...
438 “El Cid” (Anthony Mann, USA, 1971) * con Charlton Heston, Sophia
Loren, Raf Vallone * IMDb 7,3 RT 92%
3 Nomination Oscar (scenografia, commento sonoro, canzone originale)
Molto fantasioso rispetto alla realtà storica, ma in merito alle
gesta del Cid Campeador (certamente esistito) ci sono sempre state
innumerevoli leggende. Produzione italo-americana attorno alla quale
si svilupparono infinite polemiche e liti fra gli stessi
protagonisti, regista e produttori. Nelle intenzioni, voleva
raggiungere il successo di Ben Hur (William Wyler, 1959, 11 Oscar,
dei quali uno a Charlton Heston protagonista), ma non fu così. Fin
dall’inizio Charlton Heston e la Loren vennero ai ferri corti
soprattutto per il fatto che Sophia avesse un cachet più alto (1
milione di dollari!) e praticamente non si guardavano in faccia
neanche sul set, Heston non apprezzava Mann specialmente per non
essere esperto in quanto agli esterni (avrebbe preferito lavorare di
nuovo con Wyler, addirittura la Loren fece causa alla produzione che
aveva fatto apparire il suo nome sotto a quello di Charlton Heston.
In effetti il paragone fra “El Cid” e “Ben Hur” è improponibile,
così come il lavoro di Mann non è assolutamente comparabile con
quello di Wyler pur girando negli stessi 70mm ed avendo ampi scenari
naturali, 4 castelli come location e 7.000 comparse. Le tre ore del
film risultano essere un po’ pesanti, gli esterni sono spesso
ripetitivi limitandosi a lunghe inquadrature di una marea di soldati
appiedati e a cavallo, gli interni sono spesso estremamente vuoti
sia come scena che in quanto a personaggi.
In effetti non un granché.
437 “La doccia” (Yang Zhang, Cina, 1999) tit. or. “Xi zao” * con
Jiayi Du, Bing He, Wu Jiang * IMDb 7,5 RT 86%
* premio del pubblico Far East Film Festival di Udine
Divertente e originale commedia, piena di buoni sentimenti, un
elogio di uno stile di vita tranquilla in un punto di aggregazione
tradizionale (i bagni pubblici, quasi spa di altri tempi) che
probabilmente non si trova più neanche in Cina
In questo caso, i bagni sono gestiti da un anziano, assistito da un
figlio con un ritardo mentale, tuttavia molto operoso, collaborativo
e soprattutto allegro. Interessante e ben descritta la varia umanità
dei frequentatori abituali (per lo più abbastanza avanti negli anni)
fra i quali se ne distinguono due perennemente impegnati nei
combattimenti di grilli (arrivano perfino a scambiarsi accuse di
doping!) e un aspirante cantante che interpreta ‘O sole mio (in
quasi napoletano) a squarciagola, in vista di una sua esibizione
pubblica.
Inoltre, nella seconda metà, c'è un bellissimo flashback che riporta
alle origini della famiglia, quando viveva in un luogo desertico
dove l'acqua era più importante del cibo. Contrasto con l'acqua che
ogni giorno scorre a profusione nei bagni.
Piacevole e ben realizzato, con personaggi ben delineati e ben
interpretati, dimostra ancora una volta che le commedie per piacere
non devono essere per forza volgari, gridate, o quasi assurde.
Assolutamente consigliato.
Questa è
l’esibizione sul palco dell’aspirante cantante (minimo spoiler)
436 “Corto Maltese - Sous le signe du capricorne” (Richard Danto,
Liam Saury, Fra, 2002) tit. it. “Corto Maltese - Tropico del
Capricorno” * animazione
* IMDb 7,2
Dopo che il dvd mi era capitato fra le mani più volte, ho deciso di
guardare questo film d’animazione, ovviamente ripreso pari pari da
una serie di graphic novel di Hugo Pratt. Si tratta quindi di una
classica avventura del navigatore errante, ambientata fra Caraibi e
Brasile, ben resa, piena di avvenimenti, condita con un poco di
voodoo.
Se piace il genere, è senz’altro da guardare, ma se preferite i film
d’animazione disneyani o i moderni pieni di CGI o quelli in 3D, non
è pane per i vostri denti.
435 “The Broken Circle Breakdown” (Felix van Groeningen, B/NL, 2012)
tit. it.
“Alabama Monroe - Una storia d'amore” * con Veerle Baetens, Johan
Heldenbergh, Nell Cattrysse * IMDb 7,8 RT 82%
* Nomination
Oscar miglior film non in lingua inglese * 2 premi a Berlino
Assolutamente niente male questo film a dir poco drammatico che
affronta agilmente una marea di problemi scottanti e attualissimi,
fra i quali ricerca medica, eutanasia, accanimento terapeutico,
religione che diventa imposizione, evoluzionismo vs creazionismo.
Tutto viene inserito in modo “leggero” (in termini di tempi) nella
complessa storia di una coppia e della loro figlia nel corso di 7-8
anni descritti con sapienti fashback, mai troppo lunghi. A tutto ciò
va aggiunta una piacevole, e soprattutto significativa, colonna
sonora esclusivamente country, per lo più bluegrass ... le canzoni
scelte hanno sempre testi attinenti alla storia narrata. Buone
interpretazioni completano il quadro. Volendo trovare una pecca, lo
sfogo del protagonista verso la fine del film è un po’ troppo lungo
e sorprende la mancanza assoluta di reazioni, di qualunque genere.
Felix van Groeningen ha adattato per lo schermo il lavoro teatrale
del 2008 scritto a 4 mani da Mieke Dobbels e Johan Heldenbergh
(coppia nella vita reale per ben 19 anni, con 3 figli), lui è anche
il protagonista del film.
In conclusione, al di là della parte più drammatica, sono proposti
tanti argomenti seri e degni di seri approfondimenti che molto
probabilmente avranno fornito spunti per accese discussioni ...
qualcuno ha scritto: “film da non andare a guardare in coppia”.
Oltretutto, specialmente nella seconda parte, viene fuori una sorta
di amore-odio per la cultura americana, con manifesti attacchi a
George Bush (junior) del quale vengono mostrati vari spezzoni di
video.
Più che consigliato.
434 “Dogtooth” (Yorgos Lanthimos, Gre, 2009) tit. or.
“Kynodontas” * con Christos Stergioglou, Michele Valley, Angeliki
Papoulia
* IMDb 7,3 RT 92% * Nomination Oscar miglior film non in lingua
inglese, 2 premi a Cannes (Un Certain Regard e Youth Award)
Mi convinco sempre più sia del fatto che Lanthimos sia seriamente
disturbato che del fatto che le giurie dei vari Festival e Oscar
siano sempre meno affidabili ... spesso sembra che diano più valore
alle provocazioni e all’originalità fuori dagli schemi che alle
effettive qualità cinematografiche.
All’ignobile sceneggiatura di “Kynodontas” (Lanthimos ne è coautore)
si aggiunge il fatto che oltre il 95% delle inquadrature sono fisse
e spesso lunghe, con voci fuori campo che dicono cose abbastanza
sconclusionate, con tante teste e figure mozzate ovvia conseguenza
del non utilizzo di zoom, pochissimi i movimenti di macchina, per lo
più camera a mano.
Molti “geni” hanno voluto vedere nel film i significati più strani e
diversi, ma per me rimane un abominevole film mal diretto, mal
pensato e mal interpretato ... ergo, evitatelo.
Senza dubbio il peggior film dei 434 che ho finora guardato
quest’anno.
433 “Wild Geese” (Shirô Toyoda, Jap, 1953) tit. or.
“Gan” * con Hideko Takamine, Hiroshi Akutagawa, Jûkichi Uno
IMDb 7,4 * Nomination Leone d’Oro a Venezia
Ottimo film in classico stile giapponese degli anni ’50, diretto da
un regista poco conosciuto ma che non ha molto da invidiare ai vari
Ozu, Mizoguchi e altri maestri dell’epoca.
Protagonista assoluta un’ottima Hideko Takamine, a ragione una delle
più apprezzate attrici giapponesi. Fra gli altri, lavorò con Ozu,
Naruse (una dozzina di film) e Kinoshita (memorabile la sua
interpretazione in “Twenty-four Eyes”, 1954) e poi sposò il regista
Matsuyama ma, andando contro la prassi, non smise di lavorare.
Questa storia esemplare di relazioni umane dettate da convenzioni,
dipendenza dal denaro e affetti più o meno sinceri sembra dimostrare
ancora una volta che se è vero che “la fortuna aiuta gli audaci”, è
altrettanto vero che la sfortuna si accanisce con i timorosi e gli
eterni indecisi. Ammirevoli sono i tempi degli intrecci, delle bugie
pronte a venire a galla, delle parole non dette, degli incontri
fortuiti e di quelli mancati che creano in questo film drammatico
numerosi momenti di suspense.
Da guardare.
432 “Under the Hawthorn Tree” (Yimou Zhang, Cina, 2010) tit. or.
“Shan zha shu zhi lian” * con Dongyu Zhou, Shawn Dou, Xuejian Li,
Taishen Cheng * IMDb 7,1 RT 66%
Ho notato che molti (anche fra gli estimatori di Zhang) non hanno
apprezzato più di tanto questo film romantico-drammatico, ma io l’ho
trovato certamente di livello non inferiore al successivo “Lettere
di uno sconosciuto” (2014) che è stato valutato in modo più
positivo.
Ben lontano dagli spettacolari suoi film in costume più famosi, con
questo film Yimou Zhang torna a narrare la vita in un ambiente
rurale, stavolta in piena rivoluzione culturale maoista, e quindi ci
consente anche di apprendere qualcosa dei problemi, detenzioni,
divieti, dell'epoca compresi i famosi campi di riabilitazione.
La sceneggiatura è basata sul noto romanzo “Hawthorn Tree Forever”
(Ai Mi, 2007) che a sua volta si rifà ad una storia vera di amore
puro. La storia è per proposta e interpretata. Nonostante anche
questa volta (come in simili casi precedenti) si affidi ad attori
esordienti come Dongyu Zhou e Shawn Dou (i giovani interpreti
principali) e tanti non professionisti, i risultati ottenuti da
Zhang sono più che soddisfacenti, oserei dire ammirevoli
Quello che mi ha sorpreso è la quasi inesistente presenza di colori
forti classici di Zhang, sorvolando sui pochi rossi (tanto per
cambiare) in questo caso si è sbizzarrito con tante tonalità di
azzurro (vedi foto).
Da IMDb apprendo che in Italia è passato al Festival di Udine del
2011, ma non vi è notizia di distribuzione, né è segnalato un titolo
italiano; la traduzione del titolo internazionale del film è “Sotto
il biancospino” mentre quello del libro è “Biancospino per sempre”.
Anche se effettivamente non fosse disponibile in italiano,
suggerisco di recuperarlo ... secondo me è stato sottovalutato.
431 “Estiu 1993” (Carla Simón, Spa, 2017) tit. it. “Estate 1993” *
con Laia Artigas, Paula Robles, Bruna Cusí
IMDb 7,2 RT 100% * premiato a Berlino come miglior opera prima,
oltre a Grand Prix e Nomination Orso d’Argento nella sezione
Generation Kplus (film che affrontano tematiche giovanili)
Nonostante i riconoscimenti ricevuti al Festival di Berlino, “Verano
1993” mi è sembrato solo pretenzioso, lento, abbastanza
sconclusionato e noioso.
Frida, una bambina di 6 anni, in poco tempo perde sia padre che
madre e alla morte di quest’ultima viene affidata a uno zio che vive
in campagna con moglie e una figlia di 3 anni, Ana. Pur avendo
apparentemente tutto l’appoggio e comprensione possibile, la
ragazzina non riceve quasi nessun beneficio effettivo per superare
il trauma a causa dell’eccessiva tolleranza (che spesso diventa
irresponsabilità) dei parenti, inclusi nonni e altri zii, che
mettono a repentaglio anche l’incolumità dell’innocente Anna.
Carla Simón (anche sceneggiatrice e alla sua prima regia di un
lungometraggio dopo vari corti) non convince per niente in quanto a
ritmo e utilizza troppo frequentatemene lunghi primi piani di Frida,
alternati a riprese con camera a mano che la segue.
Ultimo dettaglio (che ho trovato fastidioso) è l’inserimento di un
paio di simboli politici, assolutamente fuori luogo e oltretutto
inutili nel contesto della storia. Dal titolo originale molti si
saranno certamente resi conto che il film è prodotto in Catalogna;
ma la storia potrebbe essere ambientata dovunque essendo un dramma
strettamente famigliare. La regista e sceneggiatrice catalana, che
contava su cast, staff e location catalane (e fin qui certamente
nessuna obiezione) ha voluto ricordare la situazione secessionista
mostrando Frida che in una festa tradizionale sventola una bandiera
catalana (l’unica in quel contesto, che però veniva ben evidenziata)
e la zia, nel momento in cui l’aiuta a fare dei compiti, elenca
varie materie e quando giunge a “lingua”, dopo una pausa aggiunge:
catalano (la questione dell’immersione linguistica in Catalogna è
una delle più dibattute e causa di aspri scontri politici).
Ditemi voi che c’entra la politica nel dramma di una orfana, quando
oltretutto nessun familiare è minimamente implicato in politica né
si sente alcuno che parli di politica nel corso dell’intero film.
430 “Il Casanova di Federico Fellini” (Federico Fellini, Ita, 1976)”
* con Donald Sutherland, Tina Aumont, Cicely Browne * IMDb 7,1 RT
43% * Oscar per i costumi (Danilo Donati) e Nomination per la
sceneggiatura
Nel complesso deludente anche se i costumi del solito Danilo Donati
(2 Oscar e 4 Nomination) sono veramente sensazionali e sono da
apprezzare molto anche le scenografie (il film è stato interamente
girato a Cinecittà).
Non capisco la scelta di Donald Sutherland nei panni di Casanova in
quanto nella versione italiana si vede lui che muove le labbra
completamente fuori sincrono con la voce, fornita da Gigi Proietti.
Reputo che, almeno in una versione originale, ciò non debba accadere
specialmente per un protagonista che parla molto e viene spesso
inquadrato in primo piano o mezza figura.
Nell’adattare l’autobiografia di Casanova, gli sceneggiatori hanno
scelto un limitato numero di eventi che sono distanti nel tempo e si
svolgono in luoghi e ambienti molto diversi, facendo mancare quasi
del tutto la continuità.
Con la scusa di feste e riunioni di appartenenti a ceti ricchi e
stravaganti, Fellini ha avuto modo di inserire i suoi innumerevoli
personaggi inusuali, spesso dai volti a dir poco bizzarri, talvolta
fra gli stessi “aristocratici”, in altri casi come persone che
dovevano intrattenerli con spettacoli di vario genere.
Fellini ha senza dubbio prodotto di meglio.
429 “El bar” (Álex de la Iglesia, Spa, 2017) * con Blanca Suárez,
Mario Casas, Carmen Machi * IMDb 6,3 RT 100%
Cominicio con il segnalare gli splendide immagini sulle quali
scorrono i titoli di testa, una sequenza di riprese supermacro di
organismi visti al microscopio.
Comedia negra, quasi horror, che pone in uno spazio ristretto e
senza apparenti vie di fuga 8 personaggi (3 donne e 5 uomini) di
caratteristiche completamente diverse per idee, estrazione sociale,
passato, cultura ed età. I sorprendenti sviluppi di una situazione
già di per sé apparentemente inesplicabile li metteranno a turno
alcuni contro altri o a far gruppo con contro un singolo. Le
motivazioni, per quanto spesso biasimevoli, sono più che logiche e
comprensibili e mostrano in più occasioni il peggio dell’essere
umano fra razzismo, preconcetti, sesso, idee politiche.
Purtroppo (ma sarebbe stato estremamente difficile il contrario) il
regista non riesce a mantenere ritmo, tensione e plausibilità
costanti e si perde soprattutto nel finale. Nonostante alcuni
abbassamenti di livello il film nel complesso regge ed è una
sarcastica e graffiante satira di molte “malattie sociali” dei
nostri giorni.
Da guardare.
Questo è il link per i titoli
di testa
428 “Being Julia” (István Szabó, USA, 2004) tit. it. “La diva Julia”
* con Annette Bening, Michael Gambon, Jeremy Irons, Maury Chaykin,
Juliet Stevenson, Catherine Charlton * IMDb 7,0 RT 76% *
Nomination Oscar per Annette Bening protagonista
Piacevole e divertente commedia drammatico-sentimentale ambientata a
margine del mondo del teatro alla fine degli anni ’30, per lo più a
Londra, con una breve diversione sull’isola di Jersey, nella Manica.
Ottimo il reparto femminile del cast (la Bening è affiancata da due
esemplari caratteriste quali Juliet Stevenson e Catherine Charlton)
mentre dal lato maschile si distingue il solo Michael Gambon, seppur
limitato in poche sporadiche apparizioni, spesso mute. Interessanti
anche ambientazione, costumi e scenografie.
Consigliato.
427 “Pillow Talk” (Michael Gordon, USA, 1959) tit. it.
“Il letto racconta” * con Rock Hudson, Doris Day, Tony Randall
IMDb 7,5 RT 92% * Oscar per la sceneggiatura e 4 Nomination (Doris
Day protagonista, Thelma Ritter non protagonista, scenografia e
musica)
Al contrario di quanto possa suggerire l’ignobile titolo italiano,
si tratta di una commedia romantica in puro stile anni ’50. Buon
cast, compresi i caratteristi, vari personaggi secondari ben
pensati, ma la trama è abbastanza scontata (come del resto negli
altri film di tale genere) a parte poche scene a sorpresa, un paio
delle quali quasi un tormentone
Da guardare senza dubbio se vi piace il genere, in caso contrario se
ne può fare tranquillamente a meno.
426 “The Kid Stays in the Picture” (Nanette Burstein, Brett Morgen,
USA, 2002) * con Robert Evans e una marea di registi e attori * IMDb
7,4 RT 91%
Probabilmente ai più il nome Robert Evans non dirà molto, eppure,
escludendo le sue poche e non certo memorabili apparizioni come
attore, è stato uno di quelli che ha lasciato il segno nel nuovo
cinema americano. Fu lui che, appena entrato nella Paramount, la
portò dal nono al primo posto fra le major americane. Basti pensare
che da quando fu messo a capo della produzione nella Paramount,
questa sfornò successi in vari generi come Barefoot in the Park
(1967), The Odd Couple (1968), Rosemary's Baby (1968), The Italian
Job (1969), True Grit (1969), Love Story (1970), Harold and Maude
(1971) e poi i suoi primi 3 film da produttore ufficialmente sono
stati: The Godfather (Francis Ford Coppola, 1972), The Godfather -
Part II (Francis Ford Coppola, 1974), Chinatown (Roman Polański,
1974).
Fu lui che volle Polanski per Rosemary's Baby (1968) e Coppola per
“Il Padrino” (all’epoca entrambi non apprezzatissimi negli States),
convinse Mia Farrow a terminare “Rosemary’s Baby” anche se ciò costò
all’attrice il divorzio da Frank Sinatra.
Il biodocumentario è basato su un suo audiobook ed è sua la voce
narrante, ovviamente in prima persona. Per gli appassionati di
cinema è interessante questo sguardo dietro le quinte per avere
almeno una vaga idea di ciò che succede fra finanziatori,
produttori, registi e attori, spesso guidati non solo dal dio denaro
ma anche da ripicche, gelosie, simpatie e amori.
Ben realizzato ed interessante. Consigliato ... se lo trovate (non
sembra essere stato distribuito in Italia).
425 “The Thin Red Line” (Terrence Malick, USA, 1998) tit. it.
“La sottile linea rossa” * con Jim Caviezel, Sean Penn, Nick Nolte,
George Clooney, John Travolta, John Cusack, Ben Chaplin, John C.
Reilly, Woody Harrelson, John Savage, Adrien Brody, Jared Leto
* IMDb 7,6 RT 92% * 7 Nomination Oscar (miglior film, regia,
sceneggiatura, fotografia, montaggio, sonoro, musica originale) *
Orso d’Oro a Malick e Menzione d’Onore a John Toll per la fotografia
a Berlino
Non ottenne nessuna statuetta
poiché, per sua sfortuna, si scontrò con un altro famoso film di
guerra sui generis: “Salvate il soldato Ryan” (5 Oscar e 6
Nomination) ... già fu strano che due film in un certo senso simili
per fornire una visione della guerra diversa dagli stereotipi
riuscissero ad accaparrarsi ben 18 Nomination. Un cast di attori
eccezionale con tanti vincitori di premi Oscar (precedenti e
successivi) e ancor più Nomination raccolte, ma quasi tutti hanno
parti relativamente brevi, ma non si può parlare di film corale.
Ottima la fotografia che spesso funge da sfondo alle considerazioni
e ai ricordi dei protagonisti.
Nel corso delle quasi 3 ore di film, gli scontri a fuoco non sono
predominanti, lasciando spazio a scene certamente più significative.
La sceneggiatura di “The Thin Red Line” (dello stesso Terrence
Malick) è basata sull’omonimo romanzo autobiografico di James Jones
dal quale nel 1964 era già stato realizzato un adattamento diretto
da Andrew Marton. Da notare che l’autore fu anche consulente di uno
dei più famosi colossal bellici: “The Longest Day” (“Il giorno più
lungo”, 1962, 3 registi e un numero incredibile di star).
Un film che merita senz’altro di essere guardato con attenzione, per
molti motivi.
424 “Widows” (Steve McQueen, USA, 2018) tit. it.
“Eredità criminale” * con Viola Davis, Michelle Rodriguez, Elizabeth
Debicki, Colin Farrel, Robert Duvall, Liam Neeson, Daniel Kaluuya
* IMDb
7,4 RT 91%
Un ricchissimo e variegato cast per un film che si distingue
nettamente dai tanti di genere simile. Una trama estremamente
articolata che include un classico audace colpo, contornato da
intrecci politici, ricatti, minacce, assassini.
Colpi di scena, sorprese e le immancabili necessarie coincidenze ne
fanno una storia interessante ma (per fortuna) senza i soliti
inseguimenti e senza lunghissime scene di suspense (spesso ridicole)
... tutto si svolge in maniera snella.
Non una capolavoro, ma certo molto ben realizzato e, soprattutto,
originale.
423 “Bohemian Rhapsody” (Bryan Singer, UK/USA, 2018) * con Rami
Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee * IMDb 8,4 RT 62% *
Come tutti forse già sapranno, dal punto di vista cinematografico il
film è appena sufficiente, è solo l'ottima colonna sonora l'elemento
che lo rende piacevole, visto che comprende estratti di quasi tutti
i grandi successi del gruppo .
Non concordo con chi ha esaltato l’interpretazione di Rami Malek
nelle vesti di Freddy Mercury (anche per colpa del makeup); se -
forse - riesce a replicare abbastanza bene i movimenti sul palco,
certo come attore non mi è sembrato un granché.
422 “Annie Hall” (Woody Allen, USA, 1977) tit. it.
“Io e Annie” * con Woody Allen, Diane Keaton, Tony Roberts
IMDb 8,0 RT 97% * 4 Oscar (miglior film, regia, Diane Keaton
protagonista, sceneggiatura) e Nomination per Woody Allen
protagonista
Non amo particolarmente Woody Allen anche se apprezzo alcune sue
graffianti critiche (e autocritiche) su vari formalismi, fisime
varie e modi di agire tipicamente americani. Come accade molte volte
in casi simili, purtroppo il film nel complesso risulta essere un
calderone di sketch non sempre efficacemente legati fra loro; con
minimi adattamenti potrebbe essere proposto in teatro con pochi
attori e scenografie essenziali ... e forse sarebbe più godibile.
Film a tratti noioso, quando il buon Woody comincia a ripetere gli
stessi concetti con il suo tipico (insopportabile) modo di
balbettare, tanto da sembrarmi lungo nonostante duri poco meno di
un’ora e mezza; solo nel finale diventa un po’ più snello.
Al fianco dei due protagonisti, oltre a Tony Roberts, compaiono
brevemente anche vari volti noti quali Paul Simon, Shelley Duval,
Christopher Walken e Jeff Goldblum.
Sopravvalutato sotto ogni punto di vista. L’Oscar per la regia fu
assegnato ad Allen a discapito di George Lucas (Star Wars) e Steven
Spielberg (Incontri ravvicinati del terzo tipo) ... incredibile ma
vero!
421 “Scheherazade, Tell Me a Story” (Yusri Nasrullah, Egitto, 2009)
tit. or.
“Ehky ya Scheherazade” * con Mona Zaki, Mahmood Hemaidah, Hasan
El-Raddad
IMDb 7,4 RT 89% * Lina Mangiacapre Award a Venezia
Con un po' di fortuna e occhio nella videoteca di Puerto de la Cruz
si trovano vere rarità (che non equivale a dire perle) ... questa è
una. Un film egiziano presentato anche in Italia a Venezia dove
vinse il premio Lina Mangiacapre (film che mostrano nel segno della
differenza il cambiamento dell’immagine della donna, soggetto di
storia e di cultura).
Yusri Nasrullah fu allievo Youssef Chahine (il più rispettato
regista egiziano di sempre) ed è autore impegnato. Tuttavia, in
questo film non riesce a fornire immagini credibili delle donne
egiziane (forse per superficialità, forse per mostrare casi limite),
lasciando spiazzato lo spettatore occidentale.
La protagonista Hebba (anchor woman politica e di successo) vive nel
lusso ed è sposata con Karim, giornalista filogovernativo. Due
professionisti di ideali diversi, difficilmente possono convivere
pacificamente in un campo delicato come quello della comunicazione.
Nonostante Hebba rinunci ad occuparsi apertamente di politica,
passando a interessarsi di temi sociali ed in particolare quello del
ruoli della donna non può non nascondere che ognuno di essi sia
comunque condizionato dalla politica. Intervistando in studio varie
donne con trascorsi drammatici, scatenerà un nuovo putiferio che
ovviamente non sarà gradito dal marito.
Ciò che sembra assolutamente irreale è il fatto che una giornalista
possa essere giunta ad occupare tale posizione senza rendersi conto
del tessuto sociale egiziano, dei problemi della vita di tutti i
giorni, della violenza e chi più ne ha più ne metta. Un paio delle
donne da lei intervistate nel suo show sono borghesi, relativamente
ricche e di una certa cultura quasi a voler mostrare che il machismo
è presente a tutti i livelli. Allo stesso tempo tutte le vittime,
anche quella di classe meno abbiente, vengono mostrate spesso come
delle sprovvedute credulone.
Un film nel complesso “volenteroso” ma insufficientemente
realizzato, anche perché il cast lascia abbastanza a desiderare.
Resta comunque un’interessante visione, se non altro per lo sguardo
critico su alcuni ambienti egiziani come quello della comunicazione
e dei legami con la politica.
420 “¡A volar joven!” (Miguel M. Delgado, Mex, 1947) * con
Cantinflas, Ángel Garasa, Daniel 'Chino' Herrera, Miroslava * IMDb
7,4
Quando mi capita l’occasione, non disdegno distrarmi guardando un
film di Cantinflas. Nonostante sia stato uno degli attori messicani
più amati, pochi lo conoscono al di fuori dei paesi latini in quanto
gran parte della sua comicità si basava su giochi di parole,
espressioni tipicamente messicane modificate, frasi sospese,
paradossi linguistici spesso non traducibili in altre lingue ... con
un vago paragone i suoi personaggi potrebbero essere assimilati a
quelli di Groucho Marx.
In quasi ogni film aveva un diverso mestiere o professione, dai più
umili come lavavetri o spazzino a quelli più rispettati se non
importanti come avvocato, sacerdote, farmacista, ambasciatore, e via
discorrendo.
In questo “¡A volar joven!” interpreta un allievo pilota che (come
conseguenza delle sue solite frasi non terminate e comunque confuse)
si trova a pilotare un aereo insieme con un suo collega, entrambi al
loro primo volo. L’equivoco iniziale, ciascuno dei due pensa che
l’altro sia l’istruttore, mi ha fatto tornare in mente quello di
“Being There” visto pochi giorni fa ... strane coincidenze.
419 “La triade di Shanghai” (Yimou Zhang, Cina, 1995) tit. or. ”Yao
a yao, yao dao wai po qiao“ * con Li Gong, Baotian Li, Xiaoxiao Wang
* IMDb 7,2 RT 87% * Nomination Oscar miglior fotografia, Technical
Grand Prize e Nomination Palma d’Oro a Cannes
Storia di gangster nella Shanghai degli anni 30. Nella prima parte
Zhang ci guida in ambiente urbano e soprattutto nella ricchissima e
fastosa residenza del "boss", mentre nella seconda trasferisce la
scena in campagna, esattamente su una piccola isola, e con la
collaborazione del direttore della fotografia Yue Lü da il meglio di
sé in quanto a inquadrature, luci e colori.
Trama in sostanza abbastanza classica da gangster story, con la vamp
donna del capo (Li Gong) il finale esce un po' dagli schemi e
qualche reazione la trovo poco comprensibile.
Yue Lü aveva già curato la fotografia per Zhang l’anno prima in
“Vivere” e poi l’avrebbe fatto per Keep Cool (Yimou Zhang, 1997), ma
non dimentichiamo che è anche stato direttore della fotografia di
“Red Cliff” (John Woo, 2008).
Film “bello” (in senso puramente estetico) ma non avvincente come
altri del regista cinese, quindi da non perdere ma senza avere
grandi aspettative in quanto alla sceneggiatura
418 “Ju Dou” (Yimou Zhang, Cina, 1990)
* con Li
Gong, Wei Li, Baotian Li * MDb 7,7 RT 100% * Nomination Oscar
miglior film in lingua non inglese, Nomination Palma d’Oro a Cannes
Con questo suo terzo film (dopo il successo di “Sorgo rosso” e
l’assoluto flop di “Codename Cougar”) Zhang comincia a prendere la
stabile via del successo e mette in mostra varie delle sue
caratteristiche: colori, fotografia, ambiente rurale tradizionale,
dramma familiare, vendette, abusi.
Mi colpiscono sempre le location scelte da Zhang e le sue
descrizioni degli ambienti lavorativi, artigianali e familiari,
giochi dei bambini, riti, cerimonie e tradizioni. Mi appare come un
gran conoscitore, o almeno attento osservatore, del tessuto sociale
rurale.
Se in sorgo rosso li spettatori sono stati istruiti in merito alla
produzione del vino di sorgo distillato, in Ju Dou si apprende come
eseguire la tintura dei tessuti. Ciò fornisce ulteriore occasione a
Zhang per sbizzarrirsi con i colori, con maggior frequenza varie
tonalità di rosso - come Almodovar - ma anche tanti gialli e ocra.
Lussuria, infedeltà, machismo al limite dello schiavismo, menzogne,
ma soprattutto stupidità porteranno a tragedie in serie.
Da non perdere.
417 “Being There” (Hal Ashby, USA, 1979) tit. it.
“Oltre il giardino “ * con Peter Sellers, Shirley MacLaine, Melvyn
Douglas
* IMDb 8,0 RT 96% * Oscar a Melvyn Douglas non protagonista,
Nomination a Peter Sellers protagonista
Mi unisco senz'altro al coro di tutti quelli che lo trovano
sopravvalutato e, in sostanza, abbastanza sciocco.
Anche volendo concedere che gli sceneggiatori abbiano saputo
scrivere dialoghi che si prestassero a diverse interpretazioni e
creare situazioni originali tendenti al paradossale, non si può
andare avanti con lo stesso registro per oltre due ore, con tutto il
rispetto per Peter Sellers, Shirley MacLaine e Melvyn Douglas.
416 Animal House (John Landis, USA, 1978)
Film assolutamente demenziale, ma che ha fatto storia ... e si è
meritato un
post a parte su Discettazioni Erranti
415 “Barbara” (Christian Petzold, Ger, 2012) * con Nina Hoss, Ronald
Zehrfeld, Rainer Bock * IMDb 7,2 RT 92%
Nomnation Orso d’Oro e altri 2 premi a Berlino
Misconosciuto film tedesco, nonostante abbia vinto l'Orso d'Argento
per la regia e un altro premio a Berlino oltre ad essere candidato
all'Orso d'Oro.
Ambientato negli anni '80, tratta della difficile vita di una
dottoressa della Germania dell'est che vorrebbe passare "dall'altro
lato" e per ripicca punizione viene trasferita in un piccolo
ospedale di campagna, quasi sul Mar Baltico. Quasi tutti lì la
guardano con sospetto e lei sospetta di tutti in quanto possibili
informatori della Stasi, anche se la la polizia non ha certamente
bisogno di nascondersi, la controlla in modo palese giungendo anche
a perquisire lei e la sua casa accuratamente e più di una volta. Fra
trame per riuscire a emigrare clandestinamente, tentativi di fuga,
tentati suicidi e problemi di coscienza e pratici, la dottoressa si
troverà a dover fare una scelta decisiva.
Bel film che rende bene l’idea della vita nei paesi d’oltrecortina
negli anni ’80, ben fotografato e ben interpretato, a metà strada
fra thriller e spy story, con qualche scena romantica.
Interessante, da guardare.
414 “The Children Act” (Richard Eyre, UK, 2017) tit. it.
“Il verdetto” * con Emma Thompson, Stanley Tucci, Ben Chaplin * IMDb
6,7 RT 71%
Parte bene, avvince su vari temi e poi si perde poco dopo la metà.
Nella prima parte, presentando il lavoro di un giudice monocratico
per casi che coinvolgono minori, si ascoltano rapidamente sentenze
esemplari per ognuna delle quali si potrebbe discutere all’infinito
senza giungere ad una soluzione definitiva e, parallelamente, viene
mostrata la crisi di coppia della stessa Justice Fiona (sposata con
Jack, un professore interpretato da Stanley Tucci).
La storia regge solo fino a giungere a sentenza del caso principale,
asse portante di tutto il film, anche se si comincia a intravedere
una certa superficialità. Infatti, dopo aver “risolto” il caso del
giovane testimone di Geova che per motivi religiosi rifiuta la
trasfusione che gli potrebbe salvare la vita, la sceneggiatura di
Ian McEwan (basata su un suo romanzo) si perde in una serie di
improbabili eventi e successive reazioni poco credibili. Tralascia
quasi del tutto il momento critico del rapporto di coppia (ci
sarebbe stato spazio per approfondirlo, approfittando anche dei due
eccellenti interpreti Emma Thompson e Stanley Tucci), lascia nel
vago il dilemma della priorità fra religione e vita, crea situazioni
da telenovela o romanzo di appendice che mi sono sembrate inutili
e/o fuori contesto.
Una grande occasione persa ... limitandosi ad un paio di temi - e
trattandoli a dovere - il film sarebbe stato molto più interessante.
Così com’è, le interpretazioni della sempre ottima Emma Thompson e
del sempre sottovalutato Stanley Tucci non bastano a farne un film
notevole.
413 “Colette” (Wash Westmoreland, UK, 2018) * con Keira Knightley,
Eleanor Tomlinson, Dominic West * IMDb 6,9 RT 87%
Se andate a leggere una biografia di Colette, per quanto succinta
possa essere, vi renderete immediatamente conto che ciò che ha
assemblato Westmoreland per lo schermo è una minima parte delle
molteplici attività e della lunga vita di questa autrice francese.
Nel film, ambientato nel decennio a cavallo fra ‘800 e inizio secolo
scorso, viene proposta come una disinibita giovane bisessuale, a
tratti ingenua sprovveduta, in altri momenti spregiudicata e
combattiva, obbligata a fungere da ghost writer, infine teatrante.
Westmoreland sembra focalizzarsi più sulle piccanti avventure
amorose che sulla vera personalità e storia di questa donna che non
è diventata famosa solo per la sua vita sociale nell’ambito della
nobiltà e borghesia francese ma anche e soprattutto per la sua
capacità letterarie, artistiche e imprenditoriali. Solo nei titoli
di coda si porta a conoscenza il pubblico che Colette ricevette
infiniti riconoscimenti ufficiali ed onorificenze (perfino la Legion
d’Onore), si distinse in tanti campi artistici e che alla sua morte
(1954) le fu negata la cerimonia in chiesa ma in compenso fu la
prima donna francese alla quale furono concessi i funerali di stato.
Pur pensando che Keira Knightley sia in genere attrice
sopravvalutata, devo dire che in questo film si destreggia bene
(anche sul palcoscenico) ma mi sembra che non sia per niente adatta
al personaggio, in particolare se si guarda qualche foto d’epoca.
Comunque, per sua fortuna, il resto del cast (mediocre) la fa
sembrare ancor più brava.
Per la cronaca, nel 1991 Danny Huston diresse “Becoming Colette”
(anche questo incentrato sugli inizi della carriera della
scrittrice) e il film “Gigi” (9 Oscar, diretto da Vincente Minnelli
nel 1952) è basato sull’omonimo racconto scritto da Colette nei
primi anni ’40.
Leggo che la settimana scorsa è stato presentato al Festival di
Torino ... andrò a leggere le impressioni di altri.
412 “Amour” (Michael Haneke, Austria/Francia/Germania, 2012) * con
Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert
* IMDb 7,9 RT 93% * Oscar miglior film non in lingua inglese (per
l’Austria) e 4 Nomination (miglior fil, regia, sceneggiatura,
Emmanuelle Riva protagonista) - Palma d’Oro a Cannes
In questo film drammatico e commovente, tragicamente realistico,
Haneke pone il suo marchio di fabbrica con qualche allucinazione, un
incubo, simbologia del piccione (che considererei semplicemente come
uccello) e ancor di più con l’enigmatico il finale che sembra sia
stato interpretato in tanti modi diversi, ognuno più che plausibile
ma dai significati certamente distinti.
La apparente freddezza con la quale il regista (laureato in
filosofia e psicologia) analizza e il rapporto fra i due
protagonisti, una felice e colta coppia ottuagenaria con tanti
interessi comuni è quasi eccezionale. Ogni valutazione viene
suggerita ma lascia sempre spazio ad altri punti di vista e
conseguenti azioni.
Pioggia di premi e Nomination per Haneke, l’85enne Emmanuelle Riva
(la più anziana attrice mai candidata all’Oscar) e Trintignant, di 3
anni più giovane (tutti estremamente bravi nei rispettivi ruoli) ma
ho trovato Isabelle Huppert ancora una volta poco convincente.
Film da non perdere, ma guardatelo sol se vi trovate in uno stato
d’animo opportuno.
411 “Sorgo rosso” (Yimou Zhang, Cina, 1987) tit. or. “Hong gao liang”
* con Li Gong, Wen Jiang, Rujun Teng
IMDb 7,5 RT 82% * Orso d’Oro a Berlino
Lungometraggio d’esordio per Yimou Zhang che, al primo colpo,
ottenne l’Orso d’Oro a Berlino, ottimo viatico per la sua brillante
carriera.
Se da un lato già risalta il suo indiscutibile gusto per la
fotografia e i colori, nonché per la cultura tradizionale contadina,
mi sembra di vedere una smania di mostrare e dire troppo con la
conseguenza di confezionare un film un po’ confuso. Basti dire che
la sceneggiatura è basata solo sulle prime due parti (di 5) di un
romanzo storico del cinese premio Mo Yan (Nobel per la letteratura)
che comprende molti più personaggi e avvenimenti, certamente non
riassumibili in un paio d’ore, specialmente se si indugia (seppur in
modo ammirevole) in scene come quelle del trasporto della sposa in
portantina.
Vari episodi, come quello dei briganti, restano in sospeso dopo
essere stati descritti molto sommariamente e la parte dedicata agli
storici nemici giapponesi (persone pacifiche e gentili in patria, ma
con un indiscusso passato di criminali di guerra) poco lega con la
storia proposta nel film, insistendo inutilmente in su atroci e
cruenti fatti storici a discapito di quelli familiari e sociali,
fino a quel momento tema principale.
Resta comunque un ottimo film (seppur “a due velocità”) ed è
fondamentale guardarlo nell’ambito della produzione complessiva di
Yimou Zhang.
410 “Amazona” (Clare Weiskopf e Nicolas van Hemelryck, Col, 2016) *
con Valerie Meikle, Diego Weiskopf, Clare Weiskopf, Nicolas van
Hemelryck * IMDb
7,1
Fra documentario e biografia di una madre molto particolare, messo
insieme dalla figlia ancora in cerca di risposte, con la
collaborazione del marito Nicolas van Hemelryck, co-regista,
co-sceneggiatore e operatore.
La madre è Val(erie) Meikle, avventurosa hippie che vive in
Colombia, ai margini della selva amazzonica, Clare è la terza di
quattro figli, avuti da due compagni diversi, eclissatisi come
altri. Dopo molti anni di lontananza, Clare (incinta) decide di
andare a trovare Val con la scusa di uno psuedodocumentario sulla
sua vita da nomade, lontana dalla “civiltà”. Solo verso il termine
le due donne si confrontano direttamente sullo spinoso tema della
maternità e soprattutto su quanto diritto hanno le madri a
perseguire i loro ideali e quanti doveri (limitanti) hanno verso i
figli che hanno messo al mondo. L’incredibile 80enne continua a
rivendicare la giustezza delle sue scelte, mentre la figlia le
rinfaccia (seppur con amore filiale) di averla abbandonata a 11 anni
e aver lasciato il fratello minore (ora sbandato tossicodipendente)
in situazioni ancora peggiori.
Pur non essendo un granché dal punto di vista cinematografico,
solleva importanti e pressoché irrisolvibili questioni etiche ...
sono rarissimi i casi nei quali si può tracciare un confine netto e
preciso fra modi di pensare.
409 “Ghost Dog: The Way of the Samurai” (Jim Jarmush, USA, 1999)
tit. it.
“Il codice del samurai” * con Forest Whitaker, Henry Silva, Cliff
Gorman, John Tormey, Camille Winbush, Isaach De Bankolé, Tricia
Vessey, RZA
IMDb 7,5 RT 82% * Nomination Palma d’Oro a Cannes
Film che non avevo mai sentito neanche nominare, che tuttavia ho
recuperato dopo aver letto delle sue attinenze con il giapponese
“Branded to kill” (Suzuki, 1968), guardato pochi giorni fa. Oltre a
un parallelismo della trama in generale, alcune situazioni sono
riprese in modo quasi identico.
L'ho trovato al di sopra delle mie aspettative, con un buon Whitaker
(che di solito non apprezzo particolarmente) nonostante non abbia il
physique du rôle del killer esperto di storia giapponese e di arti
marziali. Il protagonista Ghost Dog legge Hagakure (guida pratica e
spirituale dei samurai, scritta agli inizi del ‘700, ma pubblicata
solo 2 secoli dopo) e numerose sono le citazioni da questo testo, ma
ci sono anche tanti altri riferimenti letterari (tramite copertine
di libri) a cominciare da “Rashomon” che si rivela un elemento
importante nel contesto del film.
Apprezzabile lo humor sia per quanto riguarda gli anzianotti e
sovrappeso mafiosi di Cosa Nostra, interpretati da un bel gruppo di
bravi caratteristi in mezzo ai quali spicca un Henry Silva quasi
mummificato (pur essendo appena 70enne), sia per il personaggio del
gelataio che parla solo francese e non capisce una parola di
americano. Ben pensato anche quello di Pearline, bambina saggia e
colta che ama leggere.
Interessante anche la colonna sonora, con musica originale di RZA
che (seppur in una piccola parte) è al suo esordio come attore.
In quanto a Jim Jarmush, trovo che abbia realizzato una pellicola
pregevole ed in particolare ho apprezzato l’ottimo uso delle
dissolvenze incrociate con gli stessi soggetti nello stesso ambiente
e, da un punto di vista meno tecnico eppure importante, anche i
tanti inserti di cartoni animati d’epoca, sempre sottilmente
attinenti allo sviluppo della trama principale.
Più che consigliato (ci sono tanti morti ma non è assolutamente
splatter, scrissi identico commento anche per “Branded to Kill”)
408 “Lettere di uno sconosciuto” (Yimou Zhang, Cina, 2014) tit. or.
“Gui lai”, tit. int. “Coming Home” * con Li Gong, Daoming Chen,
Huiwen Zhang * IMDb 7,3 RT 89%
Film “triste”, con buone interpretazioni ma dalla trama più o meno
monotona e poco avvincente.
Non fra i migliori di Zhang; sembra che, come tanti ottimi registi e
artisti in genere, ad un certo momento della carriera artistica
abbia raggiunto un punto di saturazione, non solo non riesce a
migliorarsi ulteriormente (cosa difficile in quasi ogni campo) ma
non riesce neanche a mantenere i livelli simili a quelli della
precedente creatività.
Ho in serbo altri film precedenti di Yimou Zhang, vedrò se è
effettivamente così.
PS - Attenzione, ci sono vari film orientali con titolo
internazionale molto simile che quindi possono creare confusione:
- The Road Home (Yimou Zhang, Cina, 1999)
- The Way Home (Jeong-hyang Lee, Kor, 2002)
- Coming Home (Yimou Zhang, Cina, 2014)
407 “La storia di Qiu Ju” (Yimou Zhang, Cina, 1992) tit. or. “Qiu Ju
da guan si” * con Li Gong, Peiqi Liu, Liuchun Yang
IMDb 7,6 RT 86% * a Venezia 1992 Yimou Zhang ottenne ben 3 premi,
fra i quali il Leone d’Oro, e Li Gong due (Golden Ciack e Coppa
Volpi)
In alcuni momenti mi ha ricordato “L'insulto" (Ziad Doueiri,
Libano/Francia, 2017, Nomination Oscar), una storia senza fine, non
conclusa subito con buon senso da entrambe le parti e portata avanti
con una escalation di dispendio di energie e soldi per ottenere in
sostanza niente.
Storia esemplare ma troppo ammorbidita per lo schermo. Sarà mai
possibile che i superiori in grado nella rigida gerarchia del regime
cinese dell’epoca (tutti apparentemente “buoni”) non riescano a
riportare ad un minimo di ragionevolezza il cocciuto e arrogante
capovillaggio, tuttavia pacifico?
Ben diretto e interpretato, ma dalla trama molto poco convincente.
Merita comunque una visione, non solo per il gusto dell’immagine
proprio di Yimou Zhang e per l’interpretazione di Gong Li, ma anche
per lo sguardo antropologico sulla vita delle comunità rurali
cinesi.
406 “Lo que le pasó a Santiago” (Jacobo Morales, Puerto Rico, 1989)
* con Tommy Muñiz, Gladys Rodríguez, Johanna Rosaly
* IMDb 7,5 * Nomination Oscar
Questo è il prima pellicola
portoricana nella quale mi imbatto, è diretta dal più famoso regista
dell'isola, è l'unico film di quel paese ad avere mai ottenuto una
Nomination Oscar e secondo alcuni in altre edizioni avrebbe vinto la
statuetta come miglior film in lingua non inglese ... purtroppo si
trovò la strada sbarrata da Nuovo cinema Paradiso (Tornatore, 1990).
Narra di un vedovo appena andato in pensione che cerca di rimanere
attivo e non avvilirsi per la solitudine. Deve gestire una
situazione familiare un po’ complicata con un figlio in una clinica
psichiatrica (ma non certo un caso disperato) e una figlia
abbastanza irresponsabile. Quando incontra una donna affascinante
dal passato a dir poco misterioso la sua vita cambia radicalmente e
(forse) riuscirà a ricostruire i legami e ravvivare l’ottimismo dei
vari protagonisti.
Certamente ben realizzato e ben interpretato, mi spinge a cercare di
recuperare qualche altro film di Jacobo Morales.
405 “La prima Angélica” (Carlos Saura, Spa, 1975) tit. it. “La
cugina Angelica” * con José Luis López Vázquez, Lina Canalejas,
Fernando Delgado
* IMDb 7,5 * Premio della Giuria e Nomination Palma d’Oro a Cannes
Da un’idea di Saura, sviluppata in sceneggiatura dallo stesso
insieme con l’ineguagliabile Rafael Azcona, nasce questo singolare
film non certo inferiore al precedente “Anna e i lupi”, né al
successivo “Cria cuervos”, ma molto meno conosciuto.
Una stranissima impostazione nella quale il protagonista rivive vari
momenti della sua infanzia (gli anni 30 della Repubblica e della
guerra civile) mantenendo sempre lo stesso aspetto (José Luis López
Vázquez) mentre gli altri personaggi sono interpretati da attori di
età coerenti. Ovviamente Saura non perde l’occasione di inserire
tanti riferimenti (per lo più critici) alla guerra civile, alla
Repubblica, al clero onnipresente e oppressivo. Fra un poco di
surrealismo e il classico humor nero di Azcona il film scorre
piacevolmente mostrando con ironia vari aspetti della media
borghesia spagnola.
In quanto a questo modo di proporre la storia, non si deve
dimenticare che il regista era compaesano (aragonese) e grande amico
di Luis Buñuel, il quale lo trattava quasi come un figlio
considerati i 32 anni di differenza. Condividevano idee
antifranchiste e anticlericali, passavano ore a mangiare e bere,
quando lasciò incompiuto “Simón del desierto”, Buñuel propose a
Saura di concluderlo e nel contratto di “La via lattea” (avendo 68
anni e sempre timoroso che qualche problema di salute non gli
permettesse di terminare le riprese) fece inserire una clausola che
stabiliva che in tal caso la regia sarebbe passata a Saura, Buñuel
accettò anche con piacere di interpretare il boia nella scena di
apertura di “Llanto por un bandido” (secondo film diretto da Saura,
1964).
A chi comprende lo spagnolo (o si fida dei traduttori online)
segnalo questa
interessante intervista nella quale Carlos Saura parla dei suoi
rapporti con Luis Buñuel
Comunque, consiglio di guardare il film.
403 “Alice nelle città” (Wim Wenders, Ger, 1974) tit. or.
“Alice in den Städten” * con Yella Rottländer, Rüdiger Vogler, Lisa
Kreuzer
* IMDb 8,0 RT 100%
404 “Il cielo sopra Berlino” (Wim Wenders, Ger, 1987) tit. or. “Der
Himmel über Berlin” * con Bruno Ganz, Solveig Dommartin, Peter Falk,
Otto Sander * IMDb 8,1 RT 98% * Nomination Palma d’Oro e premio per
la miglior regia a Cannes
Indubbiamente Wim Wenders ha
prodotto i suoi migliori film negli anni dei suoi inizi, in pieno
fervore del nuovo cinema tedesco, che qualcuno chiamò anche “Film
und Drang”, parafrasando il nome della famosa corrente letteraria
“Sturm und Drang” della seconda metà del ‘700. Con lui ne fecero
parte Herzog, Schlondorff, Von Trotta, Fassbinder, insomma un buon
gruppo di innovatori.
“Alice nelle città”, sapientemente girato in bianco e nero, inizia
negli Stati Uniti e termina in Germania, dopo un breve passaggio per
Amsterdam. I protagonisti sono uno scrittore/fotografo trentenne,
ipercritico della cultura americana (specialmente tv) e una bambina
che gli viene “appioppata” dalla madre che dovrebbe poi raggiungerli
in Europa, ma le cose non vanno proprio lisce. I dialoghi sono
interessanti in quanto Wenders, pur sotto le spoglie di una
commedia, riesce ad esprimere tutto il suo dissenso e le sue visioni
del mondo moderno.
Assolutamente insolito, certamente ottimo. Da non perdere.
“Il cielo sopra Berlino”, anche questo in b/n con pochi,
significativi, inserti a colori. La sceneggiatura scritta dallo
stesso Wenders in collaborazione con Peter Handke è senz’altro
ottima e originale, con un misto di angeli e umani, che si vedono o
non si vedono, ma spesso si sentono, angeli che diventano umani e
uomini che erano angeli, un film nel film con Peter Falk che
interpreta sé stesso nel corso delle riprese di un episodio del
tenente Colombo, e un circo sgangherato con la sua eterogenea
troupe. Questo è, a mio modo di vedere, l’ultimo suo film veramente
di rottura degli schemi e affascinante, dopodiché sembra aver perso
il vero estro a cominciare dal successivo “Fino alla fine del mondo”
(1991), una megaproduzione se paragonata alle precedenti.
Penso di non dire alcunché di nuovo affermando che Wenders ha messo
nei suoi film tanta filosofia, analisi della società moderna,
significato della vita. Fra gli altri film degli anni 70-80 diretti
da Wenders segnalo “Falso movimento” (1975), “Nel corso del tempo”
(1976), L’amico americano” (1977), “Lo stato delle cose” (1982) e il
più famoso di tutti: “Paris, Texas” (1984).
402 “Branded To Kill” (Seijun Suzuki, Jap, 1967) tit. or. “Koroshi
no rakuin” tit. it.
“La farfalla sul mirino” * con Jô Shishido, Mariko Ogawa, Annu Mari
IMDb 7,4 RT 100%
Film d'azione, senza risparmio di pallottole e morti, ma non c’è
quasi sangue, quindi niente a che vedere con lo splatter. Più che
altro narra di una specie di gara fra top killer, con l'attuale no.1
dal volto sconosciuto. Le riprese sono molto interessanti, in puro
stile new wave giapponese.
Sembra che “Branded to kill” sia uno dei più apprezzati di questo
genere, un cult nel paese del sol levante, e sia i rating che i
commenti lo confermano.
A questo film si è molto ispirato Jim Jarmush per il suo “Ghost Dog:
The Way of the Samurai” (1999), riproponendo alcune scene quasi in
fotocopia.
Consigliato solo se siete amanti di questo genere o del cinema
giapponese non tradizionale, quasi d'avanguardia. Certamente non
banale e assolutamente unico.
401 “A Woman of Rumour” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1954) tit. or.
“Uwasa no onna” * con Kinuyo Tanaka, Tomoemon Otani, Yoshiko Kuga
* IMDb 7,7 RT 76%
Ancora una volta Mizoguchi ci porta nell’ambiente delle case da tè
giapponesi (ochaya), popalate da geishe. Stavolta in una casa
diretta da una vedova che deve confrontarsi con la figlia (di vedute
moderne) non solo in questioni etiche. ma anche nel contendersi un
possibile marito.
Il regista è ineccepibile come al solito.
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